Voler bene in prima persona ma anche uncino, disse il Controllore del Treno, ha idea di cosa possa essere? Il Controllore del Treno si sedette di fronte a me e mi mostrò il cruciverba del giornale. Quante lettere?, chiesi. Tre, disse lui. Amo, dissi io, sarà amo. Amo, cavolo!, esclamò il Controllore del Treno, com’è che non ci sono arrivato? È difficile indovinare le parole crociate quando fanno di questi trabocchetti, dissi io, è sempre difficile.
La carrozza era deserta, forse tutto il treno era deserto, dovevo essere l’unico passeggero.
Bella fortuna poter fare le parole crociate, osservai, oggi non c’è nessuno sul treno. Adesso no, disse lui, ma vedrà al ritorno, un finimondo. Stavamo passando di fronte a Oeiras, e lui mi indicò la spiaggia che era un carnaio. Non si vedeva la sabbia, si vedevano solo corpi, un’enorme chiazza di carne che riempiva la spiaggia. Sarà il finimondo, ripeté il Controllore del Treno, ci sarà di tutto, ragazze e ragazzi, storpi e ciechi, bambini e donne incinte, nonni e nonne, sarà un inferno. Cosa vuole, dissi io, la domenica è così, se ne vanno tutti alla spiaggia. Ai miei tempi non era così, osservò il Controllore del Treno, le ferie si passavano al fresco, si andava in campagna, si tornava al paese, e questa la chiamavamo la villeggiatura, adesso non c’è più niente di tutto questo, tutti vogliono abbrustolirsi, ci vanno matti per il caldo, passano il giorno sdraiati sulla sabbia ad arrostire come sardine, e per di più il sole fa male, fa venire il cancro della pelle, lo leggono anche sul giornale ma non gliene frega niente a nessuno. Il Controllore del Treno sospirò e guardò dal finestrino. Eravamo all’Alto da Barra e si vedeva il faro del Bugio in mezzo al mare. E bevono coca cola, aggiunse, passano il giorno a bere quella vaccata, non so se il signore sia mai stato sulla spiaggia di Oeiras il lunedì mattina, è tutta piena di botoletti, un tappeto di botoletti. Botoletti?, dissi io, e cosa vuol dire? Sono i tappi delle bottiglie, disse il Controllore del Treno, è così che la gente li chiama. Bene, dissi, s’impara sempre qualcosa. E poi chiesi: posso fumare?, non c’è nessuno sul treno. Fumi, fumi, rispose lui, fumi quanto vuole, sa, fumo anch’io. Tirammo fuori simultaneamente il pacchetto di sigarette, io ne offrii una a lui e lui ne offrì una a me. Cos’è che fuma il signore?, mi chiese il Controllore del Treno. Multifilter, risposi, è una marca che non si vende in Portogallo, non sanno di niente, praticamente è come aspirare aria, sul pacchetto c’è scritto “activated charcoal filtration system”, che vuol dire che contengono poca nicotina e poco catrame, ma sono lo stesso una porcheria, il fumo fa venire il cancro, peggio del sole. Cos’è che non fa venire il cancro?, replicò il Controllore del Treno, anche l’infelicità, un mio amico è morto di cancro perché era infelice. Prese la sigaretta che gli porgevo e me ne diede una delle sue. Io fumo Português Suave, disse, prima fumavo Definitivos ma ormai non si trovano neanche più, ormai i gusti sono cambiati persino nel fumo.
