Maledire Dio. Studio sulla bestemmia
- Authors
- Turina, Isacco
- Date
- 2006-10-30T13:51:26+00:00
- Size
- 0.58 MB
- Lang
- it
È
un terreno sdrucciolevole, quello della bestemmia, poiché non si sa
esattamente in che modo parlarne. In particolare, non si sa come
nominarla: la reticenza risulterebbe forse più elegante,
ma
in un lavoro che pretenda di dar conto della realtà di un fenomeno
sociolinguistico, una simile pruderie
impedirebbe di attingere quel livello stesso di cui si vorrebbe
parlare; senza aggiungere che non si farebbe altro che perpetuare una
lunghissima tradizione di silenzio, la quale ha impedito appunto che
si studiasse finalmente quell’elemento di lunga durata della lingua
italiana che è la bestemmia. È stata la letteratura a rompere per
prima il ghiaccio e a trascrivere l’innominabile vizio italiano,
cercando anche di darne ragioni, guardandolo talvolta con benevolenza
e, nei risultati migliori (in particolare con i romanzi di Luigi
Meneghello), a indagare il sostrato culturale che da secoli la fa
esistere. Ma linguisti e sociologi, a mia conoscenza, non vi hanno
ancora messo mano. Pure non mancherebbero motivi per farlo, visto il
fascino esercitato, ai nostri giorni, da tutto ciò che sembra in via
di estinzione; e la bestemmia, se pur ancora fiorisce, pare comunque
aver perso di vivacità (anche se mancano documenti storici
attendibili sui quali compiere un’analisi diacronica): le leghe
antiblasfeme, numerosissime fino alla metà del secolo, sono
enormemente ridotte di numero e di forze; il progressivo affermarsi
della lingua italiana rende insostenibile l’uso della bestemmia,
stigmatizzata come abitudine dialettale; il generale abbassamento
della sensibilità religiosa diminuisce la reattività sociale a
questo tipo di peccato. Le cause,
insomma,
vanno cercate in quei diversi fattori raccolti sotto il nome di
“secolarizzazione” o “globalizzazione”: la bestemmia è
legata a realtà regionali, e in particolare ai dialetti; è legata
ad un preciso modo di intendere la religione, ad una
condivisione
puramente esteriore cui si oppone ogni idea di un culto interiore,
soggettivo e spirituale; la bestemmia, voglio dire, è figlia dei
paesi cattolici. È praticata solamente in Spagna, Italia e Québec,
dove la cultura cattolica gode ancora di un certo seguito. Nel
medioevo, invece, le forme di bestemmia (che all’epoca erano, per
lo più, degli spergiuri) erano diffuse in tutta Europa. La Riforma
prima, e l’Illuminismo poi, l’hanno resa incomprensibile nei
paesi in cui hanno trionfato. Non sarà un caso se, attualmente, i
soli codici penali che ne prevedono l’incriminazione sono quello
italiano e quello spagnolo. Ma è paradossale vedere come certi
propagandisti antiblasfemi additassero la modernizzazione, in tutte
le sue forme,
come
causa principale della bestemmia: al contrario, opponendosi ai dogmi
del cattolicesimo, il progresso dei paesi occidentali ha svuotato di
senso la bestemmia. Essa non è traducibile: chi non abbia una
specifica competenza della lingua italiana non può afferrarne la
sostanza, per quanto possa coglierne il senso letterale; dal canto
suo, il parlante italiano sa
come si bestemmia, anche se sceglie di non farne uso per tutta la
vita.
Ma
forse non è bene dare giudizi definitivi su un fenomeno talmente
sfuggente. È possibile infatti che la bestemmia sopravviva anche ai
cambiamenti sociali, così come si è mantenuta intatta probabilmente
per un intero millennio. Molti immigrati extracomunitari ad esempio
ne acquisiscono l’abitudine, e anche in uno spazio moderno e
globalizzato come quello che si è aperto con internet, le bestemmie
sono facilmente reperibili, soprattutto in quei siti in cui ognuno è
invitato a scrivere una cosa qualsiasi, come su di un muro: queste
superfici
non
tardano a riempirsi di bestemmie. Nell’impossibilità quindi di
fare previsioni sul futuro della pratica blasfema, il mio compito
sarà quello di tentare di definirla, sia storicamente che, per così
dire, concettualmente.
