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Shepton Mallet, due settimane dopo

Finalmente un po’ di pace.

Sir Mark Turner aveva percorso tutto il tratto dalla sua casetta, situata ai margini settentrionali di Shepton Mallet, fino al centro del villaggio, senza attrarre più attenzione di qualsiasi nuovo arrivato giunto sulla piazza del mercato di primo mattino. Aveva ricevuto qualche cenno di saluto e qualche occhiata curiosa, ma nessuno lo aveva seguito, né aveva lanciato grida entusiaste al suo apparire.

Desiderava un po’ di distanza e di anonimato, per riflettere sulla proposta di partecipare alla commissione che doveva occuparsi della legge per i poveri e là li aveva trovati.

Rimase al centro della piazza del mercato senza che nessuno lo disturbasse. Il giorno dopo si sarebbe riempita di venditori di carne, verdure, frutta e formaggi, ma ora era quieta e quasi deserta.

Mark era cresciuto a Shepton Mallet e conosceva la storia di quella piazza. La taverna risaliva a molti secoli prima della sua nascita e al centro sorgeva una strana struttura, un misto di guglie gotiche e logge di pietra, con un’alta torre sormontata da una croce. Pareva quasi il nipote perduto della chiesa che occupava un angolo della piazza.

Erano trascorsi quasi vent’anni dalla sua partenza e il villaggio era cambiato: persone che ricordava dall’infanzia erano invecchiate e il lanificio fuori dall’abitato era ridotto a uno scheletro bruciato. Shepton Mallet era comunque molto diverso dal frenetico trambusto di Londra: qui tutto era placido e tranquillo. Perfino le pecore incontrate nella passeggiata parevano belare a un ritmo più lento del bestiame della capitale.

Alcune persone conversavano ai bordi della piazza. Mark non poteva sentire ciò che dicevano, ma coglieva la cadenza e l’accento del Somerset... e si sentiva a casa.

Negli anni trascorsi lontano lui aveva perso quell’accento e ora gli pareva di parlare troppo in fretta, come un invasore straniero. Londra sfrecciava al ritmo del vapore e dei pistoni, mentre Shepton Mallet faceva pensare alle placide mucche che tornavano dai pascoli alla fine di una lunga giornata estiva.

Se qualcuno avesse sentito il suo nome, forse si sarebbe ricordato di sua madre e magari perfino di suo padre, che per lui costituiva un’immagine sbiadita. Forse lo avrebbero perfino collegato al bambino biondo, pallido e magro che accompagnava la madre nelle sue missioni caritatevoli. Non avrebbero pensato a Sir Mark Turner, fatto cavaliere dalla Regina Vittoria e autore della Guida pratica alla castità per gentiluomini. Non avrebbero visto un luminoso esempio di virtù.

Grazie a Dio era sfuggito a tutto questo.

Si girò lentamente: era martedì mattina presto, ma il mercato di Shepton Mallet era proprio come lo ricordava. Le antiche bancarelle di legno erano ancora utilizzate dopo secoli, visto che nessuno aveva pensato di sostituirle; probabilmente avevano la stessa veneranda età della taverna.

Mark sorrise. Il paese era un luogo carico di passato e là nessuno si curava del suo ruolo nel presente.

«Sir Mark Turner?»

Lui si girò di scatto: non conosceva il tipo grassoccio, con il collarino da ecclesiastico, che gli tendeva incerto la mano.

L’uomo lasciò ricadere la mano. «Sono Alexander Lewis, il vicario della chiesa di San Pietro e Paolo» si presentò. «Non fate quella faccia sorpresa: aspettavo il vostro arrivo da quando è giunta la notizia che vostro fratello il duca aveva comprato la vecchia dimora dei Tamish.»

In realtà la casa un tempo apparteneva ai Turner, ma d’altra parte il vicario costituiva una delle poche novità di Shepton Mallet. Data la sua funzione, era naturale che fosse curioso e si interessasse dei nuovi arrivati. Non annunciava l’arrivo di una folla adorante, pensò Mark cercando di rilassarsi.

«Il mio predecessore mi ha parlato della vostra famiglia» continuò l’uomo. «Bentornato a Shepton Mallet.»

Dunque era il figliol prodigo che tornava dopo decenni di lontananza. Ancora meglio. «Il villaggio è quasi come lo ricordavo, ma immagino che ci sia qualche novità» osservò Mark.

