La pioggia scendeva copiosa, il giorno dopo, mentre Riley girava per i Monti Appalachi. Le strade polverose erano molto infangate, la guida era difficoltosa e stancante. Il tempo sgradevole rispecchiava il suo stato d’animo. Le rare visite a suo padre non erano mai piacevoli.
Eppure, l’istinto le aveva suggerito che questa visita fosse necessaria. La strada la stava conducendo verso qualcosa di più che un semplice deserto montuoso. Piuttosto la stava portando nel cuore del dubbio. Era una parte della sua anima in cui aveva bisogno di guardare, senza trasalire. Altrimenti, non avrebbe mai scacciato indecisione e incertezza.
Dopo tutto, trovava la pioggia stranamente rinfrescante. Era certamente un cambiamento, dopo l’aridità della calda aria dell’Arizona. E la foresta circostante era ancora rigogliosa e verde. Il primo gelo non aveva ancora fatto cadere le foglie.
La pioggia non accennava affatto a cessare, quando accostò vicino alla piccola baita. Il padre l’aveva comprata insieme agli acri circostanti di terreno, quando era andato in pensione dai Marines. In linea di massima, i visitatori non era ben accetti lì. Non aveva telefono o computer per comunicare con il mondo esterno, sebbene talvolta ricevesse notizie durante le sue visite occasionali nella vicina cittadina.
Lei aprì un’ombrello e si precipitò verso la porta. Bussò, anche se non si aspettava che qualcuno le aprisse o l’accogliesse dentro. Non era proprio nello stile del padre. Ma sentì qualcuno tossire all’interno della baita. Aprì la porta ed entrò. La stanza era calda e secca, riscaldata da una stufa a legna. Il padre era seduto su uno sgabello, intento a scuoiare uno scoiattolo morto. Diverse altre carcasse di scoiattoli erano ammassate vicino a lui.
“Ciao papà” esordì.
L’uomo non distolse lo sguardo dal proprio lavoro. Riley non si aspettava che lo facesse.
Aveva appena fatto i tagli iniziali, e stava staccando la pelle dalla carcassa. Sin da quando aveva cacciato con lui da ragazzina, aveva ammirato come svolgeva quell’operazione. Lui la faceva sembrare così semplice e aggraziata, come aiutare una donna a togliere la giacca a cena durante un appuntamento.
Lui tossì forte per un momento. Riley lo trovò uno strano suono per lui. Non riusciva a ricordare che fosse stato malato un solo giorno in tutta la loro vita insieme.
Quando la tosse finalmente si calmò, disse: “Sei tornata in fretta.”
Riley comprese che cosa intendeva dire. L’ultima volta che era andata a trovarlo risaliva a circa due mesi prima, a luglio. In precedenza, però, più di due anni era trascorsi senza che lei avesse tentato di contattarlo. E naturalmente, nemmeno lui ci aveva mai provato.
Riley si sedette, mettendosi quanto più comoda possibile, su una disagevole sedia in vimini. Il padre tossì di nuovo. Sembrava più pallido dell’ultima volta che l’aveva visto, forse anche un po’ più magro. Aveva i capelli leggermente più lunghi rispetto al tipico taglio in stile marine che aveva sempre portato.
“Stai male, papà?” gli chiese.
Lui rise sommessamente e con risolutezza. “Ti piacerebbe, non è vero? Niente ti renderebbe più felice che vedermi indifeso e malato, e in punto di morte. Non sei così fortunata, ragazza. Non questa volta.”
Riley sentì serrarsi la mascella e irrigidirsi tutto il corpo. Questa visita si stava rivelando peggiore ancor prima di quanto fosse accaduto con quella precedente.
“Allora, a che tipo di caso stai lavorando in questi giorni?” le chiese.
“Più o meno, il solito” Riley rispose, trovandosi a precipitare nel modo paterno freddo e distaccato di parlare. “Un serial killer in Arizona. Uccide le prostitute.”