Innanzitutto
sarà bene precisare che, nella bestemmia, tra concetto
e uso lo scarto è notevole: il concetto è di origine religiosa, e
come tale, in un’accezione simile a quella del termine “eresia”,
esso può essere compreso da chiunque. Al contrario il suo uso è
variabile, poiché si concreta in moduli linguistici che cambiano da
una cultura all’altra: esistono formule precise per la bestemmia,
diverse nei vari paesi in cui si bestemmia; anche all’interno
dell’Italia, pur esistendo alcune formule blasfeme che
costituiscono una sorta di koinè,
la maggior parte delle occorrenze è racchiusa in un contesto
regionale, addirittura, talvolta, idiolettale. Ma pur ritenendo di
dover opporre l’argomento dell’uso a chi, per meglio combatterla,
la vorrebbe considerare solo dal punto di vista del concetto, sono
comunque costretto ad un doppio gioco: devo cioè smascherare anche
le ragioni dei bestemmiatori, i quali, se interpellati, si aggrappano
in genere alla scusante dell’abitudine o dell’ira, che
renderebbero la bestemmia rispettivamente un intercalare o uno sfogo.
Non credo che questo sia del tutto vero, o quanto meno non lo trovo
sufficiente a spiegare la bestemmia, la quale mantiene in sé una
forte connotazione di protesta indiretta e di resistenza alla cultura
cattolica ufficiale.
Queste
le ragioni per cui ho ritenuto di dover citare, apertis
verbis,
le
bestemmie: esse rappresentano, in fin dei conti, l’unico dato
empirico che io possa portare a sostegno della mia ricerca, la quale,
per
il
resto, si basa su un lavoro di raccolta, confronto e commento di
documenti scritti.
Nel
primo capitolo presento una rassegna della letteratura esistente in
materia, e distinguo i due significati del termine: da una parte
quello dotto e dottrinario, dall’altra quello popolare e
pragmatico. Espongo inoltre alcune ipotesi circa l’evoluzione
storica della bestemmia italiana, e infine tento una tipologia,
divisa
per
classi formali, delle bestemmie italiane. Questo corpus
non pretende di essere esauriente: la mia ricerca ha purtroppo dei
limiti precisi, in particolare per quanto riguarda ciò che è dovuto
alla mia esperienza personale: essa è confinata alla provincia di
Verona, e, in misura minore, a quella di Mantova. Sulle bestemmie
toscane, romagnole e soprattutto meridionali, ho dovuto affidarmi a
resoconti altrui o ai rari studi pubblicati.
Nei
due capitoli centrali ho provato a tracciare una “storia degli
effetti”: abitudine aborrita in ogni tempo dalla cultura ufficiale,
e spesso anche dall’autorità in carica, i documenti scritti che
riguardano la bestemmia hanno esclusivamente lo scopo di combatterla.
Si tratterà quindi di atti processuali, testi di leggi antiblasfeme,
prediche e trattati volti a sradicare la mala pianta. A nobilitare
questa mia esposizione, prettamente compilativa, può forse
intervenire il fatto che si tratta di documenti per lo più
sconosciuti: lettere pastorali di vescovi, decine di opuscoli
antiblasfemi pubblicati dalle autorità ecclesiastiche, la vicenda
dimenticata del Movimento civile antiblasfemo di Verona, che
intrecciò indissolubilmente il vituperio della bestemmia con
l’elogio del regime fascista. Sono storie che illustrano la
manipolazione ideologica subita da questa entità sfuggente e sempre
clandestina che è la bestemmia, adoperata in vario modo dalla
retorica che, di volta in volta, saliva sul pulpito o sul palco.
Oltre a questi documenti minori, ho riportato brani tratti da autori
che hanno un posto nella storia della letteratura e della lingua
italiane, da Bernardino da Siena a Paolo Segneri, da Domenico Cavalca
a Paolo Sarpi.
