4. Potenze dell’impurità primordiale
nella Qabbalah spagnola

Abbiamo parlato di tre diverse concettualizzazioni cabbalistiche, secondo le quali il male sarebbe anteriore ai principali o a tutti i processi cosmogonici e teogonici. Non è facile operare una distinzione o una separazione tra i temi che animarono tali discussioni: in questa sede si è proceduto euristicamente, in modo da mettere in luce le probabili affinità tra le fonti precabbalistiche e le trattazioni cabbalistiche che ritengo pertinenti alla questione, per delineare così una storia della Qabbalah diversa da quella seguita dalla maggior parte degli studiosi. Ciò non significa che i testi precabbalistici di cui si è parlato fossero le fonti effettive dell’ispirazione dei primi cabbalisti, ma la loro esistenza indica che probabilmente i maestri medioevali non le avevano create di sana pianta. Comunque, in molti casi le tre concezioni compaiono simultaneamente, come abbiamo già osservato. Nel presente capitolo e nel successivo presenterò ulteriori materiali relativi al tema del male primordiale, in alcuni dei quali si trovano congiuntamente alcuni elementi delle tre formulazioni.

1. Ya‘aqov ben Ya‘aqov ha-Kohen
e suo fratello Yitzḥaq ha-Kohen

Sebbene le prime opere cabbalistiche, composte in Provenza e Catalogna, contengano già diverse discussioni relative al male e al male primordiale, le trattazioni più elaborate del tema sono il risultato dell’attività speculativa di autori castigliani, alcuni dei quali già menzionati. Vorrei ora concentrare la mia attenzione su tradizioni cabbalistiche castigliane spesso trascurate dalla ricerca contemporanea. L’analisi specifica dei materiali prodotti in Castiglia è molto rilevante perché essi costituiscono le fonti principali delle teorie relative al male primordiale sviluppate dalla Qabbalah di Safed, dal sabbatianesimo, dal frankismo e dal hassidismo. Altri centri cabbalistici, come l’Italia o Bisanzio, non mostrano invece interesse per tali concezioni e crearono teorie autonome, indipendenti da quelle della Qabbalah spagnola.

In una serie di studi fondamentali apparsi in ebraico negli anni ’30 del secolo scorso, Gershom Scholem identificò, pubblicò e analizzò vari trattati attribuiti a Ya‘aqov ben Ya‘aqov ha-Kohen di Soria, a suo fratello Yitzḥaq, probabilmente attivo qualche tempo a Béziers, e a un loro allievo, Mosheh ben Shim‘on da Burgos, noto anche come «Chinfa».693 I tre autori fiorirono, probabilmente, tra il 1250 e il 1270 e uno dei seguaci di Mosheh da Burgos, Ṭodros ha-Levi ben Yosef Abulafia, mostra di aderire alle loro concezioni ancora negli anni ’80, nonostante la sua evidente familiarità con tradizioni geronesi, come vedremo tra breve. Dato lo spiccato interesse di questi maestri per le teorie relative all’origine e alla struttura delle forze del male, Scholem li definì «gnostici» e con tale epiteto continuò a essere designata la loro scuola nella ricerca successiva.694

Secondo quanto afferma lo stesso Yitzḥaq ha-Kohen, egli si sarebbe trovato a visitare varie città della Francia centrale e della Provenza con il fratello, ove i due avrebbero scoperto documenti relativi alla struttura di mondi demonici.695 Anche se c’è motivo di dubitare della piena attendibilità di questa testimonianza, essa conforta i testi di Agobardo di Lione e di Ya‘aqov ben Re’uven, analizzati nei capitoli 1 e 3, in cui gli autori sostengono l’esistenza di teorie sul male primordiale in Francia prima della manifestazione della Qabbalah.

In uno degli scritti pubblicati da Scholem, da lui attribuito a Ya‘aqov ha-Kohen, leggiamo che Dio «costruiva mondi nel suo pensiero e li distruggeva».696 In questo contesto non si fa alcuna allusione all’origine del male, ma si afferma comunque che il pensiero divino è il luogo in cui si verificano eventi rovinosi. Di contro a quest’interpretazione noetica del midrash, che trova paralleli nei due autori discussi nel capitolo procedente, ecco un passo cruciale del fratello Yitzḥaq. A suo dire, il nome dell’arcangelo designato alla guida delle schiere della terza legione di potenze demoniche, ritenuta la più nociva, è ‘Iti’el.697 Quest’emanazione di potenze malvagie terribili doveva estinguersi immediatamente dopo la sua creazione. Leggiamo nel passo che tali legioni in realtà erano mondi, una specie di eoni:

 

Erano quelli i mondi di cui i saggi, di benedetta memoria, affermarono: «Egli costruiva mondi e li distruggeva»698 e una prova di ciò è addotta nel Midrash Ḥazit699 dal versetto del libro di Giobbe [22, 16] «che furono portati via prima del tempo, quando un fiume si era riversato sulle loro fondamenta»: gli illuminati intenderanno. Dopo la distruzione dei mondi...700

 

Ritroveremo in altri testi il motivo della terza schiera (delle dieci emanate) come luogo in cui si è compiuta la distruzione dei mondi. Mi preme sottolineare l’esistenza di una concezione parallela nella teologia dell’ismailiyya, secondo cui al livello della terza emanazione ha luogo una trasgressione.701 Penso che il nome ‘Iti’el, usato per designare il capo delle schiere demoniche e assegnato alla terza schiera, sia in qualche modo connesso al passo di Genesi rabbah in cui si discute il concetto del tempo, utilizzando anche il ben noto passo del Qohelet in cui ricorre più volte il termine ebraico ‘et («tempo»). Non c’è dubbio che qui si faccia allusione a una dottrina segreta, come indica l’accenno agli illuminati.

2. David ha-Kohen: l’anteriorità delle forze dell’impurità

In alcuni codici, il più significativo dei quali è il Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859,702 ricorrono tradizioni relative al manifestarsi delle forze del male prima di quelle del bene. La maggior parte di tali testi è anonima ma in alcuni casi se ne possono identificare gli autori.703 Per vari motivi pare plausibile l’attribuzione delle diverse formulazioni di questa teoria, che tradurrò qui di seguito, a una cerchia di cabbalisti associati a David ha-Kohen, rabbino catalano, discepolo del Nahmanide e forse anche degli allievi di quest’ultimo, Yitzḥaq Ṭodros e Shelomoh ben Avraham ibn Adret.

David ha-Kohen fu rabbino a Toledo dagli anni ’80 del Duecento.704 Fu in contatto con diversi cabbalisti castigliani e anche con Yitzḥaq da Acco, come vedremo, e gli insegnamenti anonimi nel manoscritto parigino potrebbero riflettere, a mio avviso, alcune affermazioni sue o di esponenti della sua cerchia. È evidente che alla base di alcune sue speculazioni sul male si devono porre materiali, linguaggio e temi zoharici, anche se la documentazione manoscritta pervenutaci non è a mio parere una semplice compilazione di concezioni precedenti ma contiene anche elaborazioni fin allora inesistenti nella produzione cabbalistica a me nota. In ogni caso, la densità statistica della ricorrenza di temi legati alla natura del male nelle poche pagine del manoscritto parigino è assolutamente inusuale nelle fonti ebraiche dell’epoca. Se ho ragione nel ritenere che l’autore dei passi anonimi sia David ha-Kohen, avremmo qui traccia di un interesse per il male primordiale nel periodo formativo della composizione della letteratura zoharica.

L’unica volta in cui si associa esplicitamente un nome a questa teoria è nell’interpretazione di una concezione, attribuita a ‘Azri’el da Gerona, espressa secondo modalità che difficilmente si adattano alla sua tipologia cabbalistica. Citerò di seguito solo la parte che appartiene, a mio parere, a David ha-Kohen:

 

[1] Le forze dell’impurità erano state emanate prima di quelle della purezza, come è scritto [Prv, 25, 4] «Libera l’argento delle sue scorie e solo allora portalo dall’orafo» e [come] è scritto [Gn, 36, 31] «Questi sono i re che regnarono sulla terra di Edom prima del regno di un re sui figli d’Israele». Tali forze governano di notte.705

 

Dato che questa è l’esplicita interpretazione di un testo anteriore e che il suo contenuto si avvicina ai passi che riporterò di seguito, tratti dal manoscritto parigino, ma non alla formulazione di ‘Azri’el, sono propenso ad attribuire il brano a David ha-Kohen. Quel che appare nuovo rispetto alle idee di ‘Azri’el discusse nel capitolo precedente è la citazione del tema dei re edomiti e l’uso dell’espressione «le forze dell’impurità». Dal punto di vista filologico, mi pare sospetta la ricorrenza dei due temi, propri della letteratura zoharica. Pertanto è problematica l’attribuzione del brano al cabbalista di Gerona.

Tengo a osservare che l’uso del termine «impurità» per alludere a potenze malvagie è diffuso nella Qabbalah e costituisce un nesso tra le speculazioni teosofiche e quelle ritualistiche, interessate alle categorie di puro e impuro. In tale ottica le discussioni di questi, così come di altri cabbalisti, confortano la connessione tra impurità e male. Inoltre l’associazione con la notte non dipende solo dalla volontà di collegare concetti negativi ma anche con la precedenza della notte rispetto al giorno, assegnata dagli ebrei al computo del tempo, un’ulteriore indicazione dell’anteriorità delle potenze negative.

