Alla vigilia delle elezioni del 2018, l’anagrafe parlamentare democristiana segnalava pochi superstiti: Rivoluzione cristiana, partito erede della mia Dc, rimessa in pista nel 2015 per completare lo spacchettamento del Pdl; gli amici di Lupi e Fitto, tornati nei dintorni del centro-destra; l’Udc di Cesa, finita in giunte di sinistra in Puglia e Liguria, ma ansiosa di tornare a destra; il Centro democratico di Bruno Tabacci, autore di una sperimentazione genetica che mescolava la sinistra dc e i radicali della Bonino.
Rivoluzione cristiana è stata la mia esperienza rock: una Dc molto social, piacevole su Twitter e Facebook, priva di volti della Prima Repubblica, presieduta da un giurista ironico e gentile, Federico Tedeschini, rappresentata in tutte e cento le province solo da donne, caso unico in un partito, forse in tutto il mondo. A Berlusconi Rivoluzione cristiana piaceva molto, a Forza Italia per niente. L’intendenza di Forza Italia voleva che noi democristiani ci mettessimo assieme in una lista amarcord quotata al due per cento, e ci togliessimo dalle scatole. Berlusconi invece capiva l’importanza di una formazione cattolica a supporto di Forza Italia. Assecondò la mia richiesta di incontrare Buttiglione e Cesa, presidente e segretario dell’Udc. La riunione a quattro con Silvio fu una rimpatriata tra vecchi amici, non si parlò nemmeno di candidature, Cesa concluse dicendo: «Silvio, in tutte le trattative ci hai dato sempre più di quello che chiedevamo».
Ma Cesa ricordava gli anni ruggenti, quando le liste le scriveva personalmente Berlusconi: era la Forza Italia ariosa e gioiosa, un arcobaleno di esperienze unite dal carisma di un anfitrione discreto e gentile, capace di far credere a tutti di essere lì a comandare per caso, pronto a ricevere lezioni dall’ultimo che arrivava. Quando Berlusconi ha fatto le liste in questo modo, ha sempre stravinto. E i democristiani erano parte di questo segreto, Silvio sapeva usarli, unirli e se necessario contrapporli, sempre a vantaggio del risultato di Forza Italia.
Forse aveva ragione chi nel 1994 sosteneva che Forza Italia dovesse rimanere solo un comitato elettorale. Ogni volta che la Balena azzurra ha provato a farsi partito, è finita sugli scogli.
E si arenò anche alle elezioni politiche del 2018, con una serie di errori tattici che impedirono a Berlusconi di vincere la gara con Salvini per la pole position nella coalizione.
Ai forzisti venne l’idea di assemblare i centristi in una lista a parte, Noi con l’Italia/Udc, che raccolse l’uno virgola tre per cento dei voti, ma soprattutto sprecò energie e talenti dei territori, un potenziale turbo che avrebbe portato la lista di FI sulla corsia di sorpasso rispetto alla Lega.
Quanto a Rivoluzione cristiana, mi rifiutai di rottamarla nella lista farlocca dei centrini, e pagai pegno: Berlusconi mi aveva assicurato tre seggi, l’intendenza me ne segò due, lasciando solo me capolista al Senato nelle Marche. Provai a salvare le altre due candidature, e Berlusconi intervenne in mio favore sui suoi colonnelli. Quelli ben pensarono di ignorare le richieste supplementari, e cancellare anche me dalle liste.
Io non mi scomposi, resistetti anche all’Ansa che voleva a ogni costo una dichiarazione di protesta: «Non c’è accordo sulle liste, ma io farò campagna elettorale egualmente per Forza Italia e per Silvio Berlusconi». La mattina dopo Silvio ordinò di riaprire le liste per recuperare la mia candidatura, che discese l’Adriatico da Ancona a Pescara. Poi mi pregò di far pace coi colonnelli dicendomi: «Perdonali, sono gelosi perché sanno che ti voglio bene come a Confalonieri». Come si fa a non voler bene a Silvio?
In Parlamento arriverà un solo democristiano: il sottoscritto. Peggio ancora andrà all’Udc: la lista scudocrociata non avrà il quorum, e l’en plein grillino al Sud impedirà l’elezione dello stesso segretario Cesa, candidato nel collegio di Nola.
La diciottesima legislatura sarà la prima senza partiti democristiani in Parlamento: Tabacci espugnerà un paio di collegi, e formerà una componente del suo Centro democratico nel gruppo misto; l’Udc avrà tre senatori, Rivoluzione cristiana un solo deputato.
All’indomani delle elezioni io e Cesa annunciammo la riunificazione dei nostri partiti sotto lo scudo crociato, programmata per l’inizio del 2021, quando invece un destino davvero cinico e baro proporrà a Cesa una grana giudiziaria in Calabria e un ricovero per Covid.
Entrambe le disavventure sono state superate, ma anche stavolta la riunificazione dei democristiani è rinviata.