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Il piatto di Dona Rosa quel giorno erano rojões alla moda del Minho. Forse non era un piatto che si addiceva propriamente al caldo di Oporto, ma Firmino ne andava matto, tocchetti di filetto di maiale cotti in padella e accompagnati da patate rosolate.

Per la prima volta da quando era arrivato si sedette nella saletta da pranzo della pensione. C’erano tre tavoli occupati. Dona Rosa arrivò e gli volle presentare i pensionanti, ci teneva. Firmino la seguì. Il primo, il signor Paulo, era un signore di una cinquantina d’anni che importava carne per la zona di Setúbal. Era calvo e robusto. Il secondo, il dottor Bianchi, era un italiano che non parlava il portoghese e che si esprimeva in un francese zoppicante. Aveva una ditta che comprava funghi porcini freschi e secchi e li importava in Italia, visto che i portoghesi prestavano così poca attenzione ai funghi. Disse sorridendo che il commercio era fiorente e che sperava che i portoghesi continuassero a prestare poca attenzione ai funghi porcini. E poi c’era una coppia di Aveiro che festeggiava le nozze d’argento e che faceva una seconda luna di miele. Chissà perché avevano scelto proprio quella pensione.

Dona Rosa gli disse che il direttore lo aveva cercato e che voleva essere richiamato con urgenza. Firmino lasciò perdere il direttore, per il momento, altrimenti tutto quel ben di Dio che girava sui vassoi si sarebbe freddato. Mangiò con calma e con gusto, perché il maiale era veramente squisito. Ordinò un caffè e alla fine si rassegnò a telefonare al giornale.

Il telefono era nel salottino, nelle camere c’era solo un interfono che comunicava esclusivamente con la reception. Firmino infilò le monete e fece il numero. Il direttore non c’era. La telefonista gli passò il signor Silva, che Firmino chiamò subito signor Huppert, per tenerlo buono. Il signor Silva era premuroso e paterno.

– Ha telefonato un anonimo, disse, con noi non vuole parlare, vuole parlare con l’inviato, cioè con te, gli abbiamo dato il numero della pensione, ti telefona alle quattro, secondo me chiama da Oporto.

Il Silva fece una pausa.

– Ti piace la trippa?, chiese con tono perfido.

Firmino rispose che aveva finito di mangiare un piatto che lui non si sognava nemmeno nei giorni di grazia.

– Non uscire dalla pensione, si raccomandò il Silva, potrebbe essere un mitomane, ma non mi ha dato questa impressione, trattalo bene, forse ha cose importanti da dirti.

Firmino guardò l’orologio e si sedette sul divanetto. Cavolo, pensò, ora perfino quel fesso del Silva si permetteva di dargli dei consigli. Prese una rivista dal cestino di vimini. Era una rivista che si chiamava Vultos, e dedicava le sue pagine al jet-set portoghese e internazionale. Si mise a leggere con interesse un servizio che riguardava il pretendente al trono del Portogallo, Don Duarte de Bragança, che aveva appena avuto un maschietto. Il pretendente, baffuto alla maniera ottocentesca, stava rigido su una seggiola di cuoio dallo schienale alto e stringeva la mano della consorte affondata in una poltrona bassa, in modo che le si vedevano solo le gambe e il collo, come se fosse tagliata a metà. Firmino concluse che il fotografo era pessimo, ma non ebbe tempo di finire di leggere l’articolo, perché intanto il telefono squillò. Lui aspettò che Dona Rosa rispondesse.

– È per lei, signor Firmino, disse amabilmente Dona Rosa.

– Pronto, disse Firmino.

– Guardi sulle pagine gialle, sussurrò la voce nella cornetta.

– Sulle pagine gialle che cosa?, chiese Firmino.

– Stones of Portugal, disse la voce, alla sezione import-export.

– Lei chi è?, chiese Firmino.

– Questo non interessa, rispose la voce.

– Perché non telefona alla polizia invece di telefonare a me?, chiese Firmino.

– Perché io conosco la polizia meglio di lei, rispose la voce. E riattaccò.

