Si veda ‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, p. 483. Si veda anche ibid., p. 505, ove l’autore si serve dell’espressione beli perud, cioè «senza separazione». Nella scuola del Nahmanide, tuttavia, si afferma che ogni ma’amar delle dieci espressioni creative dette vita a una hawayyah e le hawayyot sono definite sefirot. Dunque esse sono di necessità dieci o meno e non sono all’interno della sefirah Ḥokhmah, come nella scuola di Yitzḥaq il Cieco. Si veda, tuttavia, il Commento al Pentateuco del Nahmanide, in Kitve ha-Ramban, vol. I, pp. 15-16; Idel, Sefirot above Sefirot, pp. 244-249; E.R. Wolfson, By Way of Truth: Aspects of Nahmanides’ Kabbalistic Hermeneutic, in «AJS Review», XIV/2 (1989), pp. 158-159. Le hawayyot sono associate ai sette giorni della creazione dal Nahmanide e dai suoi commentatori, che dunque parlano di un livello inferiore nel mondo sefirotico, rispetto a quanto affermato dalla scuola di Yitzḥaq il Cieco. Si veda, tuttavia, lo pseudo-nahmanideo Commento all’opera della Creazione, che segue sul tema la posizione di Yitzḥaq il Cieco (Scholem, Meḥqere qabbalah, pp. 100-101).
Si veda ‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, pp. 483-484; Farber, The Shell Precedes the Fruit, p. 127, nota 60.
Scholem, Meḥqere qabbalah, pp. 29-30.
Si veda la citazione a nome di ‘Ezra in Ben Shesheṭ, Meshiv devarim nekoḥim, p. 124. Ibid., p. 125, le tenebre circondano il fuoco. Sembra che la fonte sia il commento di Rashi a Talmud Bab., Ḥagigah, 12a. Sul simbolismo delle tenebre nelle culture arcaiche si veda M. Eliade, Le symbolisme des ténèbres dans les religions archaïques, in Polarité du symbole, Brouwer, 1960, pp. 15-27.
Si veda anche ‘Azri’el da Gerona, Commentary on the Talmudic Legends, p. 93, ove si scrive che tutto si trova all’interno del pensiero divino, cioè Ḥokhmah, beli hefseq, «senza interruzione». Ibid., pp. 82, 104-105.
‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, p. 483.
Scholem, Meḥqere qabbalah, pp. 29-30. Ricordo che il gioco di parole solet/pesolet compare in una lettera scritta a Barcellona nella prima metà del Duecento, nel contesto di una controversia relativa a un evento poco chiaro avvenuto nella famiglia del Nahmanide. Si veda B. Septimus, The Conflict on the Public Authority in the Period of the Controversy on Maimonides’ Books, in «Tarbiz», XLII (1973), p. 400 (in ebraico).
‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, p. 483. Nel suo Commento alle leggende talmudiche, Ms. Parma, Biblioteca Palatina, De Rossi 1390, c. 115r, il più antico manoscritto datato che ci sia pervenuto dell’opera, appare la distinzione tra la seconda sefirah e un livello più elevato, definito maḥashavah ṭehorah («pensiero puro»).
Sulla Beriy’ah riferita a qualcosa di più elevato del «pensiero puro» si veda il Commento alle leggende talmudiche di ‘Ezra da Gerona, Ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ebr. 294, c. 37v. Talvolta nella scuola di Yitzḥaq il Cieco Beriy’ah è un atto di separazione e di purificazione, basato sulla pseudo-etimologia della radice BR’ interpretata come BRR. Si veda anche sotto, nota 573, l’interpretazione di questo verbo fornita da ‘Azri’el.
Si veda anche Kitve ha-Ramban, vol. II, p. 484.
Forse questa versione è scorretta e si dovrebbe intendere «un principio e un’emanazione», secondo la variante attestata in Avraham Axelrod da Colonia, Keter Shem Ṭov. Vajda, Commentaire d’Ezra de Gerone, p. 50, traduce un ensemble et une émanation. Si veda anche la nota seguente.
Kitve ha-Ramban, vol. II, p. 482. Il passo è stato copiato nel Keter Shem Ṭov di Avraham Axelrod da Colonia, nella seconda metà del Duecento. Se ne veda la versione pubblicata in ‘Amude ha-Qabbalah, p. 11. Occorre tener presente che nel testo compare esplicitamente la connessione tra male e purificazione, dato che l’autore si serve del verbo BRR; sarebbe stata dunque quest’opera a influenzare ‘Azri’el. Si veda Commentary on the Talmudic Legends, p. 104.
Si veda l’osservazione di Tishby in Commentary on the Talmudic Legends, pp. 85-86, nota 1. Si veda anche l’anonimo Commento alle dieci sefirot, più antico, copiato già nel 1298, conservato nel Ms. München, Bayerische Staatsbibliotek, hebr. 209, c. 37r. Sull’oscurità e le «essenze» si veda il passo di Scoto Eriugena, riportato in Idel, Sefirot above Sefirot, p. 242, nota 17, e Avicenna in Pines, And He Called out to Nothingness and It was Split, p. 341. Sulle hawayyot si veda anche ibid., pp. 267-268.
Kitve ha-Ramban, vol. II, p. 483.
Si veda anche ‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, p. 496.
Si veda anche il suo Commento all’opera della Creazione, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 311. Si veda anche il testo del responsum cabbalistico pseudepigrafo tradotto sopra, cap. 1, par. 8.
Commento al Cantico dei Cantici, p. 482.
Ibid., pp. 482-483. Il testo è stato parafrasato dal Nahmanide nel suo Commento a Giobbe, in Kitve ha-Ramban, vol. I, p. 69.
Cioè per le sefirot, citate prima nel testo.
Si veda l’epistola pubblicata da Scholem, Meḥqere qabbalah, pp. 32-33.
Sulla Qabbalah geronese si veda M. Idel, Some Remarks on Ritual, Mysticism, and Kabbalah in Gerone, in «Journal for Jewish Thought and Philosophy», III (1993), pp. 111-113; Idel, Kabbalah: New Perspectives, pp. 141-142.
Asher ben David: His Complete Works, p. 339.
Si veda Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 276.
Su questo cabbalista si veda, sotto, il rimando a Scholem e Tishby e Séd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, pp. 1-23; Valabregue-Peri, Concealed and Revealed, pp. 148-154; Afterman, Devequt, pp. 265-285.
Si veda Idel, Kabbalah: New Perspectives, pp. 141-142.
Sefer ha-Bahir, parr. 2-3, p. 119.
A settentrione, come vedremo sotto.
La prima parte del versetto è «Dominio e paura sono con lui», in contrasto con la sezione citata.
In ebraico śam, ma forse sarebbe meglio leggere śar, «angelo», come i due angeli menzionati prima ed è il terzo che domina: makri‘a.
La versione non è chiara. Si veda l’emendamento di Tishby, Commentary on the Talmudic Legends, p. 92, nota 10, che propone plausibilmente KḤ awir, cioè «la potenza dell’aria». Il passo successivo tratta di potenza e attualizzazione, rispettivamente intese come pensiero e azione.
Si veda l’espressione hitpashsheṭuṭ ha-ruaḥ, ricorrente più volte nella Qabbalah geronese (ad esempio, nel passo di ‘Ezra riportato da Tishby, ibid., p. 88, nota 2). Essa indica l’espansione della prima sefirah all’interno della seconda e il ruolo formativo svolto da tale atto.
Peshiṭut.
Shaqu‘a. Si veda Tishby, Commentary on the Talmudic Legends, p. 92, nota 15, che propone una correzione suggerita da Scholem, secondo cui si dovrebbe leggere ganuz, «custodito»; si veda ibid., p. 94, nota 2. Questo emendamento non è necessario, dato che subito dopo l’autore usa il termine boleṭ, «aggettante», creando un’opposizione tra concavo e convesso.
Commentary on the Talmudic Legends, p. 92.
Si veda Sefer ha-Bahir, p. 121; Weinstock, Studies, pp. 72-76.
Sefer ha-Bahir, p. 123. Su questi paragrafi e le loro fonti nel pensiero di Bar Ḥiyya si veda Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 62-63, 74, 135, 149-151, 235; Dauber, Pure Thought.
Si veda Weinstock, Studies, pp. 72-76, che si è occupato del par. 2 del Bahir, attribuendolo a ‘Azri’el da Gerona.
Schneider, The Myth of the «Satan».
Sefer ha-Bahir, par. 109, pp. 193-195. Del passo si è occupato più volte Scholem in Origins of the Kabbalah, pp. 63-64, 148-149.
Forse secondo Sefer Yetzirah, 2, 6, ove si afferma che Dio creò dal Tohu la concretezza, mamash.
Par. 93, p. 179.
Alcuni studiosi hanno attribuito il Bahir a ‘Azri’el da Gerona. Si veda M. Verman, Reincarnation and Theodicy: Traversing Philosophy, Psychology, and Mysticism, in Be’erot Yitzhak: Studies in Memory of Isadore Twersky, a cura di J. M. Harris, Cambridge, Mass., 2005, pp. 399-426.
Kitve ha-Ramban, vol. II, pp. 505-507.
Si veda Commentary on the Talmudic Legends, p. 102.
È possibile che la connessione tra le due affermazioni midrashiche dipenda dalla ricorrenza della forma ebraica din nel mito della creazione, ove compare l’attributo del giudizio, middat ha-din, e il termine aramaico den, scritto in caratteri ebraici esattamente come din, nel mito dei mondi distrutti.
Si veda anche Ben Shemu’el Naḥmias, Migdol yeshu‘ot, p. 25.
Si veda anche sopra, nota 381.
Commentary on the Talmudic Legends, pp. 78, 105: ha-ḥoshekh ha-maqqif; si veda Altmann, The Motif of «Shells», p. 79.
Ms. Ferrara, Talmud Torah 1, c. 37v; Séd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, p. 71.
Ms. Ferrara, Talmud Torah 1, c. 37v; Séd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, p. 70, nota 1, ove sono riportate le varianti della tradizione manoscritta. Uso la versione del codice più antico, da me identificato e non usato da Séd-Rajna. Si veda anche Scholem, Meḥqere qabbalah, p. 57; M. Gavarin, Perush ha-Tefillot shel R. ‘Azri’el mi-Gerona, tesi di M.A., Gerusalemme, 1984, p. 22 (in ebraico). Si dovrebbe ricordare che il versetto di Is, 45, 7 è citato subito dopo, a differenza della maggior parte delle versioni del libro di preghiera ebraico, dove si legge «crea ogni cosa». Si veda l’uso della forma mit‘allem anche in un altro testo di ‘Azri’el, pubblicato in Scholem, New Remnants, p. 207, e nel suo Sha‘ar ha-sho’el, p. 30. Si veda anche l’epistola inviata a Burgos da ‘Azri’el, pubblicata in Scholem, «Madda‘e ha-Yahadut», pp. 233-234. A p. 234 ricorre anche l’espressione «il bene che occulta», associata alla luce. A p. 236 il verbo mit‘allem viene interpretato nel senso di «coprire», associato alla sefirah più elevata, intesa come Omen. Sull’uso del raro mit‘allem si veda il nipote di Rabad, Asher ben David, in Sefer ha-yiḥud, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 129. Sulla luce che si occulta nella dottrina provenzale-geronese si veda anche sotto, cap. 4.
Si veda Sha‘ar ha-sho’el, p. 29. Si veda anche ibid., p. 30, dove si afferma dell’En Sof: «e poiché è ne‘elam [occulto] è la radice della fede e dell’eresia». Propongo di leggere fede ed eresia nel senso di bene e male. Per un’interpretazione diversa si veda Pachter, Roots of Faith and Devequt, pp. 13-46. Su ne‘elam in ‘Azri’el si veda, ad esempio, Commentary on the Talmudic Legends, pp. 80, 116, nota 13.
Commentary on the Talmudic Legends, pp. 103-104; Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 428, nota 149.
Nel Commento al Sefer Yetzirah il Tohu è identificato con le hawayyot indistinte e il Bohu con le hawayyot distinte, entrambe all’interno della terza sefirah, associata alle lettere. Si veda Kitve ha-Ramban, vol. II, p. 457. Si veda anche ibid., p. 459, e Commentary on the Talmudic Legends, p. 82.
Commentary on the Talmudic Legends, pp. 104-105. Si veda anche Altmann, The Motif of the «Shells», p. 74; Gavarin, The Problem of Evil, p. 41. Si veda anche ‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, pp. 498-499.
Commentary on the Talmudic Legends, p. 82; Gavarin, The Problem of Evil, pp. 40-41.
Commentary on the Talmudic Legends, p. 82.
Ibid., p. 105; Farber, The Shell Precedes the Fruit, p. 120. Si veda sotto, anche il passo citato dal Commento al Sefer Yetzirah di Yitzḥaq il Cieco.
Commentary on the Talmudic Legends, p. 105. Si veda l’idea che il Tohu circonda il mondo, secondo Sefer Yetzirah, 1, 11. Si veda anche ibid., pp. 78, 88, nota 2, 89, 92, 103.
Si veda Scholem, Kabbalah, p. 392, che descrive la concezione di ‘Azri’el dell’emanazione necessaria come «interamente neoplatonica».
Commentary on the Talmudic Legends, pp. 102, 105.
Ibid., p. 105; si veda anche il passo precedentemente citato di ‘Ezra da Gerona, Ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ebr. 294, c. 31r.
Ibid., p. 89. Sull’espressione pesolet ha-Tohu, «rifiuto del caos», che non compare nella versione a stampa del commento di ‘Azri’el, si veda sotto, cap. 4. Si veda, tuttavia, ibid., pp. 118-119, ove l’autore sostiene che sia la creazione sia la provvidenza sono associate agli attributi di fede, bontà e misericordia.
Anche se nelle precedenti discussioni non si fa uso di termini tecnici per indicare la miscela, ibid., p. 90, appare di nuovo il vocabolo ta‘arovet. Si veda anche ibid., p. 104, ove ricorrono verbi associati a questo nome.
Ibid., pp. 89, 105.
Ibid., pp. 104-105.
Ibid., p. 100. Si consideri inoltre l’espressione «la profondità del pentimento» come Tohu e terza sefirah nel Commento all’opera della Creazione di Yitzḥaq il Cieco, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 313, e in ‘Ezra, Commento all’opera della Creazione, ibid., p. 310.
Commentary on the Talmudic Legends, p. 85.
Ibid., p. 82.
Ibid., pp. 42, 82. Sull’importanza del pensiero umano nell’ascesa ai mondi superni e a fini teurgici si veda ibid., pp. 20, 39-40. L’espressione «pensiero puro» in ‘Ezra e ‘Azri’el pare indicare la seconda sefirah. Si veda Séd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, p. 74; Dauber, Pure Thought, p. 103, nota 1, p. 30, nota 4.
Si veda Commentary on the Talmudic Legends, p. 105; Altmann, The Motif of the «Shells», pp. 73-74, 78. Il termine qelippah ricorre, in una connotazione più simile a quella usata da Yehudah ha-Levi, in ‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, p. 481; Commento alle leggende talmudiche, Ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ebr. 294, c. 31r, anche se non vi figura la sua forte negatività. Si veda anche Pessin, Ibn Gabirol’s Theology of Desire, pp. 185-186.
Commentary on the Talmudic Legends, p. 105. Più esplicitamente negativo è l’uso del termine qelippot da parte di Ya‘aqov ben Shesheṭ, contemporaneo di ‘Azri’el, che se ne servì nel Sefer ha-emunah we-ha-biṭṭaḥon, pubblicato a nome del Nahmanide in Kitve ha-Ramban, vol. II, p. 378.
Si confronti la concezione attestata in una miscellanea di Qabbalah geronese, riportata da Tishby nella sua introduzione al Commentary on the Talmudic Legends, p. XIX, secondo la quale l’attributo buono governò il mondo per un millennio e quello cattivo per un altro millennio, prima della creazione di questo mondo. È un ulteriore esempio di male che precede il bene.
Si veda il testo pubblicato da Scholem, New Remnants, p. 215, e la sua discussione in Origins of the Kabbalah, pp. 420-421 e nota 133. Efes come simbolo di Keter ricorre anche in David ben Yehudah he-Ḥasid; si veda [David ben Yehudah he-Ḥasid,] The Book of Mirrors, p. 21.
Si veda Commento al Cantico dei Cantici, pp. 510-511; Vajda, Commentaire d’Ezra de Gerone, p. 119; Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 421, nota 134. Sulla devequt con l’Ayin nella Qabbalah delle origini, nel quadro della trasformazione dell’anima, si veda Afterman, Devequt, p. 239 e nota 53.
Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 421-425; si veda anche D.F. Duclow, Divine Nothingness and Self-Creation in John Scotus Erigena, in «Journal of Religion», LVII (1977), pp. 109-123; G. Séd-Rajna, L’influence de Jean Scot sur la doctrine du Kabbaliste Azriel de Gérone, in Jean Scot Erigène et l’histoire de la philosophie [colloque], Laon, 1975, pp. 453-463. Sull’uso del termine in Cordovero si veda Ben Shlomo, The Mystical Theology, pp. 206-210.
Scholem, New Remnants, p. 207. L’espressione «regno di Ayin» indica, a mio parere, una specie di spazio presefirotico, alla base degli sviluppi successivi. Nella letteratura cabbalistica sono attestate concezioni relative alle «profondità dell’Ayin», associate tuttavia a peccati compiuti dal genere umano e non al male primordiale. Si veda Idel, Kabbalah: New Perspectives, pp. 184-185.
Scholem, New Remnants; Valabregue-Peri, Concealed and Revealed, p. 221.
Sull’intenzione iniziale di creare il mondo per mezzo dell’attributo di Din si veda Asher ben David, in Asher ben David: His Complete Works, p. 236.
Scholem, New Remnants, p. 215, tradotto in Séd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, p. 143, e nota 1.
Commentary on the Talmudic Legends, p. 79. Si veda anche subito dopo la concezione che l’attributo del giudizio è più elevato di 71 potenze. Sui 72 nomi emanati dalla sefirah Ḥokhmah si veda ‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, p. 481 e Commento all’opera della Creazione, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 319, ove si parla di 71 distinzioni o separazioni, avvenute all’interno delle acque superne e una riferita alle acque inferiori. In questo commento ‘Ezra parla anche di settanta nomi: si veda Commento al Cantico dei Cantici, pp. 484, 488.
Scholem, Meḥqere qabbalah, pp. 100-101. La giustapposizione di Gn, 1, 2 a Is, 45, 7 riflette il tentativo di conciliare due diverse interpretazioni bibliche, in origine forse antagoniste. Si veda sopra, Introduzione.
Scholem, ibid., p. 110.
Scholem, Major Trends, p. 27.
Uso qui un’espressione di Victor Turner. Si confronti con la sua distinzione del «polo sensorio» del simbolo e del suo «polo ideologico» in V. Turner e E. Turner, Image and Pilgrimage in Christian Culture, New York, 1978, p. 247.
Sulla hyle come seconda sefirah in ‘Azri’el si veda Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 428-429; Scholem, Meḥqere qabbalah, pp. 28-29, nota 84, e l’importante osservazione di Tishby in Commentary on the Talmudic Legends, p. 84, nota 4.
Su questo cabbalista si veda, in particolare, Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 293-298; Vajda, Recherches, pp. 11-113, 321-384; Pedaya, The Name and the Sanctuary; M. Sendor, The Emergence of Provencal Kabbalah: R. Isaak the Blind’s Commentary on Sefer Yezirah, tesi di Ph.D., Cambridge, Mass., 1994; l’introduzione di Abrams alle versioni dei commenti all’opera della Creazione in Asher ben David: His Complete Works, pp. 302-303.
Si veda M. Idel, Nahmanides: Kabbalah, Halakhah, and Spiritual Leadership, in Jewish Mystical Leaders and Leadership in the 13th Century, a cura di M. Idel e M. Ostow, Northvale, Gerusalemme, 1998, pp. 28-36.
Commentary on Sefer Yetzirah, pp. 1, 13.
Ibid., p. 1 e si veda ibid., p. 3; Idel, Sefirot above Sefirot, p. 241, nota 12.