Come immaginava, Lewis non si fece pregare e lo investì con un vero torrente di parole. In realtà entrambi sapevano che l’unico cambiamento era costituito dalla velocità con cui i lanifici abbandonati si deterioravano anno dopo anno.

«I tempi stanno cambiando» annunciò il vicario, mettendo fine a un monologo su quell’argomento. «C’è una nuova fabbrica di scarpe e le manifatture tessili hanno raddoppiato gli ordini, dopo che Sua Maestà ha acquistato la seta per il suo abito da sposa proprio qui a Shepton Mallet.»

Quella notizia dava l’idea del ritmo lento con cui passava il tempo da quelle parti: le nozze della regina, infatti, erano state celebrate più di un anno prima.

Aveva avuto ragione a trasferirsi là; forse qualcuno aveva sentito parlare del suo libro e del nuovo titolo di cavaliere, ma in quel piccolo villaggio sarebbe riuscito a vivere in pace, senza l’assedio delle folle londinesi.

La gente lo avrebbe considerato una persona normale, che aveva i suoi difetti e commetteva errori come tutti e non una specie di santo.

«Sapete, qui tutti vi sono grati» riprese il vicario.

Quella era la prima nota discordante che irrompeva nel sogno bucolico di Mark. «Grati?» ripeté sconcertato. «E perché mai?»

Lewis lo fissò raggiante. «Che umiltà! Tutti sanno che siete stato voi ad attirare l’attenzione di Sua Maestà su Shepton Mallet.» Mentre parlava, si sporse a dargli un colpetto sul bavero.

Mark avvertì un allarme crescente: quello era un gesto reverente, che faceva pensare all’immersione di un dito nella fonte dell’acqua santa.

«Oh no, davvero» protestò. «Io non ho nessun merito nel...»

«Vi siamo davvero grati» lo interruppe il vicario. «Se il setificio fosse fallito...» Lewis spalancò le braccia e Mark si guardò intorno: le poche persone sparse per la piazza lo guardavano con avida curiosità.

Accidenti! Si era rifugiato là per sfuggire all’adulazione, non per venire di nuovo colmato di onori e lodi.

«Vi dobbiamo molto. Tutti aspettavano il vostro arrivo, quindi ora vorrei presentarvi in giro. Cominciamo con...»

Lewis fece un cenno e una figura ferma vicino alla croce al centro della piazza si fece avanti. Era un ragazzo alto e goffo, così emozionato che inciampò nella fretta di avvicinarsi.

Non doveva avere più di diciassette anni ed era ben vestito. Portava un cappello a cilindro e continuava a sistemarlo, come se non fosse ancora abituato a quella tenuta elegante.

«Sir Mark Turner, vi presento Mr. James Tolliver» disse Lewis in tono pomposo.

Sul bordo del cilindro c’era una coccarda azzurra a forma di rosa. Le speranze di Mark svanirono. Cercò di convincersi che la coccarda fosse solo un ornamento, portato fin là da un venditore ambulante che non ne conosceva il significato. Si era rifugiato a Shepton Mallet per riposarsi e godersi la quiete senza tempo di quell’angolo sperduto nella campagna inglese. L’alternativa – ammettere che non era affatto sfuggito alle folle di ammiratori di Londra e all’assedio dei giornali scandalistici – era troppo orribile per prenderla in considerazione.

Tolliver lo fissava a occhi sgranati, con una luce di delizia e ammirazione che Mark conosceva bene: sembrava un bambino che aveva appena ricevuto un pony per Natale e non vedeva l’ora di cavalcarlo.

Dalla sua espressione era evidente che il pony era lui. Prima che potesse aprir bocca, il ragazzo gli strinse la mano con foga.

«Quarantasette, signore!» proclamò fiero.

Mark lo guardò confuso. «Quarantasette cosa?»

Quarantasette persone pronte a fermarlo per strada? Quarantasette mesi prima che la società lo dimenticasse?

Il ragazzo lo fissò deluso. «Quarantasette giorni» spiegò poi impacciato.

Mark era sempre più sconcertato. «Mi sembrano troppi per un diluvio e troppo pochi per arrivare a San Michele» osservò.