Nella stessa miscellanea leggiamo, in un passo anonimo:

 

[2] Le forze dell’impurità sono state emanate prima di quelle della purezza, perché prima furono distinte le scorie706 e poi si manifestarono le forze pure. Per questo è scritto: [Prv, 25, 4] «Libera l’argento delle sue scorie e solo allora portalo dall’orafo» e ed è anche [il caso di] Caino e Abele. Caino venne prima dalle scorie del lato sinistro e solo allora fu creato Abele dal lato di Ḥesed; lo stesso vale [anche] nel caso di Esaù e Giacobbe. Si dice infatti che Esaù fu generato dall’impurità dell’oro ed ecco perché Isacco amava Esaù, perché uscì dai sedimenti del vino [shemarim] del padre.707

 

L’espressione «fu generato dall’impurità dell’oro» traduce una frase dal sapore aramaico, mi-zohamah di-dehavah nefaq, che suona a tutti gli effetti zoharica.708 Il significato della formula si comprende in funzione della simbologia teosofica dell’oro associato alla sefirah del giudizio, Gevurah, tradizionalmente riferita anche a Isacco, da cui sarebbe stato emanato Esaù al compimento di un processo di purificazione.709 È interessante che un altro cabbalista spagnolo, David ben Yehudah he-Ḥasid, di poco più giovane di David ha-Kohen, descrisse Esaù come zohamat ha-zahav, «scorie dell’oro».710 In ogni caso l’uso del termine pesolet riferito alla purificazione dei patriarchi attraverso la generazione di un primogenito malvagio è un concetto midrashico, assai diffuso nella Qabbalah castigliana del tardo Duecento.711

In forma ancor più elaborata leggiamo in un altro passo della stessa miscellanea:

 

[3] Prese le forze dell’impurità prima della [creazione] dell’edificio [binyan] perché, fin tanto che vi fu caos nel mondo, l’opera del firmamento [mele’khet shamayim] non fu visibile nel mondo712 ma quando Egli sradicò, cioè eliminò, le scorie del caos e i suoi sedimenti, l’opera del firmamento divenne visibile ed è la volontà del re che non si faccia più menzione dei rifiuti [ashpah].713 Invero, questo714 si può trovare nel caso di Caino e Abele. Caino nacque per primo; analogo è il caso di Esaù e Giacobbe; ed è scritto [Prv, 25, 4] «Libera l’argento delle sue scorie e solo allora portalo dall’orafo» e anche [Gn, 36, 31] «Questi sono i re che regnarono sulla terra di Edom prima del regno di un re sui figli d’Israele».715

 

L’espressione ebraica pesolet ha-Tohu, che ho tradotto «le scorie del caos», ricorre altrove nella miscellanea, dove si legge «dalle scorie del caos, cioè dalla Teshuvah».716 Altrove nella stessa raccolta si trova l’espressione pesolet ha-Teshuvah, «le scorie dell’[ipostasi del] Pentimento», cioè la terza sefirah usata per alludere all’origine delle forze dell’impurità: «Il ferro [deriva] dalle forze dell’impurità, perché è tratto dalla polvere, cioè da Teshuvah, in quanto le forze dell’impurità sono state emanate dalle scorie di Teshuvah».717

Dello stesso tenore sono le seguenti affermazioni all’interno del codice parigino:

 

[4] E quanto si legge che «Costruisce mondi e li distrugge»718 è un’allusione alle forze dell’impurità che furono dapprima emanate e [poi] soppresse ed è a questo proposito che si legge [Gb, 22, 16]719, «che furono portati via prima del tempo, quando un fiume si riversò sulle loro fondamenta».720

 

Possiamo collegare l’attestazione nel passo della forma verbale boneh (lett.: «che costruisce»), già presente nel midrash, al sostantivo binyan («edificio») del passo 3. In entrambi i testi sembra che l’emanazione delle forze pure sia stata preceduta da quella delle forze impure. In effetti, almeno una volta nella miscellanea il cabbalista menziona il binyan ha-‘olam ha-ṭohorah [sic], cioè «la costruzione del mondo di purezza».721 Nel brano si scrive che le forze dell’impurità derivano la loro influenza dalla sefirah del giudizio.722 Si dovrebbe nuovamente ricordare che anche in questo testo il termine ‘et, «tempo», è riferito ai mondi distrutti.

L’attestazione frequente nella raccolta dell’espressione pesolet ha-Tohu dimostra che essa era considerata un tecnicismo. Non ho trovato la formula nei testi superstiti della Qabbalah catalana ma essa appare in una citazione da ‘Azri’el da Gerona, riportata dal cabbalista castigliano Ṭodros ha-Levi Abulafia. Questi ricorda il Commento alle leggende talmudiche dell’autore geronese e in un caso attribuisce al cabbalista un passo che contiene l’espressione «scorie del caos» che non compare nel testo dell’opera originale, nella forma in cui ci è pervenuta.723 Dato che possediamo un solo esemplare manoscritto che trasmette il Commento di ‘Azri’el, è difficile sapere se Ṭodros Abulafia ne avesse un’altra versione o se fosse stato lui a inserire l’aggiunta. In ogni modo è interessante che David ha-Kohen da un lato facesse riferimento a ‘Azri’el e dall’altro fosse in contatto con Ṭodros Abulafia, come vedremo nel prossimo paragrafo. Se fosse stato il cabbalista di Gerona la fonte dell’espressione qui presa in esame, avremmo un ulteriore esempio dell’influenza della teoria provenzale-geronese del male sulla Qabbalah spagnola. Comunque sia, è possibile cogliere alcune affinità terminologiche tra le miscellanee di materiali esoterici e i commenti alle leggende talmudiche dei maestri catalani.

I testi citati descrivono sostanzialmente l’avvio del processo della creazione dalla terza sefirah, Binah, definita Teshuvah qui come in molti altri esempi della Qabbalah delle origini. È interessante il passo della miscellanea in cui si legge: «ovunque [si parli di] Nihil724 è un’allusione alla Teshuvah».725 Quindi il male potrebbe manifestarsi da una causa molto elevata, il Nihil divino. Da questa sefirah vennero emanate le potenze impure prima delle sefirot della struttura, cioè prima che fossero emanate le sette sefirot inferiori. Dunque il processo di purificazione inizia a questo livello e continua al livello delle sefirot inferiori, come abbiamo appreso da altri testi precedentemente analizzati. Ecco spiegato il riferimento a Isacco che fu purificato dopo aver dapprima emanato Esaù. Possiamo pertanto parlare di un processo molto esteso, che non si limitò solo al primo atto emanativo ma proseguì nei successivi: prima che ognuno di essi fosse compiuto era necessario rimuovere l’impurità. Non si creava una purificazione totale, dato che prima del successivo atto creativo occorreva un’ulteriore purificazione. In effetti, secondo alcune affermazioni della miscellanea, anche all’interno dell’ultima sefirah vi sono potenze malvagie.726 Questa interpretazione si fonda dunque sull’idea di un processo costante di eliminazione di materiale impuro, una specie di catarsi continua, che ricorda la rimozione di parti di pietra necessaria alla creazione della scultura finita. A differenza di quest’ultima, però, qui è come se le scorie eliminate mantenessero la loro forma specifica e continuassero a svolgere un’importante funzione anche dopo la loro rimozione. Questo processo continuo di eliminazione del male necessita un sistema teosofico di potenze malvagie corrispondente alla struttura sefirotica.

Due sono i denominatori comuni alle quattro citazioni: tutte costituiscono tentativi di spiegare affermazioni canoniche, derivanti dalla Bibbia e dalla letteratura rabbinica, sulla base di un principio generale, cioè che la manifestazione delle potenze malvagie precede quella delle forze positive. È altresì evidente che in tutti i testi ricorre l’espressione «forze dell’impurità» (koḥot ha-ṭum’ah) e talora la formula «forze della purezza» (koḥot ha-ṭohorah). Date queste affinità e considerato che tutti i brani sono contenuti nella stessa miscellanea, sono fortemente propenso ad attribuire queste affermazioni allo stesso autore, David ha-Kohen, o comunque a un membro della sua cerchia. Si aggiunga inoltre che spesso nella stessa raccolta l’alternanza del dominio di forze pure e impure in vari segmenti temporali è un principio esegetico importante.727

Poiché i testi qui analizzati trattano dell’autogenesi divina, sia le forze pure sia quelle impure rappresentano aspetti dell’entità divina che diventano buoni o cattivi dopo la loro separazione. La sostanza divina è dunque differenziata in due sistemi teosofici paralleli ma diametralmente opposti. Identica è la loro struttura, ma il loro carattere differisce radicalmente. Come si è osservato, le potenze impure sono il risultato della separazione delle scorie prima della creazione delle potenze pure. Quella descritta da David ha-Kohen è a tutti gli effetti una differenziazione materiale. Il parallelismo tra sistemi buoni e cattivi non comporta tuttavia una battaglia mitica e neppure un antagonismo pronunciato. La loro relazione è come regolata da un’alternanza nel governo dei mondi. Non si menziona alcun nome di potenza malvagia, come Sama’el o Lilit. Il termine «neutro» koḥot («forze, potenze») è indice di questo atteggiamento non mitico e non conflittuale.

La coppia di espressioni antitetiche koḥot ha-ṭohorah e koḥot ha-ṭum’ah ricorre nella produzione cabbalistica successiva di Yosef Giqatilla728 e nell’opera di Menaḥem Recanati729 ed ebbe un’influenza determinante sulla terminologia del regno del male in alcune forme posteriori di Qabbalah influenzate dai due importanti cabbalisti. Particolarmente evidente è il ricorso a tale terminologia nei trattati bizantini tardo-trecenteschi Sefer ha-qanah e Sefer ha-peliy’ah. Questo modo di riferirsi alle forze negative, basato su princìpi rituali piuttosto che cosmici, riflette il tentativo di interpretare il rito per mezzo di una determinata cosmologia.