“Arizona, huh?”
L’uomo squarciò l’addome dello scoiattolo, e cominciò ad estrarne le interiora.
“Scheletrico piccolo bastardo” brontolò.
L’odore delle viscere dello scoiattolo raggiunse le narici di Riley, dall’altra parte della stanza. Lo ricordava bene. Non era gradevole, ma non così brutto quanto un cadavere umano in decomposizione.
“Sei piuttosto distante dall’Arizona” il genitore disse. “Che cosa ci fai qui?”
Riley non rispose. La schiena le si irrigidì.
“Non dirmelo” aggiunse tra un colpo di tosse e un mezzo sogghigno. “Le cose hanno avuto la meglio su di te. Sei assente ingiustificata. Ti stai chiedendo se sei tagliata per questo lavoro. Sì, mi sono sentito così in Vietnam di tanto in tanto. Comunque, non sono mai scappato dal problema. Una cosa simile non è vista di buon occhio nei Marines. Immagino che il Bureau sia un po’ più accondiscendente. Ti rovina.”
Riley si preparò emotivamente. Era giunto il momento di aprirsi ad un uomo che non conosceva affatto il significato di apertura.
“Sono accadute molte cose dall’ultima volta che sono stata qui” disse. “April è stata catturata dall’ultimo killer che ho catturato. E’ stata quasi uccisa.”
“April?” lui chiese con un grugnito.
“Mia figlia. Tua nipote.”
Lui tossì ancora un po’. “Oh, sì. Come l’ha gestita? Si è trasformata in una palla tremante di paura indifesa?”
Riley fu soddisfatta di quello che stava per rispondere.
“No. Lei mi ha aiutato ad ucciderlo.”
Il padre gettò lo scoiattolo scuoiato ed eviscerato sul mucchio, e cominciò ad occuparsi di un’altra carcassa.
“Brava ragazza” disse. “Dovresti portarla qui uno di questi giorni. Mi piacerebbe vederla una volta.”
Non in questa vita, Riley pensò.
Il genitore continuò a parlare. “Perciò adesso ti senti in colpa. Forse pensi di fare il lavoro sbagliato. Vuoi essere una brava mammina che cresce una brava ragazzina. Merda. Sai che cos’ho da dire di fronte a tutto questo.”
“Ci sono dei mostri là fuori, papà” Riley disse. “L’ho portata in un mondo di mostri.”
Lui cominciò a ridere, ma la sua risata si trasformò in tosse.
“Che mucchio di sciocchezze. Pensi che stai combattendo contro un mostro in Arizona? Un uomo che uccide prostitute? Non stai avendo a che fare con un mostro. Accidenti, non stai nemmeno avendo a che fare col male. Stai affrontando quello che la gente definisce normalità. Questo tuo killer, quando non uccide, è un brav’uomo, un pilastro della comunità, un buon marito, un buon padre. L’opposto di me … e l’opposto di te.”
Riley sapeva, dal profilo che lei stessa stava mettendo insieme, che l’uomo non si stava sbagliando del tutto. Ma questo non portava ad una risposta.
“Se è così buono, perché continua ad uccidere le donne?” chiese Riley.
Il padre smise di tagliare lo scoiattolo, restando col coltello in mano. La domanda sembra va interessarlo. Guardò Riley dritto negli occhi.
“Perché continui ad uccidere gli uomini?” le domandò.
Per Riley fu come essere precipitata in un lago ghiacciato. Era una buona domanda. Era una domanda importante. Era esattamente la domanda a cui sperava di dare una risposta in quel luogo.
“Sei una cacciatrice” il padre disse, continuando a fissarla negli occhi. “Quello che la gente chiama normalità ti ucciderebbe se provassi a viverlo troppo a lungo. La verità è che, uccide tutti, tutta quella dannata normalità. Non è naturale, è contro la natura umana. Fa impazzire di noia la gente. Fa uccidere la gente per nessun motivo. Ora, tu ed io, abbiamo le nostre ragioni per uccidere. In quel modo, siamo dei buoni animali. Sappiamo chi siamo. Questi assassini a cui dai la caccia e uccidi, loro non hanno la giusta intuizione. Non conoscono loro stessi. Vanno completamente fuori controllo.”
