[ca. 21 aprile 1888]
Mio caro compagno Bernard,
molte grazie del tuo invio di sonetti,1 per forma e sonorità mi è piaciuto molto il primo:
«Sous le dômes dormeurs des arbres gigantesque».2
Ora come idea e sentimento, è forse l’ultimo quello che preferisco
«Car l’espoir dans mon sein a versé sa névrose».3
Ma mi sembra che tu non dica in modo abbastanza chiaro ciò che vuoi far sentire; la certezza che ci sembra di possedere, e che si può in ogni caso provare, del nulla, del vuoto, del tradimento delle cose desiderabili buone o belle; e che, nonostante questa scienza, ci si lascia ingannare eternamente dal fascino che esercita sui nostri sei sensi4 la vita esteriore, le cose fuori di noi, come se non sapessimo niente e soprattutto la differenza tra oggettivo e soggettivo. Fortunatamente per noi, restiamo stupidi e così continuiamo a sperare.
Ora mi piace anche:
«L’hiver, n’avoir ni sou, ni fleurs»5 e Mépris.6 Coin de chapelle7 e Dessin d’Albert Dürer8 li trovo meno chiari; ad esempio, qual è precisamente il disegno di Albert Dürer. Ci sono nondimeno dei passi eccellenti:
«Venus des plaines bleues
Blêmis par la longueur des lieues»,9
rende davvero bene i paesaggi irti di rocce blu tra le quali serpeggiano i sentieri, degli sfondi di Cranach10 e di Van Eyck.11
«Tordu sur sa croix en spirale»,12 rende molto bene l’esagerata magrezza dei Cristi mistici. Perché non aggiungere che lo sguardo angosciato del martire è desolato, come l’occhio di un cavallo di piazza; così sarebbe più parigino di Parigi dove si incontrano sguardi così, sia tra gli ospiti dei carretti sia tra i poeti, gli artisti. Insomma, ancora non sono così buoni quanto la tua pittura; non ha importanza, arriverà, bisogna sicuramente continuare con i sonetti. Ci sono tante persone, soprattutto tra i compagni, che immaginano che le parole non sono niente; al contrario non sei d’accordo che dire bene una cosa è così interessante e così difficile come dipingerla? C’è l’arte delle linee e dei colori, ma l’arte delle parole nondimeno esiste ed esisterà.
Ecco un nuovo frutteto* abbastanza semplice come composizione: un albero bianco, un alberello verde, un angolo di prato quadrato, un terreno lilla, un tetto arancione, un ampio cielo azzurro.13
Ho in corso 9 frutteti: uno bianco, uno rosa quasi rosso, uno bianco-azzurro, uno rosa-grigio, uno verde e rosa.14 Ieri ne ho buttato giù un ciliegio contro cielo azzurro, i germogli delle foglie erano arancione e oro, i ciuffi di fiori bianchi, questo contro l’azzurro verde del cielo era proprio magnifico. Sfortunatamente ecco oggi la pioggia che mi impedisce di tornare alla carica.
Ho visto un bordello qui di domenica – senza contare gli altri giorni – una grande sala dipinta a calce celestina – come una scuola di paese. Una buona cinquantina di militari rossi e di borghesi neri, coi visi di un magnifico giallo o arancione (che toni sui volti di qui), le donne in celeste, in vermiglio, quanto di più intero15 e di più chiassoso. Il tutto rischiarato di giallo. Molto meno lugubre dei locali dello stesso tipo a Parigi. Lo spleen16 non è nell’aria di qui.
Per ora me ne sto molto cheto e molto tranquillo, perché prima devo guarire da un disturbo di stomaco del quale sono il fortunato possessore; ma dopo bisognerà fare molto rumore, perché aspiro a condividere la gloria dell’immortale Tartarin de Tarascon.17
Mi ha interessato moltissimo che tu abbia intenzione di trascorrere il tuo periodo (di soldato) in Algeria. È un’ottima cosa e tutt’altro che una sfortuna. Veramente mi congratulo con te, ci vedremo in ogni caso a Marsiglia. Vedrai che ti farà piacere vedere l’azzurro di qui e sentire il sole. In questo momento per atelier ho una terrazza. Certo ho intenzione di andare a fare delle marine anche a Marsiglia, e non provo nostalgia per il mare grigio del Nord. Se vedi Gauguin salutalo da parte mia. Per l’appunto devo scrivergli.
Mio caro compagno Bernard, non disperare e non lasciarti prendere dallo spleen, vecchio mio, perché col tuo talento e col soggiorno in Algeria diventerai un dannatamente buon artista vero. Tu sarai anche del Midi. Se ho un consiglio da darti è di rinforzarti, di mangiare cose sane già un anno prima, sì. Fin da ora, perché è meglio non venire qui con lo stomaco rovinato e il sangue viziato.
Quello era il caso mio e anche se sto guarendo, guarisco lentamente e rimpiango di non essere stato un po’ più prudente in anticipo. Ma in un maledetto inverno come questo – chi è che può farci niente – perché era un inverno disumano. Fatti del buon sangue in anticipo; qui, col cibo cattivo, è difficile rifarselo, ma una volta che si è sani, è meno difficile che a Parigi restare tali.
Scrivimi presto, sempre allo stesso indirizzo «Restaurant Carrel, Arles».18 Una stretta di mano,
t. à t.19
Vincent