Il mito dei mondi distrutti di Genesi rabbah fu interpretato variamente dai cabbalisti, come abbiamo visto in questo capitolo e nel primo. In questo e nel prossimo paragrafo ci concentreremo su una concezione orientata in senso filosofico, che gravita attorno al tema della creazione come attualizzazione e che ricorre anch’essa nel contesto di una visione catartica in uno degli insegnamenti cabbalistici conservati in forma anonima nel manoscritto parigino. Prendiamo, ad esempio, il seguente testo:

 

«[Dio] crea mondi e li distrugge», perché il re superno730 creò un mondo completamente spirituale e puro in cui ogni cosa era in potenza, tranne le cose che non si erano rivelate, ed Egli lo distrusse. Creò poi un mondo più sottile ma non sottile come il primo e questo è il motivo per cui le materie furono rivelate, ma dato che erano solo in potenza Egli lo distrusse. Poi creò questo mondo spirituale e materiale e le cose rivelate in esso, tutte passate dalla potenza all’atto, ed esse si mantennero ed ecco perché è scritto: «questi [mondi] mi sono piaciuti ma quelli non mi sono piaciuti».731

 

Come abbiamo osservato nel capitolo 1, l’interpretazione zoharica del passo midrashico dei mondi primordiali distrutti si fondava sull’idea di una mancanza, causata dall’assenza di una struttura maschile/femminile e dal vano spargimento di seme maschile. Qui, invece, si offre un’altra motivazione: l’eccesso di spiritualità non consente l’attualizzazione di quanto è in potenza ed è necessario un mondo più materiale per la persistenza della creazione nella sua forma attualizzata. Mentre l’interpretazione aristotelica più comunemente accolta nel Medioevo tra gli ebrei dava per scontata la superiorità dello spirito sulla materia e affermava che la forma più attualizzata di esistenza è quella spirituale, qui sembra che si assegni un ruolo molto più positivo alla materialità, come precondizione per l’attualizzazione o per la rivelazione. In ogni caso, Dio pare compiacersi di un mondo la cui esistenza dipende tanto dalla materia quanto dallo spirito. Pur non criticando la spiritualità in sé, l’anonimo cabbalista, nell’interpretare il midrash, assegna un ruolo all’esistenza materiale. La necessità della materia per la manifestazione dello spirito ricorda comunque un’analoga concezione che appare nello zoroastrismo, come vedremo in dettaglio nell’Appendice 1. I mondi precedenti sono implicitamente considerati effimeri, dato che scompaiono dopo la loro distruzione.

Mi pare che quest’ultimo passo rifletta una tradizione diversa da quelle attestate nei quattro brani dello stesso manoscritto tradotti in precedenza. Abbiamo qui una spiegazione orientata in termini più filosofici che ricorda alcuni temi affrontati nel capitolo precedente, in cui non si fa ricorso alla terminologia delle forze dell’impurità. Già nel Trecento, dunque, all’interno di una stessa miscellanea che attinge a diverse scuole cabbalistiche si erano fuse differenti interpretazioni dell’anteriorità del male.

3. Le testimonianze di Yitzḥaq ben Shemu’el da Acco

In contatto diretto con David ha-Kohen fu il ben più noto Yitzḥaq ben Shemu’el da Acco.732 Della loro relazione parleremo ancora nel prosieguo di questo paragrafo. Yitzḥaq conosceva bene la scuola di Gerona, ma anche il Nahmanide e la Qabbalah castigliana, nonché alcune sezioni della letteratura zoharica. Seguendo la «Qabbalah di Sefarad», termine che, come si evince dal contesto, designa l’area della Castiglia, egli ricorda «i gradi esteriori, la cui esistenza precedette l’esistenza degli attributi divini, santi e interiori, come ti è noto dal segreto dell’affermazione “Creò mondi e li distrusse”».733 Questa sorprendente diagnosi dell’interesse variegato che caratterizzò la Qabbalah castigliana viene da un autore che vagò molti anni per i vari centri della cultura ebraica e pertanto è particolarmente significativa. Per il momento direi che è la prima articolazione di quello che poi diverrà una specie di detto: «la scorza precede il frutto», uno dei motivi centrali della nostra analisi. In uno dei suoi scritti troviamo il seguente passo:

 

Ho sentito dalla bocca del pio R. David ha-Kohen, che Dio lo custodisca, che R. Ṭodros ha-Levi, che Dio lo custodisca, gli diceva che c’era una grande questione all’estremità delle sefirot, dall’esterno, intorno a esse, di cui non si accorgono734 i cabbalisti illuminati che si occupano delle dieci sefirot. Ma non voleva spiegargli a che cosa si riferisse. In seguito gli disse:735 «Sappi che Nahmanide ha accennato a tale questione nella pericope Naśo, a proposito della donna sospetta d’adulterio (soṭah)».736, 737

 

Allievo del Nahmanide, David ha-Kohen fu rabbino a Toledo e dunque formalmente qualificato a ricevere ogni specie di conoscenza esoterica dal suo maestro. Benché si interessasse di Qabbalah, la sua formazione catalana nella dottrina evidentemente non era sufficiente per introdurlo alla teoria castigliana delle potenze esterne al sistema sefirotico e Ṭodros ha-Levi Abulafia fu restio o comunque esitò a rivelargli la sua conoscenza esoterica in proposito, ereditata dal padre, Mosheh da Burgos. Se la prima parte della discussione mostra un Ṭodros superiore a David, propongo di leggere la seconda parte come una risposta del secondo al primo. Anche se l’interlocutore non è chiaro, la considero una risposta di David a Ṭodros, in cui si allude al fatto che Nahmanide, con la cui dottrina esoterica David aveva familiarità, aveva accennato a una certa teoria del male ma aveva preferito parlarne solo brevemente nel suo Commento al Pentateuco, senza rivelarne il contenuto, come aveva fatto invece in molti altri casi.738

Subito dopo il passo citato, Yitzḥaq ammette, a quel che sembra ancora una volta nella scia di Ṭodros, che «esistono grandi saggi cabbalisti che non parlano che di YHWH.739 Si mantengono740 al livello delle dieci [sefirot] della purezza e non scendono ai livelli inferiori».741 Secondo questa formulazione, le potenze malvagie non sarebbero anteriori ma inferiori alle dieci sefirot sante. Comunque sia – come ha dimostrato Yehuda Liebes –, Ṭodros Abulafia fa cenno anche ad altre teorie del male, probabilmente ereditate da fonti non identificate.742

Una delle discussioni più affascinanti sulla precedenza delle forze impure rispetto alle sefirot sante appare in un passo dell’Otzar Ḥayyim di Yitzḥaq da Acco, che a mio parere dà prova di un suo uso originale della teoria dell’anteriorità:

 

Ho visto con i miei occhi l’albero dai fiori e dal profumo squisiti che in arabo si chiama gasmin [«gelsomino»] ... e in ebraico havatzelet743 ... e ho contemplato ... il colore e l’essenza delle sue foglie e dei suoi fiori, cioè dei suoi rami, cogliendovi un’allusione alle dieci sefirot belimah ... e mi sono accorto che il suo candore non è assoluto ma è misto a un po’ di rosso ... perché tale è il colore di questo fiore. Finché è chiuso nel suo involucro è rosso, un rosso molto acceso, perché il suo involucro è di tale colore, anche se di per sé il fiore è bianco, come ho detto, ma nonostante sia bianco il suo stelo resta rosso. Ora porgi ascolto al segreto cui si allude qui: le nove foglie alludono alle nove sefirot da Ḥokhmah a Ḥokhmah744 e il fiore in sé è Keter, dato che da lì sono emanati [gli attributi di] Din e Raḥamim [Giudizio e Misericordia], così come le schiere esteriori e quelle divine. Il colore rosso del fiore indica la precedenza con la loro esistenza [sic] rispetto alle dieci sefirot belimah pure e sante e l’anteriorità dell’inclinazione al male rispetto a quella al bene, come si legge [Gn, 8, 21] «perché il cuore dell’uomo è incline al male fin dalla sua giovinezza», mentre il suo candore allude ai santi attributi divini. Ecco ciò che ho visto in questo fiore.745

 

Il passo non è affatto consueto nella letteratura cabbalistica. Non vi si interpreta un testo canonico, né si offre una speculazione metafisica o teosofica. Per la prima volta è la contemplazione della natura, in questo caso della struttura di un fiore, che dà avvio al discorso cabbalistico. Ovviamente il codice di cui si serve Yitzḥaq era già stato articolato in precedenza ed egli doveva ritenerlo attendibile, al di là dell’interpretazione della Scrittura. In altri termini, la precedenza del male per l’autore non è solo un problema teosofico, storico o sacro, ma riguarda la struttura stessa di alcuni aspetti della natura.