Avrei voluto chiudere gli occhi per qualche minuto, ma lui continuava a chiacchierare. Stavamo passando davanti a São Pedro, e lui attirò la mia attenzione. Mi dica un po’ lei se si possono fare cose così orribili, disse indicando le case che si vedevano al di là del finestrino, ha mai visto una cosa più brutta? Effettivamente fa spavento, confermai, ma chi gliel’ha data la licenza per costruire quegli orrori? Sa, disse il Controllore del Treno, sa, i Comuni in Portogallo sono molto strani, lavorano con architetti ai quali piace tanto il Lego, sono tutti incompetenti, e si credono anche moderni. A lei non piace il moderno, dissi, me ne sono già accorto. Lo detesto, rispose, mi sembra tutto orrendo, il buon gusto è andato a farsi fottere, scusi l’espressione, ma non l’ha vista la minigonna?, non la trova orrenda?, magari su una ragazzina è ancora sopportabile, ma una donna grassa, con quelle brutte ginocchia di fuori, è proprio tremenda, le leva quel tanto di fascino che una donna può avere, le toglie il mistero. Abbassò gli occhi sulle sue parole crociate e disse: ci siamo, eccolo là il moderno: architetto moderno contrario di basso pronunciato da un balbuziente, è una parola di cinque lettere. Aalto, dissi, è un architetto finlandese che si chiama così, Alvar Aalto. Alto, disse lui, chissà che roba. No, non è vero, dissi io, ha costruito Helsinki negli anni Cinquanta e palazzi bellissimi un po’ in tutta Europa, a me piace. Il signore conosce Helsinki?, chiese lui. La conosco, risposi, è una città curiosa, una città tutta di mattoni con edifici fatti da Alvar Aalto ed è tutta circondata da boschi. E la gente?, chiese lui, com’è la gente? Leggono molto e bevono molto, dissi io, è gente simpatica, a me piace la gente che sa bere. Allora le piaceranno anche i portoghesi, disse lui con una certa logica.
Il treno stava entrando a Cascais. Bello, vero?, disse il Controllore del Treno indicandomi l’albergo Estoril Sol. Moderno, dissi, molto moderno e già vecchio. E poi chiesi: crede che un tassì fino alla strada per il Guincho costi più di cinquecento escudos? Credo di no, disse lui, i tassì sono talmente a buon mercato in Portogallo, lei che vive all’estero dovrebbe saperlo, senta, le racconto una cosa, l’unica volta che sono uscito dal Portogallo sono stato in Svizzera a trovare mio figlio che vive a Ginevra, abita fuori città, ho preso un tassì e mi è costato tutti i soldi che mi ero portato dietro dal Portogallo, a proposito, lei è svizzero? Svizzero?!, esclamai io, che idea, sono italiano. Ma praticamente è portoghese, disse lui, vive qui da molto tempo, vero? No, dissi io, ma devo avere un qualche antenato portoghese che non conosco, credo che il Portogallo sia scritto nel mio bagaglio genetico. Bagaglio genetico?, ripeté il Controllore del Treno, questa espressione l’ho letta sul “Diário de Notícias”, è quella cosa che contiene i segni, i segni più e i segni meno, no? Più o meno, dissi, ma sinceramente non lo so neanch’io che cos’è il bagaglio genetico, credo che sia il carattere, mi pare più semplice chiamarlo carattere. Carattere sì che è una parola che mi piace, disse il Controllore del Treno, mia moglie dice sempre che io ho un buon carattere, lei che ne pensa? Penso che lei sia di ottimo carattere, dissi, mi ha fatto molto piacere parlare con lei, senza la nostra conversazione il mio viaggio sarebbe stato una gran scocciatura.