«Quarantasette giorni di castità, signore» chiarì il ragazzo. Poi corrugò la fronte, scosso da un’improvvisa agitazione. «Ho sbagliato qualcosa? Non è così che si salutano tra loro i membri della Brigata per la castità maschile? Sono stato io a fondare la sezione locale e vorrei fare tutto nel modo più corretto.»

Dunque la coccarda era reale. Mark soffocò a fatica un gemito. Era stupido e ingenuo pensare che quella maledetta brigata si fosse diffusa solo a Londra. Era già abbastanza imbarazzante, con le coccarde, le riunioni settimanali e l’assurdo linguaggio a gesti che qualcuno cercava sempre di insegnargli.

Perché gli uomini prendevano qualsiasi sano principio e lo trasformavano in un club? Non potevano comportarsi bene da soli? E come aveva fatto a finire intrappolato nel ruolo di padre putativo di quell’iniziativa?

«Non sono un membro della Brigata per la castità maschile» spiegò, cercando di non far apparire quel chiarimento come un rimprovero. «Io ho solo scritto un libro.»

Tolliver lo fissò incredulo per un attimo, poi sorrise. «Oh, ma certo. Dopotutto Gesù non apparteneva alla Chiesa d’Inghilterra.»

Il vicario annuì con aria d’approvazione. Mark non sapeva se mettersi a ridere o a piangere.

Si sottrasse con gentilezza alla stretta di Tolliver. «Be’, paragonarmi a Cristo è...» Ridicolo, voleva dire, ma gli dispiaceva umiliare quel ragazzo esuberante e benintenzionato. Era difficile prendersela con un giovane che cercava di praticare la castità, mentre tanti suoi coetanei seminavano in giro bastardi senza farsi il minimo scrupolo.

Tolliver impallidì e finì la frase per lui. «Blasfemo. Sono stato blasfemo davanti a Sir Mark Turner! Oh, mio Dio!» gemette affranto.

«Le persone possono commettere errori davanti a me» cercò di consolarlo Mark.

Tolliver lo fissò adorante. «Oh, ma certo. Avrei dovuto immaginare che sareste stato così buono da perdonarmi.»

«Non sono un santo. Ho solo scritto un libro.»

«La vostra umiltà, signore... la vostra generosità sono un esempio per tutti noi» insisté Tolliver.

«Anch’io commetto degli errori.»

«Davvero, signore? E posso chiedervi quanto tempo avete resistito? Quanti giorni?»

La domanda era scortese e invadente e Mark inarcò le sopracciglia. Il ragazzo indietreggiò impacciato: forse si era reso conto della sua impertinenza.

«Io... sono sicuro che c’è tutto nei giornali, ma qui ne vediamo pochi, giusto quando arriva qualcuno da Londra. Io... dovrei saperlo. Vi prego, perdonate la mia ignoranza.»

Mark sospirò e fece un rapido calcolo mentale. «Più o meno diecimila.»

Il ragazzo fischiò impressionato.

Mark si incupì: se a Shepton Mallet c’era una sezione locale della brigata, per distruggere la sua pace mancava solo...

«I vostri ammiratori non sono solo uomini, naturalmente» intervenne sollecito Lewis. «Domenica, dopo la messa, vorrei presentarvi mia figlia Dinah.»

Quello. I continui tentativi di fargli conoscere fanciulle pronte a sposarlo. In realtà non gli sarebbe dispiaciuto incontrare una donna adatta, ma poi Tolliver corrugò la fronte e lo fissò costernato, come se all’improvviso fosse diventato un rivale nella conquista della figlia del vicario. Le cose stavano prendendo la solita piega.

«È una ragazza dolce, obbediente, casta e graziosa» enumerò Lewis. «Un uomo forte e sicuro di sé come voi sarebbe un marito perfetto per lei. Non ha ancora compiuto sedici anni, dunque potreste formarla come volete.»

Mark chiuse gli occhi disperato. Aveva scritto un libro sulla castità e ora tutti erano convinti che la sua sposa ideale fosse una bambina malleabile.

«Ho ventotto anni» gli fece notare.

«Non avete neanche il doppio della sua età!» si entusiasmò il vicario. Poi si avvicinò e riprese a parlare in tono confidenziale. «Non vorrei vederla ammogliata con un vecchio, o con un ragazzino inesperto» aggiunse lanciando uno sguardo eloquente a Tolliver. «So che vivete da solo, ma potrei stendere subito un programma: con inviti quotidiani a cena o a prendere un tè, nel giro di sei settimane potreste conoscere tutte le migliori famiglie del posto e...»