Una concezione che associa effettivamente il male con la prima manifestazione divina, forse diversa dalla volontà divina (implicitamente intesa come superiore), senza fare menzione del pensiero divino, ricorre sempre nell’opera di Yitzḥaq da Acco ed è ispirata al pensiero di un contemporaneo più anziano del cabbalista. Leggiamo nel suo Commento al Sefer Yetzirah, che in genere si pone sulla falsariga della stessa opera composta dal provenzale Yitzḥaq il Cieco e di cui parleremo ancora:

 

Si legge [Sefer Yetzirah 1, 4]: «la profondità del bene e la profondità del male» – dato che dall’inizio della volontà [divina]746 e fin dalla prima emanazione747 si sono manifestate tutte le necessità dei mondi, una cosa e il suo contrario, benché fosse semplice. Ma non dice che è impossibile e si afferma a proposito della prima luce, come è scritto [Gn, 1, 3] «e il Signore separò la luce dalle tenebre» e la luce si riferisce al bene e le tenebre al male. Questo è ciò che disse il profeta [Is, 45, 7]: «Forma la luce e crea le tenebre, fa la pace e crea il male» ... Qui afferma che il bene e il male sono una cosa sola e non dovresti errare sostenendo che sono due potenze, Dio ne guardi, dato che entrambe trassero origine dalla volontà [divina], nonostante il fatto che essa sia una cosa semplice, tanto che un intelletto la può sostenere ... e nel Bahir è stata ampliata quest’interpretazione, poiché vi si legge:748 «insegna che dal luogo in cui Egli dà origine al bene ha dato origine anche al male», come anche [Is, 45, 7]: «Io sono il Signore, che faccio tutto questo».749

 

Come in altri casi,750 Yitzḥaq da Acco si preoccupa di questioni sollevate da filosofi di sua conoscenza. Qui il problema è come possano originarsi due opposti da un’entità semplice.751 Fondandosi su due opere classiche, il Sefer Yetzirah e il Sefer ha-Bahir, l’autore riconosce che la soluzione va oltre i limiti della capacità di comprensione umana. In effetti, il concetto di consanguineità del bene e del male è del tutto ovvio. La sua tesi è che i due opposti siano derivati dallo stesso luogo, cioè della volontà divina: la loro subordinazione mitiga ogni pericolo di dualismo.752

Sono indubbie le differenze tra le tre citazioni precedenti, sebbene tutte esemplifichino l’influenza di tradizioni più antiche su cabbalisti poco creativi, attivi in una fase che può essere descritta come un «mosaico».753

Yitzḥaq da Acco si diffonde sugli stessi temi, pur offrendone interpretazioni diverse, in uno scritto anonimo conservatoci da un unico testimone. Dapprima egli rileva nella discussione di Genesi rabbah un’interpretazione simbolica delle serie di emanazioni delle dieci sefirot, una dopo l’altra, dato che le più elevate sarebbero state incomplete se non fossero venute a esistere quelle inferiori.754 Qui, però, non si fa cenno al problema del male. Tuttavia, più avanti si legge:

 

Quando sono arrivato [alla questione del] concepimento della moglie di Caino dal suo seme755 e alla prole che gli generò, mi sono accorto che nel passo si fa allusione ai gradi esteriori e a ciò che affermano nel passo del Qini [!] «che il Santo, benedetto sia, costruiva mondi e li distruggeva», dato che i gradi esteriori sono dieci e di essi i tre più elevati in realtà sono uno,756 cosicché [in tutto] sono otto, come i versetti che descrivono la progenie dal seme di Caino, che sono otto, dal versetto [Gn, 4, 17] «e Caino conobbe sua moglie ecc.» fino a «e Adamo conobbe di nuovo sua moglie» [ibid., 25], non incluso negli otto. Osserva che essi alludono ai gradi esteriori, dato che sette di essi sono corporei e da Caino al figlio di Lamec furono sette – Caino, Enoc, Irad, Mecuiael, Metusael, Lamech, Iuval – e furono tutti annientati e scomparvero, come se non fossero mai esistiti. Questo allude a ciò che affermarono i saggi757 che Adamo fu rimproverato [nazuf] per centotrenta anni e procreò dalla prima Eva, cioè da Lilit, il decimo dei gradi esterni, spiriti malvagi, che vennero meno e scomparvero. Questa [leggenda] allude al segreto di «crea i mondi e li distrugge» e alla santa emanazione, secondo il segreto degli attributi divini che durano in eterno. E quanto è stato detto dopo la descrizione della stirpe di Caino «Adamo conobbe sua moglie» [Gn, 4, 25] a mio parere allude al significato di «il Santo, benedetto sia, costruisce mondi e li distrugge» e all’appellativo del Santo «Primo Uomo». Come «mah Enosh» [Sal, 8, 5], così «mah Adam» [Sal, 144, 3] e Adamo è il nome YHWH758 e questo è quanto è stato detto a proposito del fatto che il Santo, benedetto sia, è il nome Adam Mah,759 che costruiva mondi, così come questi costruiva molti figli, perché i figli sono la struttura del mondo ... dato che chiunque mantiene in vita un’anima d’Israele è come se mantenesse in vita un mondo intero760 e chiunque distrugge un’anima d’Israele è come se distruggesse un mondo intero. Pertanto, durante i centotrenta anni in cui Adamo dette vita a figli indegni, costruiva mondi e li distruggeva perché essi non potevano procreare. Questo, secondo la mia modesta opinione.761

 

Come abbiamo osservato nel capitolo 1, la leggenda della relazione di Adamo con la prima Eva, Lilit, fu associata alla manifestazione delle forze del male prima di quelle del bene, attraverso il mito di Agrimas, primogenito di Adamo. In questo caso, però, l’interpretazione cabbalistica recepisce l’intero mito, a mio parere di origine zurvanica, che viene trasportato nella sfera divina. Adamo non è il primo uomo ma la divinità, rappresentata dal tetragramma, e i mondi, progenie di «Adamo», sono ora le potenze superne del bene e del male.

L’esercizio esegetico, che ricava dalla struttura interna dei versetti biblici la somma 7 + 1 = 8 e l’associa al numero dei versetti di Gn, 4 compresi tra le nascite dei due personaggi, dimostra l’ingegnosità dell’interpretazione, ma ancor più importante per il nostro proposito è il fatto che la chiave di tale interpretazione, ossia l’anteriorità del male rispetto al bene, era già presente nella mente del cabbalista, come abbiamo osservato nel passo relativo alla contemplazione e all’interpretazione del fiore di gelsomino. Può darsi che l’esame del numero dei versetti biblici sia in qualche modo influenzato da elementi ashkenaziti, dato che solo in tale contesto è importante ai fini esegetici lo studio delle simmetrie occulte, e Yitzḥaq da Acco annoverava tra i suoi maestri figure ashkenazite.762 Dunque, se la mia congettura è corretta, possiamo delineare una breve storia del mito zurvanico nel giudaismo medioevale: a partire dall’origine del midrash tardo di Agrimas, attraverso la sua ricezione in area ashkenazita e la sua migrazione in Spagna, fino al suo ingresso nella letteratura cabbalistica, attestato dal passo di Yitzḥaq da Acco – di epoca non successiva all’inizio del Trecento – e alla sua fortuna nella corrente luriana. Questo tragitto, che esclude le fasi iniziali della Qabbalah, testimonia la complessa evoluzione della dottrina quando, verso la fine del Duecento, si arricchì di una molteplicità di fonti diverse. Esso dimostra inoltre che nessuna storia unilineare può rendere giustizia allo sviluppo di alcuni motivi cabbalistici.

Quel che sembra caratterizzare la maggior parte dei passi analizzati in questo paragrafo sono gli elementi fortemente esegetici al loro interno. È difficile stabilire se sia venuto prima un principio metafisico che ha organizzato il discorso, imponendosi sui vari testi canonici assunti a fondamento della proposta interpretativa, oppure se siano stati alcuni modelli della tradizione testuale ebraica a dar adito all’adozione di un principio più generale, per spiegare i testi usati a fondamento dell’esegesi. Il problema è quale sia il principio cruciale al centro delle discussioni: la motivazione esegetica o quella metafisica. Non sempre è possibile rispondere a tale domanda. A mio parere, in questo caso è la tesi metafisica a causare la pratica esegetica e non il contrario. Comunque, per i seguaci di queste tradizioni, il genere esegetico veicolava il discorso metafisico.

A differenza dei testi descritti nel capitolo 1, in cui si afferma che il male deriva dal pensiero divino, qualunque sia il livello sefirotico di tale entità, i passi trattati in questo paragrafo descrivono una serie di atti che si verificano a più livelli. Il più importante è quello della terza sefirah, Teshuvah, dalla quale ha inizio l’edificio o struttura, cioè le sette sefirot inferiori. Questi insegnamenti differiscono dunque dalla visione della purificazione iniziata prima della manifestazione delle sefirot assolutamente pure, nella quale si fa riferimento solo alla prima sefirah. Il processo catartico, qui evidente, è stato relegato a un livello inferiore, la terza sefirah. Ciò nonostante, la designazione di quest’ultima come «Nihil», epiteto spesso attribuito alla prima sefirah, dimostra che l’anonimo cabbalista trasse ispirazione da una fonte che in origine doveva riferirsi a Keter. Si tratta di un evento paradigmatico, che avviene a più livelli: la catarsi iniziale non è mai definitiva ma viene iterata a ogni atto emanativo. Non è chiaro in quale misura abbia luogo la catarsi anche in circostanze non emanative, cioè in processi che hanno luogo nel mondo non divino.

Vediamo adesso un’altra interpretazione del mito di Genesi rabbah, attestata nella prima versione a stampa del Commento ai segreti cabbalistici che il Nahmanide avrebbe reperito nel Pentateuco: si tratta di un’opera di Shem Ṭov ibn Ga’on, intitolata Keter Shem Ṭov, ma assente in quattro dei più attendibili manoscritti da me visionati delle opere di quest’autore.763 L’edizione a stampa livornese del 1839, curata da Yehudah Qoryaṭ, è arricchita di glosse che non appartengono al testo originale di Ibn Ga’on, in una delle quali si legge:

 

A proposito di quanto dissero i saggi di benedetta memoria – «questo allude al fatto che esisteva un precedente ordine temporale»764 – si tratta del motivo per cui era passata una shemiṭṭah di anni. E c’è chi afferma che «costruiva mondi e li distruggeva» indica che erano passati cinquantamila anni, cioè un mondo. C’era anche una controversia tra il saggio [he-Ḥakham] di benedetta memoria e il Rabbi: quest’ultimo sosteneva che i mondi sono undici, diciotto mondi di mille, di cinquantamila anni, perché si parla di «migliaia» di anni. Ma io ho colto in «[Dio] costruisce mondi e li distrugge» un grande segreto: [l’espressione sarebbe da intendere] «mondi spirituali» [‘olamot ruḥaniyyot] e il segno è [Gb, 22, 16] «che prima del tempo furono portati via» e «quello era un ordine temporale» è anche come quanto si afferma «le hawayyot esistevano [già]»,765 secondo la Qabbalah che ho ricevuta, perché «[Dio] costruisce mondi e li distrugge» non contraddice ciò che affermano i saggi di benedetta memoria circa l’esistenza di un ordine temporale.766