Lui continuò a fissarla.
“Mi ricorda un detto. ‘In un mondo folle, solo i folli sono sani.’ Non ricordo chi l’abbia detto. Ma è vero, siamo tu e io sempre. I pazzi in un mondo pazzo pieno di persone che non hanno alcun motivo per essere sane. Siamo gli unici che hanno un’idea di che cosa stia davvero accadendo.”
Il padre abbassò gli occhi, e rimase a guardare il pavimento, parlando quasi in un sussurro.
“Tu tornerai a lavoro. Prenderai il prossimo aereo che riuscirai a trovare. Lo so. Non hai scelta. Non ti ho mai dato una scelta. Ti ho cresciuta bene, per essere una cacciatrice. Vorrei esserci riuscito anche con tua sorella, ma è troppo tardi per rimediare.”
Per Riley fu come aver ricevuto una scossa elettrica. Non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui lui avesse menzionato Wendy. Sembrava inspiegabile, perché Riley aveva pensato molto a lei ultimamente.
“Forse, non l’ho trattata bene” l’uomo disse.
“La picchiavi” intervenne la figlia.
Il padre borbottò e annuì lentamente. “E’ questo che volevo dire. L’ho solo colpita con le mani. Le ho fatto venire dei lividi esteriormente, tutto qui. Non sono andato a fondo. Sapevo che avrei fatto meglio a farlo, mentre tu stavi crescendo. Non ti ho mai sfiorato, neanche con un dito. Ti ho colpito molto più in profondità. E hai imparato. Hai imparato.”
Poi, tossì a lungo. Riley vide che era molto malato. Ma non avrebbe avuto modo di parlargliene.
Quando la tosse cessò, lui disse: “Ti chiederei di restare per dello stufato di scoiattolo. Ma non vuoi restare con un crudele vecchio bastardo come me. Sei pronta ad andartene da qui.”
Aveva assolutamente ragione, ma Riley non glielo disse.
Invece, rispose: “Io non ti odio, papà.”
“Stai mentendo o sei una sciocca” lui le disse.
“Che cosa diavolo dovrebbe significare?”
“Significa proprio quello che ho detto. Se non mi odi, allora non ho fatto bene il mio lavoro.”
Tossì ancora. Sembrava molto malato. Riley voleva compatirlo. Ma non se lo sarebbe concesso. Lui l’aveva davvero fatta arrabbiare.
Lei rispose, sarcasticamente: “Ecco, mentre restiamo in argomento, parliamo del ‘lavoro’ che hai svolto; forse dovrei ringraziarti. Ho imparato molto da te. Ho imparato tutto quello che c’era da sapere relativamente a come non essere un genitore.”
“Stupida” l’uomo disse. “Stai probabilmente tirando su quella ragazza affinché ti voglia bene. Crescerà debole. Tu vivrai per rimpiangerlo.”
“Che cosa ne sai del rimpianto?” la figlia scattò.
“Non molto. E ne sono orgoglioso. Dovresti essere grata, tu piccola lamentosa stronza.”
In quel momento, Riley ne ebbe abbastanza. Aveva sopportato questo tipo di abuso per tutta la vita. Non si era mai opposta. Non aveva fatto altro che allontanarsi. Quel tempo era finito.
Si alzò in piedi davanti a lui, troppo vicina perché vi fosse spazio per un gesto di conforto.
“Ci sono specchi qui, papà? Scommetto di no. Non ti piacerebbe quello che vedresti.”
“E che cosa dovrebbero mostrare?”
“Un codardo. Un piccolo uomo, malato e spaventoso, che non ha mai avuto il coraggio di amare. Un uomo che tormentava i bambini, invece degli uomini della sua stessa stazza.”