Si veda Genesi rabbah, 1, 2. Si veda anche Idel, Sefirot above Sefirot, p. 265, nota 131. Si confronti con ‘Ezra da Gerona, Commento all’opera della Creazione, ove la contemplazione della Torah è associata al mito dei mondi distrutti nel testo pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 325. La motivazione della distruzione è che «tutto era nascosto».
Questa concezione è confortata dal Commento all’opera della Creazione di Yitzḥaq, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 314 e dal suo Commento al Sefer Yetzirah, p. 3, discusso anche in Afterman, Devequt, p. 204.
Avraham ben David da Posquières, padre di Yitzḥaq il Cieco: si veda di quest’ultimo il Commento al Sefer Yetzirah, p. 11.
Maimonide, di cui si cita immediatamente dopo l’opera.
Hilkhot yesode Torah, II, 10.
Si veda la traduzione di Shlomo Pines: Moses Maimonides, The Guide of the Perplexed, 2 voll., Chicago-London, 1963, vol. II, pp. 262-263.
Sefer ha-emunah we-ha-biṭṭaḥon, cap. 18, pubblicato in Kitve ha-Ramban, vol. II, p. 409; la nota di Tishby in Commentary on the Talmudic Legends, p. 82, nota 3; Idel, Sefirot above Sefirot, pp. 265-267; Idel, Jewish Kabbalah and Platonism, pp. 320; 326-327; Idel, Maimonides’ «Guide of the Perplexed» and the Kabbalah, pp. 199-201. Su questo cabbalista si veda anche G. Freudenthal, The Kabbalist R. Jacob ben Sheshet of Girona: The Ambivalences of a Moderate Critique of Science (ca. 1240), in Temps i Espais de la Girona jueva. Actes del Simposi Internacional celebrat a Girona, marc de 2009 (= «Girona Judaica», V), Girona, 2011, pp. 287-301. Si veda l’interpretazione fornita da Yitzḥaq ibn Laṭif a questa concezione platonica nella formulazione del Maimonide in Heller Wilensky, Isaac ibn Latif-Philosopher or Kabbalist?, pp. 188-189, partic. nota 26.
Commentary on the Talmudic Legends, pp. 82-83.
Commento al Sefer Yetzirah, p. 10.
Si veda il Commento all’opera della Creazione di Yitzḥaq, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 316; ibid., p. 314. Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 269-275. Sull’uso dell’espressione maḥashavah ṭehorah nel passo attribuito ad Avraham ben David, suo padre, nel trattato di Shem Ṭov ben Shem Ṭov si veda il testo pubblicato da Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 107, e la discussione più dettagliata nel prossimo capitolo.
Si veda il testo successivo all’importante epistola di Yitzḥaq a Nahmanide e Yonah Gerondi, pubblicato in Scholem, Meḥqere qabbalah, pp. 9-11, conservato in Ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ebr. 202, c. 60v, da confrontare con Ms. Parma, Biblioteca Palatina, De Rossi 1221, c. 110v.
Commento al Sefer Yetzirah, pp. 10, 11.
Si veda Commento all’opera della Creazione, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, pp. 310, 313; Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 279, nota 169.
L’uso del termina sibbah, «causa», ricorre anche nell’epistola di Yitzḥaq, precedentemente menzionata (Scholem, Meḥqere qabbalah, p. 10) e nel suo Commento all’opera della Creazione, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 315. Qui il vocabolo filosofico sibbah è sinonimo di ‘omeq, «profondità», termine attestato nel Sefer Yetzirah.
Secondo il Sefer Yetzirah.
Sarebbe dunque implicita l’esistenza di entità esteriori, designate hawayyot. Qui sono dieci, mentre negli scritti dei discepoli di Yitzḥaq sembrerebbero più numerose.
Commento al Sefer Yetzirah, p. 15. Si veda anche il suo Commento all’opera della Creazione, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 313. Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 277-278; Farber, The Shell Precedes the Fruit, p. 120. Si veda ibid., p. 6, anche la discussione di Yitzḥaq sul male futuro destinato a causare l’ascesa del giusto prima del tempo, discusso da Idel, Ben, pp. 655-656, 667, nota 100. Si veda anche Idel, Kabbalah: New Perspectives, pp. 181-182.
Commento all’opera della Creazione, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 314. Sulla profondità di pensiero si veda anche sotto, nota 659.
L’ebraico amar, inteso come volontà divina, forse a causa del significato arabo del termine. Si veda Idel, On the Concept of Zimzum, p. 103, nota 18.
Commento all’opera della Creazione, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 338, dove si sostiene che l’atto di rivestirsi va interpretato come contemplazione delle entità all’interno della Torah, considerata una potenza divina.
La formula ha-hawayyot hayu ricorda l’espressione attestata da alcuni seguaci di Yitzḥaq, di cui si è detto.
Commento all’opera della Creazione, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 314. Si veda anche Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 428. Il testo richiama l’affermazione in Ra‘aya mehemna (Zohar, III, c. 245b): «[tra i] segreti della Torah si stabilisce che prima che esistesse alcunché furono create le hawayyot, dal momento che è scritto “Sia luce e luce fu”». È indubbio che a determinare questa connessione sia stata anche l’allitterazione della forma ebraica «sia», wa-yehi, e del termine hawayyah. Si veda una simile affermazione nello stesso strato dello Zohar, Tiqqune Zohar, c. 74a.
Kol ha-devarim. La versione alternativa addotta da un altro manoscritto è meno valida. Il termine devarim riferito alle hawayyot e alle sefirot e non alle parole ricorre anche altrove negli scritti di Yitzḥaq, ad esempio nel suo Commento al Sefer Yetzirah, p. 6, così come in ‘Ezra e nei commenti geronesi all’opera della Creazione, pubblicati in Asher ben David: His Complete Works, pp. 340-341, e in ‘Azri’el da Gerona, ad esempio, nel Commento al Sefer yetzirah, in Kitve ha-Ramban, vol. II, p. 454. Si vedano, in particolare, i testi geronesi analizzati da Afterman, Devequt, pp. 256-260.
Si veda l’ediz. a cura di A. Eisenbach, Gerusalemme, 2004, p. 6. Si veda anche ibid., pp. 3, 144, ove si fa menzione della «profondità del male» nel contesto delle dieci hawayyot. Il termine ricorre più volte nell’opera, ad esempio, ancora una volta a p. 3. Si veda anche Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 281; Idel, Sefirot above Sefirot, p. 261, nota 110.
Si veda Idel, Kabbalah: New Perspectives, pp. 144-146.
Si veda Shire ha-yiḥud we-ha-kavod, a cura di A.M. Haberman, Gerusalemme, 1948, pp. 21, 23, 26, 27.
Si veda Scholem, Major Trends, pp. 108-109; Idel, Sefirot above Sefirot, p. 268.
Sulle divergenze tra le due scuole si veda sopra, nota 473.
Si veda Idel, Kabbalah: New Perspectives, pp. 137-139.
Tishby, Studies in Kabbalah and its Branches, vol. I, pp. 9-10.
Si veda Scholem, Meḥqere qabbalah, p. 22.
Si veda Séd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, pp. 26, nota 11, 86, nota 8, 123, nota 5. Su questa concezione si veda A. Goldreich, The Theology of the Iyyun Circle and a Possible Source of the Term «Ahdut Shava», in «JSJT», VI (1987), pp. 141-155 (in ebraico).
Si veda in particolare ‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, p. 483, ove si afferma che le hawayyot sono emanate dalla afisah. Si veda anche ibid., p. 482.
Commentary on the Talmudic Legends, p. 84.
Séd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, pp. 73-74.
Si veda il materiale addotto da Tishby in Commentary on the Talmudic Legends, p. 88, nota 2, e in particolare ‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, pp. 482-483. Vorrei sottolineare che la questione delle hawayyot non può essere esaurita in questa sede.
Meshiv devarim nokheḥim, p. 119.
Si veda Valabregue-Peri, Concealed and Revealed.
Si veda Commentary on the Talmudic Legends, p. 108.
Si veda J. Whittaker, Neopythagoreanism and the Transcendent Absolute, ristampato in Studies in Platonism and Patristic Thought, London, 1984, pp. 77-78, 82.
Si veda H.A. Wolfson, Extradeical and Intradeical Interpretations of Platonic Ideas, in Religious Philosophy, a cura di H.A. Wolfson, Cambridge, Mass., 1965, pp. 27-68, che attribuisce a Filone la concezione che le idee si trovino all’interno del Logos. Si veda anche W.N. Clarke, The Problem of Reality and Multiplicity of Divine Ideas in Christian Neoplatonism, in Neoplatonism and Christian Thought, a cura di D.J. O’Meara, Norkfold, Virginia, 1982, pp. 109-127; A.N.M. Rish, The Platonic Ideas as the Thoughts of God, in «Mnemosyne», serie quarta, VII (1954), pp. 123-133, in cui si menziona una fonte neopitagorica delle idee nel pensiero di Dio. Per un’interpretazione aristotelica dell’esistenza di tutto in Dio si veda S. Pines, Some Distinctive Metaphysical Conceptions in Themistius «Commentary on the Book Lambda» and Their Place in the History of Philosophy, in Aristoteles Werk und Wirkung, Paul Moraux Gewidmet, a cura di J. Wiesner, Berlin-New York, 1987, pp. 177-204, partic. pp. 196-200.
Si veda Séd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, p. 40 e nota 2, così come l’introduzione, pp. 19, 22 e la mia recensione dell’opera in «QS», L (1975), pp. 284-287 (in ebraico); Idel, Sefirot above Sefirot, p. 261, nota 110.
The Shell Precedes the Fruit, pp. 121, nota 14; 130-131, nota 69.
Si veda F. Rosenthal, Some Pythagorean Documents Transmitted in Arabic, in «Orientalia» nuova serie, X (1941), pp. 104-115, 383-95; F. Rosenthal, The Classical Heritage in Islam, London, 1975, p. 40; D.J. O’Meara, Pythagoras Revived, Oxford, 1989, pp. 230-232. Su Nemesio di Emesa, Giovanni di Damasco e Shahrastani e il loro uso di Pitagora si veda H.A. Wolfson, Studies in the History of Philosophy and Religion, a cura di I. Twersky e G.H. Williams, Cambridge, vol. I, 1973, p. 357; si veda anche Sa‘id al-Andalusi, Tabaqat al-umam, trad. fr. di G. Blachère, Paris, 1935, pp. 57-62; B.R. Goldstein, A Treatise on Number Theory from a Tenth Century Arabic Source, in «Centhaurus», X (1964), pp. 129-160.
Y.T. Langermann, Studies in Medieval Hebrew Pythagoreanism, in «Micrologus», IX (2001), pp. 219-236. Sui Carmina aurea di Pitagora tradotti dall’arabo in ebraico si veda M. Plessner, The Translation in Arabic and Hebrew of the Golden Verses of Pythagoras, in «Eshkoloth», IV (1962), p. 58 (in ebraico).
Si veda M. Bar Ilan, Astrology and Other Sciences among the Jews of Israel in the Roman-Hellenistic and Byzantine Periods, Gerusalemme, 2011, pp. 146-147, 208, nota 497, 215 (in ebraico); Idel, Ben, pp. 315-318; Idel, On the Meanings of the term ‘Kabbalah’: Between the Prophetic Kabbalah and the Kabbalah of Sefirot in the 13th Century, in «Pe‘amim», XCIII (2002), pp. 50-51 (in ebraico); la mia introduzione a Johannes Reuchlin, On the Art of the Kabbalah - De Arte Cabalistica, trad. ingl. di M. e S. Goodman, Lincoln-London, 1993, pp. XI-XV; M. Idel, Johannes Reuchlin: Kabbalah, Pythagorean Philosophy and Modern Scholarship, in «Studia Judaica», XVI (2008), pp. 30-55; Morlok, Rabbi Joseph Gikatilla’s Hermeneutics, passim, partic. pp. 77-83, 308-309. Sulla teoria, oggi considerata marginale dalla critica, che il Sefer Yetzirah esprima idee pitagoriche, si veda Ph. Mordell, The Origin of Letters and Numerals, According to Sefer Yetzirah, Philadelphia, 1914 (ma, in realtà, Breslau, 1914). Si veda, in particolare, la concezione di Filone che «nel mondo e nell’uomo la decade è tutto». Si veda Quaestiones et Solutiones in Genesim, 4.110.
Si veda Aristotele, Metaphysica, A.5, 986a.22, e anche Ethica Nichomachea, 1096b5. Sulla tavola si veda il materiale addotto da W. Burkert, Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, trad. ingl. di E. Minar, Jr., Cambridge, Mass., 1972, pp. 51-52, partic. nota 119, pp. 60-61, 282-283, 294-295, nota 89 [ed. orig. Weisheit und Wissenschaft: Studien zu Pythagoras, Philolaos und Platon, Nürnberg, 1962]; Armstrong, Dualism: Platonic, Gnostic, and Christian, p. 35. Fino a oggi non ho trovato alcuna prova certa della conoscenza di questa tavola nella mistica ebraica, sebbene Pitagora sia menzionato varie volte dai cabbalisti in altri contesti. L’unico riferimento in una fonte ebraica compare nell’opera tardo-cinquecentesca dell’italiano ‘Azaryah de’ Rossi. Si veda J. Weinberg, Azariah de’ Rossi and Pythagoras, or What has Classical Antiquity to Do with Halakhah?, in Tov Elem, Memory, Community & Gender in Medieval & Early Modern Jewish Societies: Essays in Honor of Robert Bonfil, a cura di E. Baumgarten, A. Raz-Krakotzkin e R. Weinstein, Gerusalemme, 2011, pp. 183-184.
Burkert, op. cit., p. 52, nota 121.
Ibid., p. 61.
Si veda Armstrong, Dualism: Platonic, Gnostic, and Christian, pp. 35-36, 39-42.
Si veda ‘Ezra, Commento al Cantico dei Cantici, p. 481; R. Azriel, Commentary on the Talmudic Legends, p. 79.
Si veda Farber, The Shell Precedes the Fruit, p. 129, nota 64. Ma si consideri Scholem, «Madda‘e ha-Yahadut», p. 193, che afferma invece che il primo sarebbe stato Yitzḥaq ben Ya‘aqov ha-Kohen, vissuto nella generazione successiva.
Creation and the Persistence of Evil, p. 122.
Si veda Idel, Maimonides and Kabbalah.
Pedaya, Nahmanides, pp. 125-126; Halbertal, Concealment and Revelation, p. 182, nota 8; Wolfson, Beyond the Spoken Word, pp. 178-179. Si veda anche Stroumsa, Hidden Wisdom, p. 125.
Si veda Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 234-238; Scholem, Meḥqere qabbalah, pp. 20, 36, note 9, 12; Sèd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, p. 34, nota 4, e la concezione citata nel testo di ‘Azri’el pubblicato da Scholem, New Remnants, p. 213.
Si veda, ad esempio, la sua teoria della coincidentia oppositorum, in Ashkenazi, Commento a Genesi rabbah, p. 174, e il suo Commento al Sefer Yetzirah, cc. 15c, 30a, e l’affermazione «tutte le hawayyot nascoste che si trovano all’interno dell’Ayin», in Commento a Genesi rabbah, p. 176. Si veda anche Séd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, p. 72, nota 5.
Commento a Genesi rabbah, pp. 160-171.
Ibid., p. 171; Commento al Sefer Yetzirah, c. 16a.
Commento a Genesi rabbah, p. 186.
Ibid., p. 171.
Commento al Sefer Yetzirah, c. 21 a. Si veda anche Freedman, Man and the Theogony, p. 29, nota 7.
Commento a Genesi rabbah, p. 188.
Penso che qui il termine sia il risultato di un intervento posteriore alla redazione del testo, dato che è riportato da due testimoni ma è assente nel terzo. Non so a chi si riferisca per certo l’autore, se all’Infinito, che per emanare contempla Keter, all’Ayin o a un’entità inferiore.
L’espressione ‘imqe ha-maḥashavah, «gli abissi del pensiero», compare anche nel Commento al Sefer Yetzirah di Yosef Ashkenazi, c. 36d. Si veda uno dei primi commenti all’opera della Creazione, quello di Yitzḥaq il Cieco, di cui si è detto sopra, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 314, ove Tohu è definito ‘omeq hamaḥashavah, «l’abisso del pensiero». In vari casi il termine «abisso», riferito al pensiero divino, indica una dimensione problematica del suo contenuto: ad esempio, ‘Ezra da Gerona parla del Tohu come di «abisso del pentimento». Pare che certe volte si stabilisca implicitamente l’esistenza di una dimensione malvagia del pensiero divino, tema di cui si è detto sopra, cap. 1.
Sullo status speciale di Keter in Yosef Ashkenazi si veda la nota 27 a p. 33 del suo Commento a Genesi rabbah.
Ricordo che negli scritti di Ashkenazi il termine hawayyah/hawayyot indica anche la combinazione delle lettere del nome Tetragramma e indica, come si è detto, alcune modalità di immanenza divina. Si veda Commento al Sefer Yetzirah, c. 20cd.
Commento a Genesi rabbah, p. 32. Si confronti alla discussione riportata in Idel, Golem, pp. 138-142. Sull’atto di contemplazione riferita al pensiero divino si veda il passo di Ya‘aqov ben Shesheṭ, citato sopra, e le note al testo. Sull’importanza dell’uso del termine he‘eder nella dottrina di Cordovero si veda Ben Shlomo, The Mystical Theology, pp. 204-206. Vorrei ricordare che l’esistenza di due potenze opposte, una creatrice e l’altra distruttrice, all’interno del pensiero superno, ricorda le dinamiche della luce riflessiva e di quella non riflessiva, corrispondenti, rispettivamente, alle potenze creatrici e distruttrici, nella teosofia di Natan di Gaza. Su questi due concetti si veda Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, pp. 57-60; Wirszubski, Between the Lines, pp. 157-159.
Commento a Genesi rabbah, pp. 176, 186.
Si veda Idel, Golem, p. 120.
Commento al Sefer Yetzirah, c. 32ab.
Ms. Cambridge, University Library, Or. 2116, c. 58v.
Su tale esempio relativo alla teoria dell’oscurità primordiale si veda Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 334-335. Si veda le osservazioni di Y.Tz. Langermann, Cosmology and Cosmogony in «Doresh Reshumot»: A Thirteenth-Century Commentary on the Torah, in «HTR», XCVII (2004), pp. 215-216.
Si veda, ad esempio, Commento a Genesi rabbah, pp. 89-91, 96-97, 257-258, 262, 266. Si veda anche sotto, Appendice 3.
Ha-hawayyot.
Minḥat Yehudah, c. 19v. Si veda Farber, The Shell Precedes the Fruit, pp. 124-125. Su altri aspetti del male in questo trattato si veda Jacobson, The Problem of Evil, pp. 114-118. Le concezioni di Ḥayyaṭ influenzarono Yosef del Medigo da Candia, di cui parleremo sotto, cap. 5.
Ashkenazi, Commento a Genesi rabbah, pp. 170-171; Commento al Sefer Yetzirah, cc. 2d-3a, 21a.
Si veda Ḥayyaṭ, Minḥat Yehudah, c. 19b, da confrontare con la sua fonte, il Commento al Sefer Yetzirah di Ashkenazi, c. 32d.
Tiqqune Zohar, pubblicato in Zohar, I, c. 263a.
Il simbolo del punto che diviene una linea, poi una superficie e infine un volume è un ovvio riferimento alla discesa dell’emanazione e compare in ‘Azri’el, in Ya‘aqov ben Shesheṭ e in seguito in molti altri cabbalisti, tra i quali, ad esempio, Cordovero, Or yaqar, XIV, p. 177. Si veda anche Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 427; Heller Wilensky, Isaac ibn Latif-Philosopher or Kabbalist?, p. 207. Si tratta di un immaginario di origine pitagorica. Si veda, per le fonti greche ed ellenistiche, J. Whittaker, Neopythagoreanism and Negative Theology, ristampato in Studies in Platonism and Patristic Thought, London, 1984, pp. 110-111; M. Idel, «Sefer Yetzirah» and its Commentaries in Abraham Abulafia’s Writings, and the Remnants of R. Isaac of Bedresh’s Commentary, and their Impact, in «Tarbiz», LXXIX (2011), pp. 553-556 (in ebraico).
