CIV. L’anima del vino
Nelle bottiglie, a sera, l’anima del vino
cantava: «O uomo, dalla mia prigione
di vetro e ceralacca, sventurato che amo,
ti giunga una fraterna, luminosa canzone!
Io so quanto sudore e quanta pena
e fiammeggiar di sole sull’ardente collina
servano a darmi l’anima e la vita:
ma non sarò né ingrato, né maligno,
perché immensa è la gioia di cadere
nella gola d’un uomo sfibrato dal lavoro,
e nel suo caldo petto so scavarmi una tomba
ben piú dolce di un’algida cantina.
Non senti, nel mio seno palpitante,
squillare le domeniche, trillare la speranza?
I gomiti sul tavolo, la giubba sbottonata,
celebrerai contento la mia gloria;
a tua moglie estasiata ravviverò lo sguardo,
forza e colori ridarò a tuo figlio;
per quel fragile atleta della vita
sarò l’olio che assoda le braccia ai lottatori.
E in te mi spargerò, seme prezioso
gettato dall’Eterno, ambrosia vegetale,
perché dal nostro amore sprizzi la poesia
verso Dio, come un fiore inaudito!»
CV. Il vino degli straccivendoli
Spesso al lume rossastro d’un lampione
(il vento assedia il vetro, fa sbandare la fiamma)
nel labirinto fangoso d’un antico quartiere
dove in cupi fermenti sciama l’umanità,
vedi uno straccivendolo venire incespicando,
dondolando la testa, urtando i muri
come un poeta, e incurante dei sudditi spioni
darsi in cuor suo ai progetti piú gloriosi.
Pronuncia giuramenti, detta leggi sublimi,
solleva i giusti, atterra i prepotenti,
e sotto il baldacchino delle stelle
s’inebria allo splendore della propria virtú.
Ma sí: afflitti dai guai della famiglia,
rotti dalla fatica, sfiniti dall’età,
piegati in due dai mucchi di rifiuti
che vomita confusi la mostruosa città,
rispuntano odorosi di cantina,
seguiti da canuti veterani
che trascinano i baffi come vecchie bandiere.
Li aspettano stendardi, archi di trionfo e fiori
sorti dinanzi a loro per solenne magia
– a loro che nell’orgia luminosa
delle trombe e del sole, dei gridi e del tamburo,
a genti ebbre d’amore consegnano la gloria!
Cosí, abbagliante Pàttolo, fa scorrere oro il vino
attraverso la vana Umanità;
nella gola dell’uomo intona le sue imprese,
regna spargendo doni come regnano i re.
Per spegnere la rabbia, per cullare il torpore
di tanti vecchi che muoiono in silenzio, dannati,
il Signore, pentito, aveva fatto il sonno:
l’Uomo gli aggiunse il Vino, sacro figlio del Sole!
CVI. Il vino dell’assassino
Mia moglie è morta, sono libero!
Fin che mi pare adesso potrò bere.
Se tornavo in bolletta, coi suoi strilli
mi faceva impazzire.
Felice come un re:
l’aria è pura, splendido il cielo...
Era un’estate come questa
quando m’innamorai di lei!
Ci vorrebbe, per spegnere l’orribile
sete che mi tortura, tutto il vino
che ci potrebbe stare
nella sua tomba – e non sarebbe poco,
visto che l’ho buttata in fondo a un pozzo
e sopra le ho fatto cadere
le pietre del parapetto...
– Voglio dimenticarmene, se posso!
Per tutti i giuramenti di dolcezza
che niente può slegare,
e per fare la pace
come ai bei tempi della nostra ebbrezza,
l’ho pregata di darmi appuntamento,
di sera, in un vicolo scuro.
Lei ci è venuta. – Folle creatura!
Siamo, chi piú chi meno, tutti matti...
Cosí stanca, ma bella
ancora! e io l’amavo,
l’amavo ancora, troppo – ecco perché
le ho detto di lasciare questa vita.
Nessuno può capirmi. C’è qualcuno
fra questi ubriaconi deficienti
che abbia pensato, in qualche notte insonne,
di fare del vino un sudario?
Canaglie invulnerabili
come automi di ferro,
mai, né estate né inverno,
hanno saputo cosa sia l’amore
con i suoi neri incanti,
il suo infernale strascico d’allarmi,
le lacrime, le fiale di veleno,
lo strepito d’ossa e catene!
– Eccomi solo e libero! Stasera
sarò ubriaco fradicio; cosí
potrò sdraiarmi per terra
senza rimorso né paura
e dormirò come un cane!
Il carro dalle pesanti ruote
carico di pietre e fango,
il vagone infuriato può schiacciarmi
la testa colpevole, può
farmi a pezzi se vuole,
io me ne infischio come del Signore
e del Demonio e dell’Eucarestia!
CVII. Il vino del solitario
Lo sguardo singolare d’una donna galante
che ci giunga furtivo come il candido raggio
che l’ondulante luna manda al lago tremante,
vogliosa di bagnarvi il suo pigro splendore;
gli ultimi scudi in mano al giocatore,
un abbraccio lascivo della magra Adeline,
le note di una musica struggente
come il grido remoto dell’umano dolore,
non valgono, bottiglia senza fondo,
del tuo vento fecondo gli effluvi penetranti,
che doni al pio poeta dal sitibondo cuore.
Gli versi la speranza, la gioventú, la vita
– e l’orgoglio, tesoro di tutti i mendicanti,
che ci rende gloriosi e simili agli Dei!
CVIII. Il vino degli amanti
Oggi lo spazio è uno splendore!
A cavallo del vino
via, senza briglia o speroni,
per un fatato cielo divino!
Come due angeli morsi
da un assillo febbrile,
seguiamo il remoto miraggio
nell’azzurra boemia del mattino!
Sul soffice dondolo d’ali
del turbine intelligente,
in un delirio parallelo
fianco a fianco nuotando,
senza tregua o riposo fuggiremo,
sorella, verso l’eden dei miei sogni!