Cavolo, disse Firmino, come si può dire di non amare una città se non la si conosce bene? Era illogico. Una vera mancanza di dialettica. Lukács sosteneva che la conoscenza diretta della realtà è strumento indispensabile per formulare un’opinione critica. Non c’era dubbio.
Così Firmino era entrato in una grande libreria e aveva cercato una guida. La sua scelta era caduta su una pubblicazione recente, di un bell’azzurro, con magnifiche fotografie a colori. L’autore si chiamava Helder Pacheco, e oltre a dimostrare un’enorme competenza rivelava uno sconfinato amore per Oporto. Firmino detestava le guide tecniche, impersonali e obiettive, che danno informazioni fredde. Preferiva le cose fatte con entusiasmo, anche perché lui aveva bisogno di entusiasmo, nella situazione in cui si trovava.
Così, munito di quella guida, si mise a girovagare per la città divertendosi a cercare sul libro i luoghi dove i suoi passi vagabondi lo conducevano. Si trovò in Rua S. Bento da Vitória, e il luogo gli piacque, soprattutto perché, con quel caldo, era una via scura, fresca, dove il sole sembrava non penetrare. Cercò il luogo sull’indice, che era di facile consultazione, e lo trovò subito a pagina centotrentadue. Scoprì che anticamente quella via si chiamava Rua S. Miguel, e che nel 1600 un a lui ignoto frate Pereira de Novais le aveva dedicato una pittoresca descrizione in spagnolo. Si deliziò con l’ampollosa descrizione di quel frate che parlava delle “casas hermosas de algunos hidalgos”, ministri, cancellieri e altri notabili di quella città che il tempo aveva inghiottito, ma delle cui vite restavano testimonianze architettoniche: frontoni e capitelli di stile ionico che ricordavano l’epoca nobile e fastosa di quella via, prima che le intemperie della storia la trasformassero in una via plebea come era attualmente. Proseguì nella sua ispezione e arrivò davanti a un palazzotto piuttosto imponente. La guida diceva che era appartenuto alla Baronessa da Regaleira, che era stato costruito alla fine del XVIII secolo da un certo José Monteiro de Almeida, commerciante portoghese a Londra, e che era stato via via la sede delle poste centrali, di un convento di carmelitane, di un liceo statale, fino a diventare quella della polizia giudiziaria. Firmino sostò un attimo davanti a quel maestoso portone. La polizia giudiziaria. Chissà se qualcuno, là dentro, si stava interessando al corpo decapitato di cui anche lui seguiva la pista incerta. Chissà se un austero magistrato, immerso nella decifrazione dei verbali dei medici legali che avevano eseguito l’autopsia, non stesse cercando di risalire all’identità che apparteneva a quel corpo mutilato.
Firmino guardò l’orologio e proseguì. Era quasi mezzogiorno. L’Acontecimento doveva essere nelle edicole di Oporto, arrivava con l’aereo del mattino. Sbucò in una piazzetta che non si curò di cercare nella guida. Si diresse al chiosco e comprò il giornale. Si sedette su una panchina. L’Acontecimento dedicava al caso la copertina, con un disegno violetto in cui si vedeva la silhouette di un corpo senza testa sormontato da un coltello gocciolante di sangue. Il titolone diceva: Ancora senza nome il cadavere decapitato. Il suo articolo era nelle pagine interne. Firmino lo lesse con attenzione e vide che non c’erano modifiche sostanziali. Notò tuttavia che il passaggio in cui parlava della maglietta era stato un po’ cambiato, e questo lo irritò. Si diresse a una cabina telefonica e chiamò il giornale. Naturalmente rispose la signorina Odette e gli attaccò un bottone, poveretta, dalla sua sedia a rotelle il suo unico contatto con il mondo era il telefono. Volle sapere se a Oporto si mangiava davvero tanta trippa come dicevano, e Firmino rispose che lui l’aveva evitata. E poi se era più bella di Lisbona, e Firmino disse che era differente, ma con un suo fascino che stava scoprendo. Infine lei si congratulò per il suo articolo, che aveva trovato “coinvolgente”, e gli lasciò intendere che lui aveva proprio fortuna nella vita a vivere avventure così intense. Alla fine gli passò il direttore.
– Pronto, disse Firmino, ho visto che ci andate cauti. Il direttore ridacchiò.
– È un fatto strategico, rispose.
– Non mi torna, disse Firmino.
– Senti, Firmino, spiegò il direttore, tu affermi che Manolo il Gitano aveva descritto per filo e per segno la maglietta alla polizia, ma la polizia, nel suo comunicato, ha affermato che il cadavere era a torso nudo.
– Appunto, si spazientì Firmino, e allora?
– Allora qualche ragione ci sarà, insisté il direttore, non saremo noi a smentire la polizia, credo che sia meglio dire che, secondo certe voci da noi raccolte, il cadavere indossava una maglietta con la scritta Stones of Portugal, metti il caso che il Manolo si fosse inventato tutto.
– Ma ci giochiamo la notizia se non diciamo che la polizia ha taciuto sulla maglietta, protestò Firmino.
– Una ragione ci sarà, rispose il direttore, e sarebbe una meraviglia se tu la scoprissi.