Genesi rabbah, 9, 2, p. 68.
Minḥat Yehudah, c. 115b; si veda anche Farber, The Shell Precedes the Fruit, p. 125. Poco prima del nostro passo Ḥayyaṭ ricorda tra i suoi maestri un certo Shemu’el ibn Shraga e non è chiaro se citi le sue parole o riporti una sua opinione. Non conosco questo cabbalista, mentre è ben noto Yosef ibn Shraga, contemporaneo di Ḥayyaṭ e attivo in Italia. Per una discussione del divieto biblico di mangiare i frutti di un albero prima che questo abbia compiuto tre anni, inteso come tempo della privazione, si veda ibid., c. 171a.
Si veda Scholem, Lurianic Kabbalah, pp. 34-39. Si veda anche sopra, cap. 2.
Si veda, in particolare, la sua interpretazione della pericope della Genesi, in cui il tema delle hawayyot è trattato spesso, nella scia della dottrina geronese.
Non è questa la sede appropriata per trattare dell’influenza delle concezioni cabbalistiche su alcune forme di pensiero idealista, come ad esempio quello di Schelling, che conosceva la dottrina ebraica attraverso la Kabbala Denudata di Knorr von Rosenroth e, molto probabilmente, gli scritti di Jacob Böhme. Si veda, ad esempio, X. Tilliette, Schelling: Une philosophie en devenir, Paris, 1970; Wolfson, Aleph, Mem, Tau, pp. 194-195, note 233, 235; Wolfson, Language, Eros, Being, pp. 101-102. Si veda anche sopra, cap. 1, par. 10.
Si veda Scholem, On the Mystical Shape, p. 58. Parleremo più approfonditamente del passo sotto, cap. 8.
Si veda Levenson, Creation and the Persistence of Evil, pp. 14-25; Smith, The Priestly Vision of Genesis 1, pp. 58-59, 72-73, 108-109.
Per una distinzione tra simboli naturali e storici nel racconto della creazione della Genesi, focalizzata sulle categorie di Mircea Eliade, si veda J. Daniélou, Essai sur le mystère de l’histoire, Paris, 1982, pp. 134-138 [Saggio sul mistero della storia, trad. it. di E. Cassa Salvi, 3a ediz. ampliata, Brescia, 2012], e le interessanti osservazioni di Th. Boman, Hebrew Thought Compared with Greek, New York-London, 1970, pp. 162-175 (che non fa menzione di Eliade). Sui simboli naturali si vedano anche le affermazioni di Mary Douglas, poco interessata, tuttavia, agli elementi cosmogonici della Bibbia ebraica.
Per usare la distinzione proposta da John Passmore in The Perfectibility of Man, Indianapolis, 2000, p. 79.
Si veda anche sotto, cap. 5, par. 12.
Si vedano soprattutto le argomentazioni su Caino e Abele e Esaù e Giacobbe, nei capitoli seguenti. Su Esaù come qelippah, si veda Ḥayyaṭ, Minḥat Yehudah, c. 142b.
Sulla critica della concezione di Eliade del giudaismo, considerato esclusivamente una religione storica, si veda Idel, Ascensions on High, pp. 216-228; M. Idel, Some Concepts of Time and History in Kabbalah, in Jewish History and Jewish Memory: Essays in Honor of Yosef Hayim Yerushalmi, a cura di E. Carlebach, J.M. Efron e D.N. Myers, Hanover-London, 1998, pp. 153-188. Sul rapporto tra storia e natura si veda sopra, nota 687.
Si veda Idel, Maimonides and Kabbalah.
Si veda Scholem, «Madda‘e ha-Yahadut»; Scholem, Mosheh mi-Burgos; Pedaya, Nahmanides, pp. 420-422; Shaked, Clarifications. Sulla concezione di Mosheh da Burgos si veda sopra, cap. 1, par. 7.
Si veda Dan, On Holiness, pp. 226-227.
Si veda Scholem, «Madda‘e ha-Yahadut», pp. 248, 254; Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 39-41; Dan, Samael, Lilith.
Scholem, «Madda‘e ha-Yahadut», p. 228. Sul «pensiero» si veda il passo di Mosheh da Burgos trattato sopra, cap. 1. Questa formulazione è stata iterata dal commentatore dello Zohar cinquecentesco Shim‘on ibn Lavi, nel suo Ketem paz, Livorno, 1792, c. 8r, e, in precedenza, anche da Mosheh da Kiev, Shushan sodot, Koretz, 1784, c. 57r, che parlano di «pensiero puro». Sugli scritti di Ya‘aqov ha-Kohen si veda D. Abrams, The «Book of Illumination» of R. Jacob ben Jacob Hacohen, tesi di Ph.D., New York, 1993 (in ebraico).
Si veda l’influenza di questa discussione su Cordovero, Pardes rimmonim, XXV, 4.
Genesi rabbah, 9, 2, p. 68.
Un midrash al Cantico dei Cantici.
Scholem, «Madda‘e ha-Yahadut», p. 250; ibid., pp. 193-194; Tishby, The Doctrine of Evil, pp. 16, 19. Si veda anche l’influenza della concezione su Ṭodros ha-Levi Abulafia, Sha‘ar ha-razim, p. 60, e le osservazioni del curatore, ibid., pp. 24-29.
Si veda Corbin, Temps cyclique, p. 100. Si veda inoltre Idel, Sefirot above Sefirot, pp. 270-271, nota 168.
Su questa raccolta di tradizioni cabbalistiche si veda Idel, The Evil Thought of the Deity, p. 359, nota 8; Idel, Menahem Recanati, pp. 282, nota 27, 284, nota 54; l’introduzione di Goldreich a Yitzḥaq da Acco, Me’irat ‘enayyim, pp. 99, 362-363.
Su alcuni testi della cerchia dei fratelli Ha-Kohen si veda il Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 43rsgg., dove si riporta il passo del trattato di Yitzḥaq ha-Kohen sull’emanazione del «Pilastro sinistro», pubblicato da Scholem, «Madda‘e ha-Yahadut», pp. 260 sgg.
Si veda le analisi del materiale storico riferibile a questa personalità in Sefer me’irat ‘enayyim, pp. 361-364.
Miscellanea cabbalistica, Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 43r; Ms. London, Jews’ College, Montefiore 431, c. 61r; Ms. Sassoon 596, p. 68. Si veda Idel, The Evil Thought of the Deity, p. 360; si veda sopra, nota 703.
Pesolet. Il termine ricorre varie volte nella miscellanea (ad esempio, cc. 9v, 16v, 17b) e compare nella letteratura zoharica, soprattutto nel suo strato più tardo. La frequenza del termine stabilisce la coesione dei vari frammenti raccolti nel manoscritto parigino.
Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 16r. Una versione lievemente diversa del passo compare nel Ms. Moskwa, Rossiskaja Gosudarstvennaja Biblioteka, Günzburg 1302, c. 18v. Si veda anche Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 19v; Idel, The Evil Thought of the Deity, pp. 358-359; Wolfson, Light through Darkness, p. 82, nota 34. Sul ruolo simbolico di Esaù in altre fonti medioevali si veda G.D. Cohen, Esau as Symbol in Early Medieval Thought, in Jewish Medieval and Renaissance Studies, a cura di A. Altmann, Cambridge, Mass., 1967, pp. 19-47.
Si vedano i riferimenti citati da Scholem, «Madda‘e ha-Yahadut», p. 32, nota 6; Tishby, The Wisdom of the Zohar, vol. II, p. 460.
Sul tema si veda il passo che segue la precedente citazione dal manoscritto parigino e le concezioni di Yosef Giqatilla trattate in Idel, The Angelic World, pp. 50-53.
Si veda [David ben Yehudah he-Ḥasid,] The Book of the Mirrors, p. 17.
Si veda, ad esempio, Genesi rabbah, 46, 4; 68, 11; Esodo rabbah, 5, 10. Il tema ricorre anche in Yosef Giqatilla, Sha‘are orah, cap. 5, e in tradizioni derivate dalla scuola del Naḥmanide, conservate nel Ms. Oxford, Bodleian Library 1610, c. 93r.
Si veda ‘Azri’el da Gerona, Commentary on the Talmudic Legends, p. 103.
Si veda Talmud Bab., Ḥagigah, c. 16r.
Lo stesso principio della manifestazione del male prima del bene.
Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 19rv; Sobol, The Idrot Section in the Zohar, pp. 152-153; Wolfson, Luminal Darkness, pp. 51-52, nota 34.
Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 17v. Sul nesso tra Tohu e male si veda il precedente Sefer ha-Bahir, p. 131 par. 9; ‘Azri’el da Gerona, Commentary on the Talmudic Legends, p. 92; Farber, The Shell Precedes the Fruit, pp. 127-128, nota 60; Schneider, The Myth of the «Satan».
Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 42r.
Genesi rabbah, 9, 2, p. 68.
A proposito dei malvagi.
Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 16r. Si veda anche ibid., cc. 9v e 17r.
Si veda Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 10v.
Ibid., c. 11r.
Si veda Otzar ha-kavod, c. 24c, parallelo a ‘Azri’el, Commentary on the Talmudic Legends, p. 103, ove, in luogo di pesolet ha-Tohu si trova Tohu va-Vohu. Si veda anche ibid., introduzione di Tishby, pp. 35-36. Sulla conoscenza di Abulafia della teoria delle hawayyot da parte dei cabbalisti geronesi si veda la nota di Oron, nella sua edizione di Ṭodros Abulafia, Sha‘ar ha-razim, p. 100, nota 306.
Ayin. Apparentemente si allude a ogni ricorrenza del termine nella Bibbia.
Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 13r.
Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, ad esempio, cc. 14r, 17v. Questi due passi compaiono anche nella Miscellanea cabbalistica, Ms. Oxford, Bodleian Library 1610, cc. 93v-94r e 87r, rispettivamente.
Si veda, ad esempio, Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, cc.15rv, 22v-23r, 24r, 27r. Spero di dedicarmi a questo tipo di esegesi in uno studio separato.
Si veda, ad esempio, nel suo Sha‘are tzedeq, c. 11v.
Si veda Idel, Menahem Recanati, p. 227.
Forse Binah, la terza sefirah, mentre i mondi sono le sefirot sottostanti. Sulla fonte del male in questa sefirah secondo altri frammenti dello stesso manoscritto si veda sotto, cap. 4.
Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 859, c. 9v.
Su questo cabbalista si veda E. P. Fishbane, As Light Before Dawn: The Inner World of a Medieval Kabbalist, Stanford, 2009; Valabregue-Perry, Concealed and Revealed, ove si può trovare un’ampia bibliografia sull’autore.
Otzar Ḥayyim, Ms. Moskwa, Rossiskaja Gosudarstvennaja Biblioteka, Günzburg 775, c. 13v; discusso in Gottlieb, Studies in the Kabbalah Literature, p. 342 e nota 171; Liebes, Studies in the Zohar, p. 17.
En ... margishim bo.
Il testo ebraico non è chiaro. Penso che a parlare sia Ṭodros, ma è possibile anche il contrario.
Si veda l’attribuzione di Mosheh da Burgos della teoria del male ontologico a Nahmanide. Si vedano i testi raccolti da Scholem, Mosheh mi-Burgos, pp. 276-277, 279; Scholem, Meḥqere qabbalah, p. 80. Si veda anche l’introduzione di Goldreich a Yitzḥaq da Acco, Me’irat ‘enayyim, pp. 80-81, 85, nota 9. Sulla concezione del male di Nahmanide si veda inoltre J. Dan, Nahmanides and the Development of the Concept of Evil in the Kabbalah, in Mosse ben Nahmani el seu temps, Girona, 1996, pp. 159-181.
Sefer me’irat ‘enayyim, p. 190 e p. 361. L’esistenza di scorie, pesolet, intorno alle sefirot compare in un testo di Yitzḥaq da Acco, da me identificato e pubblicato in Menahem Recanati, p. 193. La versione dell’espressione ivi attestata (mi-sibbot ha-sefirot), fondata sui manoscritti da me utilizzati, dovrebbe essere emendata mi-sevivot ha-sefirot.
Nahmanide, Commento al Pentateuco, in Kitve ha-Ramban, vol. II, p. 214.
Cioè le dieci sefirot divine.
‘Omedim («si fermano, si mantengono» oppure «restano»).
Me’irat ‘enayyim, p. 190.
Si veda Liebes, Studies on the Zohar, pp. 135-138.
Ct, 2, 1.
Cioè la Ḥokhmah inferiore, la sefirah Malkhut.
Ms. Moskwa, Rossiskaja Gosudarstvennaja Biblioteka, Günzburg 775, c. 100rv. Ringrazio Amos Goldreich per avermi messo a conoscenza del passo.
Sulla volontà divina nella dottrina geronese si veda Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 437-438.
Ha-atzilut ha-rishonah. Si veda Farber, The Shell Precedes the Fruit, pp. 121-122; S.O. Heller Willensky, The ‘First Created Being’ in Early Kabbalah and its Philosophical Sources, in Studies in Jewish Thought, a cura di S.O. Heller Willensky e M. Idel, Gerusalemme, 1989, pp. 261-275 (in ebraico). Sul concetto degli opposti che si manifestano dalla prima creatura si veda anche il testo attribuibile a Giqatilla, segnalato sopra, nota 275.
Quest’affermazione non compare nelle versioni dell’opera a noi pervenute. Si dovrebbe ricordare che in un altro testo Yitzḥaq da Acco cita un altro breve passo del Bahir non attestato in fonti precedenti. Si veda l’introduzione di Abrams a Sefer ha-Bahir, pp. 50-51.
Si veda G. Scholem, R. Isaac of Acre’s Commentary on the First Chapter of «Sefer Yetzirah», in «QS», XXXI (1956), p. 388 (in ebraico).
Si veda Idel, Absorbing Perfections, pp. 449-460.
Su questo problema della filosofia si veda A. Hyman, From What is One and Simple only What is One and Simple Can Come to Be, in Neoplatonism and Jewish Thought, a cura di L.E. Goodman, Albany, NY, 1992, pp. 111-136. Si veda anche, sotto, il passo del Sefer ha-emunot di Shem Ṭov ben Shem Ṭov, cc. 47v-48r.
Su altre concezioni del male in Yitzḥaq da Acco si veda sopra, cap. 2.
Si veda Yitzḥaq da Acco, Sefer me’irat ‘enayyim; Idel, R. Menahem Recanati, p. 105.
Ms. New York, Jewish Theological Seminary 1853, c. 2cd.
Sulla connessione tra seme umano e demoni si veda sopra, cap. 1.
La concezione «trinitaria» dei tre livelli più elevati, sefirotici come demonici, ricorre comunemente nelle scuole cabbalistiche. Si veda Idel, The World of Angels, pp. 42-43, 174-175, nota 112.
Si veda Genesi rabbah, 24, 6, p. 236; Talmud Bab., ‘Eruvin, 18b, sulla base di una versione particolare che ho trovato in testi cabbalistici posteriori in cui in questo contesto compare esattamente lo stesso termine nazuf, «rimproverato». Si veda, ad esempio, Yosef Giqatilla, Sha‘are tzedeq, cap. X, pubblicato da Gottlieb, Studies in the Kabbalah Literature, p. 162; Sefer ha-peliy ’ah, Premisla, 1884, vol. II, c. 66b, e Shabbetay Shefṭel Horowitz, Shefa‘ Ṭal, c. 4v.
Il Tetragramma ricorre proprio prima dell’espressione mah adam nel versetto del salmo 144.
Adam = 45 = mah, equivalente alle consonanti del Tetragramma scritte estesamente Yod He Waw He.
Probabilmente sulla base della ben nota concezione di Mishnah Sanhedrin, IV, 5.
Ms. New York, Jewish Theological Seminary 1853, c. 6c, un trattato anonimo, a mio parere scritto da Yitzḥaq da Acco.
Si veda Yitzḥaq da Acco, Me’irat ‘enayyim, pp. 362-363, 408-409; Idel, The World of the Angels, pp. 107-108; M. Idel, Ashkenazi Esotericism and Kabbalah in Barcelona, in «Hispania Judaica», V (2007), pp. 84-85.
Ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ebr. 214, c. 209r; Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 774, c. 105r; Ms. Parma, Biblioteca Palatina, De Rossi 1221, c. 216r; Ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, héb. 838, c. 59r. Il passo non compare nella recente edizione del Keter Shem Ṭov di Ibn Ga’on, pubblicata in ‘Amude ha-Qabbalah, pp. 59-60.
Genesi rabbah, 9, 2, p. 68.
Questo è l’incipit della formula «Le hawwayyot esistevano [già] ma [il processo dell’]emanazione è nuovo». Si veda Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 21-282; Idel, Sefirot above Sefirot, pp. 242-244. Sopra, cap. 3.
Ma’or wa-shemesh, c. 46rv. Si veda Farber, The Shell Precedes the Fruit, p. 128, nota 60.
Sul tema si veda Pedaya, Nahmanides, passim; M. Idel, The Jubilee in Jewish Mysticism, in Fins de Siècle – Ends of Ages, a cura di J. Kaplan, Gerusalemme, 2005, pp. 67-97 (in ebraico).
The Shell Precedes the Fruit, p. 128, nota 60.
Si confronti l’affermazione di Har Shefi secondo cui l’anteriorità del male nei testi zoharici sarebbe un’interpretazione luriana. Si veda sopra, cap. 1, par. 8.
Si veda anche sotto, Appendice 2.
Su questo cabbalista si veda Gottlieb, Studies in the Kabbalah Literature, pp. 347-356; Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob; D. Freedman, Shem Tov ibn Shem Tov on ‘Sefer Yesira’, in «JJS», LVIII (2007), pp. 303-313; Idel, The Image of Man above the «Sefirot», pp. 205-207.
Sul materiale significativo relativo alla contrazione si vedano i passi discussi in Idel, On the Concept of Zimzum, pp. 77-85. Si veda anche Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 449-450; Gottlieb, Studies in the Kabbalah Literature, p. 91; Huss, Sockets of Fine Gold, p. 114.
Sefer ha-emunot, cc. 47v-48r. Sulla formula «Il Signore di ... tutte le temurot» si veda il testo di ‘Azri’el, pubblicato in Scholem, New Remnants, p. 215. Si confronti anche con il testo di Shem Ṭov pubblicato da Scholem che lo attribuiva a Shem Ṭov ibn Ga’on ma in realtà di Shem Ṭov ben Shem Ṭov (come ha dimostrato Gottlieb, Studies in the Kabbalah Literature, p. 348), pubblicato in «QS», VIII, p. 542.
Sefer ha-emunot, c. 48rv. Salomone è ritenuto autore di un Libro dei caratteri (Sefer ha-tekunot), relativo alle cose e ai loro contrari. Si veda Commento alle dieci sefirot, in Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 115, e ‘Amude ha-Qabbalah, p. 67. Si veda inoltre il Ms. New York, Jewish Theological Seminary 1822, c. 11r e il testo pubblicato da Scholem in «QS», VIII, p. 538.
Sefer ha-emunot, c. 48v. Un parallelo interessante al nostro testo, in cui si parla di pensiero invece che di sapienza, appare in un altro testo di questo cabbalista, pubblicato da Scholem in «QS», VIII, p. 538. Si veda anche per un parallelo parziale al Sefer ha-emunot l’opera senza titolo di quest’autore conservata nel Ms. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. II, 18, c. 97v, pubblicata in Idel, On the Concept of Zimzum, pp. 84-85.
Si veda, ad esempio, Sefer ha-emunot, cc. 50r, 95v, 109v; Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, pp. 62-63.
Si veda il Commento alle dieci sefirot, pubblicato da Scholem in «QS», VIII, p. 542, e il suo testo senza titolo conservato nel Ms. New York, Jewish Theological Seminary 1822, c. 12v. Si veda anche Idel, On the Concept of Zimzum, p. 82; sotto, nota 781, e nota 792.