Firmino si mise a pensare. Era una voce giovane, con un marcato accento del Nord. Non era una persona istruita, questo si capiva dalla dizione. E poi? E poi che cosa? Il Nord del Portogallo era pieno di giovani con marcato accento del Nord che non erano istruiti. Prese dal tavolinetto le pagine gialle e cercò la voce import-export. Diceva: Stones of Portugal, Vila Nova de Gaia, Avenida Heróis do Mar, 123. Guardò la sua guida ma non gli fu di grande aiuto. Non gli restava che ricorrere a Dona Rosa. Dona Rosa, con molta pazienza, aprì di nuovo la cartina di Oporto e gli mostrò la località. Certo non era proprio a due passi, era dall’altra parte, praticamente non era più Oporto, Vila Nova era una cittadina autonoma, con municipio e tutto. Aveva fretta? Beh, se aveva fretta non gli restava altro che prendere un taxi, perché con i mezzi pubblici ci sarebbe arrivato all’ora di cena, e quanto gli sarebbe costato non era proprio in grado di dirglielo, lei a Vila Nova de Gaia non c’era mai andata in taxi, ma certo i lussi si pagano. E ora arrivederci, giovanotto, lei andava a fare una piccola siesta, era proprio quello di cui aveva bisogno.

L’Avenida Heróis do Mar era una lunga strada di periferia con pochi alberi stenti che costeggiava terreni in costruzione, piccoli cantieri, magazzini e villette recenti con giardinetti pieni di statue di Biancaneve e rondini di ceramica sulle pareti delle verande. Il numero 123 era una costruzione bianca a un piano, con un porticato di mattoni e un muro ondulato alla messicana. Dietro la costruzione sorgeva un capannone coperto di lamiera. Sul muro una targa d’ottone diceva: Stones of Portugal. Firmino pigiò il bottone elettrico e il cancello si aprì. La costruzione aveva un piccolo porticato con colonne come le altre villette della strada e su una colonna c’era una targa con scritto “Amministrazione”. Firmino entrò. Era una saletta arredata con mobilia moderna, ma non priva di un certo buon gusto. A un tavolo di vetro ingombro di carte c’era un signore anziano calvo e con gli occhiali che batteva a macchina.

– Buongiorno, disse Firmino.

Il vecchietto interruppe il suo lavoro e lo guardò. Ricambiò il saluto.

– Motivo della sua visita?, chiese.

Firmino si sentì preso alla sprovvista. Pensò che era proprio un idiota, per tutto il tragitto aveva pensato a Manolo, e poi alla sua fidanzata, della quale sentiva già la nostalgia, e poi a come avrebbe reagito Lukács se invece di trovarsi di fronte a una situazione narrativa di Balzac avesse dovuto affrontare una realtà pura e semplice come quella che lui stava vivendo. Aveva pensato a tutto questo, e non aveva pensato a come presentarsi.

– Cercavo il capo, rispose quasi balbettando.

– Il principale è a Hong Kong, disse il vecchietto, starà fuori tutto il mese.

– Con chi posso parlare?, chiese Firmino.

– La segretaria ha preso una settimana di ferie, spiegò il vecchietto, siamo rimasti il magazziniere e io, che mi occupo della contabilità, è una cosa urgente?

– Sì e no, rispose Firmino, dato che sono a Oporto di passaggio volevo fare una proposta al suo principale.

E poi continuò, come per dare una maggiore credibilità alla sua presenza:

– Sono nel ramo anch’io, ho una piccola ditta a Lisbona.

– Ah, rispose l’impiegato senza il minimo interesse.

– Posso sedermi un attimo?, chiese Firmino.

L’impiegato gli indicò con la mano la seggiola che stava davanti al tavolo. Era una sedia di tela color sabbia, con i braccioli, come quella usata dai registi. Firmino pensò che l’arredatore della Stones of Portugal era una persona di buon gusto.

– Di cosa vi occupate?, chiese con il sorriso più amabile che aveva.

Il vecchietto finalmente sollevò la testa dalle sue carte. Si accese una Gauloise dal pacchetto che aveva sul tavolo e ne aspirò una boccata con avidità.

– Accidenti, disse, questi conti con i cinesi sono infernali, mandano i resoconti in dollari di Hong Kong e io li devo trasformare in scudi portoghesi, con la differenza che il dollaro di Hong Kong non ha mai un’oscillazione neanche di un centesimo, mentre la nostra moneta è una marmellata, non so se lei segue la borsa di Lisbona.

Firmino annuì e allargò le braccia come per dire: eh sì, lo so benissimo.