La vecchia apparve sulla porta e mi guardò con aria sospettosa. Buonasera, dissi, sono venuto per vedere la casa, volevo visitare la casa, se non la disturbo. La mia casa?, domandò stupita la vecchia, senza capire. No, precisai, non la sua casa, la casa grande, la casa del faro. La villa è chiusa, disse pazientemente la vecchia, non ci abita più nessuno, è chiusa da tanti anni. Lo so, dissi, è per questo che volevo vederla, sono venuto apposta da Lisbona, guardi, c’è un tassì che mi sta aspettando. Le indicai il tassì fermo dall’altra parte della strada perché capisse che le stavo dicendo la verità. La villa è chiusa, ripeté la vecchia, mi dispiace ma la villa è chiusa. Lei è la guardiana?, chiesi. No, disse lei, sono la moglie del guardiano del faro, ma quando ho tempo mi occupo anche della villa, ogni tanto do un po’ d’aria e faccio le pulizie, sa, qui in riva al mare si rovina tutto quanto, finestre e mobilia, e poi i padroni non se ne prendono cura, i padroni non vivono qui, stanno all’estero, sono arabi. Arabi?!, esclamai, adesso questa casa appartiene agli arabi? Eh già, disse la Moglie del Guardiano del Faro, l’ultimo padrone, quello che aveva comprato per un pezzo di pane dagli antichi proprietari, qui voleva farci un albergo, però la sua ditta è fallita, pare che fosse un poco di buono, almeno a quel che dice mio marito, di modo che ha venduto tutto agli arabi. Arabi, dissi io, non avrei mai pensato che questa casa potesse un giorno appartenere agli arabi. Questo è un paese in vendita, disse la Moglie del Guardiano del Faro, non lo sa che gli stranieri comprano tutto? Eh già, dissi io, purtroppo, ma che se ne fanno gli arabi di questa casa? Allora, disse la Moglie del Guardiano del Faro, tanto per parlar chiaro, credo che stiano aspettando che crolli, finché sta in piedi il Comune non dà la licenza per farci un albergo, ma una volta che è crollata è diverso, ci si costruisce sopra un palazzo bello nuovo. E sta crollando?, chiesi. Lo sa?, disse la Moglie del Guardiano del Faro, in aprile, quando c’è stata la tempesta, è caduto il tetto e ha scoperchiato due stanze, le stanze verso il mare sono in uno stato da far paura, ho paura che quest’inverno venga giù tutto l’ultimo piano. È proprio per questo che sono venuto qui, ne approfittai per dire, per vedere la casa prima che crolli. Il signore vuole comprarla?, mi chiese la Moglie del Guardiano del Faro. No, dissi io, non so bene come spiegarle, ci ho abitato un anno in questa casa, tanti anni fa, quando lei non c’era ancora. Allora è stato prima del settantuno, disse la Moglie del Guardiano del Faro, noi siamo venuti qui nel settantuno, dovevano esserci la Vitalina e Francisco. Di Vitalina e di Francisco mi ricordo bene, dissi, erano qui l’anno che ci ho abitato, la Vitalina badava alla casa e cucinava, sapeva fare l’arroz de tamboril come nessuno, che fine hanno fatto? Francisco è morto di cirrosi, disse la Moglie del Guardiano del Faro, quanto beveva Francisco, era cugino primo di mio marito, e la Vitalina adesso vive con suo figlio a Cabo da Roca. Tutti guardiani del faro in famiglia, dissi io. Tutti guardiani del faro, disse lei, anche il figlio della Vitalina è guardiano del faro a Cabo da Roca, però adesso sì che si guadagna bene, credo che la Vitalina stia molto meglio adesso che quando era vivo Francisco, con quello là non era vita, sempre ubriaco, a volte era lei che doveva andar su al faro perché lui non era in condizioni. Proprio così, dissi io, una volta venne persino a chiedermi aiuto, era una notte di pioggia e di nebbia, Francisco era a letto ubriaco e la Vitalina venne a svegliarmi, voleva far funzionare la radio ma non ci riusciva, passai tutta la notte al faro con lei. Povera Vitalina, disse la Moglie del Guardiano del Faro, ha avuto una vita disgraziata, quando un uomo pensa solo a bere è una disgrazia. Ma Francisco era un gran simpatico, dissi, credo che volesse bene a sua moglie. Per volerle bene le voleva bene, disse la Moglie del Guardiano del Faro, non l’ha mai picchiata, ma tutte le sere finiva lungo disteso per terra da quanto aveva bevuto.