Commento alle dieci sefirot, ‘Amude ha-Qabbalah, p. 66; Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 129, ove si cita un «grande cabbalista» in un contesto simile. Forse anche questo è un riferimento ad Avraham ben David. Si consideri anche l’uso del termine maḥashavah ṭehorah associato alla morte di Rabbi ‘Aqiva in Sefer ha-emunot, c. 77v, come risultato del segreto della trasmigrazione delle anime, causata soprattutto da peccati commessi in un’altra forma vitale. Si veda anche ibid., c. 13v.
Scholem, in «QS», VIII, p. 542. Si veda anche la formulazione in Ms. New York, Jewish Theological Seminary 1822, c. 12v.
Si veda anche il testo di Shem Ṭov pubblicato da Scholem, in «QS», VIII, p. 539; Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 129. Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 336, traduce l’espressione «oscurità accecante» – dal tedesco «blendenden Finsternis». Si veda anche Scholem, Meḥqere qabbalah, p. 57. Sull’espressione or ne‘elam riferita a un atto iniziale del processo emanativo, che già contiene dieci cose, inclusi Tohu, Bohu ecc. all’interno del pensiero puro, si veda Naḥmias, Migdol yeshu‘ot, pp. 54-55. Questo cabbalista fu profondamente influenzato dalla corrente geronese. Si veda, ad esempio, ibid., p. 36, sulle hawayyot all’interno della maḥashavah ha-qedumah – il pensiero primordiale. Si veda anche Huss, Sockets of Fine Gold, pp. 119-120. Sul concetto di «pensiero primordiale» si veda anche Natan di Gaza, in Wirszubski, Between the Lines, pp. 212-214.
Ms. New York, Jewish Theological Seminary 1822, c. 14v. Sulla luce che occulta si veda anche un’altra discussione di Shem Ṭov ibn Shem Ṭov pubblicata in ‘Amude ha-Qabbalah, p. 75, in cui essa è identificata con le tenebre, e Scholem, Meḥqere qabbalah, p. 57, nota 59. Particolarmente significativi sono il riferimento alla luce che occulta in Sefer ha-emunot, c. 33r, ove il concetto è associato all’«oscurità primordiale» e al «segreto di tutti gli opposti» o «di tutte le inversioni» – sod kol ha-hippukhim – nel contesto delle mutazioni – temurot – e l’affermazione rabbinica «ascese/occorse al/nel pensiero [divino]», riferita alla morte di Rabbi ‘Aqiva. Si veda anche sopra, nota 777, e sotto, nota 792.
Scholem, in «QS», VIII, p. 540. Si veda anche Ms. New York, Jewish Theological Seminary 1822, c. 12v e ‘Amude ha-Qabbalah, p. 71. Sulla fonte cabbalistica di quest’espressione, da ricercare nella cerchia del Libro della contemplazione si veda Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 333-336; Verman, The Books of Contemplation, pp. 156-158, e Sefer ha-Shem, Attributed to R. Moses de Leon, a cura di M. Oron, Los Angeles, 2010, pp. 61, 67; Idel, On the Concept of Zimzum, pp. 78-79.
Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 127. Ibid., p. 125.
Scholem, in «QS», VIII, p. 539. La fonte è il Commento alla preghiera quotidiana di ‘Azri’el, citato nel capitolo precedente. Si veda il Sefer ma‘ayan ha-Ḥokhmah, trattato composto all’inizio del Duecento, appartenente alla produzione cabbalistica associata al Libro della contemplazione. Si veda Verman, The Books of Contemplation, pp. 156-158, ove ricorre l’espressione «luce che attinge da luce, perché è occulta». Shem Ṭov riporta varie citazioni da tali scritti. Si veda, ad esempio, Scholem, in «QS», VIII, pp. 539-540; Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 77, ove l’autore cita la preghiera di Neḥunya ben ha-Qanah, breve testo in cui ricorre l’espressione «orah ha-mit‘allemet».
C. 139v = ‘Amude ha-Qabbalah, p. 67 = Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 126. Si veda Scholem, Origins of the Kabbalah, pp. 219-220 – che cita il testo di Shem Ṭov – e le conferenze di Scholem del 1963 pubblicate in Kabbalah in Provence, p. 111: lo studioso considera il termine nel contesto della simbologia neoplatonica della luce; si veda anche la nota di Tishby nella sua edizione di ‘Azri’el, Commentary on the Talmudic Legends, p. 107, nota 9. Si veda anche anche Farber, The Shell Precedes the Fruit, passim; Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, pp. 25-26, rinvia ad altre citazioni da Avraham ben David nel trattato di Shem Ṭov, spurie o derivate dall’opera del nipote di Avraham, Asher ben David. Si tratta di un argomento che merita una trattazione separata.
Si veda sopra, cap. 3, e il testo pubblicato da Scholem in «QS», IX, pp. 127-128.
Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 122; Ms. New York, Jewish Theological Seminary 1822, cc. 13rv, in cui si parla delle hawayyot in un passo quasi identico a quello del Commento alle dieci sefirot conservato nel Ms. London, British Library, e al testo pubblicato da Scholem in «QS», IX, pp. 126-128.
Pirqe de-R. Eli‘ezer, cap. 3, discusso sopra, Introduzione.
Cioè la terza sefirah.
Si veda Sefer ha-emunot, c. 31v.
Si riferisce probabilmente al concetto della luce che occulta, menzionata nel passo precedentemente citato.
Si veda Talmud Bab., Menaḥot, 29b. Si veda sopra, nota 777, e nota 781.
Per un’analoga interpretazione del mito di Genesi rabbah si veda anche il suo frammento dal Ms. New York, Jewish Theological Seminary 1822, c. 13r.
Si veda anche il testo di questo cabbalista pubblicato da Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 128 = ‘Amude ha-Qabbalah, p. 74, ove compare l’espressione «profondità di pensiero».
Sefer ha-emunot, c. 32r. Si veda anche Idel, On the Concept of Zimzum, pp. 82-83.
Il confronto tra pensieri divini e pensieri futili dell’immaginazione di un saggio che non ha ancora acquisito l’opinione corretta si trova anche in un responso cabbalistico di Yosef Alcastiel, indirizzato a Yehudah Ḥayyaṭ, di epoca successiva, composto forse a Valencia prima dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna. Si veda il testo pubblicato da Scholem, Lurianic Kabbalah, p. 38. Si veda anche sopra, cap. 2.
Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob.
Ibid., pp. 87-88.
Si veda il testo pubblicato da Scholem, Meḥqere qabbalah, pp. 88-89; Idel, On the Concept of Zimzum, pp. 60-68.
‘Amude ha-Qabbalah, p. 71.
Si veda anche ibid., pp. 70-71, il passo (che citerò oltre) ove si attribuisce alla Corona superna, associata all’Infinito, una forma più finita di esistenza, descritta come sapienza, luce e tenebra, fronte e retro.
Ha-maqom ha-afel. Si veda Genesi rabbah, 3, 1, pp. 18-19, ove l’espressione ricorre nel contesto della creazione del mondo. Sul rapporto tra tzimtzum e il concetto di luogo si veda anche Huss, Genizat ha-Or, pp. 348-351, e Sack, The Doctrine of Zimzum. Sulla concezione platonica del luogo, composto di materia e femminile, contenitore delle potenze intelligibili, si veda Proclo, Theologia Platonica, IV, 10.
Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, pp. 123-124 = ‘Amude ha-Qabbalah, p. 71. Si veda Ms. London, British Library 771, c. 140r; Idel, On the Concept of Zimzum, pp. 78-79. Si confronti al passo di Shem Ṭov pubblicato da Scholem, in «QS», VIII, p. 542 e Fine, Physician of the Soul, pp. 129-130.
Si veda anche ibid., p. 70: hit‘allemut ha-or, ove pure all’occultamento della luce si associa la manifestazione delle tenebre e del giudizio. Altrove nella stessa pagina si parla della rimozione della luce: hitraḥaqut ha-or.
Si veda Farber, The Shell Precedes the Fruit, pp. 128-129.
Si veda Verman, The Books of Contemplation, pp. 156-157.
Espressione caratteristica del pensiero di ‘Azri’el da Gerona. Si veda Idel, Absorbing Perfections, p. 121; ibid., p. 54, per un altro testo di Shem Ṭov, in cui si fa ricorso alla stessa espressione.
La metafora compare nella Qabbalah luriana a proposito della contrazione.
‘Amude ha-Qabbalah, p. 72; il verbo è yarḥiq, «rimuoverà», anche se non ha senso nel contesto e deve essere considerato parte di un detto in cui compare l’espressione maḥaziq. Si veda, ad esempio, Baḥyah ben Asher, Commento al Pentateuco, a Gn, 6, 15.
Il termine è utilizzato dal Nahmanide in associazione alla contrazione della divinità da un certo luogo. Si veda il suo Commento al Sefer Yetzirah pubblicato da Scholem, Meḥqere qabbalah, p. 88; Idel, On the Concept of Zimzum, p. 69, nota 60; Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 88; ricorre anche in alcuni testi luriani relativi alla contrazione.
Il versetto Gb, 28, 12, è usato fin troppo frequentemente dai cabbalisti per descrivere l’emanazione della Ḥokhmah dall’Ayin.
Ariel, Shem Tob ibn Shem Tob, p. 124 = ‘Amude ha-Qabbalah, p. 72; Ms. London, British Library 771, c. 140r; Ms. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. II, 57, c. 101; Ms. New York, Jewish Theological Seminary 1822, c. 15v; Scholem, Kabbalah, p. 129; Scholem, Origins of the Kabbalah, p. 450, nota 202; M.W. Kallus, Two Mid-13th century Kabbalistic Texts from the ‘Iyun Circle, tesi di M.A., Gerusalemme, 1991, p. VI, ove è pubblicato l’originale ebraico del Commento ai 32 sentieri di Sapienza del Ms. New York; Verman, The Books of Contemplation, pp. 71-72, nota 103, e le mie osservazioni in On the Concept of Zimzum, pp. 69-70 e nota 64.
Sulla ricorrenza del termine ta‘alumah riferito a Keter in ‘Azri’el si veda il suo Commento alla preghiera, in Séd-Rajna, Commentaire sur la liturgie quotidienne, pp. 70 e nota 1, 166-167.
Secondo ‘Azri’el, lo tzimtzum è un processo associato all’ultima sefirah e non alla prima. Si veda il suo testo pubblicato da Idel, On the Concept of Zimzum, pp. 102-104.
Si veda Kallus, Two Mid-13th century Kabbalistic Texts, cit., p. 4.
Su questo cabbalista si veda R. Goetschel, R. Meir Ibn Gabbai: Le Discours de la Kabbale espagnole, Leuven, 1981, e su altri aspetti della sua concezione del male, di cui non parlerò in questa sede, Jacobson, The Problem of Evil, pp. 112-114.
Sulla teurgia si veda sopra, cap. 2. Su Ibn Gabbay e il ruolo rilevante della teurgia nel suo pensiero si veda Idel, Kabbalah: New Perspectives, pp.175-178, 189; Mopsik, Les grands textes de la cabale, pp. 364-383; Garb, Manifestations of Power, pp. 232-246.
Si veda ‘Avodat ha-qodesh, III, 33, c. 92b, da confrontare con ibid., 1bc, III, 35, c. 97b; Scholem, Lurianic Kabbalah, p. 38, nota 84; Farber, The Shell Precedes the Fruit, p. 128, nota 60.
Si veda ‘Avodat ha-qodesh, III, 19, c. 81c, partic. IV, 14, c. 123c, ove si legge: «E nella narrazione della creazione le tenebre precedono la luce e per natura la scorza precede il frutto ed ecco perché tra gli uomini venne prima Caino». Sulla concezione di Gn, 1, 1-2 come autogenesi si veda la lunga trattazione dell’autore ibid., IV, 5, cc. 116c-117a, di cui ci occuperemo ancora più avanti.
9, 2, p. 68.
Qui finisce la citazione da Genesi rabbah.
Cioè una tipologia facciale androgina. Fin dalle origini della Qabbalah alcuni autori interpretarono questo tema rabbinico come allusione alle sefirot Tif’eret e Malkhut, simboleggianti, rispettivamente, la potenza maschile e femminile nella divinità. I due attributi vennero intesi spesso anche come simboleggiati dal sole e dalla luna. Si veda, ad esempio, Idel, Kabbalah & Eros, p. 64.
Eufemismo per indicare il male.
Si tratta della stessa concezione dell’Idra di cui si è detto sopra, cap. 1. In altri termini, ci troviamo di fronte a un’interpretazione presefirotica di una specie di polarità sessuale.
Tiqqun ha-binyan, cioè la riparazione della struttura effettiva delle sette sefirot inferiori. È probabile che si alluda anche al tema della persistenza dei mondi.
Probabilmente i malvagi di cui parla il midrash. Si veda Genesi rabbah, 28, 4 e l’interpretazione di ‘Azri’el delle leggende relative alla generazione dei malvagi nel suo Commento alle leggende talmudiche, preso in esame sopra, cap. 3.
‘Avodat ha-qodesh, IV, 5, c. 117r. Su un’ulteriore discussione a proposito dell’anteriorità del male, che include l’uso dell’aforisma, si veda ibid., III, 1, c. 59bc, in cui si sostiene che stregoneria e filosofia vennero prima della Torah.
‘Avodat ha-qodesh, I, 25, c. 22d.
Si veda Ml, 3, 6.
Sul male come parte della perfezione della creazione si veda sopra, cap. 1, par. 7, e sotto, capitolo seguente.
Gli attributi del bene e del male ricorrono in Talmud Bab., Soṭah, 11a.
‘Avodat ha-qodesh, II, 20, c. 40d.
Tola‘at Ya‘aqov, Krakau, 1581, col. 22, c. 1r. Si veda anche sotto, cap. 6, il passo citato da quest’opera da Yesha‘yahu Horowitz.
Si veda ‘Avodat ha-qodesh, IV, 30, c. 138ab. Si veda Huss, Genizat ha-Or, p. 349; Idel, On the Concept of Zimzum, pp. 88-89.
Si veda Gottlieb, Studies in the Kabbalah Literature, p. 348, nota 1.
Derekh ’emunah, pp. 54-55. Il passo e il suo contesto furono copiati alla lettera da Yosef del Medigo nella sua opera Novelot Ḥokhmah, c. 123r. Sull’idea che un’entità semplice possa scaturire esclusivamente da un’altra entità semplice si veda sopra, nota 751. Su un’altra formulazione della necessità dell’emanazione delle sefirot per la rivelazione della gloria divina si veda Derekh ’emunah, pp. 67-68, di cui parleremo brevemente sotto, cap. 6. È probabile che Ibn Gabbay si serva di una concezione tratta da Zohar, II, c. 184r, in cui la gloria di Dio si rivela nel contesto dell’esistenza congiunta di bene e male. Sulla concezione della manifestazione della volontà di Dio in Böhme si veda Koyré, La philosophie de Jacob Boehme, pp. 244, 281.
Pubblicato in Sha‘are orah, c. 13v.
Si veda l’opera etica composta nella Catalogna del Duecento Sefer ha-yashar, Porta 1. Tishby, Wisdom of the Zohar, vol. II, p. 472, nota 44.
Sha‘are orah, c. 6v.
Pare che Delacrut ricorra a un gioco di parole: mal’akhe ḥabbalah – «angeli della distruzione» – rispetto a «re della distruzione» – malke ḥabbalah.
Ms. Oxford, Bodleian Library 1965 (Opp. 485), c. 250rv. Si veda anche ibid., c. 252v. Sulle potenze malvagie che attorniano le sefirot pure si veda sopra, nota 737.
Si veda Zohar, II, c. 69b.
Shemuel ben Binyamin, Devarim ‘attiqim, Ms. Oxford, Bodleian Library 1563, c. 268r.
Si veda sopra, cap. 1, il riferimento al Sefer pitron Torah. Si veda anche Knohl, The Divine Symphony, pp. 16-19; Tishby, The Wisdom of the Zohar, vol. II, p. 453. La discussione biblica del capro espiatorio deriva, come Gn, 1, dalla tradizione sacerdotale.
Sulla consanguineità del bene e del male nel mazdeismo e su alcuni parallelismi in altre religioni si veda Eliade, Zalmoxis, p. 110.
Si veda il passo di Avraham ben David discusso in Idel, Kabbalah & Eros, pp. 61-65.
Si veda Shaked, Dualism in Transformation, pp. 13-14.
Si veda la concezione espressa, nel contesto dei due capri espiatori, da M.E. Stone, Apocalyptic Literature, in Stone, Jewish Writings of the Second Temple Period, p. 418: il ruolo di ‘Azaz’el nell’Apocalisse di Abramo e in 1 Enoc avrebbe «carattere chiaramente dualistico». Si veda anche Elior, The Doctrine of Transmigration, pp. 253-254, 267-268, nota 56.
Si veda, ad esempio, Werblowsky, Joseph Karo; R.J.Z. Werblowsky, The Safed Revival and its Aftermath, in Jewish Spirituality, a cura di A. Green, New York, vol. II: From the Sixteenth Century Revival to the Present, 1987, pp. 7-33; S. Schechter, Studies in Judaism: Essays on Persons, Concepts, and Movements of Thought in Jewish Tradition, New York, 1970, pp. 231-297; Pachter, Roots of Faith and Devequt, pp. 131-316; L. Fine, Physician of the Soul, pp. 41-76; Fine, New Approaches to the Study of Kabbalistic Life in 16th-Century Safed, in Jewish Mysticism and Kabbalah: New Insights and Scholarship, a cura di F. Greenspahn, New York, 2011, pp. 91-111; M. Benayahu, Yosef Behiri: Maran Rabbi Yosef Karo, Gerusalemme, 1991 (in ebraico); E.R. Wolfson, Weeping, Death and Spiritual Ascent in Sixteenth-Century Jewish Mysticism, in Death, Ecstasy, and Other Worldly Journeys, a cura di J.J. Collins e M. Fishbane, Albany, NY, 1995, pp. 207-243; B. Huss, Like the Radiance of the Sky: Chapters in the Reception History of the Zohar, Gerusalemme, 2008, passim (in ebraico); Garb, Manifestations of Power in Jewish Mysticism, pp. 203-212; M. Idel, Italy in Safed, Safed in Italy, pp. 239-269; Idel, Messianic Mystics, pp. 154-182; M. Idel, On Mobility, Individuals and Groups; Prolegomenon for a Sociological Approach to Sixteenth-Century Kabbalah, in «Kabbalah», III (1998), pp. 145-173; Idel, Ascensions, and Gender, pp. 55-107; Idel, Jewish Thinkers versus Christian Kabbalah; E.P. Fishbane, Chariot for the Shekhinah: Identity and the Ideal Life in Sixteenth-Century Kabbalah, in «Journal of Religious Ethics», XXXVII/3 (2009), pp. 385-418; Weinstein, Kabbalah and Jewish Modernity; Koch, Human Self-Perfection; J.H. Chayes, Between Worlds, Dybbuks, Exorcists, and Early Modern Judaism, Philadelphia, 2003; i vari studi su Safed in Spirit Possession in Judaism: Cases and Contexts from the Middle Ages to the Present, a cura di M. Goldish, Detroit, 2003, pp. 99-212.
Si veda P. Giller, Recovering the Sanctity of the Galilee: The Veneration of Sacred Relics in Classical Kabbalah, in «Journal of Jewish Thought and Philosophy», IV (1994), pp. 147-169; Fine, Physician of the Soul, partic. pp. 271-274, 432, nota 48; P.B. Fenton, Influences soufies sur le dévéloppement de la Qabbale à Safed: le cas de la visitation des tombes, in Expérience et écriture mystiques dans les religions du livre, a cura di P.B. Fenton e R. Goetschel, Leiden, 2000, pp. 163-190; B. Huss, Holy Place, Holy Time, Holy Book: The Influence of the «Zohar» on Pilgrimage Rituals to Meron and the Lag BaOmer Festival, in «Kabbalah», VII (2002), pp. 237-256 (in ebraico); B. Huss, The Worship of the Tombs of the Righteous in Safedian Kabbalah, in «Maḥanaim», XIV, nuova serie, (2002), pp. 123-134 (in ebraico); Garb, The Cult of the Saints in Lurianic Kabbalah, pp. 203-229; Sack, The Kabbalah of Rabbi Moses Cordovero, pp. 249-266; Cordovero, Or yaqar, IX, p. 57. Si veda inoltre Idel, Messianic Mystics, p. 311.