«No.» Ormai era inevitabile: doveva essere scortese. «Assolutamente no» rispose Mark. «Sono venuto qui in cerca di pace e solitudine, non certo di due inviti al giorno.»

Il vicario lo fissò deluso e Tolliver trasalì.

Mark si sentì come se avesse appena preso a calci un cucciolo indifeso. Perché il suo libro non era scomparso nell’anonimato, come tante altre opere? «Al massimo posso accettare un invito alla settimana» concesse.

Il vicario sospirò con aria afflitta. «Va bene. O forse potremmo pensare a eventi più mondani, per esempio un picnic organizzato dalla parrocchia, seguito da... Oh, mio Dio...» Guardò all’altro capo della piazza e la sua voce si indurì. «Almeno così potremo evitare gli elementi indesiderati.»

Mark seguì il suo sguardo. I pochi venditori del mercato si erano sistemati in modo da poterlo osservare, ma il vicario stava fissando una donna appena entrata nella piazza.

Per un attimo Mark riuscì a vedere solo i suoi capelli, una massa corvina sistemata in una complicata acconciatura che le sfiorava le spalle, appena nascosta da un cappellino di pizzo. Il nero gli era sempre sembrato scialbo e incolore, ma quella chioma illuminata dai raggi del sole pareva contenere tutti i colori. Se li avesse sciolti, i capelli sarebbero arrivati senz’altro alle cosce, come una nuvola soffice e calda da accarezzare.

La donna pareva quasi fluttuare sull’acciottolato. La sua andatura sciolta evocava gambe lunghe e snelle sotto le pieghe morbide dell’abito. Si fermò davanti alla taverna. Non era ancora giorno di mercato, ma l’ortolano aveva già delle verdure sul banco. Lei esaminò i prodotti esposti e dedicò un’attenzione particolare a un cavolo.

Solo allora Mark capì che cosa stava guardando esattamente Lewis: il vestito era rosa chiaro, ornato intorno alla vita da un nastro color ciliegia e da nastri simili intrecciati sul corpetto, in modo da mettere in risalto la curva del seno. Non che ce ne fosse bisogno: quella donna era splendida. Non era troppo magra e delicata e neanche troppo formosa, eppure in confronto a lei tutte le altre parevano poco proporzionate.

Per un attimo Mark desiderò che invece di insulse fanciulle, qualcuno gli presentasse una creatura affascinante come quella.

A Londra non sarebbe passata inosservata, attirandosi occhiate di curiosità, ammirazione e disprezzo, ma era chiaro che gli abitanti di Shepton Mallet non sapevano come classificarla, né erano abituati alla sua tenuta audace. Mark però conosceva quel tipo di abiti, che parevano ordinare: guardami.

Non gli era mai piaciuto prendere ordini, così distolse lo sguardo.

«Ah, già. Mrs. Farleigh» borbottò il vicario. Il tono acido dimostrava che la donna non era la benvenuta in paese, ma l’evidente disapprovazione era smentita dallo sguardo avido che la seguiva mentre attraversava la piazza. «Guardatela!»

Mark non era il tipo da sgranare gli occhi davanti a una bella donna e anzi era abituato a costruire dentro di sé un’alta muraglia di vetro, trasparente ma impenetrabile. A ogni respiro ricordava a se stesso chi era e in cosa credeva e così innalzava una fortezza che reprimeva ogni desiderio, prima che erompesse ruggendo. Lui stava dietro quella muraglia, padrone dei suoi desideri e nessuno poteva obbligarlo a fare qualcosa che non voleva.

Niente desiderio e soprattutto niente lussuria. Una volta recuperato il controllo, tornò a guardarla e dovette ammettere che era davvero bella.

«È arrivata un paio di settimane fa» raccontò Lewis. «È vedova, ma non parla molto della famiglia o del passato... forse perché preferisce non approfondire. Basta guardarla un attimo per immaginare cos’ha fatto.»

Gli uomini di chiesa erano liberi di abbandonarsi a fantasie lascive come chiunque altro, ma Mark riteneva che non avrebbero dovuto spettegolare. Mrs. Farleigh si guardò intorno nella piazza del mercato finché non incontrò il suo sguardo. L’espressione non cambiò e il sorriso misterioso rimase inalterato.