Firmino si trattenne a stento. Che idee grandiose venivano al suo direttore. Alla polizia non l’avrebbero neppure ricevuto, figuriamoci se rispondevano alle domande di un giornalista.
– E come cavolo farebbe lei?, chiese Firmino.
– Spremiti le meningi, disse il direttore, sei giovane e hai una buona immaginazione.
– Chi è il magistrato incaricato del caso?, chiese Firmino.
– È il dottor Quartim, lo sai bene, ma da lui non caverai niente, perché tutti gli elementi glieli ha forniti la polizia.
– Mi sembra un bel circolo vizioso, obiettò Firmino.
– Spremiti le meningi, rispose il direttore, è per fare questa inchiesta che ti ho mandato a Oporto.
Firmino uscì dalla cabina grondante di sudore. Ora si sentiva più irritato che mai. Si diresse alla fontanella della piazza e si sciacquò il viso. Accidenti, pensò, e ora? La fermata dell’autobus era proprio sull’angolo. Firmino riuscì a prendere al volo l’autobus che portava in centro. Si congratulò con se stesso perché possedeva ormai i fondamentali punti di riferimento di quella città la cui topografia gli era sembrata al principio così ostile. Chiese al conducente che gli indicasse la fermata più vicina a un centro commerciale. Scese a un cenno dell’autista e solo allora si rese conto che non aveva neppure pagato il biglietto. Entrò nel centro commerciale, uno spazio enorme che qualche architetto intelligente, specie ormai così rara, aveva ricavato da vecchi edifici senza rovinarne la facciata. Oporto era una città organizzata: all’ingresso, in un’ampia hall piena di scale mobili che scendevano al sottosuolo o salivano ai piani superiori, c’era un bancone con una bella ragazza vestita di azzurro che distribuiva ai clienti un dépliant topografico dove erano indicati tutti i negozi del centro e la loro esatta ubicazione. Firmino studiò il dépliant e si diresse con decisione verso il corridoio B del primo piano. Il negozio si chiamava «La T-shirt Internazionale». Era un locale pieno di specchi, con le cabine per le prove e gli scaffali traboccanti di merce. Alcuni ragazzi provavano magliette e si rimiravano allo specchio. Firmino si rivolse alla commessa, una biondina con i capelli lunghi.
– Vorrei una maglietta, disse, una maglietta speciale.
– Ne abbiamo per tutti i gusti, signore, rispose la ragazza.
– Sono nazionali?, chiese Firmino.
– Nazionali ed estere, rispose la ragazza, importiamo da Francia, Italia, Inghilterra e soprattutto Stati Uniti.
– Bene, disse Firmino, il colore sarebbe blu, ma può essere anche di altri colori, l’importante è la scritta.
– Che scritta è?, chiese lei.
– Stones of Portugal, disse Firmino.
La ragazza parve riflettere un istante. Storse leggermente la bocca, come se quelle parole non le dicessero niente, prese un grosso catalogo battuto a macchina e lo scorse con l’indice.
– Spiacente, signore, disse, non ce l’abbiamo.
– Eppure l’ho vista, disse Firmino, ce l’aveva addosso un tizio che ho incontrato per strada.
La ragazza si fece di nuovo riflessiva.
– Forse è una pubblicità, disse poi, ma noi non teniamo magliette pubblicitarie, solo magliette commerciali.
Anche Firmino rifletté. Pubblicità. Poteva essere una maglietta pubblicitaria.
– Sì, disse, ma pubblicità di che cosa, lei cosa pensa possa essere Stones of Portugal?
– Beh, disse la ragazza, potrebbe essere un nuovo gruppo rock che ha dato un concerto, di solito quando c’è un concerto vendono all’ingresso le magliette pubblicitarie, perché non prova in un negozio di dischi?, con i dischi vendono anche le magliette.
Firmino uscì e cercò sul dépliant il negozio di dischi. Musica classica o musica moderna. Naturalmente scelse musica moderna. Era nello stesso corridoio. Il ragazzo al banco del negozio aveva una cuffia e ascoltava ispirato. Firmino aspettò pazientemente che si accorgesse di lui.
– Conosce un gruppo che si chiama Stones of Portugal?, chiese.
Il commesso lo guardò e assunse un’aria pensosa.
– Non mi risulta, rispose, è un gruppo nuovo?
– Forse, rispose Firmino.
– Nuovissimo?, chiese il commesso.
– Forse, rispose Firmino.
– Noi siamo molto informati sulle novità, assicurò il commesso, i gruppi più recenti sono i Novos Ricos e i Lisbon Ravens, ma quello che cerca lei francamente non mi risulta, a meno che non sia un gruppo di dilettanti.
– Lei crede che un gruppo di dilettanti potrebbe confezionare delle magliette pubblicitarie?, chiese Firmino ormai senza speranza.
– Figuriamoci, rispose il commesso, a volte non ci riescono neanche i professionisti, sa, viviamo in Portogallo mica negli States.
Firmino ringraziò e uscì. Erano quasi le due del pomeriggio. Non aveva voglia di cercare un ristorante. Forse avrebbe potuto mangiare un boccone da Dona Rosa. Purché il piatto del giorno non fosse trippa.