Riso nero

Riso nero
Authors
Sherwood Anderson
Publisher
Elliot
Date
2021-02-25
Size
0.84 MB
Lang
it
Downloaded: 26 times

Verso la fine del secolo scorso, l’autore di questo libro era un giovane operaio che passava le sere buttato su un letticciuolo in una camera ammobiliata – molto male ammobiliata – a leggicchiare le cose più disparate. Fuori, il fracasso e il fumo di Chicago in via di diventare il gran centro industriale del Medio Ovest. Quand’era stufo di leggere o non c’era più luce, il giovane Anderson – queste cose ce le racconta lui stesso nella Storia di un raccontatore di storie – chiudeva il libro e si metteva a fantasticare. O saltava dal letto e usciva a gironzolare per le vie, tra fabbriche e case operaie, pensoso di quello che gli pareva soltanto bruttezza e volgarità.

Veniva da paesi peggio ancora, nel suo ricordo – dell’interno provinciale dell’Ohio – dove a un tratto la vita povera e tranquilla di quei villaggi provvisori e mezzo agricoli della sua infanzia era stata scossa da un terremoto e da una gran febbre: l’industrialismo, la corsa alla ricchezza, l’efficiency rush; il culto degli eroi fattivi, le parole grosse, le macchine, tutto ciò insomma che passa per l’America attuale.

L’infanzia nell’Ohio aveva insegnato a Sherwood Anderson soltanto a leggere e scrivere e che la vita è dura. Figlie di emigranti o quasi, quelle famiglie erano una generazione che viveva nell’Ohio – come altre nella Nebraska, nell’Illinois, nel Dakota – senza nemmeno l’orgoglio della conquista che era stato dei vecchi pionieri ora scomparsi, senza una ragione di affetto, senza un interesse: viveva là, perché là la vita l’aveva buttata. Praterie vuote, qualche fiume, villaggi di legno, granturco e cavoli dappertutto e immensità piatta e opprimente.

A Chicago dove cercava fortuna, il giovane Anderson aveva trovato soltanto un’altra desolazione: uomini che faticavano, che lottavano, che si davan gomitate, sognando una vita grassa, aggreggiati in baracche altrettanto provvisorie che nelle campagne, con parole altrettanto banali e neanche più il conforto degli orizzonti aperti. E inoltre una miseria spietata, uno sfruttamento della bestia umana, quale non s’era più visto dal tempo degli schiavi.