Era inevitabile che il risorto Cdu di Buttiglione tornasse tra le braccia di Berlusconi. L’operazione fu attribuita a me, rimasto sempre in contatto con Silvio. In verità fu facilissimo riportare il partito verso il vincitore annunciato delle elezioni regionali del 2000 e delle politiche del 2001. Berlusconi aveva realizzato un capolavoro, ricucendo con la Lega e con tutti i partiti minori, espressione delle culture politiche della Prima Repubblica: i socialisti di De Michelis, i repubblicani di La Malfa, e la stessa Upr di Cossiga. Era naturale che lo scudo crociato si riunisse al centro-destra.
Mai sottovalutare i democristiani, però: l’unico ostacolo al ritorno di Rocco veniva dai democristiani del Polo, i cugini dispettosi del Ccd. «Silvio, noi siamo stati chiari, coerenti e leali» dicevano in coro i ccd «poi arriva Buttiglione col simbolo e ci ruba i voti, dopo essere andato a spasso con Cossiga e D’Alema: questo non puoi permetterlo, se il Cdu torna, devi essere garante almeno della unificazione di Ccd e Cdu.»
«Non se ne parla nemmeno, ma davvero non se ne parla» tuonò Mario Tassone, che del risorto Cdu era diventato presidente, e più di Buttiglione aveva memoria lunga di sgarbi e sgambetti dei parenti prossimi. Berlusconi si proponeva testimone della proposta di nozze di Pier, il professor Buttiglione – promesso sposo – rispose che ci avrebbe pensato, ma niente di più. Il Ccd la prese male, molto male: le elezioni regionali erano vicine, e la concorrenza tra i due partiti gemelli sarebbe stata molto sleale per il partito privo del simbolo democristiano, vale a dire il Ccd.
Alla fine Berlusconi inventò il matrimonio differito: Cdu e Ccd avrebbero fatto due liste alle elezioni regionali, ma una sola alle politiche con l’impegno di unirsi poi in un solo partito. Buttiglione accettò lo schema berlusconiano con un misto di realismo e rassegnazione. «La situazione è difficile» mi disse Rocco un mattino di gennaio «voglio dirtelo con franchezza: sono convinto anch’io della utilità di un’intesa con Berlusconi, ma sono infastidito da questa indisponibilità della nostra gente a rischiare qualcosa; è questo che detesto di noi democristiani, teorizziamo le scommesse più appassionanti e poi le vendiamo per un assessorato.» Rocco era deluso, ma stavolta rassegnato alle umane debolezze del segmento di umanità che aveva scelto di guidare, i democristiani senza la Dc. E fece l’accordo con Berlusconi.
Le elezioni regionali avevano segnato la prevalenza netta della Casa delle libertà. Berlusconi prenotava il governo con buon diritto di voti, D’Alema aveva scommesso tutto sulle elezioni regionali e aveva tolto da solo il disturbo da Palazzo Chigi: il centro-sinistra vi spedirà Giuliano Amato per poi sostituirlo ancora con Francesco Rutelli come candidato premier nelle elezioni del 2001. L’ultimo anno della legislatura potremmo definirlo l’attesa di Berlusconi.
Sulla riva sinistra, il Ppi dubitava del suo futuro: alle elezioni europee non aveva sfondato, il Congresso di Rimini sostituirà Marini con Castagnetti, all’intelligente deputato di Reggio Emilia toccherà il compito di traghettare il Ppi nel nascente progetto di Rutelli, la Margherita. La previsione unanime era la vittoria di Berlusconi, che dirottò tutti i postulanti di candidature sui due partiti democristiani dell’alleanza. Il solo Cdu entrò nel nuovo Parlamento con trentacinque tra deputati e senatori, da sette che ne aveva. Potenza dello scudo crociato e delle sorelle Botteri di Parma.
Nelle elezioni politiche del 2001 non ci fu solo la vittoria annunciata di Berlusconi. Ci fu la presenza in tutti i collegi uninominali, e anche nella quota proporzionale, di un partito democristiano fondato da tre personaggi eterogenei ma uniti dal sogno di un terzo polo cattolico: i magnifici tre erano D’Antoni, non più segretario della Cisl, Andreotti, uscito a sorpresa dalla neutralità del gruppo misto del Senato, e Ortensio Zecchino, ministro coraggiosamente uscito dal Partito popolare per non condividere la sua estinzione nella Margherita. Il trio centrista raccolse una miseria di voti che non assicurò nessun eletto.
L’unico esito fu la divisione del voto cattolico: Democrazia europea tolse alla lista dc del centro-destra i voti necessari per conseguire il quorum nella quota proporzionale. In pratica le due liste democristiane si elisero a vicenda.
Fratelli coltelli, come sempre.