Nonostante fosse al riparo nella fortezza di vetro, Mark avvertì una sorta di scossa, come se nelle vicinanze fosse caduto un fulmine. Lei si avviò nella sua direzione.

Prima che potesse avvicinarsi ancora, il vicario si fece avanti deciso e le posò una mano sulla spalla. Non era un gesto amichevole e nemmeno un rimprovero: la mano guantata era fin troppo vicina alla scollatura.

Il sorriso scaltro di Mrs. Farleigh induceva a pensare a una donna di mondo, l’abito audace ne faceva una tentatrice e le insinuazioni del vicario qualcosa di ancora più scandaloso, eppure quando lui la tocco lei trasalì e si tirò indietro. Per un attimo sembrò più un gatto scottato che un cigno aggraziato e quella breve reazione smentì la sua aria sensuale ed esperta. Quella donna non era ciò che appariva a prima vista.

Mark provò un interesse improvviso, che un abito audace e una figura splendida non avrebbero mai potuto suscitare.

Era troppo lontano per cogliere la conversazione e forse la donna e il vicario erano convinti che nessuno li sentisse, ma poi scoprì sorpreso che l’acustica della piazza era davvero buona.

«Non è giorno di mercato, Mrs. Farleigh, dunque non è il caso di esporre la vostra mercanzia in modo così aperto» sussurrò con durezza Lewis. «Qui nessuno è interessato a questo genere di prodotti.»

Mrs. Farleigh si era tirata indietro di scatto per sottrarsi al suo tocco, ma non reagì all’offensiva insinuazione che stesse vendendo il suo corpo. «Ah, reverendo, qualsiasi cosa si vende al macello...» rispose lei.

Si interruppe con aria invitante e Mark completò la frase dentro di sé. Continuate a mangiare tutto quanto si vende al macello, senza informarvi a motivo della vostra coscienza. Quelle parole lo riportarono indietro di vent’anni, quando da bambino recitava passi della Bibbia mentre la madre fissava il muro dietro di lui, muovendo la testa al ritmo di una musica che solo lei poteva sentire. Quelle frasi erano impresse a fuoco nella sua memoria, con una continua contrapposizione tra giusto e sbagliato, bene e male.

Lewis scosse la testa. «Non capisco di cosa stiate parlando. Qui vendiamo grano e bestiame.»

Il sorriso di Mrs. Farleigh divenne più ampio e il rispetto di Mark aumentò: il vicario non si era reso conto che la donna da lui vituperata aveva appena citato un passo della Bibbia e anzi, probabilmente non l’aveva nemmeno riconosciuto. Mrs. Farleigh si toccò la spalla nel punto dove era posata la mano guantata di Lewis, prese le sue dita tra pollice e indice e le lasciò ricadere, come se si stesse liberando di una foglia morta che le era caduta addosso.

«Non vi trattengo, reverendo» dichiarò gentile. «Sono sicura che avete molte cose da comprare. Forse le altre merci sono davvero in vendita.»

Si girò senza guardare Mark. Lewis incrociò le braccia sul petto e la seguì con lo sguardo con aria insoddisfatta, ma anche con un interesse che un uomo di chiesa non avrebbe dovuto mostrare. Quindi tornò indietro e si girò verso Mark. «Non preoccupatevi, Sir Mark. Faremo in modo che le persone come lei non vi disturbino più» gli assicurò a gran voce.

Mark lanciò un’occhiata a Mrs. Farleigh, che stava di nuovo esaminando le verdure esposte sul banco dell’ortolano. In confronto al nastro rosso che le ornava l’abito, le pile di ravanelli apparivano pallide. Quella donna faceva apparire tutto il villaggio sbiadito come un acquerello dipinto male.

Era un uomo casto, ma non un santo. E poi stava solo guardando.

Mrs. Farleigh aveva dato dell’ipocrita al vicario senza che lui se ne accorgesse. Che cosa avrebbe detto, guardando Mark negli occhi?

Avrebbe visto lui, o un santo, un’icona da venerare?

La possibilità vibrava nell’aria, troppo potente per ignorarla. Inutile raccontarsi delle frottole: non la stava solo guardando. Voleva conoscerla meglio.