M. Idel, The Expulsion – Between Trauma and Creativity, in The Heritage of the Jews of Spain, a cura di A. Doron, Tel Aviv, 1994, pp. 107-113 (in ebraico).
M. Idel, Particularism and Universalism in Kabbalah, 1480-1650, in Essential Papers on Jewish Culture in Renaissance and Baroque Italy, a cura di D.B. Ruderman, New York, 1992, pp. 324-344; M. Idel, Encounters Between Spanish and Italian Kabbalists in the Generation of the Expulsion, in Crisis and Creativity in the Sephardic World, a cura di B.R. Gampel, New York, 1997, pp. 189-222; M. Idel, Religion, Thought and Attitudes: the Impact of the Expulsion on the Jews, in Spain and the Jews: The Sephardi Experience, 1492 and After, a cura di E. Kedourie, London, 1992, pp.123-139; M. Idel, Spanish Kabbalah after the Expulsion, in Moreshet Sepharad: The Sephardi Legacy, a cura di H. Beinart, 2 voll., Gerusalemme, 1992, vol. II, pp. 166-178; Idel, Messianic Mystics, pp. 134-138; Idel, On Mobility, Individuals and Groups, cit. Si veda inoltre R. Goetschel, Mystique et messianisme, in Gisel-Kaennel, Réceptions de la Cabale, pp. 161-171; Garb, The Cult of the Saints in Lurianic Kabbalah, pp. 203-205.
Si veda, ad esempio, Scholem, Major Trends, pp. 244-247; Scholem, The Messianic Idea in Judaism and Other Essays on Jewish Spirituality, New York, 1971, p. 41; Tishby, The Doctrine of Evil, pp. 142-143; Werblowsky, Joseph Karo, pp. 94-95; R. Elior, Messianic Expectations and the Spiritualization of Religious Life in the Sixteenth Century, in «REJ», CXLV (1986), pp. 35-49; Fine, Physician of the Soul, pp. 322-326.
Si veda M. Idel, R. Yehudah Ḥallewah and His ‘Zafenat Pa‘aneaḥ’, in «Shalem», IV (1984), pp. 119-148 (in ebraico). Poche sono le informazioni su questo cabbalista.
Si veda anche M. Idel, Jewish Mysticism Among the Jews of Arab/Moslem Lands, in «The Journal for the Study of Sephardic & Mizrahi Jewry», I (2007), pp. 14-39; Koch, Human Self-Perfection, pp. 42, 165-167. Si veda, tuttavia, M. Pachter, The Beginning of Kabbalistic Ethical Literature in 16th Century Safed, in Culture and History: Ino Sciaky Memorial Volume, a cura di J. Dan, Gerusalemme, 1987, pp. 89-90, nota 3 (in ebraico).
Per il nostro proposito è significativa la sua conoscenza di Shem Ṭov ben Shem Ṭov, di cui si è parlato nel capitolo precedente. Si veda Idel, R. Yehudah Ḥallewah and His ‘Zafenat Pa‘aneaḥ’, p. 130.
Sulla base di Mishnah Ḥagigah, II, 1, ove si vietano le speculazioni su quanto esisteva prima della creazione del mondo.
Su questo segreto nell’esoterismo ebraico si veda D. Abrams, Sexual Symbolism and Merkavah Speculation in Medieval Germany, Tübingen, 1997. Si veda anche il passo del suo contemporaneo Me’ir ibn Gabbay, citato da Yesha‘yahu Horowitz, qui tradotto sotto, cap. 6, par. 1, una delle cui fonti principali è lo Zohar. Si veda Tishby, The Wisdom of the Zohar, vol. II, pp. 494-496.
A differenza di Israele, che spesso è simbolo della sefirah Tif‘eret. Sull’associazione di questa espressione con Tif‘eret si veda il Sefer ha-Shem, Attributed to R. Moses de Leon, a cura di M. Oron, Los Angeles, 2010, pp. 118, 123. Si veda però l’identificazione di Yiśra’el Sabba con la prima sefirah nel Commento a Genesi rabbah di Yosef ben Shalom Ashkenazi, p. 40, che potrebbe aver influenzato Ḥallewah.
Sono descrizioni in stile zoharico della sefirah più elevata.
Ms. Dublin, Trinity College, B. 5.27, c. 170v; Idel, The Evil Thought of the Deity, p. 363.
L’emanazione che ha inizio da un punto o yod è già presente nella Qabbalah delle origini, nel Commento al Sefer Yetzirah di Yosef Ashkenazi, c. 21c, e in De León (si veda sopra, cap. 1, par. 6) e ricorre anche nella corrente luriana, come vedremo sotto, in questo capitolo.
La stessa affermazione è attestata nel Ms. Dublin, Trinity College, B. 5.27, c. 194r, ed è presente nel Sefer ha-yashar, Porta 1.
Ms. Dublin, Trinity College, B. 5.27, c. 159rv. L’idea che le sefirot impure proteggono quelle pure ricorre in vari testi cabbalistici. Si veda, ad esempio, Sack, The Kabbalah of R. Mosheh Cordovero, pp. 83-102; Naftali Bakharakh, ‘Emeq ha-melekh, c. 29r: «Il male abbraccia il bene e lo precede per proteggerlo». Si veda anche ibid., c. 24c. Sulle scorze impure che circondano le pure si veda anche sopra, nota 737.
Si veda Idel, Sefirot above Sefirot, pp. 247-248; Idel, Kabbalistic Material, p. 177. Per l’elaborazione dell’idea che l’emanazione ha inizio da un punto o da una yod e che si distingue poi in potenze pure e impure, si veda anche, nella dottrina luriana, Naftali Bakharakh, ‘Emeq ha-melekh, c. 179c. Si veda anche la parabola del seme che contiene elementi puri e impuri in Cordovero, Pardes rimmonim, XXV, 1, II, c. 53c.
Ms. Dublin, Trinity College, B. 5.27, c. 171v. Per il ruolo del «pensiero puro» nella sua teosofia, forse influenzata da Mosheh da Burgos, si veda Idel, R. Yehudah Ḥallewah and His ‘Zafenat Pa‘aneaḥ’, cit., p. 136, nota 9.
Si veda il Ms. Oxford, Bodleian Library 1597, cc. 60r, 61v, 64v, 65r, 72r-73r, 77v-79 r.
Si veda la sua opera Eshet ne‘urim, Ms. Oxford, Bodleian Library 2455, cc. 9v-10r. Su questo cabbalista si veda Scholem, Lurianic Kabbalah, pp. 107-124. Anche Hamon conosceva il libro di Ḥayyaṭ, così come l’opera di Ḥallewah. Si veda anche sopra, cap. 1, par. 8. Il testo di Ḥallewah è citato anche da Eliyyah de Vidas: si veda Re’shit Ḥokhmah, Sha‘ar ha-qedushah, cap. 17, vol. II, pp. 508-509. Dunque le fonti cabbalistiche di cui si è detto erano accessibili ai cabbalisti di Safed verso la metà del Cinquecento.
Si veda B. Sack, The Mystical Theology of Solomon Alkabez, tesi di Ph.D., Waltham, 1977 (in ebraico); Kimelman, The Mystical Meaning of Lekhah Dodi. La bibliografia relativa a Caro è enorme: si veda, ad esempio, Werblowsky, Joseph Karo; Pachter, Roots of Faith and Devequt, pp. 265-276; M. Altshuler, «Revealing the Secret of His Wives» – R. Joseph Karo’s Concept of Reincarnation and Mystical Conception, in «Frankfurter Judaistische Beiträge», XXXI (2004), pp. 91-104; M. Altshuler, Rabbi Joseph Karo and Sixteenth-Century Messianic Maimonideanism, in The Cultures of Maimonideanism: New Approaches to the History of Jewish Thought, a cura di J.T. Robinson, Leiden-Boston, 2009, pp. 191-210; Garb, Manifestations of Power in Jewish Mysticism, pp. 203-212; M. Hallamish, Ha-Kabbalah be-Pesikato shel R. Yosef Karo, in Ha-Kab-balah ba-Tefillah, ba-Halakhah u-va-Minhag, Ramat Gan, 2000, pp. 161-179 (in ebraico); M. Idel, R. Joseph Karo and His Revelations: or the Apotheosis of the Feminine in Safedian Kabbalah, New York, 2010.
Talmud Bab., Sanhedrin, 59b. Si veda anche J. Dan, «No Evil Descends from Heaven» – Sixteenth-Century Jewish Concepts of Evil, in Jewish Thought in the Sixteenth Century, a cura di B.D. Cooperman, Cambridge, Mass., 1983, pp. 89-104.
Pardes rimmonim, XXV, 1, II, c. 53c. Parte di questo passo fu copiato alla lettera da Yesha‘yahu Horowitz, Ha-Shelah, I, c. 29a. Invero Alqabetz si servì simultaneamente delle due similitudini nella sua opera Liqquṭe haqdamot, Ms. Oxford, Bodleian Library 1663, cc. 175v-176r, 178v-179r, come ha osservato Ben Shlomo, The Mystical Theology, p. 291, nota 28. Su tali similitudini si veda Bland, Neoplatonic and Gnostic Themes in R. Moses Cordovero’s Doctrine of Evil, pp. 111-112; Sack, The Kabbalah of R. Mosheh Cordovero, p. 87, nota 23. Si dovrebbe ricordare che Cordovero si serve dell’espressione Ṭippat zera‘ – una goccia di seme –, ad esempio in Sefer elimah, c. 147c, o della forma più comune Ṭippah zir‘it, e l’uso del termine «goccia» da solo nella dottrina luriana dovrebbe essere compreso in tale contesto.
Si veda Ayelet ahavim, Lemberg, 1889, c. 33a; Sack, ibid., pp. 88-89; Sack, Mosheh Cordovero and Isaac Luria, p. 315.
Si veda anche Ben Shlomo, The Mystical Theology, pp. 290-291.
In questo caso non mi sembra che il termime possa essere riferito all’Haggadah di Pesaḥ.
Ha-galut. A mio parere è questa la vocalizzazione da preferire del testo consonantico hglwt, che potrebbe leggersi anche higalut, dando luogo però a una traduzione totalmente diversa del testo.
Zohar, III, cc. 98b-99a.
Si veda Gn, 11, 26.
Shelomoh ha-Levi Alqabetz, Berit ha-Levi, cc. 38d-39b; Ms. Oxford, Bodleian Library 1665, cc. 57rv. Su questo trattato si veda B. Sack, Exile and Redemption in «Berit ha-Levi», by R. Shlomo ha-Levi Alkabetz, in «’Eshel Beer Sheva‘», II (1980), pp. 265-286 (in ebraico). Si veda anche Sack, Mosheh Cordovero and Isaac Luria, p. 315.
Werblowsky, Joseph Karo, pp. 169-188; Idel, Inquiries in the Doctrine of «Sefer Ha-Meshiv», pp. 185-266.
Su questo cabbalista si veda Sack, The Kabbalah of Rabbi Mosheh Cordovero, partic. pp. 83-102; Bland, Neoplatonic and Gnostic Themes in R. Moses Cordovero’s Doctrine of Evil, pp. 103-128; Ben Shlomo, The Mystical Theology; Z. Raviv, Fathoming the Heights, Ascending the Depth – Decoding the Dogma within the Enigma, Life, Writings and Speculative Piety, tesi di Ph.D., Minneapolis, University of Minnesota, 2007; Garb, Manifestations of Power, pp. 200-224. Su questa figura significativa si veda sopra, capp. 1 e 3.
Si veda Tishby, Paths of Faith and Heresy, pp. 26-27; Farber, The Shell Precedes the Fruit, p. 134.
Cordovero, Or yaqar, XIV, p. 179; VII, p. 179; Liebes, Cordovero and Luria, pp. 41-42, ove si afferma che per la creazione del mondo è necessaria la polarità bene/male.
Significa che l’occultamento è necessario perché implica potenzialità, talvolta descritta come privazione, he‘eder, a un livello più elevato dell’attualizzazione delle sefirot. Si veda partic. Pardes rimmonim, V, 4.
Sull’esistenza delle dieci sefirot più elevate, perlopiù definite tzaḥtzaḥot, o sefirot interiori, all’interno del regno più elevato del mondo divino, più volte menzionate nello stesso capitolo di Cordovero si veda Idel, The Image of Man above the «Sefirot». La stessa concezione è accolta anche da un seguace di questa corrente, Shabbetay Shefṭel Horowitz, Shefa‘ Ṭal, c. 63a, c, 71d. Altrove Cordovero parla di tre tipi di conoscenza: di ciò che era prima della creazione, di ciò che esiste dopo la creazione e di ciò che è inesistente. Un’estesa trattazione delle diverse forme di conoscenza divina, analoga alla speculazione di Cordovero, si trova in Eliyyah da Loantz, Aderet Eliyyahu, vol. I, pp. 190, 263-264.
Or ḥozer. Sulla teoria delle due luci si veda Sack, The Kabbalah of Rabbi Mosheh Cordovero, pp. 162-164. È possibile che le luci primordiali siano le tzaḥtzaḥot, nel contesto delle speculazioni presefirotiche di Cordovero. Si veda Idel, The Image of Man above the «Sefirot», pp. 198-199. Si veda anche Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 200-201, nota 71.
Non ho trovato la fonte esatta del passo ma si veda Zohar, I, c. 224a, e soprattutto I, c. 16a; Menaḥem Recanati, Commento al Pentateuco, c. 2d, dove si afferma che ogni cosa ha una veste, tranne Tohu.
Sul significato ontologico della teoria secondo cui le entità superiori sarebbero rivestite dalle inferiori si veda Farber, The Shell Precedes the Fruit, pp. 134-135. Cordovero attinge l’idea da Yosef Ashkenazi, Commento al Sefer Yetzirah, c. 32rv, ma la fonte di questa concezione è da ricercarsi nella Qabbalah precedente. Si veda il Commento all’opera della Creazione, pubblicato in Asher ben David: His Complete Works, p. 318, e, più dettagliatamente, Cordovero, Or yaqar, XIV, p. 190. Comunque, Cordovero ritiene che il male serva anche da protezione del bene e che sia necessario per la santità. Si veda Sack, The Kabbalah of Rabbi Mosheh Cordovero, pp. 82-103. Si veda anche sopra, nota 737, la concezione che le scorze circondano le sefirot pure.
Pardes rimmonim, XI, 6, I, c. 64d; e Shi‘ur Qomah, c. 13c; Ben Shlomo, The Mystical Theology, pp. 193-194, 231-232. Si veda anche il passo citato da Avraham Azulay a nome di Cordovero, in Or he-Ḥammah, Premislany, 1887, vol. III, c. 50d. Secondo Or yaqar, I, p. 130, tutto quanto doveva essere creato preesisteva all’interno delle sefirot Keter e Ḥokhmah. Sul pensiero divino, cioè l’Infinito e la prima sefirah Keter, che comprende tutto, si veda anche Cordovero, Shi‘ur Qomah, c. 49c. Si veda anche Cordovero, Or yaqar, I, p. 236. La connessione tra anteriorità ontologica della privazione e scorze appare anche in Avraham Azulay, Ḥesed le-Avraham, c. 48r. Sulla radice del male si veda sopra, cap. 1, par. 9, e sotto, nota 903. Si confronti anche il pensiero di Ya‘aqov Mosheh Harlap (XX secolo), secondo cui le impurità hanno una fonte superna, mentre Amalek non ha alcuna fonte nel pensiero divino e per questo può essere sradicato. Si veda U. Barak, Can Amalek be Redeemed? A Comparative Study of the views of Rabbi Kook and Rabbi Yaakov Mosheh Harlap, in «Da‘at», LXXIII (2012), pp. XLVII-LI.
Si veda Gardet, La pensée religieuse d’Avicenne, pp. 45-68.
Si veda anche la sua discussione estesa in Or yaqar, V, p. 19.
Si veda Dauber, Pure Thought, p. 200.
Or yaqar, XI, p. 292. Sul male e il pensiero divino in Cordovero si veda anche sopra, cap. 1, par. 9.
Sack, The Kabbalah of Rabbi Mosheh Cordovero, pp. 162-163.
Ibid., pp. 83-102.
Loc. cit.
Or yaqar, I, p. 145.
Ibid., XI, p. 291. Si veda anche il passo tradotto nel paragrafo precedente dal Pardes rimmonim, relativo alle due parabole.
Ibid., XI, p. 291.
Ibid., p. 292; si veda anche ibid., p. 103; ibid., III, p. 36; XVI, p. 165, dove si afferma che la macchia attribuita ad Amalek in qualche modo disturba il pensiero superno, cioè Ḥokhmah o Keter. Si veda anche la trattazione di Luria, sotto.
Ibid., p. 292.
Ibid., XI, pp. 291-292.
Tishby, Paths of Faith and Heresy, pp. 26-27.
Si veda anche Or yaqar, XVII, p. 54. Si veda anche ibid., prima nella stessa pagina e a pp. 39 e 50, dove si interpreta la distruzione come un evento superno, una macchia e un ottenebramento che dà avvio all’operato dell’attributo del giudizio. Si veda anche ibid., III, pp. 34-35, sulla macchia di Adamo che danneggia le dieci sefirot del pensiero. Ibid. (II, p. 266) si spiega come i pensieri cattivi dell’uomo possano danneggiare le potenze superne di Ḥokhmah e Binah: tale sarebbe la fonte del male. Abbiamo un’interessante elaborazione della rettificazione delle sefirot superne, mediante l’emanazione del giudizio che raggiunge l’ultima sefirah, la quale lo trasmette alle potenze esteriori malvagie. Vedo qui un esempio dell’approccio catartico al male, anche se indotto dai peccati umani e non da una pecca del mondo divino, Si veda anche l’accenno ibid., V, p. 255; VII, p. 54, ove si menziona l’oscurità che deriva da Keter nel contesto del peccato di Adamo, e ibid., XIV, pp. 183-184, così come ibid., XI, pp. 291-292, discusso da Sack, Mosheh Cordovero and Isaac Luria, pp. 314-315.
The Doctrine of Evil, p. 49, nota 1. Tishby ignora, ad esempio, la discussione di Cordovero in Shi‘ur Qomah, c. 67v, ove le temurot sono rappresentate come torbidità dell’acqua. La concezione di temurot che hanno inizio già dalla prima sefirah riflette, a mio parere, l’influenza di Yosef Ashkenazi. La presenza della torbidità in Cordovero determina la scarsa attendibilità della tesi di Tishby, secondo cui Ibn Tabul avrebbe conservato un’interpretazione esoterica del lurianesimo, dato che appariva già in Cordovero in forma essoterica.
Or yaqar, V, p. 141. Si veda anche ibid., VIII, p. 151, e la formulazione in Pardes rimmonim, XXV, 7, II, c. 56d: «la scorza precede sempre il frutto» e «il male precede sempre il bene», in Or yaqar, XV, p. 141, in un contesto dove si sottende l’idea che la scorza preceda il frutto. Queste formulazioni enfatiche sono molto importanti perché si basano sull’idea che il male esista anche nelle più elevate dimensioni del mondo divino. Sulla scorza come rivestimento del frutto si veda Or yaqar, XVI, p. 150. Si veda anche Eliyyah da Loantz, Aderet Eliyyahu, vol. I, pp. 190, 264.
Or yaqar, XIII, p. 291. Si veda anche ibid., XI, pp. 90, 129.
Si veda Sack, The Kabbalah of Rabbi Mosheh Cordovero, p. 87.
Si veda la sezione del Sefer elimah pubblicata in Sack, R. Mosheh Cordovero, p. 177; Or yaqar, V, p. 121; XII, p. 42; III, p. 206. Sul motivo, categoricamente negato da Elliot Wolfson nel contesto della sua teoria di genere, si veda M. Idel, «Male and Female»: Equality, Female’s Theurgy, and Eros - R. Mosheh Cordovero’s Dual Ontology (in corso di stampa). Si confronti anche con la teoria di un seguace del pensiero di Cordovero, Shabbetay Shefṭel Horowitz, Shefa‘ ṭal, c. 21r, che afferma ripetutamente l’esistenza di elementi maschili e femminili nelle prime tre sefirot. Su questo cabbalista si veda B. Sack, Shomer ha-Pardes: The Kabbalist Rabbi Sabbetai Sheftel Horowitz of Prague, Beer Sheva, 2002 (in ebraico).
