Quarantuno Colpi
Per espiare i suoi peccati e pervenire, attraverso l'adesione al buddhismo, alla suprema saggezza, il giovane Luo Xiaotong racconta, costantemente distratto dall'arrivo di una fantasmagoria di persone e dalla rutilante Sagra della carne che si sta organizzando all'esterno del tempio, la propria vita al Grande monaco Lan.
È in primo luogo la storia della rovina della sua famiglia, con il padre che, dopo essere scappato con un'altra donna, torna a casa pentito ma finisce per uccidere la moglie quando scopre che è diventata l'amante di Lao Lan, il capo villaggio. Ma è al contempo, e soprattutto, la testimonianza del degrado morale che ha comportato il passaggio, in Cina, dall'economia socialista a quella di mercato. Il mito della prosperità ha trasformato la macellazione, un'attività tutto sommato artigianale e tradizionale alla base dell'economia del posto, in una carneficina industriale che non si ferma nemmeno davanti a metodi illegali e atrocemente crudeli.
E Luo Xiaotong, benché ancora bambino, è parte attiva in questo processo, perché l'idea di rendere accessibile a tutti la carne, di cui è patologicamente ingordo, gli stimola uno spirito imprenditoriale che fa di lui l'eroe della zona, osannato come un santo, elevato a divinità. Ma quando la madre muore, il padre finisce in prigione e la fabbrica è messa sotto processo per frode, è costretto a vagare per le campagne chiedendo l'elemosina. Nel momento in cui però trova i proiettili di un vecchio mortaio nasce in lui il desiderio di vendetta nei confronti di Lao Lan, l'artefice dell'arricchimento degli abitanti (oltre che della sua rovina).
Partendo da suoi temi fondanti - la fame, il sesso, la mutazione della società contadina e lo stravolgimento dello stato di cultura e natura che ha comportato - Mo Yan inscena, con ironia e senso del grottesco, l'esito della modernizzazione cinese, carnevalesco contrappasso di un pauperismo estremizzato dalle dissennate politiche maoiste.