L’autunno della Dc

C’era una volta l’autunno della Dc. Era la stagione più gradevole per la militanza democristiana: tutte le correnti organizzavano un convegno in una bella cittadina. Cominciava presto, l’autunno democristiano: già a fine agosto del 1993 la sinistra democristiana si riuniva a Lavarone, da Marcora a Bodrato a Rosy Bindi li trovavi tutti sul lago in maniche di camicia. Poi era la volta di Donat-Cattin che riuniva i suoi amici a Saint-Vincent: il convegno si svolgeva nell’albergo del casinò, il confine tra virtù e vizio si faceva labile, i notabili passavano dalle tavole rotonde del mattino ai tavoli verdi della notte. Anche a Saint-Vincent vigeva il maglione d’ordinanza: il convegno autunnale era l’unica eccezione casual dell’azzimato look democristiano. Ad autunno inoltrato, Gianni Prandini riuniva a Sirmione gli amici di Azione popolare, la corrente che riuniva i dorotei e i forlaniani. Poi c’erano tanti convegni minori, nella Dc si diceva che i ministeri fossero laboratori ideologici, non appena uno diventava ministro fondava una corrente e organizzava un convegno. Meno importante era la Festa dell’Amicizia, una copia di quella comunista dell’Unità: nella Dc la Festa dell’Amicizia non sfondò mai, perché il partito era una federazione di correnti, ciascuna delle quali esaltava la propria identità persino nella sagra autunnale. La Dc era una finzione giuridica, un contenitore dei veri partiti che erano le correnti, sempre in lotta tra di loro ma riunite alle elezioni sotto lo scudo crociato.

Come era triste quell’autunno del 1993. Da Milano il vento di Tangentopoli soffiava gelido sulla Dc, il Parlamento era detto «camera degli inquisiti», di lì a poco le elezioni comunali avrebbero escluso la Dc dai ballottaggi, destra e sinistra nel nome delle manette rivendicavano i voti della Dc. Il termometro erano i convegni delle correnti: tutti annullati. Un solo evento resistette, la festa telesina di Clemente Mastella: un tradizionale evento sannita che Martinazzoli promosse a festa nazionale perché era l’unica uscita pubblica della Dc.

A Telese andò in scena lo psicodramma democristiano: i protagonisti erano depressi e allarmati, solo Mastella era fiero della ribalta ma temeva che fosse l’ultima. Nell’ultimo giorno della festa, scese a Ceppaloni l’uomo che riassumeva l’agonia democristiana nelle sue rughe e nella sua oratoria mesta e pensosa: Mino Martinazzoli, l’ultimo segretario della Dc. Mino accompagnò il popolo democristiano nel viaggio finale con la solennità di un patriarca del Vecchio Testamento. Anche a Telese, Martinazzoli regalò al pubblico un discorso del genere grandiosamente tragico, in cui era maestro inimitabile.

Finito il discorso di Martinazzoli, fui raggiunto dal padrone di casa, Clemente Mastella: «Gianfranco, mi devi fare una cortesia» esordì senza convenevoli. «Alla cena con Mino non ci venire, tu sei il consigliere regionale più giovane della Campania, a te lo posso chiedere, vai a casa mia coi ragazzi del giovanile, nel programma c’è l’incontro serale con Rocco Buttiglione, ma non ci va quasi nessuno perché tutti vogliono mangiare con Martinazzoli.»

Poco dopo ero nel giardino di casa Mastella, con cinque o sei ragazzi come me pentiti di aver accettato il discorso del filosofo Buttiglione al posto delle rinomate pietanze di Sandra Mastella. Buttiglione esordì dicendo: «Sia Comunione e liberazione che la Dc mi utilizzano male perché io sono principalmente un grande giocatore di carte, ma si ostinano a farmi fare altre cose». Se non altro è simpatico, pensammo. Nel giardino di casa Mastella, il professor Buttiglione spiegò ai cinque ragazzi come sarebbe finita: «La Dc è un partito di centro con una dirigenza di sinistra e un elettorato di destra, che vota Dc per paura dei comunisti; la fine del comunismo e il sistema maggioritario costringono la Dc a una scelta: o va più d’accordo col suo elettorato, e diventa una forza moderata e alternativa alla sinistra, o la Lega e il Movimento sociale le ruberanno l’elettorato profittando della rivoluzione giudiziaria». Un tiro all’immancabile sigaro toscano, e Rocco sentenziò: «Martinazzoli può essere il salvatore della Dc se ha il coraggio di questa scelta, ma anche dal discorso di stasera deduco che non ne abbia voglia».

Un mese dopo, queste cose Buttiglione le spiegò al convegno emiliano di Pier Ferdinando Casini. Il convegno casiniano si tenne a Modena, ma Buttiglione esercitò invano il suo mestiere di relatore: la catastrofe democristiana era vicinissima, e quella pattuglia di deputati e senatori aveva solo il problema di salvarsi, non aveva tempo per i filosofi e nemmeno per la politica, in un certo senso era in gioco la loro vita stessa.

Era davvero giunto l’autunno della Democrazia cristiana.