VIII. Lo zampillo

Mia povera amante, son stanchi i tuoi begli occhi!

Senza riaprirli resta lungamente

nella posa indolente

in cui t’ha sorpresa il piacere.

Lo zampillo che in corte parlotta, che non tace,

con l’estasi conversa

dove amore m’ha immerso questa sera.

Lo zampillo sbocciato

in mille fiori,

dove Febea s’allieta

coi suoi colori,

come pioggia ricade

di larghi pianti.

La tua anima accesa

dal lampo ardente della voluttà

si slancia svelta e ardita

nei grandi cieli che abita l’incanto.

Poi triste si disperde

in un fiotto languente

che un occulto pendio

porta in fondo al mio cuore.

Lo zampillo sbocciato

in mille fiori,

dove Febea s’allieta

coi suoi colori,

come pioggia ricade

di larghi pianti.

O tu cui la notte è splendore,

quanto mi è dolce, chino sul tuo seno,

l’eterno lamento ascoltare

che nelle vasche singhiozza!

Acqua sonora, notte amica, luna,

fronde intorno frementi, nella vostra

pura melanconia

si rispecchia il mio amore.

Lo zampillo sbocciato

in mille fiori,

dove Febea s’allieta

coi suoi colori,

come pioggia ricade

di larghi pianti.

IX. Gli occhi di Berthe

Gli occhi piú celebrati non vi son nulla accanto,

begli occhi del mio bene da cui filtra e dispare

tal bontà, tal dolcezza che nella Notte appare!

Versatemi, occhi belli, il vostro buio incanto!

Grandi occhi del mio bene, voi, o arcani adorati,

assomigliate molto a quelle grotte magiche

dove, dietro l’accumulo delle ombre letargiche,

vagamente scintillano dei tesori ignorati!

Il mio bene ha occhi vasti, profondi e tenebrosi

come te, Notte immensa, che come te scintillano!

E sono, i loro fuochi, pensieri dove brillano

Amore e Fede insieme, o casti o voluttuosi.

X. Inno

A te piú che diletta, piú che bella,

angelo della luce,

idolo senza tempo, a te salute

nell’immortalità!

Tu che a fiotti m’inondi

d’aria salina la vita

e il sapore dell’eterno

m’infondi nell’avido petto,

borsiglio che fresco profuma

un luogo dolce e segreto,

incenso obliato che fuma

nella notte, da lontano,

come, amore incorruttibile,

esprimerti con verità?

Tu, grano di muschio invisibile

in fondo alla mia eternità!

A te piú che soave, piú che bella,

angelo della forza e della gioia,

idolo senza tempo, a te salute

nell’immortalità!

XI. Le promesse d’un volto

Amo i tuoi sopraccigli, beltà pallida! volti

in giú, da dove sembra che fluiscano tenebre;

i tuoi occhi, nerissimi, m’ispirano pensieri

che non son funebri affatto.

Mi dicono, quegli occhi che van cosí d’accordo

con la tua nera, elastica criniera,

languidamente dicono: «Se vuoi,

tu che ami la plastica musa,

seguire la speranza che in te abbiamo eccitata

e quei gusti che predichi, potrai

accertarti che è tutto quanto vero

dall’ombelico al culo;

in cima a due bei seni ben pesanti, vedrai

larghe, di bronzo due medaglie,

e sotto il ventre liscio, vellutato, bistrato

come un bonzo ha la pelle,

un tosone sontuoso che davvero è fratello

di quell’enorme chioma,

soffice e riccio e uguale a te in spessore,

o Notte senza stelle, Notte oscura!»

XII. Il mostro

ovvero Il paraninfo d’una ninfa macabra

I.

Non sei davvero, cara mia,

quel che Veuillot chiama un bocciolo.

Gioco, amore, buon mangiare,

ti bollon dentro in compagnia!

Non sei piú fresca, cara mia,

vecchia bambina! E tuttavia

le tue follie movimentate

t’han dato il ricco splendore

delle cose molto usate

e seducenti tuttavia.

Non trovo monotonia

nel verde degli otto tuoi lustri;

son meglio, autunno, i tuoi frutti

dei frusti fiori d’aprile!

No, in te non c’è monotonia!

La tua carcassa sa piacere

con vezzi particolari;

hai dei pimenti speciali

nel solco fra le due saliere!

La tua carcassa sa piacere!

Mi fanno ridere gli amanti

della zucca e del melone!

Mi piaccion piú le tue clavicole

di quelle del re Salomone,

e mi fan pena quegli amanti!

Azzurro casco, i tuoi capelli

fan ombra alla fronte guerriera

che poco pensa e arrossisce,

poi all’indietro scappan via,

crini d’un casco, quei capelli!

Hai gli occhi simili a fango

dove un lampione scintilla,

truccato il viso li ravviva,

lancian d’inferno una favilla!

Hai gli occhi neri come il fango!

Con lussuria, con disprezzo

amaramente la tua bocca

ci provoca, è un paradiso

che ci lusinga e ci sciocca.

Con che lussuria! e che disprezzo!

Asciutta e forte la tua gamba

in cima ai vulcani sa andare,

e fra la neve e l’erba grama

cancan sfrenati danzare.

È forte e asciutta la tua gamba;

come d’un vecchio gendarme,

non ha dolcezza la tua pelle,

è riarsa, non ha piú sudore

che gli occhi lacrime – eppure

ha una dolcezza la tua pelle!

II.

Te ne vai dritta in bocca al Diavolo,

stolta! Ci verrei con te

se questa pazza andatura

non mi mettesse paura.

Vacci tu sola, dunque, al Diavolo!

Garretti, reni e polmoni

non lascian piú ch’io renda onore

come si deve a quel Signore.

«È un gran peccato davvero!»

dicono reni e polmoni.

Ah! tu sapessi il dispiacere

di non venire a vedere

te che nei sabba il membro baci

a Lui che sulfureo scoreggia.

Ah! tu sapessi il dispiacere!

Dannatamente sono afflitto

di non reggerti accesa

e di doverti lasciare,

torcia d’inferno! Puoi pensare

quanto, mia cara, ne sia afflitto,

visto che è tanto che t’amo,

a fil di logica! E invero,

volendo del Male la crema

e amare un mostro veritiero,

eh sí, vecchio mostro, io ti amo!

XIII. Franciscae meae laudes

Versi composti per una modista erudita e devota.

[Si veda: I fiori del male, LX].