In
ambito legislativo la dottrina ha premuto molto, negli scorsi
decenni, per un adeguamento del
codice
penale alla mutata realtà sociale: le temute reazioni di popolo
invocate per giustificare la previsione di reato, si sono rivelate
sempre più inconsistenti (tranne in casi eclatanti, come quello di
una bestemmia pronunciata in diretta televisiva). Ma per lungo tempo
il legislatore è rimasto inerte, mentre la diatriba che opponeva
“abolizionisti” a “proibizionisti” si faceva accesa; la
soluzione è stata per ora quella del compromesso, con una nuova
coloritura ideologica: la bestemmia italiana, da abitudine volgare e
specifica di una cultura e di una religione, da segno di una società
chiusa e conservatrice, è divenuta sinonimo di una qualunque offesa
verbale ad una qualsivoglia religione. Non credo che questo potrà
favorire la convivenza pacifica di culture diverse.
Nell’ultimo
capitolo tento un’analisi ravvicinata degli aspetti linguistici
della bestemmia, dando una
classificazione
delle funzioni che essa può occupare nella grammatica e nel
discorso, nonché dei vari espedienti fonetici grazie ai quali la si
può mascherare. Esamino anche il suo statuto di interiezione, che
rimane comunque ambiguo: per essere una frase esclamativa ad elevata
frequenza d’uso, presenta infatti una pregnanza e una violenza
semantiche del tutto anomale.
Infine
presento alcuni brani letterari in cui gli autori si sono serviti
della bestemmia come mezzo stilistico, e cerco di individuarne alcune
costanti, sottolineando però anche le spiccate individualità dei
passi, la cui riuscita dipende spesso dal modo in cui lo scrittore è
riuscito a fondere la crudezza dell’imprecazione con le ragioni e
il contesto del suo uso. Attraverso i pochi esempi che ho raccolto
cerco inoltre di mostrare come, da parte di scrittori stranieri, la
bestemmia sia stata usata per caratterizzare i personaggi italiani o
di origine italiana.
La
diversità degli approcci seguiti si giustifica con il fatto che
ancora non esistono, a mia conoscenza, monografie complete sul
fenomeno della bestemmia, e dunque nemmeno filoni interpretativi o
documentari a cui rifarsi. Ho quindi inteso scrivere una sorta di
“manuale della bestemmia”, che, per ognuna delle possibili
prospettive, presenti alcuni spunti per eventuali ricerche ulteriori,
e che riporti alla luce,
completando
i dati empirici con lo studio di quanto già è stato scritto, la
tradizione e la realtà di un elemento provocatorio e temuto della
cultura italiana.
Vorrei
accennare, in chiusura, ad alcune possibili linee di ricerca per
eventuali approfondimenti del tema in questione. Innanzitutto
potrebbe risultare interessante una ricerca sociolinguistica su base
geografica, volta a stabilire l’effettiva diffusione della
bestemmia nelle varie zone d’Italia (verificando anche se vi siano
formule che sono “preferite” rispetto ad altre). Allargando
invece il campo, si potrebbero analizzare da vicino le varie
occorrenze di figure religiose nell’italiano parlato (espressioni
come “Dio solo lo sa”, o “povero cristo”, curiosamente
equivalente a “povero diavolo”). Ancora, potrebbe fornire dati
rilevanti uno studio comparato dell’atto linguistico nelle varie
religioni, se, come ipotizzo nel capitolo quarto, la sua ampia
presenza e significatività all’interno della religione cattolica
ha un peso tra i fattori determinanti la bestemmia. Infine, uno
studio aggregato del lessico interdetto nelle varie lingue porterebbe
forse a scoprire una complementarità fra la sfera dei termini
scatologici e sessuali, e quella delle parole religiose (ne potrebbe
essere un indizio, ad esempio, il fatto che la bestemmia è forse
l’unico caso, per quanto metaforico, di una offesa rivolta al
padre: gli insulti, normalmente, si rivolgono alla madre
dell’insultato), entrambe colpite da tabù. Gli sviluppi quindi
potrebbero andare sia in direzione di una maggiore aderenza ai dati,
che di una più ampia speculazione teorica. Questo lavoro, in assenza
di studi specifici, ha cercato per il momento di bilanciare le due
componenti.