 

A mio parere, nel passo si possono osservare giustapposte tre diverse concezioni cabbalistiche relative a profondi cambiamenti nelle sefirot. L’autore anonimo ha ricevuto una tradizione sull’esistenza di hawayyot anteriori al momento dell’emanazione, interpretazione tipica della Qabbalah geronese della cerchia di Yitzḥaq il Cieco, come si è visto nel capitolo precedente. Un’altra concezione si fonda sulla teoria nahmanidea delle unità cicliche cosmiche di migliaia di anni, fondata sul tema delle distruzioni dei mondi a causa di eventi astrologici/teosofici. Questi processi distruttivi riguardano esclusivamente le sette sefirot inferiori.767 Infine, ritroviamo il mito dei mondi creati e distrutti: dato che il versetto tratto da Giobbe è già citato nel contesto del passo di Genesi rabbah, è plausibile, come ha osservato Farber, cogliere l’influenza del brano precedentemente citato di Yitzḥaq ha-Kohen. Inoltre, secondo la studiosa, il mito della costruzione e distruzione alluderebbe a un processo avvenuto all’inizio dell’emanazione.768

Non posso stabilire l’identità del Rabbi citato nel passo, né mi è nota quella dell’autore della glossa inserita nell’opera di Ibn Ga’on. Mi sembra comunque significativo il confronto tra processi diversi che hanno luogo all’interno del mondo divino: l’emanazione dalle radici preesistenti alle sefirot che avviene al livello più elevato del mondo sefirotico, nella scia di Yitzḥaq il Cieco; i processi ciclici emanativi riferiti alle sette sefirot inferiori, derivati dalla scuola del Nahmanide; la discussione castigliana sulla costruzione e distruzione a un livello più elevato, forse quello della prima sefirah. L’autore riteneva che tali processi, diversi tra loro sia dal punto di vista storico sia fenomenologico, non fossero esclusivi e potessero essere integrati. Il mio punto di vista è tuttavia contrario a ogni tentativo di conciliare le tre concezioni, per ciascuna delle quali ritengo si debbano ricercare le fonti e i modelli strutturali utilizzati a loro fondamento.

Vorrei nuovamente sottolineare l’esistenza del modello esegetico articolato, fondato sulla concezione espressa, ad esempio, nel detto «la scorza precede il frutto», verso la fine del Duecento o all’inizio del secolo successivo.769 Nonostante la frequenza d’uso del principio, mi pare rilevante il fatto che negli scritti di quest’autore non compaia mai il detto nella sua formulazione effettiva e che egli non faccia mai uso del termine «scorza». Il modello esegetico di Yitzḥaq da Acco, elaborato da un maestro che aveva familiarità con la dottrina zoharica e le cerchie di cabbalisti attive in Castiglia alla fine del Duecento, può gettare luce sull’importanza, già in quell’epoca, della concezione del male anteriore al bene nelle sfere più elevate.770

4. Shem Ṭov ben Shem Ṭov [ca. 1380 - ca. 1440]:
il male e la contrazione di Dio

Una delle combinazioni più affascinanti delle più antiche teorie del male primordiale con altri temi cabbalistici che ebbero un impatto cruciale sull’evoluzione della corrente teosofica è quella tra la teoria dell’esistenza anteriore del male e quella dello tzimtzum (contrazione divina). Questa sintesi appare già all’inizio del Quattrocento negli scritti di uno dei pochi cabbalisti attivi nella Spagna dell’epoca, Shem Ṭov ben Shem Ṭov.771 Egli aderì sia alla teoria del male che precede il bene all’interno del processo teogonico sia a quella del processo di contrazione divina, attestate in fonti separate, da lui copiate o parafrasate. La sua autorità principale è il Commento al Sefer Yetzirah del Nahmanide, ove la concezione è presentata in una maniera piuttosto esplicita, destinata a influenzare altri testi. Ciò che caratterizza tali passi, raccolti sulla base di manoscritti e analizzati nel mio saggio sullo tzimtzum, è che questo processo si manifesta all’inizio dell’atto emanativo – in realtà lo precede – e non alla fine, come si sostiene in un testo di ‘Azri’el da Gerona. In tali documenti la contrazione è associata alla manifestazione delle tenebre o alla loro presenza.772

Passerò prima di tutto in rassegna l’interesse di Shem Ṭov per il tema del male primordiale. A proposito della teodicea, Shem Ṭov si pone la domanda teologica classica:

 

Dato che il Signore di Tutto è assolutamente perfetto e che nella Sua essenza si trova tutto, così come nell’effluvio che emana da Lui, come è possibile che gli opposti, le temurot, le cose cattive e la materia composita siano originati da un’[entità] semplice?773

 

La sua risposta è in primo luogo fideistica: proprio come è impossibile – scrive – conoscere il pensiero del Dio perfetto, così è impossibile sapere come il male derivi dal bene assoluto. In principio, le due potenze sono state create per corrispondersi reciprocamente, sì da permettere la retribuzione delle azioni degli uomini. Tale simmetria è espressa esplicitamente nei versetti del Qohelet e nel Sefer Yetzirah. L’autore ricorre anche alla teoria della precedenza dei re di Edom, pertanto è piuttosto evidente la subordinazione,774 poiché gli opposti hanno origine dall’inscrutabile «profondità della sapienza superna».775

Il cabbalista utilizza anche concezioni zohariche, inclusi alcuni passi dei Tiqqune Zohar, e una varietà di interpretazioni del male attestate nella Qabbalah castigliana.776 In un caso sostiene che la punizione di Rabbi ‘Aqiva, uno dei modelli della letteratura rabbinica, fu causata da un peccato che aveva commesso precedentemente, quando «si era spinto nell’oscurità e nelle scorie, nella prima fase» della sua esistenza.777 Qui il principio della trasmigrazione, che spiega il destino avverso del giusto, viene riferito alla fonte originale del male, un nesso che compare anche altrove nell’opera.778 Il grande maestro avrebbe dovuto sapere che il pensiero divino si espande negli opposti, pertanto avrebbe dovuto evitare di trasgredire; inoltre viene accusato di aver ignorato ciò che il cabbalista definisce ha-din ha-ne‘elam («il giudizio occulto»).779 Altrove, in un trattato anonimo attribuito a Shem Ṭov, l’autore spiega il significato del «giudizio occulto» associandolo alla «luce che occulta» (ha-or ha-mit‘allem),780 molto probabilmente identificabile con il pensiero divino.781 Ritengo che Shem Ṭov abbia ereditato anche una versione della tradizione di ‘Azri’el, in cui appariva un’identificazione meno articolata della sefirah superna con l’attributo del giudizio, concezione descritta nel capitolo precedente. Seguendo l’autore di Gerona, anch’egli presuppone l’esistenza di un’oscurità primordiale, forse più elevata della luce che occulta, e da questa oscurità primordiale sarebbero state emanate sia la luce sia le tenebre.782 In termini che richiamano ‘Azri’el, le tenebre sono descritte come luogo di «opposti e temurot» e anche l’ashpah midrashica appare qui riferita alle dieci sefirot nel loro status nascosto.783 In un passo dei suoi scritti egli si richiama ai «santi cabbalisti», secondo i quali:

 

Il profeta disse [Is, 45, 7]: «Forma la luce e crea le tenebre, fa la pace e crea il male». In seguito Egli formò la luce scintillante ... Creò le tenebre ... la luce che occulta, [anch’essa] oscurata [per] illuminare: da lì è stato emanato il male, cioè dal lato dell’oscurità.784

 

Così, sia le tenebre sia il male che ne deriva sono stati creati dalla «luce che occulta», cioè dalla prima sefirah. Chi sono i «santi cabbalisti»? Ritengo che alcuni siano gli autori dei brevi trattati appartenenti alla cerchia del Libro della contemplazione, dove ricorre il concetto di oscurità primordiale, come abbiamo visto sopra. Ma non è tutto, perché le loro concezioni sono espressamente citate dopo il passo precedente, e non contengono la presupposizione che la potenza del male emerga dalla luce che occulta.

Il confronto del documento con un testo parallelo conservatoci da un codice frammentario – il Ms. London, British Library 771 – può rivelarsi significativo: in esso Avraham ben David da Posquières, padre di Yitzḥaq il Cieco, viene menzionato nel contesto della descrizione della prima sefirah, intesa come «luce che occulta».785 Dalla comparazione dei due passi comprendiamo che Shem Ṭov attribuisce ad alcuni cabbalisti un nesso tra la luce che occulta e il male e, benché l’espressione «luce che occulta» appaia anche in altri ambiti, tale connessione è documentata solo nella scuola di Avraham ben David. Si dovrebbe considerare che il termine «luce che occulta» ricorre nell’opera ampiamente diffusa di ‘Azri’el Sha‘ar ha-sho’el e nel suo Commento alla liturgia quotidiana, che Shem Ṭov impiegò nella sua speculazione.786

Se è corretto attribuire la connessione tra luce che occulta e male primordiale ad Avraham ben David – ma l’accertamento di tale attribuzione necessita ulteriori ricerche –, diventa allora più plausibile l’ipotesi che anche suo figlio, Yitzḥaq il Cieco, l’abbia adottata e trasmessa ai suoi discepoli a Gerona, come si è visto nel capitolo precedente. Ricordiamo che Shem Ṭov fece ricorso ad alcune delle formule caratteristiche della Qabbalah geronese,787 unificando per la prima volta in maniera tanto coesa tradizioni cabbalistiche catalane e castigliane sul male primordiale.

