La scissione del giorno dopo

La scissione del Ppi avvenne contestualmente all’elezione di Rocco Buttiglione alla segreteria del partito. La sinistra democristiana, anima e cuore del Ppi, non accettò mai Buttiglione come leader. E del Ppi Rocco fu uno strano conducente, costretto più che altro a difendersi dai passeggeri. I gruppi parlamentari erano formati da uomini e donne della sinistra, e solo una sparuta minoranza stava dalla parte del segretario. Lo spiegò con lucida spietatezza Gianfranco Fini: «Tutti si chiedono cosa farà ora Buttiglione e nessuno capisce che – qualunque cosa faccia – rappresenta solo se stesso, perché i suoi parlamentari non gli rispondono».

Gli sconfitti dell’Ergife dalla mattina seguente ebbero un solo pensiero: destituire Buttiglione, cacciarlo al più presto. A tutti i costi. «Anche a costo di una scissione?» chiesi brutalmente ad Andreatta, e lui di rimando: «Come esistono le guerre sante, esistono le scissioni giuste». Il vecchio Nino era uno che non le mandava a dire.

Andreatta preparava la discesa in campo di Romano Prodi. Uno strano rapporto legava il professor Andreatta al vecchio allievo bolognese; si narrava che da ministro degli Esteri Andreatta amasse chiamare Prodi attraverso la batteria del Viminale per sottolineare le distanze, per ricordargli insomma che lui era il ministro e l’altro un signor nessuno. Perfidie da baroni universitari.

In verità non tutta la sinistra voleva la scissione. La stessa Rosy Bindi era affezionata al Partito popolare, ma non sopportava Buttiglione. La mattina dopo l’elezione di Rocco, la «pasionaria bianca» leggeva i giornali alla Camera e piangeva, letteralmente piangeva accasciata su un divanetto. Mi avvicinai e ne raccolsi lo sfogo: «Tu non puoi capire perché non conosci Buttiglione, questo il partito ce lo vende, letteralmente ce lo vende», e giù singhiozzi tali da attirare un improbabile consolatore, Francesco Storace, uno dei pochi della destra in buoni rapporti con la Bindi. Rincuorata da Storace, la Bindi venne al dunque: «Buttiglione quando era ciellino mi rubava gli allievi dell’Azione cattolica».

Eccoci al punto: Comunione e liberazione contro Azione cattolica, gli eterni odi tra cattolici. Come poteva sopravvivere il Ppi? Buttiglione cercava di mediare: «Un giorno avrò il consenso pure della signorina Bindi» disse in un’assemblea di gruppo, e forse fu quel «signorina» o non so che, ma la Bindi si scagliò letteralmente contro Buttiglione, il quale perse la pazienza e – non osando sfiorare una donna neppure con un fiore – si limitò a battere un pugno sul vetro del tavolo, rompendolo. Reagì alla Bindi l’unica signora presente, la deputata toscana e buttiglioniana Stefania Fuscagni, bella signora di forme generose, che prese la Bindi per il collo a due mani, premendo sempre più spietatamente. Le due donne furono divise dallo stesso Buttiglione: per la storia, Rocco quella volta salvò la vita della Bindi.

Il filosofo provò persino a ricevere Romano Prodi a piazza del Gesù. Un dialogo tra sordi sarebbe stato più vivace e cordiale. Rocco e Romano si respingevano perché entrambi avevano un progetto, ma opposto: per Buttiglione bisognava costruire il bipolarismo europeo Ppe-Pse, e i popolari dovevano costruire il Ppe; per Prodi il modello era quello americano, coi repubblicani rappresentati da Berlusconi e i democratici capaci di saldare il centro e la sinistra, gli eredi della Dc e del Pci in una forza nuova. Buttiglione e Prodi entravano nella transizione con due progetti incompatibili: «Ho spiegato a Buttiglione le mie idee: mi sembra che non lo interessino» spiegò Prodi all’uscita di piazza del Gesù.