Il tassista suonò per sapere cosa avevo intenzione di fare. Gli feci cenno che aspettasse, e chiesi alla Moglie del Guardiano del Faro: allora, non vuole farmi vedere la casa? Come no, disse lei, ma dobbiamo fare in fretta, perché tra poco arriva mio figlio con la famiglia, oggi è il compleanno della mia nipotina e devo finire di preparare la cena. Per me va bene, dissi io, così dopo vado a prendere il treno a Cascais, devo essere a Lisbona alle nove. La Moglie del Guardiano del Faro chiese permesso e scomparve all’interno. Tornò con un mazzo di chiavi e disse che potevamo andare. Attraversammo lo spiazzo ed arrivammo alla loggia. Adesso si entra per di qua, disse la Moglie del Guardiano del Faro, ai tempi suoi di sicuro si entrava dalla portafinestra del terrazzo, ma adesso la porta è scardinata, i vetri tutti rotti. Entrammo, ed io riconobbi subito l’odore della casa. Era un odore vagamente somigliante a quello della metropolitana di Parigi d’inverno, a mezzo tra la muffa, la vernice ed il mogano, un odore che solo quella casa aveva, e mi tornò la memoria. Entrammo nella sala grande e vidi il piano. Era coperto da un lenzuolo, ma ebbi ugualmente voglia di sedermici. Scusi, dissi, ma devo suonare una cosa, faccio in fretta, anche perché non so suonare. Mi sedetti, e con un dito, cercando di ricordarmi, suonai il motivo di un notturno di Chopin. Altre mani, in un altro tempo, avevano suonato quella melodia. Mi ricordai delle notti quando ero di sopra, in camera mia, e restavo ad ascoltare i notturni di Chopin. Erano notti solitarie, la casa era immersa nella nebbia, gli amici se ne restavano a Lisbona e non venivano, non uno che si facesse vivo neanche per telefono, io rimanevo a scrivere e mi chiedevo perché stessi scrivendo, la mia storia era una storia balorda, una storia senza soluzione, come mi era venuto in mente di scrivere una storia del genere, com’è che la scrivevo proprio lì? E poi: quella storia mi stava cambiando la vita, l’aveva già cambiata, dopo averla scritta la mia vita non sarebbe più stata la stessa. Era quel che mi dicevo tra me, chiuso là di sopra a scrivere quella storia balorda, una storia che qualcuno, dopo, avrebbe imitato nella vita, trasferendola sul piano del reale: ed io non lo sapevo, ma lo immaginavo, non so perché immaginavo che non si devono scrivere storie come quelle, perché c’è sempre qualcuno che poi imita la finzione, che riesce a trasformarla in verità. E così fu, infatti. Quello stesso anno qualcuno imitò la mia storia, o meglio, la storia s’incarnò, si transustanziò, ed io dovetti vivere quella storia balorda una volta di più, ma stavolta per davvero, stavolta le figure di carta erano figure in carne ed ossa, stavolta la sequenza della mia storia si sviluppava giorno per giorno, ed io la seguivo sul calendario, al punto che avrei potuto prevederla.
È stato un buon anno?, mi chiese la Moglie del Guardiano del Faro, voglio dire, ci è stato bene in questa casa? È stato un anno un po’ affatturato, risposi, c’è andata di mezzo una fattura. Il signore crede alle fatture?, mi chiese la Moglie del Guardiano del Faro, in genere persone come lei alle fatture non ci credono, credono che siano una superstizione popolare. Ah, io ci credo, risposi, perlomeno a certe fatture, sa, non si deve mai suggerire alle cose come devono realizzarsi, altrimenti succedono davvero. Quando mio figlio era in guerra in Guinea io sono andata da una fattucchiera, disse la Moglie del Guardiano del Faro, ero molto preoccupata perché avevo fatto un sogno, avevo sognato che lui non tornava più, volevo sapere se tornava o no, così ho parlato con mio marito e gli ho detto: senti, Armando, devi darmi dei soldi perché voglio andare dalla fattucchiera, ho fatto un sogno angoscioso, voglio sapere se torna o no, insomma sono andata dalla fattucchiera e lei ha messo giù le carte, poi ha girato una carta e ha detto: suo figlio torna ma torna storpio, e Pedro è tornato senza un braccio. La Moglie del Guardiano del Faro aprì una porta a vetri e disse: questa è la sala da pranzo, è qui che il signore pranzava?
La sala da pranzo era rimasta intatta: il caminetto, la credenza, il mobile indo-portoghese, il grande tavolo di legno scuro. Proprio qui, dissi, io sedevo qui, a questo posto, alla mia destra c’era una donna e attorno i miei amici. Era la Vitalina che serviva a tavola?, chiese la Moglie del Guardiano del Faro. Sì, confermai, cioè lei veniva dalla cucina e lasciava il piatto da portata in mezzo alla tavola, ci servivamo da noi, alla Vitalina non piaceva servire a tavola, preferiva cucinare, oltre all’arroz de tamboril sapeva fare una açorda de mariscos meravigliosa, però la sua specialità era la zuppa alentejana. Perché lei era alentejana, osservò la Moglie del Guardiano del Faro, ecco perché sapeva fare la zuppa alentejana. Sa che oggi ho incontrato un sacco di gente dell’Alentejo?, dissi io, solo ora mi rendo conto di avere incontrato quasi solo alentejani in tutto il giorno. Gli alentejani sono molto orgogliosi, osservò la Moglie del Guardiano del Faro, ma a me piacciono, cioè, con loro non ho niente da spartire, io sono di Viana do Castelo, ho un carattere tutto diverso, però gli alentejani mi vanno bene. La Moglie del Guardiano del Faro spazzò via col grembiule lo strato di polvere sulla credenza. Vuol vedere anche il piano di sopra?, mi domandò. Se non la disturbo, dissi. Attento alle scale, disse lei, sono molto scivolose perché il legno è marcito, vado avanti io.