Per quel che a noi interessa in questa sede, a proposito delle forze del male apprendiamo che:

 

... il detto di Rabbi Eli‘ezer788 che il mondo fu creato nel pensiero e che Egli lo incise di fronte a sé dovresti capirlo sulla base dell’espressione [Es, 32, 4] «e lo plasmò con un cesello [wa-yitzer oto baḥeret]», cioè proprio come uno immagina nella propria mente e in accordo alle immagini interiori crea quelle esteriori, così le intelligenze prime furono emanate della massima sottigliezza e per mezzo di esse furono create quelle esteriori. E per fare un esempio di quanto sosteneva, disse che c’era un re che voleva costruire un palazzo ma se non avesse iniziato a incidere le sue fondamenta nel terreno non avrebbe potuto avviarne la costruzione; così avvenne nel caso del Santo, benedetto, che incise il mondo ma non poteva durare fin quando Egli non creò la Teshuvah.789 Quest’affermazione è uno dei più profondi segreti della Torah e nessuno osi interpretarlo chiaramente. Ma in generale da esso apprendiamo che questa luce790 è tutto ed è il fondamento di tutti gli esseri, buoni e cattivi, e di tutti gli opposti, pur essendo semplice.791 Ed ecco perché i saggi hanno detto:792 «Taci, taci, è così che è asceso al pensiero». E i saggi d’Israele hanno ricevuto [una tradizione] che si allude qui all’ascesa dei re delle nazioni dei gentili e a tutti gli ordini delle loro cose e che è a tale proposito che si legge [Dn, 2, 21]: «depone i re e li innalza» ed ecco perché il regno di Edom precede sempre il regno d’Israele ... e l’interpretazione è che il Santo, benedetto, costruisce i mondi793 e li distrugge e creandoli disse «Questo mi piace», cioè all’interno del pensiero superno si trovano, come una scorza rispetto al frutto, le radici dei gentili e il loro sistema, e sono come un saggio che pensa secondo immagini fittizie ma non si comporta di conseguenza. Analogamente ascesero al pensiero, dalla forza del pensiero, forme che non sono in grado di mantenere il mondo in essere794 e che sono i sistemi dei gentili. Similmente avviene per l’annientamento [afisah] che precede il mondo attuale, secondo [il principio di] governo [del mondo], benché la luce sia anteriore in virtù del[la sua] causa e rilevanza. Ecco spiegato il versetto «e il mondo era Tohu va-Vohu [e] oscurità e Dio disse: Sia luce» [Gn, 1, 2-3].795

 

Un punto di questo testo sembra espressione originale di Shem Ṭov: il confronto del pensiero divino cattivo con i pensieri falsi del saggio. Il cabbalista oscilla tra lo stato effimero di tali pensieri e il fatto che siano sistemi che appartengono ai gentili, certamente non effimeri.796 Ai fini della nostra trattazione è particolarmente importante l’interpretazione esatta del significato dei termini «annientamento» e «oscurità». Nessuno dei due dovrebbe essere reso come privazione assoluta. Nel caso dell’oscurità, il versetto biblico viene riportato per esemplificare il principio metafisico del male che precede il bene ed è questo termine a essere associato in un altro suo scritto alla natura dell’entità che si contrae. Si tratta di un lungo frammento conservato da alcuni testimoni, tra cui il Ms. London, British Library 771, ma che ricorre anche in altre formulazioni lievemente diverse. La versione del codice della British Library è stata pubblicata nella tesi di dottorato di David Ariel797 ed è stata ristampata di recente nella raccolta di opere cabbalistiche intitolata ‘Amude ha-Qabbalah.798 È solo in questo frammento che Shem Ṭov crea un nesso tra l’oscurità primordiale, che qui indica la prima sefirah, e il processo di contrazione della gloria divina, derivato da un’importante discussione del Commento al Sefer Yetzirah799 del Nahmanide, citato alla lettera;800 subito dopo aggiunge:

 

Quando ascese al pensiero puro di creare il mondo, la Sua Sapienza determinò [di farlo] fronte e retro, luce e tenebra,801 bene e male, materia e forma, misura e limite e, seguendo l’occultamento della gloria superna, fu emanata l’oscurità primordiale e dall’occultamento dell’effluvio fu creato qualcosa di simile a un luogo buio,802 che ha bisogno della luce di una candela per essere illuminato; ecco perché furono necessari la sapienza pura e lo splendore puro per dar forma a quei luoghi.803

 

L’occultamento (hit‘allemut)804 della gloria si pone in parallelo con l’espressione tzimtzem ha-kavod, cioè «contrasse la gloria» da un certo spazio, nella stessa pagina del testo. Si potrebbe pensare a questo come a un possibile significato della formula, già presa in esame, ha-or ha-mit‘allem, cioè «la luce occultata» o «luce che occulta» o «che si contrae» o, se seguiamo l’interpretazione della cerchia del Libro della contemplazione, addirittura «che ascende».805 In ogni caso, anche in queste opere la luce che occulta è associata alle tenebre.806 Inoltre, nel prosieguo della trattazione, l’autore ricorre varie volte, in contesti analoghi, al verbo tzimtzem:

 

«Non c’è niente al di fuori di Lui»807 ... Come ha potuto Egli creare dal nulla il Suo mondo [‘olamo]? Come un uomo che inspira808 e si contrae, in modo tale che una piccola [entità] possa contenere molto,809 così Egli contrasse la Sua luce nel palmo della Sua mano [ṭefaḥ]810 e il mondo rimase al buio e in tale oscurità Egli intagliò gli scogli e incise le rocce per estrarre i sentieri chiamati «portenti di Ḥokhmah», com’è scritto [Gb, 28, 11]: «e quel che è nascosto [ta‘alumah] porta alla luce».811, 812

 

Poco dopo si spiega che ta‘alumah («occultamento») simboleggia la prima sefirah. Mi pare che l’autore ricorra a un gioco di parole: il mondo, ‘olam, sarebbe stato creato (rinnovato) solo dopo l’eliminazione della luce e la manifestazione delle tenebre dalla ta‘alumah.813 Così, la concezione del male primordiale nella formulazione di ‘Azri’el da Gerona, risalente a due secoli prima, si coniuga qui, forse per la prima volta, con quella della contrazione, processo che s’immagina aver luogo all’interno della sfera divina più elevata. In altri termini, l’idea della scuola di Yitzḥaq il Cieco, filtrata attraverso i geronesi, del male superno inteso parte di un processo di limitazione della totalità infinita indipendente dalla contrazione da un certo spazio nello stadio iniziale dell’emanazione,814 viene integrata alla teoria nahmanidea dell’allontanamento della divinità da uno spazio primordiale, concezione in principio non finalizzata a spiegare l’apparire del male originale. Inoltre Shem Ṭov conosceva bene la terminologia della cerchia del Libro della contemplazione, anch’esso contenente tematiche presefirotiche.

Varie immagini e concezioni del brano appena citato sono derivate dalla produzione connessa a tale cerchia, in particolare da un testo intitolato Sefer ha-yiḥud ha-ammiti, che tratta della creazione di due «fonti», una della luce e una delle tenebre, corrispondenti rispettivamente a Rum ha-ma‘alah e a Ḥokhmah.815

In sintesi: abbiamo dapprima una contrazione, poi la comparsa delle tenebre, entrambi processi associati alla prima sefirah: solo durante la fase successiva appare la luce, riferita qui alla seconda sefirah. L’ingresso della «luce fulgida» nelle tenebre primordiali è l’inizio della creazione del mondo per mezzo della divisione e separazione di entità che si trovavano già nel luogo oscuro. Questa sequenza di tre eventi primordiali in un unico passo ci è trasmessa esclusivamente dal materiale contenuto nei manoscritti citati, mentre non si rileva nel Sefer ha-emunot, l’unica opera sistematica di Shem Ṭov, disponibile a stampa a partire dall’edizione ferrarese del 1556. Per il momento non è affatto chiaro come questa sintesi di fonti tanto disparate, fondata su ramificazioni diverse della Qabbalah geronese, abbia potuto attirare l’attenzione di Yitzḥaq Luria. Sembra però possibile che quest’ultimo abbia tratto ispirazione o da questo o da un passo parallelo per la concezione che avrebbe elaborato nella sua ben nota teoria dello tzimtzum.

Gli autori citati erano cabbalisti castigliani o comunque attivi nella regione. Questo tipo di Qabbalah, gravitante intorno ad alcuni nuclei sviluppati nel corso del Duecento – soprattutto miti zoharici –, continuò ad alimentare la creatività degli ambienti esoterici dopo l’espulsione degli ebrei dalla penisola iberica. Si tratta di un nesso cruciale per comprendere con esattezza lo sviluppo delle teorie del male nella Qabbalah di Safed.

5. Me’ir ben Yeḥezq’el ibn Gabbay: la scorza precede il frutto

Prenderò ora in esame una serie di testi scritti al di fuori della penisola iberica ma nei quali si riflettono concezioni di autori spagnoli. Inizierò da alcune opinioni presenti negli scritti di Me’ir ibn Gabbay, esule iberico attivo nell’Impero ottomano nel secondo quarto del Cinquecento e i cui influenti libri di Qabbalah si fondano essenzialmente su tradizioni cabbalistiche spagnole, benché l’autore fosse a conoscenza di forme dottrinali fiorite tra il Trecento e il Quattrocento in area bizantina.816

Ibn Gabbay è indubbiamente un conservatore, che sottolinea l’importanza dell’osservanza dei comandamenti per dar forma al regno divino (ciò che io definisco teurgia)817 e i suoi accenni all’anteriorità del male rispetto al bene non hanno niente di sovversivo: la precedenza temporale sarebbe sostanzialmente funzionale.