Elimah rabbati, pubblicato in Sack, R. Mosheh Cordovero, pp. 176-177. Si veda anche Horowitz, Shefa‘ ṭal, cc. 18 ab, 22c.
Or yaqar, XII, pp. 29-30. Questa concezione influenzò la teoria luriana secondo cui le scorze, descritte come «Malkhut esterna», preesistevano all’impasto da cui è stato creata ogni cosa, primo stadio del processo teosofico. Si veda Yosef ibn Tabul, Commento all’Idra rabba, p. 138. Successivamente, a p. 139, questa scorza è identificata con il Tohu.
Si veda Tishby, Paths of Faith and Heresy, pp. 26-27; Ben Shlomo, The Mystical Theology, p. 193; Idel, The Evil Thought of the Deity, pp. 356-364.
Si veda Cordovero, Or yaqar, XIV, p. 179.
Si veda anche Or yaqar, XI, p. 292, ove il pensiero superno, maḥashavah, è descritto sia come luogo in cui furono configurate tutte le cose prima della loro creazione, sia come giudizio, attributo frequentemente associato all’elemento femminile. Si veda anche Sack, R. Mosheh Cordovero, p. 95. Sulla concezione che la perfezione della sefirah Tif’eret implichi l’inclusione di opposti si veda Pardes rimmonim, IX, 3, I, c. 57a.
Si veda Pardes rimmonim, XIV, 2, I, c. 73d.
Si tratta di una particolare formulazione del detto di origine greca. Si veda S. Stern, «The first in thought is the last in action»: the history of a saying attributed to Aristotle, in «Journal of Semitic Studies», VII/2 (1962), pp. 235-252, adattato dall’amico di Cordovero, Shelomoh ha-Levi Alqabetz nel suo celebre poema liturgico Lekha dodi. Si veda Kimelman, The Mystical Meaning of Lekhah Dodi, pp. 24, 47-48, 53, 80; Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, pp. 308-309, note 65, 71; Dauber, Pure Thought, p. 193, nota 18; Abrams, The Female Body of God, pp. 112-113, nota 210, per una bibliografia più estesa. Cordovero amava questo detto: si veda, ad esempio, Or yaqar, XI, p. 292, e Shi‘ur Qomah, c. 13c. Si veda anche Sack, R. Mosheh Cordovero, p. 39, nota 31.
Le-ḥakima bi-remiza. Si tratta di un’espressione attestata anche altrove in Cordovero, Tefillah le-Mosheh, c. 24a.
Or yaqar, XII, pp. 29-30. Si veda anche Or yaqar, III, p. 117, ove viene introdotto il concetto degli aspetti della sefirah femminile per spiegare le varie posizioni di Malkhut. Si veda anche ibid., V, p. 121, ove si applica il concetto di du-partzufin alle relazioni tra la potenza femminile e altre potenze divine, che vengono di volta in volta intese come suoi compagni. Si veda anche Asulin, The Double Construal of the Image of the Shekhinah in Ma‘ayan ‘Ein Ya‘aqov and its Comparison to the ’Idrot Literature, in Sack, R. Mosheh Cordovero, p. 103. Sull’ascesa della sefirah Malkhut a Keter si veda anche Tefillah le-Mosheh, c. 345a. Si confronti, tuttavia, la descrizione di Keter in Cordovero come «uomo solitario» in Abrams, «A Light of Her Own»: Minor Kabbalistic Traditions on the Ontology of the Divine Feminine, «Kabbalah», XV (2006), p. 28, e The Female Body of God, pp. 143-144. In effetti, è del tutto plausibile che Cordovero seguisse più di un’unica concezione relativa al genere di Keter. Si veda anche Cordovero, Elimah rabbati, passo citato e analizzato da Ben Shlomo, The Mystical Theology, pp. 277-278; Wolfson, Divine Suffering, p. 156, nota 127. Questa polarità maschile/femminile nella prima sefirah si trasmise al sabbatianesimo. Si veda Natan di Gaza, in Scholem, Be-‘iqvot Mashiyaḥ, p. 25, dove la concezione del lato femminile, associato alle potenze del male e all’interno di Keter, è messa in relazione con la Qabbalah luriana e il processo dell’inseminazione. Si veda anche il diagramma anonimo delle dieci sefirot, Ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ebr. 441, c. 108v, in cui si dà ampio risalto all’esistenza di due elementi diversi in Keter, mentre in un altro diagramma, nello stesso Ms., c. 104v, dalla parte di En Sof, è scritto sul lato destro: «l’attributo della misericordia, maschile», mentre sul lato sinistro si legge: «l’attributo del giudizio, femminile». Entrambi i documenti sono composizioni post-zohariche, probabilmente di area italiana, del Trecento o del Quattrocento.
Or yaqar, IX, pp. 122-123. Si veda anche ibid., XVI, p. 72, ove Abramo e Giacobbe sono rappresentati, rispettivamente, come purificazione del seme o del cibo, il secondo derivante dagli scarti di Labano. Si veda anche ibid., p. 184; XI, pp. 103, 292-293. Si tratta di un’affermazione interessante, che implica il ruolo significativo del concetto del berur, la purificazione, cruciale nella teologia luriana. La purificazione degli scarti e del pensiero appare già in ‘Ezra e ‘Azri’el da Gerona e nello Zohar, anche se nel contesto dei processi superni. Si veda anche Cordovero, Sefer shi‘ur Qomah, c. 65b, «la purificazione dei mondi superni», ove le scorze sono ritenute effetto di questo processo. Si veda anche sopra, cap. 1, par. 9; Scholem, On the Kabbalah and its Symbolism, pp. 128-129.
Cordovero, Sefer shi‘ur Qomah, cc. 52c e 65v, e Or yaqar, XI, p. 12; Ben Shlomo, The Mystical Theology, pp. 205-206, nota 95.
Si veda Idel, Italy in Safed, Safed in Italy.
Si veda, ad esempio, Scholem, Major Trends, pp. 244-286; Scholem, Lurianic Kabbalah; Tishby, The Doctrine of Evil; Tishby, Gnostic Doctrines; Liebes, Myth vs. Symbol, pp. 212-242; Liebes, «Two Young Roes of the Doe»: The Secret Sermon of Luria before his Death, in Elior-Liebes, Lurianic Kabbalah, pp. 113-169; Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings; R. Meroz, Faithful Transmission versus Innovation: Luria and his Disciples, in Gershom Scholem’s Major Trends in Jewish Mysticism, 50 Years After, a cura di P. Schäfer e J. Dan, Tübingen, 1993, pp. 257-275; Pachter, Roots of Faith and Devequt; Fine, Physician of the Soul; Wolfson, Divine Suffering, pp. 101-162; M. Kallus, The Theurgy of Prayer in the Lurianic Kabbalah, tesi di Ph.D., Gerusalemme, 2002; M. Kallus, Pneumatic Mystical Possession and the Eschatology of the Soul in Lurianic Kabbalah, in Spirit Possession in Judaism: Cases and Contexts from the Middle Ages to the Present, a cura di M. Goldish, Detroit, 2003, pp. 159-185; D. ben David Gamlieli, Psychoanalysis and Kabbalah: The Masculine and Feminine in Lurianic Kabbalah, Los Angeles, 2006; R. Schatz-Uffenheimer, Cordovero and Luria: Between Realism and Nominalism, «JSJT», I/3 (1982), pp. 122-136 (in ebraico); Sack, Mosheh Cordovero and Isaac Luria, pp. 311-340; Liebes, Cordovero and Luria; Magid, From Metaphysics to Midrash; Liebes, Conjugal Union, Mourning and Talmud Torah in R. Isaac Luria’s «Tikkun Hazot», in «Da‘at», XXXVI (1996), pp. XVII-XLV; Y. Jacobson, The Aspect of the «Feminine» in the Lurianic Kabbalah, in Gershom Scholem’s Major Trends in Jewish Mysticism, 50 Years After, cit., pp. 239-255; Jacobson, The Problem of Evil; Freedman, Man and the Theogony in Lurianic Kabbalah; Garb, The Cult of the Saints in Lurianic Kabbalah, pp. 209-210; Avivi, Qabbalat ha-Ari; G. Necker, Einführung in die lurianische Kabbala, Frankfurt a/M - Leipzig, 2008; A. Tamari, Human Sparks: Readings in the Lurianic Theory of Transmigration and its Concepts of the Human Subject, tesi di M.A, Tel Aviv, 2009 (in ebraico).
Si veda Idel, On R. Nehemiah ben Shlomo the Prophet of Erfurt and R. Yizhak Luria, pp. 326- 343; M. Idel, R. Nehemiah ben Shlomo the Prophet on the Star of David and the Name Taftafia: From Jewish Magic to Practical and Theoretical Kabbalah, in Ta Shma: Studies in Judaica in Memory of Israel M. Ta-Shma, a cura di A. Reiner et al., 2 voll., Alon Shevut, 2011, vol. I, pp. 46-61 (in ebraico). Si veda anche Idel, Ascensions, and Gender, pp. 102-104.
Si veda Scholem, Lurianic Kabbalah, p. 250; Idel, The Image of Man above the «Sefirot», pp. 181-212. Spero di dimostrare che la concezione luriana delle sefirot come cerchi e linee rette deriva da David.
Si veda Tishby, The Doctrine of Evil, p. 20.
Si veda, ad esempio, ibid., pp. 48-49; Tishby, Paths of Faith and Heresy, pp. 23-29.
Si veda Meroz, Faithful Transmission versus Innovation, cit., pp. 262-263; Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings; Avivi, Qabbalat ha-Ari, pp. 1174-1177.
Avivi, conscio di alcuni dei problemi qui sollevati, ha modificato l’ultima versione della sua esposizione della Qabbalah di Luria, finalizzata a offrire un’interpretazione conciliatrice volta ad alimentare la tesi di un sistema unificato per risolvere vari problemi, tra cui soprattutto la necessità di distinguere, per quanto possibile, ciò che è originale di Luria da ciò che è solo «luriano». Si veda op. cit., pp. 1109-1180. Si veda soprattutto Avivi, Binyan Ariel, Gerusalemme, 1987, p. 9, ove lo studioso afferma esplicitamente di non voler riconciliare opinioni luriane diverse. Ma in seguito ha cambiato opinione.
Sefer toledot ha-Ari, p. 164.
Qui c’è una lacuna nella stampa.
Sulle fonti delle «acque femminili» si veda Scholem, On the Mystical Shape, pp. 187-189; Wolfson, Circle in the Square, pp. 110-119. Sulla potenza femminile nella Qabbalah luriana si veda Liebes, Myth vs. Symbol in the Zohar and Lurianic Kabbalah, pp. 225, 229-235; L. Fine, The Contemplative Practice of Yihudim in Lurianic Kabbalah, in Jewish Spirituality, a cura di A.I. Green, New York, vol. II: From the Sixteenth Century Revival to the Present, 1987, pp. 65-70. Sulla preparazione del femminile divino nella Qabbalah luriana si veda Jacobson, The Aspect of the «Feminine», pp. 239-255; Sh. Magid, Conjugal Union, Mourning and Talmud Torah in R. Isaac Luria’s «Tikkun Hazot», in «Da‘at», XXXVI (1996), pp. XVII-XLV. Si veda anche J. Garb, Gender and Power in Kabbalah: A Theoretical Investigation, in «Kabbalah», XIII (2005), pp. 79-109.
Si veda la testimonianza pubblicata a stampa in Yashar di Candia, Ta‘alumot Ḥokhmah, Basel, 1629, c. 46ab, riportata in forma abbreviata da Avivi in Qabbalat ha-Ari, p. 1174. Su quest’autore e le sue testimonianze relative a Luria si veda Benayahu, Sefer Toledot ha-Ari, pp. 79-90.
In ebraico derush, che in genere significa «sermone», anche se dal Trecento divenne sempre più comune la connotazione di «argomento», per influenza della filosofia ebraica.
Me’ir Poppers, Derekh ‘etz ḥayyim, Krakow, 1982, cc. 1bd. Si veda anche Avivi, Qabbalat ha-Ari, pp. 116 e 1174. Si veda anche l’importante osservazione citata a nome di Ḥayyim Vital da Ya‘aqov Ḥayyim Tzemaḥ, secondo cui non ci si dovrebbe fondare sulle tradizioni degli altri discepoli di Luria, in Scholem, Lurianic Kabbalah, p. 268. In proposito ricordo l’affermazione di Yosef ibn Tabul, Commento all’Idra rabba, p. 158, ove egli afferma che «queste sono tutte parole del Rabbi, il nostro maestro Yitzḥaq Ashkenazi di benedetta memoria, ma ho ampliato la sua formulazione [lingua letteraria] anche se non l’ho trascritta e questa è l’intenzione della sua formulazione ed è compresa al suo interno e tutto quanto dico è in virtù del suo merito e della sua illuminazione». Si veda, tuttavia, ibid., p. 163, ove Ibn Tabul confessa di essere interessato al senso letterale dell’Idra; si veda Z. Rubin, The Zoharic Commentaries of Joseph ibn Tabul, in Elior-Liebes, Lurianic Kabbalah, pp. 375-376. Sull’assenza di ordine nel materiale luriano si veda Avivi in Qabbalat ha-Ari, pp. 60-61. Sulla natura frammentaria degli insegnamenti di Luria relativi al significato cabbalistico di una delle principali preghiere ebraiche, Shema‘ Yiśra’el, si veda Vital, Sha‘ar ha-kawwanot, Kawwanat Qeryat Shema‘, sermone 7, c. 25c; Liebes, Cordovero and Luria, p. 56. Questo non significa che i suoi discepoli credessero che Luria non avesse una spiegazione per ogni cosa. Ricordo che quanto ci è rimasto dell’ampia letteratura luriana composta dagli allievi è una trasposizione scritta di insegnamenti orali del loro maestro, che ricorda, in qualche misura, quanto fecero nei loro supercommentari i seguaci del Nahmanide con i segreti della Torah cui aveva alluso il loro maestro. Si veda D. Abrams, Kabbalistic Manuscripts and Textual Theory: Methodologies of Textual Scholarship in the Study of Jewish Mysticism, Gerusalemme-Los Angeles, 2010, pp. 198-223.
Sulle tensioni tra Vital e Ibn Tabul si veda Scholem, Lurianic Kabbalah, pp. 179-180; Commento all’Idra rabba di Yosef ibn Tabul, p. 123; Avivi, Qabbalat ha-Ari, pp. 182-185.
Sefer toledot ha-Ari, p. 166.
Si veda Idel, Absorbing Perfections, pp. 94-95; Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, p. 209.
Si veda, in proposito, sotto, Appendice 3.
Sulla quadruplice struttura famigliare nella Qabbalah teosofica si veda Idel, Ben, pp. 381-385; Idel, Ascensions, and Gender; Abrams, The Female Body of God, pp. 147-152, e, ad esempio, il Commento all’Idra rabba di Yosef ibn Tabul, p. 132.
Si veda Y. Lorberboim, The Image of God: Halakhah and Aggadah, Gerusalemme, Tel Aviv, 2004, pp. 386-434 (in ebraico); Ch. Mopsik, Sex of the Soul: The Vicissitudes of Sexual Differences in Kabbalah, a cura di D. Abrams, Los Angeles, 2005, pp. 53-74; Idel, Kabbalah & Eros, pp. 50-51, 57-58, 220, 225, 230-231.
Si veda Idel, Ascensions, and Gender, pp. 55-107. Si vedano anche le importanti osservazioni di Jacobson sulla necessità del femminile per consentire la creatività divina nel suo The Aspect of the Feminine. Mi preme sottolineare che la procreazione nel mondo inferiore è importante perché avviene a imitazione di quanto accade nell’alto.
Avivi, Qabbalat ha-Ari, pp. 1078-1106.
Ibid., pp. 1135-1136.
Ibid., p. 1187.
Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 186-191; Magid, From Metaphysics to Midrash, partic. p. 3, 230, nota 4.
Si veda cap. 1, par. 7. Si veda anche sopra, cap. 4, par. 4.
Della luce divina nel reshimu.
Derush Ḥeftzi Bah, pubblicato in Śimḥat Kohen, di Mas’ud ha-Kohen el-Hadad, Gerusalemme, 1921, c. 1c. Il passo è stato trattato da Tishby, The Doctrine of Evil, p. 57; Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 186-191; Jacobson, The Problem of Evil, pp. 97-100. Jacobson non ha evidenziato la discrepanza tra il concetto di perfezione e la tesi catartica di Tishby e Meroz, né il tentativo di Tishby di presentare come apologetica la posizione di Ibn Tabul. Su questo cabbalista si veda Rubin, The Zoharic Commentaries of Joseph ibn Tabul, in Elior-Liebes, Lurianic Kabbalah, pp. 363-387.
Pubblicato da Avivi in Qabbalat ha-Ari, p. 153, sulla base del Ms. London, British Library, Or. 10627, cc. 208v-209r. Si veda anche Me’ir ibn Gabbay, Derekh ’emunah, p. 82.
Si veda The Doctrine of Evil, pp. 26-27. Nel frattempo Avivi ha pubblicato un trattato di Ḥayyim Vital in cui la teoria del male misto nel tehiru è simile a quella di Ibn Tabul. Si veda Avivi, Qabbalat ha-Ari, p. 1012; Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 190-191.
Il concetto di perfezione risulta chiaro fin dall’inizio dell’opera: si veda ‘Etz Ḥayyim, I, 1, c. 11a.
Ibid., c. 11c.
Sull’uso luriano del termine «miscela» nel contesto del mito si veda, ad esempio, Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 186, 200-203, 206-207, 211, 217, 219, 228-229, 238, 247-248; Fine, Physician of the Soul, pp. 126-127.
Si veda sopra, cap. 1.
Nel tehiru.
Ediz. a cura di Avivi, in Qabbalat ha-Zohar, p. 949. Si dovrebbe ricordare che nel Ms. Gerusalemme, Jewish National and University Library 40 19, c. 196v, si afferma che tutta la sapienza di Luria deriva dal Sifra di-tzemi‘uta. Su questo codice si veda Avivi, ibid., pp. 436-440.
Ibid., pp. 1024, 1012, rispettivamente.
Liqquṭim ḥadashim, p. 69. Si tratta di un eccellente esempio dell’ampio significato attribuito all’aforisma dal cabbalista.
Si veda R. Meroz, Selections from R. Efrayim Pencieri, in Elior-Liebes, Lurianic Kabbalah, pp. 211-267; Tishby, The Doctrine of Evil, pp. 125-127. Su precedenti argomentazioni cabbalistiche sul significato dell’alimentazione si veda J. Hecker, Mystical Bodies, Mystical Meals, Eating and Embodiment in Medieval Kabbalah, Detroit, 2005, partic. pp. 254-255, nota 2.
Si veda il Commento al Sifra di-tzeni‘uta luriano, in Avivi, Qabbalat ha-Ari, p. 949, tradotto sopra; si veda anche Tishby, The Doctrine of Evil, pp. 48, 50, 56, 136-137.
Derush Ḥeftzi Bah, ed. cit., c. 1b, discusso da Tishby, The Doctrine of Evil, pp. 56-57. Questa versione della contrazione è considerata «classica» da Scholem, On the Kabbalah and its Symbolism, pp. 110-111. Per altre importanti discussioni di quest’interpretazione della miscela si veda il Commento all’Idra rabba di Yosef ibn Tabul, p. 137. Sulla fonte plausibile della similitudine si veda Cordovero, Shi‘ur Qomah, c. 67b, da confrontare con quella del seme in Cordovero, Pardes rimmonim, XC, 1, II, c. 53c, dato che in entrambi i casi si ritiene che il fluido contenga un elemento che a un dato momento si separa. Su questa similitudine si veda sotto, Appendice 3. Per un’interpretazione catartica dei processi sefirotici superiori in forme precedenti di Qabbalah (e in Cordovero) si veda Idel, The Mud and the Water: For a History of a Simile in Kabbalah (in corso di stampa).