Gli occhi del genitore brillarono di rabbia. Sollevò la sua mano aperta e la mosse davanti al viso di Riley, che, con abilità, bloccò il colpo col pugno.
“Coraggio, prova a colpirmi” gli disse, sprezzante. “Non puoi più farlo. Sono più forte di te ora, papà. Non potrai mai più toccarmi.”
Con un urlo furioso, l’uomo indietreggiò, poi lanciò un pugno verso il viso della donna. Quest’ultima si allungò, riuscendo a bloccarlo con la mano, stringendolo nella sua stessa morsa. Poi, fece un passo, avanzando verso di lui.
Lei esplose con un brontolio: “Riprovaci di nuovo e giuro su Dio, che ti faccio fuori all’istante.”
Ora la sua bocca si curvò in un largo sorriso maligno. Riley sentì un brivido gelido. All’uomo piacque molto la cosa. Il disprezzo della figlia era ciò per cui viveva. Era tutto quello che gli era rimasto.
Ma lei rifiutava di diventare come lui. Non avrebbe sprecato il suo disprezzo su di lui.
Allentò la presa, e liberò la mano del padre. Poi, lo guardò profondamente negli occhi.
Lei ripeté. “Io non ti odio, papà. Rifiuto di odiarti, non importa quanto tu ci provi.”
Ora sembrava ferito. Non lo era sembrato quando lei lo aveva detto prima. Che cos’era cambiato?
Mi crede, stavolta, lei pensò.
Dopotutto, era la cosa più astiosa che lei potesse dirgli. Gli aveva portato via ciò che più contava al mondo per lui.
Riley si voltò e se ne andò. Non appena aprì la porta, lo sentì gridare ancora una cosa.
“Non bisogna mai fidarsi di un uomo non odiato dai suoi figli.”
Persino per il padre, a lei sembrò una cosa cinica da dire. Ma decise che non avrebbe reagito. Uscì dalla baita e chiuse la porta dietro di sé. Non si preoccupò di aprire l’ombrello. Era bello sentire la pioggia. Rimase lì, sulla scalinata d’ingresso e lasciò che le cadesse addosso.
La visita si era rivelata amara, proprio come si era aspettata. Eppure, era servita al suo scopo. Rammentò le parole di Mike Nevins.
“Non credo che tu possa venirne fuori senza una sorta di catarsi emotiva.”
Suo padre le aveva dato quella catarsi. E adesso, c’era persino la pioggia a completare la sua purificazione.
Non c’era alcun dubbio, suo padre era malato. Ma, se non si fosse messo in contatto con lei per chiederle aiuto, o avesse ammesso di stare male, non c’era niente che Riley o chiunque altro potesse fare. Non avrebbe più dovuto rivederlo. E certamente non aveva alcuna intenzione di farlo.
Adesso si sentiva se stessa. E, per la prima volta da quando aveva cominciato a lavorare a quel caso, percepì la presenza palpabile del killer. E lui non era nemmeno un po’ come lei.
Ha vissuto una vita di successo, realizzò.
A differenza di lei, il killer aveva fatto tutto ciò che aveva dovuto, e non vi aveva mai sentito alcuna contraddizione. Per l’uomo, uccidere le prostitute era solo un modo di sfogarsi, come giocare a golf o bridge. Non c’era niente di male. Non c’era niente di male in lui.
Tutto si stava sistemando ora. Era un assassino, niente di più. Ma Riley era una cacciatrice. sapeva che cosa faceva nella vita, ma lui no. Era la sua ignara preda. E lo avrebbe catturato.
Entrò in auto e si mise alla guida. Mentre scendeva dalla montagna bagnata dalla pioggia, ricordò un’altra frase che Mike Nevins le aveva detto …
“Non c’è sempre una sola cosa giusta da fare.”
Lei sorrise. Si sentiva in pace con ciò adesso.