Benché esposto a varie concezioni relative al male, soprattutto quelle dello Zohar e di Yosef Alcastiel,818 la sua predilezione per l’argomento si fonda evidentemente sulla tesi che il male, cioè la scorza, precede il bene, cioè il frutto. È di particolare interesse la sua affermazione che tale anteriorità è «per natura».819 In un passo che coniuga alcune delle trattazioni precedenti sulla priorità del male nei processi teogonici e cosmogonici, egli scrive:

 

Dice Rabbi Yehudah ben Shim‘on in Genesi rabbah:820 non è scritto «che sia sera» ma «e che sia sera», il che significa che esisteva un ordine dei tempi anteriore. Rabbi Abbahu disse: è un’allusione al fatto che Egli costruiva mondi e li distruggeva, finché creò quelli di cui disse: «Questi mi piacciono mentre quelli non mi erano piaciuti».821 L’ordine dei tempi è il du-partzufin,822 attributo del giorno e della notte, la potenza inferiore del sole e della luna, da cui deriva il tempo, sia quello superno che quello del mondo inferiore. Le parole di Rabbi Abbahu sono mirabili, oscure e molto profonde e per questo è impossibile parlarne quanto sarebbe necessario. Ma, per rendere più efficace la [presente] discussione, accennerò ad alcune allusioni sottili, operando quasi un’esegesi. La mirabile Sapienza superna, il pensiero del Conoscente Perfetto, [volle] innovare la perfezione per perfezionare le creature e questa perfezione avrebbe concesso loro il libero arbitrio, a Sua immagine e somiglianza, in modo che esse Lo potessero imitare, mettendo loro di fronte tutte le vie, cosicché potessero optare per quella preferita, come è scritto [Dt, 30, 15]: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male». E dato che è così ed è impossibile raggiungere la perfezione senza di essa, Egli nella sua mirabile sapienza si dette daffare per innovare così gli esseri, sia quelli che derivano le loro radici dal bene sia quelli che derivano dal meglio,823 cosicché l’uomo possa contrarsi e stendere la sua mano verso tutto ciò che desidera, senza alcuna costrizione. Egli ha creato [innovato] esseri dai quali deriva vita e bene chiunque attinga da loro e, in opposizione ai medesimi, esseri da cui deriva morte e male chiunque attinga da loro e questi [ultimi] sono come una scorza per i primi ed ecco, vedi, la scorza viene prima perché serve a conservare il frutto; questo è nascosto all’interno ed essa è visibile all’esterno e ciò che è occulto all’interno è più prossimo e gradito alla causa prima, sia benedetta, e l’uomo è stato costruito e completato da entrambi e per questo in lui si trova sia ciò che è evidente sia ciò che è occulto, il corporeo e lo spirituale, quest’ultimo più prossimo e gradito, e in lui ci sono due dimensioni, l’inclinazione al bene e quella al male che permettono di risalire alle loro radici, ma l’inclinazione al male era anteriore perché così accadde anche alla fonte che l’ha emanato, che era anteriore. E nella narrazione della creazione tutto ciò si riflette nel segreto di Tohu va-Vohu, poiché questi mondi sono stati creati da lì e il Tohu precedeva il Bohu e le tenebre la luce. E dato che questi mondi sono stati creati dal Tohu, non hanno avuto alcuna durata perché, fin quando non si rivelò nell’alto la forma dell’uomo ed essa non fu costituita di [elementi] maschili e femminili, posti faccia a faccia,824 non poté esistere alcun essere. Ecco perché Egli distrusse quei mondi, dal momento che essi non potevano sostenere l’edificio.825 La struttura di sostegno consiste nella rivelazione della forma, la cui manifestazione è la perfezione e la correzione. E all’inizio della loro esistenza c’erano forze malvagie,826 contrarie, che distruggono gli esseri buoni, ed ecco perché Egli, sia benedetto, vide che in esse non può esservi esistenza ed è questo il significato dell’affermazione «non mi piacciono» ... perché ogni cosa dipende dal pensiero superno che nessun pensiero può afferrare.827

 

Si tratta di un pensiero chiaramente teleologico: il conseguimento della perfezione sarebbe impossibile se all’uomo non fosse stato concesso il libero arbitrio; la scelta tra bene e male necessita dunque una polarità cosmologica, che a sua volta rende necessaria l’ipotesi dell’esistenza di una polarità teosofica più elevata. Questi tre tipi di polarità – nel comportamento umano, nella struttura cosmologica e in quella teosofica – implica anche un’evidente polarità sessuale maschile/femminile, ritenuta assolutamente necessaria per l’esistenza stessa della realtà. Si tratta di affermazioni contenute in un’ampia serie di testi – biblici, rabbinici e, implicitamente, anche cabbalistici – che fungono da fondamento autorevole per questo assunto cruciale. Naturalmente è un’impresa esegetica destinata a rivelarsi artificiale, poiché è difficile servirsi di fonti composte in un arco di tempo tanto esteso come di seri fondamenti testuali. Il motivo è esplicitato in maniera ancor più palese nel brano precedente, in cui il principio dell’anteriorità del male sul bene è centrale all’intero discorso. Così, ad esempio, la polarità sessuale, che si basa sul presupposto che i fattori femminili siano negativi e quelli maschili positivi, non si applica alle narrazioni bibliche della creazione degli uomini nella Genesi, questione che viene tralasciata senza neanche un cenno di riferimento.

Sottolineo la natura funzionalista dell’interpretazione del male che precede il bene fornita da Ibn Gabbay. A suo avviso, l’anteriorità si spiegherebbe pensando alla scorza, la cui funzione è quella di preservare il contenuto, ciò che attenua la dimensione prettamente negativa del male. Nel passo non si rileva alcun tema catartico e non si fa alcun riferimento alla purificazione, mentre lo sforzo del cabbalista consiste nel delineare una certa visione dell’uomo, il cui libero arbitrio viene assicurato dalla struttura polare stessa dell’esistenza. Tuttavia, in un altro brano dell’opera possiamo reperire la presenza di questo elemento, comunque inserito in una struttura generale funzionalista:

 

... il segreto della materia è noto agli uomini saggi che conoscono il vero, dato che la parte della Torah chiamata precetti negativi ci ammonisce a impegnarci a osservarli, per allontanarci dall’impurità. Il segreto sono le scorie che sono state purificate ed evacuate, quelle da cui hanno origine tutti i desideri e piaceri della gente e che sono un ostacolo ... e poiché la scorza precede il frutto e l’oscurità la luce, è necessario che il timore del peccato associato con quel lato venga prima, secondo il segreto [del versetto di Gn, 25, 25] «e il primo uscì, rosso» e il suo frutto è rosso ... e precede l’uomo, tentando di indurlo al peccato.828

 

Nel passo si coglie apparentemente un nesso significativo tra male e precetti negativi, che servirebbero da strumento apotropaico. Altrove troviamo un ulteriore tentativo di descrivere gli opposti, entrambi creati da Dio, in cui si illustra ancora una volta il motivo della precedenza del male e della perfezione:

 

Iniziò dicendo che [Is, 45, 7] «Forma la luce e crea le tenebre, fa la pace e crea il male, Io sono il Signore, che faccio tutto questo». Disse che il Santo, benedetto sia, creò [innovò] gli opposti, sebbene Egli non sia soggetto a mutamenti829 e questa è la perfezione della creazione,830 dato che Egli ha creato [innovato] la luce da cui [derivano] la vita, il bene e l’esistenza eterna ... e ha creato [innovato] le tenebre da cui [derivano] la morte, il male e la corruzione. Ha creato [innovato] la pace, cioè ha tratto da quella luce l’attributo della pace e dalle tenebre l’attributo del male.831 «Io sono il Signore» – benché Egli non possa essere concettualizzato come soggetto a mutamenti, è stato Lui a fare tutto ciò ed è Lui la causa degli opposti, ma non cambierà né si moltiplicherà a causa loro.832

 

La potenzialità conflittuale degli opposti viene mitigata dal presupposto che essi contribuiscano alla perfezione (motivo su cui torneremo tra breve) e che siano generati da una divinità che non subisce la diversificazione dei suoi effetti. Qui appare evidente il concetto di subordinazione del bene e del male, così come quello della perfezione inclusiva.

Secondo una breve discussione attestata in un’altra opera di Ibn Gabbay, che segue la concezione zoharica, in futuro il frutto precederà la scorza e allora la prima cosa a essere rivelata sarà l’interno.833 In ogni caso, anche Ibn Gabbay si riferisce al motivo dello tzimtzum, seppur una sola volta,834 e non specula sul nesso possibile tra male e contrazione, pur essendo probabilmente a conoscenza del frammento del Ms. London, British Library 771.835

Una discussione molto significativa sul male si trova nel terzo e ultimo libro di Ibn Gabbay, Derekh ’emunah. Si tratta di un commento all’opera Sha‘ar ha-sho’el di ‘Azri’el da Gerona, uno dei trattati della Qabbalah delle origini che ebbero la massima circolazione. A proposito della terza questione – che nel commento compare come se fosse la seconda – del trattato di ‘Azri’el, relativa all’imperativo di credere alle dieci sefirot, Ibn Gabbay sostiene che esse sono necessarie perché si manifestino distinzioni tra le varie creature, una molteplicità ritenuta necessaria per la piena rivelazione della divinità:

 