Dall’Adam qadmon, come si apprende dalle righe successive. Sulle fonti di questo termine in forme precedenti di Qabbalah si veda Idel, The Image of Man above the «Sefirot»; Liebes, Studies in the Zohar, pp. 223-224, nota 293.
Il testo fa parte di una lunga glossa a Vital, Sefer ha-Liqquṭim, pp. 99-100, ed è un’elaborazione di Zohar, II, c. 108b, sul quale si veda sopra, cap. 1. Si veda anche Tishby, The Doctrine of Evil, p. 42. Anche il passo di Naftali Bakharakh, ‘Emeq ha-melekh, c. 24c, riguarda la miscela. Si veda sopra, nota 865.
Si veda la fine del suo trattato Tola‘at Ya‘aqov, di cui parleremo sotto, cap. 6, par. 1.
Si veda, ad esempio, il testo trattato da Tishby, Doctrine of Evil, p. 48.
Sefer ‘aśarah ma’amarot, Ma’amar Em Kol Ḥay, parte 2, sezione 2, Gerusalemme, 1983, vol. II, c. 27r.
Su questo cabbalista si veda A. Altmann, Notes on the Development of Rabbi Menahem Azariah Fano’s Kabbalistic Doctrine, in Studies in Jewish Mysticism, Philosophy, and Ethical Literature Presented to Isaiah Tishby, a cura di J. Dan e J. Hacker, Gerusalemme, 1986, pp. 241-268 (in ebraico); R. Bonfil, New Information Concerning Rabbi Menahem Azariah of Fano and his Age, in Perakim be-Toldot ha-Ḥevrah ha-Yehudit bi-Yemei ha-Beinayim uva-‘et ha-Ḥadashah (Jacob Katz Festschrift), Gerusalemme, 1980, pp. 103-104 (in ebraico); R. Bonfil, Halakhah, Kabbalah, and Society: Some Insights into Rabbi Menahem Azariah da Fano’s Inner World, in Jewish Thought in the Seventeenth Century, a cura di I. Twersky e B. Septimus, Cambridge, Mass., 1987, pp. 39-61; J. Avivi, Rabbi Menahem Azariah of Fano’s Writings in Matter of Kabbalah, in «Sefunot», IV (XIX) (1989), pp. 347-376 (in ebraico).
Sulla dottrina di questo cabbalista si veda Y. Liebes, On the Image, the Writings and the Kabbalah of the Author of «‘Emeq ha-Melekh», in «JSJT», XI (1993), pp. 101-137 (in ebraico); Sh. Shatil, The Doctrine of Secrets of «Emek ha-Melekh», in «Jewish Studies Quarterly», XVII (2012), pp. 358- 395.
I due mondi, del Tohu e del tiqqun, rappresentano, rispettivamente, lo stato primordiale e caotico all’inizio e il mondo della riparazione alla fine.
Cioè la procreazione è associata all’inclinazione al male, necessaria per metterla in pratica.
‘Emeq ha-melekh, c. 24c. Sulle gocce di seme si veda ibid., c. 82c. Il midrash dei mondi distrutti ricorre anche in testi luriani classici, quali il Commento all’Idra rabba di Yosef ibn Tabul, pp. 137, 139.
Shalom Buzaglo, Miqdash melekh, Amsterdam, 1749, vol. I, c. 170a.
Vilnius, 1880, p. 5. Si veda anche Natan Shapira da Gerusalemme, Maḥabberet ha-qodesh, cc. 7d, 32c.
L’ebraico te’omim include le consonanti ’MT, le quali creano la parola verità – emet –e che, in un’altra combinazione, senza l’alef iniziale, possono significare anche «morte», il destino del malvagio. Sui malvagi e la morte nella tradizione rabbinica si veda Talmud Bab., Berakhot, 18b. Il gioco di parole ’MT e MT ricorda quello analogo delle leggende del golem. Si veda Idel, Golem, pp. 64-65, 208-209, 306-313. In ogni caso, questo passo riflette l’influenza dell’ermeneutica ashkenazita, tema che necessita uno studio separato. Si veda Idel, On R. Nehemiah ben Shlomo the Prophet of Erfurt and R. Yizhak Luria, pp. 326- 343.
Esaù era rosso, in ebraico adom, riferito a Edom, o ai re edomiti.
Vital, Sefer ha-Liqquṭim, p. 76.
Yosef Caro riferisce, probabilmente a nome di Shelomoh Alqabetz, una tradizione segreta secondo cui i re edomiti morirono nello stesso modo dei personaggi biblici Er e Onen, perché versarono invano il loro seme. Si veda Caro, Maggid mesharim, p. 77.
Maseket Kelim, 2, 1.
Non ho rintracciato la fonte.
Liqquṭe ha-Shas, Maseket Kelim, c. 21b. Un parallelo si trova in Vital, Liqquṭe Torah, a Prv., c. 136b. L’aforisma compare anche nel Commento all’Idra rabba di Yosef ibn Tabul, p. 137.
Vital, Liqquṭe Torah, c. 44a.
Sefer arba‘ me’ot sheqel qodesh, Gerusalemme, 1978, p. 205. Si veda anche Naftali Bakharakh, ‘Emeq ha-melekh, c. 25ab.
Si veda Liebes, Studies in Jewish Myth, p. 176, nota 79.
Come nei Tiqqune Zohar, ad esempio, indubbia fonte di Luria.
Si veda Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings; Meroz, Selections from R. Efrayim Pencieri, in Elior-Liebes, Lurianic Kabbalah, pp. 243-244; J. Avivi, Binyan Ariel, Gerusalemme, 1987 (in ebraico).
Si veda The Doctrine of Evil, passim.
Per un’analisi del suo pensiero teosofico si veda Wirszubski, Between the Lines, pp. 152-188. Sul male metafisico, si veda partic. ibid., pp. 168-172.
Si veda sopra, cap. 1, par. 6.
Natan di Gaza, Sefer ha-beri’ah, Ms. Berlin, Staatsbibliothek, Or. 8° 3077, c. 8r. Si veda anche Wirszubski, Between the Lines, pp. 156-157, 169-170; Scholem, Sabbatai Sevi, pp. 298-302; Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, pp. 57-60; C. Ciucu, The Metaphysical Foundations of the Sabbatean messianism as reflected in Nathan of Gaza’s «Sefer Ha-Beriah», in Giacobbe e l’angelo: Figure ebraiche alle radici della modernità europea, a cura di E. D’Antuono, I. Kajon e P.C. Sindoni, Roma, 2012, pp. 181-191.
Wirszubski, Between the Lines, pp. 159-160. Si veda anche l’elaborazione di queste concezioni nel sabbatianesimo settecentesco: si veda M.A. Perlmuter, Rabbi Jonathan Eibeschuetz and His Attitude towards Sabbatianism, Gerusalemme-Tel Aviv, 1947, pp. 176-177 (in ebraico).
Ms. London, British Library, 27074, c. 24r. Secondo il cabbalista, tale rivalità si manifesta anche tra figure storiche. Si veda ibid., c. 24v. Sull’esistenza di un testo che forse considera la relazione maschio/femmina all’interno dell’En Sof si veda anche Shem Ṭov ben Shem Ṭov, Sefer ha-emunot, c. 35b. Nel passo si afferma che il ruolo dell’elemento femminile è di custodire il seme dell’elemento maschile. L’esistenza di una polarità primordiale, presefirotica, può essere riferita al concetto di sha‘ashu‘a, il piacere divino, associato all’inizio degli atti emanativi, precedenti l’emanazione di Keter, secondo Cordovero, e può avere una connotazione sessuale. Si veda, ad esempio, Ben Shlomo, The Mystical Theology, pp. 60-62, 222-223. Il concetto di sha‘ashu‘a ricorre anche nella dottrina luriana. Tali eventi presefirotici costituiscono un altro tipo di teosofia, rispetto a quello dello strato presefirotico delle sefirot superne, trattato in Idel, The Image of Man above the «Sefirot». Si tratta di concezioni note sia a Cordovero sia a Vital, come ho dimostrato nel mio articolo. Sui mondi presefirotici si veda Vital, ‘Etz Ḥayyim, I, 4, c. 13v, ove si afferma esplicitamente l’esistenza di numerosi mondi superni, più elevati delle dieci sefirot emanate. Sulla presenza o assenza dell’elemento femminile negli eventi presefirotici in Luria si veda Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 230, 242, 246; si veda Jacobson, The Aspect of the «Feminine», p. 242, in cui l’autore sostiene che «En Sof di per sé non è né maschile né femminile», mentre ibid., p. 246, parla della «Malkhut di En Sof e del suo aspetto femminile nascosto».
Physician of the Soul, pp. 9-15; si veda anche Tamari, Human Sparks, cit., pp. 91-94; Weinstein, Kabbalah and Modernity, pp. 315-406.
On the Performing Body. Si veda anche Idel, Studies in Ecstatic Kabbalah, pp. 18-19. Si consideri in particolare la concezione dell’intenzione della donna durante il rapporto sessuale per fare prevalere il proprio seme. Si veda Naftali Bakharakh, ‘Emeq ha-melekh, cc. 36r, 38r.
Si veda, ad esempio, Tishby, The Wisdom of the Zohar, vol. III, pp. 1155-1325; Idel, Absorbing Perfections, pp. 289-293; Idel, On The Performing Body, pp. 251-271; Felix, Theurgy, Magic, and Mysticism. Sugli aspetti performativi del mito si veda Ricoeur, Symbolism of Evil, pp. 166-167, che segue Eliade, Patterns in Comparative Religion, p. 416.
Kabbalah, p. 122. Si veda inoltre, sotto, cap. 8.
Si veda Scholem, On the Kabbalah and its Symbolism, pp. 133-153.
Sefer Toledot ha-Ari, p. 248.
Si veda Tishby, The Doctrine of Evil, pp. 91-105; Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 93-97, 218-219, 230, 242-243, 246; Wolfson, Venturing Beyond, p. 87 e la bibliografia ivi riportata.
Sulla struttura antropomorfica in Luria si veda Idel, The Image of Man above the «Sefirot», pp. 199-205; sulla designazione dell’Infinito «Anthropos primordiale», peccatore, si veda Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 186, 219, 252-253. Si veda anche Naftali Bakharakh, ‘Emeq ha-melekh, c. 17c.
Si tratta di un noto discepolo di Luria, molto vicino al suo maestro.
Warszawa, 1982, c. 20d. Si veda Idel, Kabbalah & Eros, pp. 279-280, nota 131. Si confronti anche la concezione di Avraham Azulay (inizio XVII secolo), che perlopiù segue Cordovero: «“I nemici dell’uomo sono i membri della sua famiglia”, cioè le gocce di seme da cui è stato creato il corpo delle scorze ... e quando qualcuno si pente, combatte contro i propri nemici, cioè i nemici e le proprie membra». Si veda Ba‘ale berit Avram, Gerusalemme, 1982, c. 87b. Questo ritorno del seme all’origine presenta analogie molto superficiali con il controllo tantrico dell’eiaculazione: nei fatti le due concezioni sono opposte. Si veda anche M. Eliade, Yoga: Immortality and Freedom, Princeton, 1971, pp. 248-249.
Sha‘ar ha-pesuqim, p. 171. Il passo viene citato come parte di un «rotolo segreto» da Yesha‘yahu Horowitz, Ha-Shelah, vol. II, c. 192v. Su altri testi relativi al seme e all’eiaculazione nella Qabbalah luriana si veda l’importante contributo di Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 93-97, 200, 218-219, 230, 242-243, 246; Garb, The Cult of the Saints in Lurianic Kabbalah, p. 216; Magid, From Metaphysics to Midrash, pp. 56-62. Sulla correlazione tra l’eiaculazione di Giuseppe delle dieci gocce, ritenuta un peccato, e la trasmigrazione dei dieci martiri si veda Yehudah Ḥallewah, Tzafnat pa‘aneaḥ, Ms. Dublin, Trinity College, B. 5.27, c. 131v.
Sha‘ar ruaḥ ha-qodesh, c. 14c. Su questo cabbalista si veda Avivi, Qabbalat ha-Ari, pp. 194-198. Nello stesso periodo vari autori indicano come riparare peccati sessuali associati al seme. Si veda Benayahu, Ma‘amadot u-Moshavot, pp. 77-80.
Si veda Talmud Bab., ‘Avodah zarah, 5a; Yevamot, 62a.
Pesha‘, gioco di parole con la parola shefa‘ – influsso – che ricorre prima del passo citato (le consonanti ebraiche sono le stesso ma in ordine differente). Le consonanti GWF[P] – cioè il serbatoio superno inteso come un corpo – sono l’acronimo delle parole del versetto Is, 59, 20: Go’el u-le-shave pesha‘. Anche in Natan Shapira da Gerusalemme, Maḥabberet ha-qodesh, c. 51d, il seme è considerato un’emanazione che discende su questo mondo.
Sha‘ar ha-pesuqim, pp. 234-235; Tishby, The Doctrine of Evil, pp. 136-137; si veda Sha‘ar ruaḥ ha-qodesh, c. 17d, dove l’azione è associata all’usanza introdotta da Luria di «riparare i figli perduti» (tiqqun shovavim), fondata sull’idea che il penitente riconduce le scintille al luogo d’origine. Si veda anche Natan Shapira da Gerusalemme, Maḥabberet ha-qodesh, c. 137d; Naftali Bakharakh, ‘Emeq ha-melekh, c. 31c. Sui rituali associati ai figli demonici e alla loro riparazione si veda Scholem, On the Kabbalah and its Symbolism, pp. 153-157; Benayahu, Ma‘amadot u-Moshavot. Sul tiqqun ha-kelali, la riparazione universale associata ai peccati sessuali, si veda Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, pp. 253-261; Liebes, Studies in Jewish Myth, pp. 115-150. Già Cordovero sosteneva che il seme sparso invano viene preso dalle potenze demoniche. Si veda Pardes rimmonim, XXVI, 2, II, c. 57bc, e la discussione interessante nell’Or yaqar, V, p. 254; Benayahu, op. cit., pp. 81-83. Sugli aspetti escatologici del mito adamico riferiti allo spargimento del seme si veda Ricoeur, Symbolism of Evil, pp. 260-278.
Sul seme, la yod e il punto si veda, in particolare, Yosef ben Shalom Ashkenazi, Commento al Sefer Yetzirah, c. 21c; Zohar, I, c. 15b. Sul seme, il punto e il pensiero si veda, ad esempio, Me’ir ibn Gabbay, ‘Avodat ha-qodesh, IV, 4, c. 116d; Yashar da Candia, Novelot Ḥokhmah, c. 152a. Sul seme e il cervello si veda, ad esempio, Cordovero, Or yaqar, XIII, pp. 156, 181; Tefillah le-Mosheh, c. 140a. Sulla yod nella Qabbalah luriana, si veda, ad esempio, Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 206, 208-209, 233.
Natan Shapira da Gerusalemme, Maḥabberet ha-qodesh, c. 73ab, 117a, 145c, 148c. A c. 74c si attribuisce la stessa idea ad Abramo come trasmigrazione di Adamo. Si confronti con le analoghe teorie in Vital, ‘Etz Ḥayyim, I, c. 57b; Vital, Sha‘ar ha-kawwanot, ‘Inyan Pesaḥ, derush 1, c. 79a; in Avraham Azulay, Ḥesed le-Avraham, cc. 29d-30a: entrambi collegano i 130 anni della penitenza di Adamo al giudizio di Giuseppe. Su altre concezioni relative al male nell’opera di Shapira si veda Scholem, Sabbatai Sevi, pp. 301-306. Sulla leggenda di Adamo nella corrente luriana si veda anche Naftali Bakharakh, ‘Emeq ha-melekh, c. 3r. Sull’influenza dell’interpretazione luriana della leggenda su Naḥman di Bratzlav si veda il suo Liqquṭe Moharan, II, par. 5. Su analoghe concezioni si veda Vital, Sha‘ar ha-pesuqim, p. 101. Sul ruolo del seme nella dottrina luriana in termini generali si veda Pachter, Shemirat ha-Berit, pp. 154-156, 187-188, che in proposito segue l’analisi di Meroz, Redemption in the Lurianic Teachings, pp. 93-97, 218-219, 230, 242-243, 246. Naftali Bakharakh giustappone la riparazione delle scintille pure dalle scorze e dal seme sparso invano e le considera oggetto della stessa intenzione cabbalistica. Si veda ‘Emeq ha-melekh, cc. 22d e 82d.
Le numerose varianti del mito sono state analizzate dettagliatamente in un’affascinante monografia da Bruce Lincoln alla quale si dovrebbe comunque aggiungere la versione più elaborata e forse più influente di questo modello mitico attestata nel lurianesimo: Myth, Cosmos and Society, Cambridge, Mass., 1986, passim; Eliade, Patterns in Comparative Religion, p. 346; M. Buber, The Origin and Meaning of Hasidism, a cura di M. Friedman, New York, 1966, p. 121; P. Kingsley, Ancient Philosophy, Mystery, and Magic: Empedocles and Pythagorean Tradition, Oxford, 1995, p. 291 e nota 6; Idel, Absorbing Perfections, p. 99; Idel, Hasidism, p. 297.
Si veda M. Idel, Multiple Forms of Redemption in Kabbalah and Hasidism, «JQR», CI (2011), pp. 45-54; Idel, Absorbing Perfections, p. 99, 196; M. Idel, Paradigms of Redemptive Activity in the Middle Ages, in Messianism and Eschatology: A Collection of Essays, a cura di Z. Baras, Gerusalemme, 1983, pp. 264-265 e nota 46 (in ebraico); Koch, Human Self-Perception, pp. 165-166. Si consideri il duplice significato di methanoia nel giudaismo e nella tarda antichità: si veda Liebes, «Sefer Yetzirah» in R. Shlomo ibn Gabirol, p. 121; Wolfson, Inscribed in the Book of the Living, p. 249. Penso che per i cabbalisti l’espiazione di un peccato fosse qualcosa di più che una confessione, forse un modo per far tornare il seme sparso alla fonte superna, intesa come un «corpo».
Si veda Idel, Kabbalah & Eros, p. 230 e, soprattutto, Zohar, III, c. 90a; Cordovero, Or yaqar, XIII, p. 128, citazione da Eliyyah de Vidas, Re’shit ḥokhmah, Sha‘ar ha-qedushah, cap. 17, vol. II, pp. 499-569; Avraham Azulay, Ḥesed le-Avraham, c. 18ab; Benayahu, Ma‘amadot u-Moshavot, pp. 72-73; Pachter, Shemirat ha-Berit, pp. 188, nota 74, 196-199.
‘Etz Ḥayyim, Sha‘ar ha-kelalim, c. 5c.
Si veda M. Idel, Performance, Intensification, and Experience in Jewish Mysticism, in «Archaeus», XIII (2009), pp. 93-134.
Idel, Differing Conceptions of Kabbalah, p. 138.
Sul suo pensiero si veda I. Barzilay, Yoseph Shlomo Delmedigo - Yashar of Kandia, His Life, Works and Times, Leiden, 1974; Idel, Differing Conceptions of Kabbalah, pp. 159-160, 185-190; D.B. Ruderman, Jewish Thought and Scientific Discovery in Early Modern Europe, Detroit, 2001.
N. Yosha, Myth and Metaphor: Abraham Herrera’s Philosophic Interpretation of Lurianic Kabbalah, Gerusalemme, 1994 (in ebraico); G. Necker, Humanistische Kabbala im Barock: Leben und Werk des Abraham Cohen de Herrera, Berlin-Boston, 2011.
Si veda Idel, Italy in Safed, Safed in Italy.
Idel, Differing Conceptions of Kabbalah, pp. 174-184.
Novelot Ḥokhmah, c. 3r; si veda cc. 155v-156r, ove si fa esplicito ricorso alla teoria delle idee platoniche.
Ibid., c. 3r.
Ibid., c. 122rv.
Si veda anche ibid., c. 123r.