– Abbiamo cominciato con i marmi, disse il vecchietto, sette anni fa eravamo il padrone, io, un cane da pastore tedesco e una baracca di lamiera.

– Eh sì, lo incoraggiò Firmino, con i marmi funziona, in questo Paese.

– Se funziona, esclamò il vecchietto, se funziona. Ma bisogna individuare il mercato giusto. E il padrone ha un fiuto eccezionale, magari avrà anche avuto fortuna, ma che abbia senso degli affari non lo posso negare, così ha pensato all’Italia.

Firmino fece un’espressione di meraviglia.

– Esportare marmo in Italia mi sembra un’idea sorprendente, disse, gli italiani di marmo ne hanno da vendere.

– Lo crede lei, caro signore, esclamò il vecchietto, e lo credevo anch’io, ma questo significa non avere fiuto e non conoscere le leggi del mercato. Le dico una cosa: lei lo sa qual è il marmo più pregiato d’Italia?, è semplice, è il marmo di Carrara. E sa cosa vuole il mercato italiano? Anche questo è semplice, vuole il marmo di Carrara. Ma succede che Carrara non ce la fa più ad assecondare le richieste, caro signore, i motivi esatti non li conosco, diciamo perché la manodopera è troppo cara, i cavatori sono anarchici e hanno sindacati molto esigenti, gli ambientalisti rompono le scatole al governo perché le Alpi Apuane sono ridotte a un colabrodo, cose di questo genere.

Il vecchietto succhiò avidamente la sua sigaretta.

– Bene, continuò, e per caso, caro signore, ha presente il marmo di Estremoz?

Firmino fece un vago cenno con la testa.

– Stesse caratteristiche del marmo di Carrara, disse con soddisfazione il vecchietto, stessa porosità, stesse venature, stessa resistenza alle pulitrici, tale e quale il marmo di Carrara. Il vecchietto trasse un sospiro, come se avesse rivelato il segreto del secolo.

– Mi spiego?, chiese.

– Si spiega, disse Firmino.

– Bene, continuò il vecchietto, è l’uovo di Colombo. Il padrone vende il marmo di Estremoz a Carrara, e loro lo rivendono sul mercato italiano come marmo di Carrara, così gli atri dei palazzi di Roma e i bagni degli italiani danarosi sono rivestiti di un bel marmo di Carrara che viene da Estremoz, Portogallo. E non è che il padrone abbia voluto mettersi in grande, sa, ha semplicemente subaffittato una ditta di Estremoz che si occupa di tagliare i blocchi e di spedirli da Setúbal, solo che, con il costo della manodopera portoghese, sa cosa significa questo per noi?

Aspettò con aria impaziente una risposta da Firmino che non venne.

– Milioni, rispose a se stesso. E poi continuò:

– E siccome una cosa tira l’altra il padrone ha cercato di trovare un altro mercato, e l’ha trovato a Hong Kong, giacché anche i cinesi vanno matti per il cosiddetto marmo di Carrara, e poiché una cosa che tira l’altra ne tira un’altra ancora, il padrone, visto che facevamo l’export, ha pensato che era il momento di fare l’import, così ci siamo trasformati in ditta di import-export, sa, a vederci così non sembra, abbiamo questa sede modesta, ma è solo per non dare nell’occhio, in realtà siamo una delle ditte col maggior fatturato annuo di Oporto, lei che è del ramo capirà che la Guardia di Finanza bisogna tenerla a distanza, sa che il mio padrone possiede due Ferrari, due Testarossa, le tiene nel suo podere di campagna, e sa cosa faceva prima?

– Non ne ho idea, rispose Firmino.

– Era un impiegato comunale, disse il vecchietto con enorme soddisfazione, lavorava all’ufficio economato, questo significa avere fiuto, certo ha dovuto fare la sua gavetta politica, perché è logico, senza la politica in questo paese non si arriva a niente, si mise a gestire la campagna elettorale dell’aspirante sindaco della sua cittadina, lo portava in macchina a tutti i comizi del Minho, il sindaco fu eletto e per ricompensa gli fece cedere questo terreno al prezzo di una caramella e ottenere la licenza per la ditta. Ma a proposito, la sua ditta di cosa si occupa?

– Di abbigliamento, rispose astutamente Firmino.

Il vecchietto accese un’altra Gauloise.

– Allora?, chiese.