Dato che senza creature non si potrebbe riconoscere la gloria, fu necessario [il processo del]l’emanazione ... la Sua gloria, la Sua unità, la Sua divinità si rivelerano e saranno viste dalle Sue creature e questo è il motivo per cui nel racconto della creazione furono necessarie dieci parole, che corrispondono alle dieci sefirot, dato che tutte le differenze delle creature, così come si manifestarono nel Suo pensiero puro, nella perfezione della creazione, si trovano in questa cifra ... poiché da ciò che è più semplice poteva derivare solo ciò che è semplice ... e dunque non vi sarebbe stato alcun riconoscimento della gloria dell’Infinito ... dato che la Sua gloria può essere vista e rivelata solo alle creature [costituite] di materia, compresi tutti gli aspetti e i modi ... la Sua sapienza comprese che [era necessario] creare [innovare] esistenze che comprendono [al loro interno] due cose, il bene e il male, dal momento che per loro mezzo si sarebbe rivelata la Sua gloria e la Sua divinità ... questa è la radice di tutte le differenze e i mutamenti di modi per migliorare le creature e perfezionare la creazione, così come ascese al pensiero puro.836

 

Per dare pieno riconoscimento alla gloria divina è necessario che le creature siano composte di bene e di male, il che è impossibile fintantoché non viene emanato un sistema gerarchizzato di dieci sefirot, che spiega la comparsa delle differenze tra le creature e anche il loro essere composte di bene e di male. Ovviamente il male fa parte delle creature e non della divinità ma, dall’altro lato, l’intera struttura è stata predisposta fin dall’inizio dal pensiero divino, cioè si trova al suo interno. In altri termini, anche il male, destinato ad apparire in seguito, è predeterminato. L’accento sulla necessità, da parte delle creature inferiori, di riconoscere la divinità nel quadro del perfezionamento della creazione, è evidente e viene iterato più volte. All’auto-manifestazione divina è necessaria una specie di panarmonia. Abbiamo qui una concezione simile a quelle di cui ci siamo occupati nel capitolo 1, secondo cui il male è necessario al perfezionamento della creazione, anche se qui la perfezione è necessaria anche per la piena rivelazione della perfezione della divinità. In altri termini, senza la preesistenza degli opposti – bene e male – non sarebbe possibile alcuna rivelazione, tema che riprenderemo più avanti a proposito del hassidismo. La necessità del male per l’auto-rivelazione ricorda Jacob Böhme e, nella sua scia, la concezione hegeliana della necessità del male per la rivelazione divina e per il processo dialettico. Il concetto di Entäußerung, l’esternazione derivante dall’autodeterminazione divina, pare anch’esso influenzato da materiali cabbalistici analoghi all’ultima citazione di Ibn Gabbay, per quanto si debba certo tener conto anche dell’idea di Böhme della volontà di Dio di rivelare.

Vorrei sottolineare ancora una volta il rapporto di continuità delle discussioni di Ibn Gabbay rispetto ai passi discussi precedentemente in questo capitolo. Nonostante la tragedia dell’espulsione dalla Spagna, è difficile discernere una differenza significativa tra le sue idee e quelle dei cabbalisti spagnoli attivi nella penisola iberica: la sua interpretazione dell’origine del male costituisce un sommario sofisticato delle concezioni precedenti, più che un tentativo di interrogarsi sul senso della storia o una risposta alle vicissitudini subite. Peraltro le sue discussioni sulla natura del male non svolgono un ruolo significativo, dal punto di vista quantitativo, nei tre libri di Qabbalah da lui composti.

6. Maṭaṭiyahu ben Shelomoh Delacrut

La maggior parte dei cabbalisti di cui ci siamo interessati finora erano di origine iberica. Alcuni furono attivi in Spagna, altri, dopo l’espulsione, proseguirono le tradizioni cabbalistiche spagnole in diversi centri ebraici, nell’Impero ottomano, in Africa del Nord, in Italia e, come vedremo nel prossimo capitolo, a Safed, ma anche in ambienti ashkenaziti europei. Maṭaṭiyahu Delacrut, un cabbalista lituano vissuto intorno alla metà del Cinquecento, studiò Qabbalah in Italia, dove si era recato a completare la sua formazione, prima di tornare nella natia Polonia, ove compose, tra l’altro, un commento a un testo classico della Qabbalah spagnola, il trattato Sha‘are orah di Giqatilla, opera che non adotta la concezione del male primordiale che appare nelle forme catalane o castigliane della dottrina. A proposito dei malvagi, nel suo commento Delacrut scrive:

 

I cabbalisti li hanno chiamati scorie e sedimenti e altri li hanno definiti superfluità dell’uomo superno, come peli o unghie che spuntano dal cibo cattivo che non si trasforma in sangue e carne o come le impurità dell’argento. Ci sono poi [malvagi] rappresentati come paglia rispetto al grano, che è ascesa al pensiero [divino] prima del regno delle forze della purezza, come la precedenza della pula rispetto al frumento e degli scarti rispetto al cibo.837

 

Mentre la prima parte della citazione tratta dell’apparizione tardiva del male nel quadro di un processo di separazione che lo distingue dagli aspetti positivi dell’emanazione, nell’ultima parte si mostra evidente la precedenza del male all’interno del pensiero divino rispetto al processo di emanazione. Il cabbalista segue una tradizione molto più antica, attestata nell’anonimo Sefer ha-yashar, in cui i malvagi sono descritti servendosi degli stessi termini usati nel brano appena citato.838 Nel libro l’autore scrive anche che

 

... le scorie del giudizio e i suoi gusci sono le forze che si manifestarono quando ascese al Suo pensiero, sia Egli benedetto, di creare il mondo per mezzo del giudizio e i pensieri del Santo, sia benedetto, non si vanificarono, si manifestarono e furono collocati sul retro dell’emanazione santa.839

 

Nello stesso contesto, l’autore afferma che «la scorza mostra per prima la sua azione». In altre due discussioni attestate in un’altra opera senza titolo, che a mio parere può essere attribuita a Delacrut, si legge:

 

Dato che esistono dieci schiere simili alle dieci schiere di santità ed emanazione e l’emanazione di tali forze, rappresentate allegoricamente dalle scorze del frutto, cioè dai suoi scarti, è rappresentata anche dalla feccia del vino, dell’olio e dell’olio puro ... e le scorze dei frutti non derivano altro che dalla potenza dell’albero che li ha generati. E per rendere la cosa più facilmente comprensibile all’intelletto si servirono dell’allegoria della vite, in cui si trovano rami, foglie ... e la scorza e l’intera totalità della vite e il bene era purificato dal male e il cibo dagli scarti, dato che tutte quelle potenze, se sono scorie, sono collocate intorno alle sefirot pure e aderiscono a esse. Dicono anche che erano ascese al Suo pensiero, per precedere il regno di un re nelle potenze pure, come l’anteriorità della pula rispetto alla paglia, della scorza rispetto al frutto e degli scarti rispetto al cibo: così Esaù nacque prima di Giacobbe e i re840 della distruzione di Edom prima del regno di un re in Israele e così l’inclinazione al male nell’uomo prima di quella al bene.841

 

La serie di immagini, già note da fonti precedenti ma qui amalgamate, costituisce una specie di sommario della lunga tradizione cabbalistica spagnola. Vorrei sottolineare nel passo il rilievo attribuito alla teoria della biforcazione delle due decadi. Le immagini della natura mostrano quanto fosse divenuto consueto il concetto di male primordiale anche nei centri ebraici distanti dal diretto contatto con la cultura spagnola. L’arrivo e l’impatto di tali concezioni nelle aree ashkenazite mostrano che esse erano note e accolte dalla generazione precedente a Böhme, anche al di fuori della ristretta cerchia di cabbalisti iberici.

7. Shemu’el ben Binyamin

In un’epitome dello Zohar scritta in ebraico del 1642, opera di un certo Shemu’el ben Binyamin, altrimenti ignoto, forse attivo in Polonia, leggiamo

 

Il fatto è che l’Emanatore, sia benedetto, ha emanato sia la santità, cioè il frutto, sia la scorza, cioè l’impurità, come era stato predisposto nella Sua Sapienza, benedetto sia, secondo quanto si legge [Gb, 14, 4]: «Chi può trarre il puro dall’immondo?842 Nessuno». Ecco il motivo di ciò che è scritto nella Torah nella pericope wa-yishlaḥ [Gn, 36, 31] «Questi sono i re che regnarono sul paese di Edom, prima che un re regnasse sui figli d’Israele», dato che la scorza precede il frutto e quando il regno della scorza fu completato iniziò il regno della purezza e il Santo, benedetto sia, distinse l’impurità dalla purezza e a questo si riferisce la testimonianza dei due capri e il fatto che si tira a sorte per decidere quale debba essere [sacrificato] a Dio e quale sia per ‘Azaz’el: cioè i due equivalgono a uno, dato che hanno avuto origine dalla stessa fonte.843

 

Nel passo si menzionano quattro coppie di opposti: santità-purezza/impurità; frutto/scorza; re ebreo/re edomiti; infine i due capri, che corrispondono alla polarità principale: Dio/‘Azaz’el.844 È evidente la radice comune, l’unità di puro e impuro alla loro origine,845 e forse si allude implicitamente anche al loro stato misto. Quest’interpretazione unificata si trova già in una delle prime discussioni cabbalistiche relative all’emergere dei due attributi divini, benché in quel caso non si faccia menzione di bene e male o puro e impuro.846 Si afferma con evidenza che, dopo la distinzione avvenuta tra i due princìpi, la potenza negativa precede quella positiva. Inoltre, l’idea che il regno del lato malvagio anticipi quello della purezza ricorda la concezione zurvanica secondo la quale il dominio di novemila anni di Ahriman precede quello di Ohrmuz.847 In ogni caso, la pseudo-simmetria ontologica è associata nel brano a una pratica religiosa specifica, il sacrificio dei due capri e, in tale prospettiva, l’atteggiamento binitario, per quanto mitigato dalla dottrina cabbalistica, è messo al servizio dell’interpretazione di un rituale ebraico, proprio come si è osservato precedentemente a proposito del passo dello Zohar relativo al sacrificio dell’olocausto.848 In entrambi i casi si fa riferimento a una situazione dinamica generata dall’opposizione tra due potenze che si confrontano durante l’evento cultuale.