Aprii la porta della camera, guardai il soffitto e vidi il cielo. Era un cielo molto azzurro, trasparente, che feriva gli occhi. Era inverosimile, quella camera con il letto, l’armadio e i comodini, alla quale mancava in pratica tutto il tetto. Qui c’è pericolo, disse la Moglie del Guardiano del Faro, quel pezzo di tetto che è rimasto può cadere da un momento all’altro, non ci si può stare. Solo un momento, dissi, non cadrà proprio adesso. Mi stesi sul letto e chiesi scusa. Senta, scusi, dissi, ma ho bisogno di coricarmi un momento in questo letto, diciamo che è un addio, è l’ultima volta che mi corico in questo letto. Al vedermi steso sul letto la Moglie del Guardiano del Faro uscì con discrezione dalla camera, e io mi misi a guardare il cielo. Che strano, quando ero giovane avevo sempre pensato che quell’azzurro fosse mio, che mi appartenesse, e invece adesso era un azzurro esagerato e distante, come un’allucinazione, e pensai: non è vero, non può essere vero che mi trovi un’altra volta in questo letto e invece di guardare il soffitto, come ho fatto tante altre notti, veda un cielo che mi è appartenuto una volta. Mi alzai ed andai a raggiungere la vecchia, che mi aspettava nel corridoio. Un’ultima cosa, dissi, voglio vedere un’altra camera. La camera degli ospiti non c’è più, disse la Moglie del Guardiano del Faro, quando il tetto è caduto ha rovinato tutto quanto, mio marito ha portato via tutti i mobili. Voglio solo dare un’occhiata, dissi. Ma non si può entrare, disse la Moglie del Guardiano del Faro, mio marito dice che anche il pavimento è pericolante. Aprì la porta ed io gettai uno sguardo. Nella stanza non c’era niente, ed il tetto era completamente sparito. Attraverso la finestra si vedeva il faro. Mio marito è lassù, disse la Moglie del Guardiano del Faro, ma ora dev’essersi addormentato, non ha niente da fare a quest’ora, però lui è testardo, invece di starsene a casa va a dormire al faro. Sa che ci facevo io con questo faro, una volta?, dissi, senta, ora glielo dico, facevo un gioco, di tanto in tanto, quando non riuscivo a dormire, venivo in questa stanza e mi mettevo alla finestra, il faro ha tre luci intermittenti, una bianca una verde e una rossa, io giocavo con le luci, avevo inventato un alfabeto luminoso e parlavo attraverso il faro. E con chi parlava?, chiese la Moglie del Guardiano del Faro. Beh, dissi io, parlavo con certe presenze che non si vedevano, allora stavo scrivendo una storia, diciamo che parlavo con i fantasmi. Oh mio Dio, esclamò la Moglie del Guardiano del Faro, il signore ha il coraggio di parlare con i fantasmi? Non avrei mai dovuto farlo, dissi io, non consiglierei a nessuno di parlare con i fantasmi, è una cosa che non si deve fare, ma a volte bisogna, non so spiegarlo bene, è anche per questo che sono qui.
La Moglie del Guardiano del Faro cominciò a scendere le scale e mi disse un’altra volta di fare attenzione. Uscimmo sullo spiazzo e lei chiuse la porta. Ancora tante grazie, dissi, mi stia bene, mi saluti suo marito. Posso offrirle qualcosa, signore, a casa mia?, disse lei, ho delle ciliegie sotto spirito che ho fatto con le mie mani. Grazie, accettai, giusto una, ma devo fare in fretta, mi scusi, devo prendere il treno perché devo essere a Lisbona alle nove.