– Stiamo aprendo una catena di negozi in Algarve, disse Firmino, soprattutto jeans e magliette, perché l’Algarve è un luogo di giovani, spiagge e discoteche, e così abbiamo pensato di commercializzare le magliette più stravaganti, perché ora i giovani vogliono magliette stravaganti, se lei vende magliette con la scritta Harvard University non gliele compra nessuno, ma le magliette come le vostre magari sì, e noi potremmo produrle in serie.

Il vecchietto si alzò, si diresse a uno sgabuzzino con una porta a soffietto e frugò in uno scatolone.

– Vuol dire questa?

Era una maglietta blu, con la scritta Stones of Portugal. Era la maglietta descritta dal Manolo.

L’impiegato lo guardò e gliela tese.

– La prenda pure, disse, ma ne parli con la segretaria la prossima settimana, io non saprei dirle niente.

– Cosa importate?, chiese Firmino.

– Apparecchi di alta tecnologia da Hong Kong, rispose il vecchietto, strumenti per hi-fi e per strutture ospedaliere, è proprio per questo che sono nei guai.

– Perché?, chiese delicatamente Firmino.

– Abbiamo subito un furto cinque giorni fa, rispose il vecchietto, è stato di notte, pensi, hanno disattivato l’allarme e si sono diretti al container dove c’erano gli apparecchi, come se andassero sul sicuro, hanno rubato solo due strumenti delicatissimi per i macchinari della Tac, lo sa cos’è la Tac?

– Tomografia assiale computerizzata, rispose Firmino.

– E il cane da guardia, continuò il vecchietto, il nostro pastore tedesco non se ne è neppure accorto, e certo i ladri non l’avevano drogato.

– Mi sembra un po’ difficile vendere strumenti per le apparecchiature della Tac, obiettò Firmino.

– Figuriamoci, disse il vecchietto, con tutte le cliniche private che spuntano come funghi in Portogallo, ma scusi, lei lo conosce il nostro sistema sanitario?

– Vagamente, disse Firmino.

– È una pirateria, spiegò con convinzione il vecchietto, per questo le apparecchiature sanitarie costano così care, ma il fatto è che il furto è stato proprio strano, più strano di così non poteva essere, pensi, due commutatori elettronici per le macchine della Tac rubati con destrezza nei nostri containers e abbandonati sul ciglio della strada a cinquecento metri da qui.

– Abbandonati?, chiese Firmino.

– Come se li avessero gettati dal finestrino, disse il vecchietto, ma ridotti a una frittata, come se un’automobile ci fosse passata sopra.

– Avete avvisato la polizia?, chiese Firmino.

– Naturalmente, disse il contabile, anche perché si tratta di due oggettini di pochi centimetri, ma che valgono molto denaro.

– Davvero?, disse Firmino.

– E per di più con il padrone a Hong Kong e la segretaria in ferie, disse con una certa esasperazione il vecchietto, tutto sulle mie spalle, persino il garzone che si deve essere ammalato.

– Quale garzone?, chiese Firmino.

– Il garzone delle consegne, rispose il vecchietto, almeno avevo un sottoposto da mandare di qua e di là, ma non viene a lavorare da cinque giorni.

– Un ragazzo?, chiese Firmino.

– Sì, un ragazzo, confermò il vecchietto, un avventizio, è venuto qui un paio di mesi fa a chiedere lavoro e il proprietario lo ha assunto come garzone.

Firmino ebbe un improvviso corto circuito.

– Come si chiama?, chiese.

– E a lei cosa interessa?, domandò il vecchietto.

Nella sua espressione c’era una vaga aria di sospetto.

– Così, si giustificò Firmino, una domanda come un’altra.

– Si fa chiamare Dakota, disse il vecchietto, perché va matto per le cose americane, io l’ho sempre chiamato Dakota, ma il suo vero nome non lo conosco, fra l’altro non risulta nemmeno nelle assunzioni, come le ho detto è un avventizio. Ma scusi, perché a lei interessa tanto?

– Così, rispose Firmino, tanto per sapere.

– Bene, concluse il vecchietto, mi scusi ma devo riprendere i conti, questa sera devo spedire un fax a Hong Kong, è una bolletta urgente, se vuole altre informazioni ritorni fra una settimana, non le garantisco che ci sia il padrone, ma la segretaria sarà tornata di sicuro.