La concezione dei mondi come materia impastata ricorre in Del Medigo. Si veda ibid., cc. 151v, 157r, ove l’interpretazione suggerita è atomistica. Si veda Idel, Differing Conceptions of Kabbalah, pp. 185-190. La fonte della metafora è luriana. Si veda, ad esempio, il Commento all’Idra rabba di Yosef ibn Tabul, p. 137.
Novelot Ḥokhmah, cc. 150v-151r, 153v. Il ruolo creativo, ergetico, del pensiero divino e l’idea che la materia del mondo sia generata dalla sua concentrazione mostrano che il concetto del male all’interno del pensiero divino fu in qualche modo sublimato. Si veda anche sopra, cap. 1, par. 9.
Ibid., c. 187r.
Ibid., c. 185v.
Propongo la lettura ShW, acronimo di shamayyim wa-aretz, «cielo e terra».
Novelot Ḥokhmah, c. 49rv.
Ibid., c. 152r. Si veda anche c. 155v.
Si veda Idel, Absorbing Perfections, pp. 287-289.
Sull’importanza dell’ermeneutica nella dottrina luriana si veda Magid, From Metaphysics to Midrash.
Si veda Idel, The Ascent and Decline of the «Historical Jew», in The Past and Beyond, Studies in History and Philosophy Presented to Elazar Weinryb, a cura di A. Horowitz et al., Raanana, 2006, pp. 171-207 (in ebraico).
Si veda Bland, Neoplatonic and Gnostic Themes in R. Moses Cordovero’s Doctrine of Evil.
Un contrasto tra le potenze belligeranti del male e gli uomini compare nella vasta produzione letteraria associata al Sefer ha-meshiv. Si veda Idel, Inquiries in the Doctrine of «Sefer Ha-Meshiv»; Idel, Messianic Mystics, pp. 126-132; Elior, The Doctrine of Transmigration.
Si veda Idel, The Tsaddik’s and His Soul’s Sparks: From Kabbalah to Hasidism, in «JQR», CIII (2013), pp. 196-240.
Sulle fonti luriane dell’opera si veda E.R. Wolfson, The Influence of Luria on the Shelah, in Elior-Liebes, Lurianic Kabbalah, pp. 423-447; Avivi, Qabbalat ha-Ari, pp. 468-487.
Si veda Rashi a Gn, 25, 26.
Ha-Shelah, II, c. 109r. Si veda anche ibid., II, c. 40rv. Sotto, cap. 7.
Ibid., II, cc. 40v-41r.
È probabile che Horowitz avesse a disposizione un’opera cabbalistica, che al momento non sono in grado di identificare, in qualche modo dipendente da Alcastiel.
Qina di-metz‘abuta. L’espressione aramaica è attestata in un contesto analogo in Alcastiel. Ibn Gabbay, ‘Avodat ha-qodesh, IV, 14, c. 123c. Si veda anche Cordovero, Or yaqar, VII, p. 54, e Vital, Sefer ha-Liqquṭim, p. 283.
Si veda David ibn Avi Zimra, Migdal David, cc. 82c-82d. Ibid., c. 52b, si legge anche che le gocce del seme di Giuseppe (definite «scintille») sarebbero trasmigrate nei dieci martiri, gli eroi della tradizione rabbinica vissuti in quello stesso periodo. Sulla concezione di questo cabbalista relativa alla metempsicosi si veda M. Hellner-Eshed, The Doctrine of Metempsychosis in the Writings of R. David ibn Avi Zimra, in «Pe‘amim», XLIII (1990), pp. 15-63 (in ebraico).
Ha-Shelah, I, cc. 33v-34r. Sulla connessione tra la concezione midrashica delle mille generazioni prima della rivelazione della Torah (974 prima della creazione del mondo e 26 dopo), da un lato, e l’anteriorità del male, dall’altro lato, si veda la posizione di ‘Azri’el da Gerona, sopra, cap. 3. Anche se in forma implicita, si postula qui una duplice decade, positiva e negativa, analoga a quella che abbiamo osservato sopra, cap. 2, a proposito di una citazione luriana di Ya‘aqov Ḥayyim Tzemaḥ
Si veda cap. 2, par. 2.
Ha-Shelah, II, c. 36v-37r.
La noce simboleggia il mondo superno, il cui esterno è ritenuto negativo e il cui interno positivo.
Espressione tratta dalla letteratura degli Hekhalot.
Ha-Shelah, I, c. 163v. Sull’intenzionalità divina associata al male nella Qabbalah luriana si veda sopra, cap. 5, par. 9.
Si veda anche Ha-Shelah, III, c. 34r.
La concezione della consanguineità di bene e male deriva dalla prima porta del Sefer ha-yashar, attribuito a Rabbenu Tam ma scritto in Spagna nel Duecento. Si veda l’ediz. a cura di Eshkol, Gerusalemme, 1967, p. 8, e sopra, nota 844. Si veda inoltre Ha-Shelah, I, c. 140v; III, c. 41v.
Ibid., III, c. 40v.
Ibid., c. 9v.
Si veda M. Buber, The Origin and Meaning of Hasidism, a cura di M. Freedman, Atlantic Highlands, 1988, soprattutto pp. 79-80, 100-103; M. Buber, Hasidism and Modern Man, a cura di M. Friedman, New York, 1958, e la raccolta aggiornata degli studi sul hassidismo di Scholem, Ha-shalav ha-aḥaron, a cura di D. Assaf e E. Liebes, Gerusalemme, 2009 (in ebraico); R. Schatz-Uffenheimer, Hasidism as Mysticism: Quietistic Elements in Eighteenth Century Hasidic Thought, trad. ingl. di J. Chipman, Gerusalemme-Princeton, 1993; Ts. Kauffman, In All Your Ways Know Him: The Concept of God and the Avodah be-Gashmiyut in the Early Stages of Hasidism, Ramat Gan, 2009 (in ebraico); Idel, Hasidism.
Si veda M. Piekarz, The Beginning of Hasidism – Ideological Trends in Derush and Musar Literature, Gerusalemme, 1978 (in ebraico). Si veda anche Z. Gries, Sifrut ha-hanhagot, Gerusalemme, 1989; B. Sack, R. Moses Cordovero’s Ethical Theory – Some Remarks, in Studies in Jewish Philosophy and Kabbalah Presented to Professor Sara O. Heller Wilensky, a cura di M. Idel, D. Diamant e S. Rosenberg, Gerusalemme, 1994, p. 178, nota 59 (in ebraico); M. Idel, On Rabbi Zvi Hirsch Koidanover’s «Sefer Qav ha-Yashar», in Jüdische Kultur in Frankfurt am Main von den Anfängen bis zur Gegenwart, a cura di K.E. Grötzinger, Wiesbaden, 1997, pp. 123-133.
Maḥashavah zarah, espressione molto comune nel hassidismo delle origini. Si veda M. Idel, Prayer, Ecstasy and Alien Thoughts in the Besht’s Religious World, in Let the Old Make Way for the New: Studies in the Social and Cultural History of Eastern European Jewry, Presented to Immanuel Etkes, vol. I: Hasidism and the Musar Movement, a cura di D. Assaf e A. Rapoport-Albert, Gerusalemme, 2009, pp. 57-120 (in ebraico). L’espressione ha comunque un’origine diversa rispetto al «pensiero cattivo».
Gioco di parole sui due termini ebraici baqar, «bestiame», e biqqur, «visita, critica».
Causare la discesa dell’influsso sul mondo terreno dopo l’adesione a Dio è un esempio significativo di quel che definisco modello mistico-magico, attestato nella Qabbalah e ancor più nelle tradizioni hassidiche riportate a nome del Beshṭ. Si veda Idel, Hasidism, pp. 95-148 e, sul Beshṭ, M. Idel, The Besht as Prophet and as Talismanic Magician, in Studies in Jewish Narrative: Ma‘aseh Sippur, Presented to Yoav Elstein, a cura di A. Lipsker e R. Kushelevsky, Ramat Gan, 2006, pp. 122-133 (in ebraico).
Maggid devaraw le-Ya‘aqov, pp. 256-257.
L’interpretazione dell’affermazione, riportata ivi dal curatore, non tiene conto del soggetto centrale della discussione, cioè della natura del male, e attribuisce al detto un significato neutro (ciò che viene dopo precede quanto viene prima).
Menaḥem Naḥum di Chernobyl, Me’or ‘enayyim, p. 270. Si veda, sul tema, A. Green, Menahem Nahum of Chernobyl: Upright Practices, The Light of the Eyes, New York, 1982, pp. 1-27.
Il concetto della miscela richiama ovviamente le analoghe teorie zoroastriane e manichee. Si veda, ad esempio, Shaked, Dualism in Transformation, p. 69.
Green, Menahem Nahum of Chernobyl, cit., p. 175. Ibid., p. 196.
Toledot Ya‘aqov Yosef, Koretz, 1780, cc. 80a, 101a, 135a, 199bc; e Ben Porat Yosef, Koretz, 1781, c. 13a, in cui ricorre l’aforisma fondato sull’idea di una miscela di bene e di male. Nello stesso contesto Ya‘aqov Yosef gioca sui due significati di ‘erev, nel senso di «sera che precede il mattino» e la stessa radice del termine che indica la miscela.
Imre Pinḥas, a cura di Y.Sh. Frenkel, Benei Beraq, 2003, p. 195, n. 569.
Sotto, Appendice 2.
Me’or ‘enayyim, p. 215.
Ibid., p. 171.
Ibid., pp. 18, 104.
Ibid., p. 270. Si veda inoltre Dov Baer di Liady, Be’ure ha-Zohar, New York, 1956, p. 234.
Si veda Me’or ‘enayyim, p. 196.
Si veda Z. Gries, From Myth to Ethos: An Outline of the Image of R. Abraham of Kalisk, in Ummah we-toldotea, a cura di S. Ettinger, Gerusalemme, 1984, vol. II, pp. 117-146 (in ebraico).
Buber, The Origin and Meaning of Hasidism, cit., pp. 198-199: «mysticism has become ethos» [la mistica è divenuta ethos], mentre Scholem, Major Trends, p. 342, sostiene che Buber abbia scritto «Kabbalism became Ethos» [la tradizione cabbalistica divenne ethos]. Si veda anche M. Rosman, The Founder of Hasidism: A Quest for the Historical Ba‘al Shem Tov, Berkeley, Los Angeles-London, 1996, p. 39.
Su questa figura estremamente significativa si veda, ad esempio, J. Weiss, Studies in Bratslav Hasidism, a cura di M. Piekarz, Gerusalemme, 1975 (in ebraico); A. Green, Tormented Master: The Life and Spiritual Quest of Rabbi Nahman of Bratslav, Woodstock, VT, 1992; Z. Mark, Mysticism and Madness: The Religious Thought of Rabbi Nachman of Bratslav, trad. ingl. di Y.D. Shulman, London-New York, 2009; Mark, Revelation and Rectification.
Si veda, ad esempio, Liqquṭe Moharan, I, n. 36, Benei Beraq, 1972, c. 50b.
Secondo Rabbi Naḥman il cuore perfetto è quello spezzato.
Liqquṭe Moharan, I, n. 25, c. 37cd. Sulle fonti precedenti di questa concezione si veda Altmann, The Motif of the «Shells», p. 117, e Wolfson, Light through Darkness, p. 83.
Sulle varie concezioni dell’immaginazione nel pensiero di Rabbi Naḥman si veda Green, Tormented Master, cit., pp. 341-342, e l’interpretazione diversa di Mark, Mysticism and Madness, cit., pp. 1-12, 22-24, 178-183.
Natan Sternhartz, Liqquṭe tefillot, Beitar Elit, 2009, I. n. 25, pp. 185-190. Su questo personaggio, prossimo a Rabbi Naḥman, si veda Weiss, Studies in Bratslav Hasidism, cit., pp. 66-83.
Ibid., pp. 109-149.
Sefer liqquṭe halakhot, Hilkhot ‘arelah, 4, Gerusalemme, 1984, vol. V, c. 168 ab.
Ibid., c. 168d.
Significa che la volontà di creare Giacobbe rese necessaria la creazione del suo opposto.
Or ha-me’ir, c. 21b. Nella stessa opera, alla c. 283cd, si trova esattamente la stessa omelia, in cui è riportata alla lettera la formula «la scorza precede il frutto». L’espressione «pensiero primordiale» appare in numerose fonti della Qabbalah delle origini, del sabbatianesimo e del hassidismo. Si veda, ad esempio, Wirszubski, Between the Lines, pp. 212-214; Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, p. 307, nota 57; si veda, in particolare, il testo hassidico discusso da Idel, Absorbing Perfections, pp. 381-382, che tratta della creazione e del Tohu va-Vohu.
Berit kehunat ‘olam, Lemberg, 1796, c. 1b.
Ibid., c. 12b.
Ibid., c. 14d.
Su questo autore si veda R. Wacks, The Secret of Unity: Unifications in the Kabbalistic and Hasidic Thought of R. Hayyim ben Solomon of Czernowitz, Los Angeles, 2006.
Be’er mayyim ḥayyim, s.l, s.d., vol. II, c. 29c.
Ibid., c. 22d.
Qehilat Ya‘aqov, Gerusalemme, 1971, vol. III, c. 9a.
Si veda Yehudah ha-Levi, Kuzari, 4, 23. Il tema è già attestato esplicitamente nell’opera del Grande Maggid (Dov Baer di Mezeritch) intitolata Maggid devaraw le-Ya‘aqov, p. 134. Sull’evoluzione di questo motivo nelle fonti ebraiche si veda D. Sdan, Ḥiṭṭah she-niqberah, in Proceedings of the Israeli Academy for Sciences and Humanities, Gerusalemme, 1963, pp. 1-21; M. Smith, Transformation by Burial (I Cor. 15.35-49; Rom 6.3-5 and 8.9-11), in «Eranos Jahrbuch», LII (1983), pp. 87-112; Scholem, Major Trends, pp. 268, 412 e nota 72; Idel, Kabbalah & Eros, p. 165. Sul rapporto tra sepoltura, rinascita e male che induce la perfezione si veda la Teodicea di Leibniz, par. 23.
Si veda M. Kallus, The Relation of the Baal Shem Tov to the Practice of Lurianic «Kavvanot» in Light of his Comments on the «Siddur Rashkov», in «Kabbalah», II (1997), pp. 158-165, anche se la spiegazione che vi si offre della motivazione del bagno rituale differisce da quella di Yalish. Si veda anche Ts. Kauffman, Ritual Immersion at the Beginning of Hasidism, in «Tarbiz», LXXX/3 (2012), pp. 409-425 (in ebraico), la cui analisi conferma il contenuto del passo di Yalish. Sul simbolismo dell’acqua riferito alla reintegrazione della morte e della rinascita si veda Eliade, Images & Symbols, pp. 151-160.
Qehilat Ya‘aqov, ed. cit., vol. II, c. 29c.
Idel, Hasidism, pp. 103-145.
Ibid., pp. 107-111. Penso che i maestri hassidici siano stati influenzati anche dal Commento al Sefer Yetzirah di Yosef ben Shalom Ashkenazi, diffuso a stampa e citato soprattutto da Levi Yitzḥaq di Berditchev e dal figlio. Si veda sopra, cap. 3, par. 5.
Si veda Elior, The Paradoxical Ascent to God.
Elior, The Theory of Divinity, partic. pp. 244-288; Elior, The Paradoxical Ascent to God, pp. 201-222.
Elior, The Theory of Divinity, pp. 246-247; Elior, The Paradoxical Ascent to God, p. 202.
Elior, The Theory of Divinity, p. 247.
Ibid., pp. 257-260.
Ibid., p. 247.
Ibid., p. 249.
Ibid., p. 254.
Traduco le varie forme della radice KRḤ in modo da renderne meglio il significato, partendo dal presupposto che Ibn Gabbay, nella scia di ‘Azri’el, parli di necessità dell’emanazione per la rivelazione dell’armonia divina, cioè dell’unità degli opposti, e non di costrizione (la connotazione principale della radice).
Derekh ’emunah, p. 68. A mio parere, questa concezione influenzò un discepolo di Naḥman di Bratzlav, Natan Sternhartz, anche se questi non parla specificamente del male come necessario per l’autorivelazione divina. Si veda Liqquṭe halakhot, Oraḥ Ḥayyim, Purim, III, 5.
Si veda Derekh ’emunah, p. 55; Elior, The Theory of Divinity, partic. p. 248.
Elior, The Paradoxical Ascent, pp. 203-205.
Tzidqat ha-tzaddiq ha-shalem, Gerusalemme, 1987, p. 22, nota 11.
Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, pp. 53-76.
Così si legge nell’originale ebraico ma il pronome dovrebbe essere al plurale, riferito alle «scintille».
Har Adonay, Polonnoye, 1791, c. 16a.
Si tratta di un tema luriano molto importante: si veda Sefer toledot ha-Ari, p. 163, ma compare già in Ḥayyaṭ, Minḥat Yehudah, c. 201v; Cordovero, Or yaqar, I, p. 240; Avraham Azulay, Ḥesed le-Avraham, c. 10b, d, 27a, 37c.
Cioè, secondo la corrente luriana, una fase iniziale dello sviluppo del neonato, prima che inizi a nutrirsi e a crescere.
Si riferisce alle settanta nazioni.
Si riferisce all’episodio della moglie di Potifarre.
Liqquṭe Moharan, I, n. 36, c. 50ab.
Si veda Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, pp. 238-261; Mark, Revelation and Rectification, pp. 115-153, partic. p. 116, nota 3.
Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, p. 257.
Sull’adulterio come peccato par excellence si veda R. Pettazzoni, Essays on the History of Religion, Leiden, 1954, pp. 50-51.
Si veda Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, pp. 145-146, e il testo di J. Weiss, pubblicato postumo da J. Meir e N. Zadoff, The Possibility of Frankist Traces in the Teachings of Rabbi Nachman of Bratzlav, in Gershom Scholem (1897-1982), in Memoriam, a cura di J. Dan, Gerusalemme, 2007, pp. 385-412 (in ebraico).
Ibid., pp. 254-257; J. Dan, The Hasidic Story, Gerusalemme, 1975, pp. 118-123 (in ebraico); Mark, Revelation and Rectification, pp. 182-183.
Si veda Mark, Revelation and Rectification, pp. 154-180.
Si veda Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, p. 441, nota 93.
Liqquṭe Moharan, I, n. 207, c. 130c. Sul contesto del passo si veda la traduzione e interpretazione in Idel, Absorbing Perfections, pp. 472-473; Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, pp. 249-250; M. Kahana, The Allure of the Forbidden Knowledge: The Temptation of the Sabbatean Literature for Mainstream Rabbis in the Sabbatean Movement 1756-1761, in «JQR», CII (2012), pp. 586-616.
Si veda Liebes, Studies in Jewish Myth, pp. 146-150.
Si veda Idel, R. Israel Ba‘al Shem Tov’s Two «Encounters» with Sabbatai Tzevi, in The Beauty of Japheth in the Tents Of Shem: Studies in Honor of Mordechai Omer, a cura di H. Taragan e N. Gal, Tel Aviv, 2010 (= «Assaph, Studies in Art History», XIII/XIV (2010/11), pp. 471-491).
Mark, Revelation and Rectification, p. 121, nota 25.
Sull’influenza su Rabbi Naḥman di Bratzlav di un’opera stampata dopo il Commento a Rut, il Sefer ha-berit di Pinḥas Eliyahu Horowitz di Vilna (1799), si veda M. Piekarz, Ḥasidut Bratslav, Gerusalemme, 1972, pp. 249-252 (in ebraico).
Si veda Liebes, On Sabbateanism and its Kabbalah, pp. 259-261, 446, nota 136, 447 nota 145, sull’origine dell’espressione «tiqqun kelali» in Natan di Gaza e Mosheh Ḥayyim Luzzatto.
‘En ayah, Berakhot, cap. 2: si veda ediz. a cura di I. Filber, Gerusalemme, 1990, p. 374. Sul passo citato si veda U. Barak, Antisemitism from a Theological Perspective: A Study in the Thought of Rabbi Avraham Yitzhak HaCohen Kook and His Followers, in «JSJT», XXIV (2015), p. 312 (in ebraico): ibid., nota 27, si rinvia alla bibliografia scientifica relativa al detto «la scorza precede il frutto».