XXI
Dialogo con un padrone

Alas, our frailty is the cause, not we:

For such as we are made of, such we be.

Twelfth night1

Con piacere infantile, per un’ora, Julien mise insieme le parole. Mentre usciva dalla sua camera, incontrò i suoi allievi e la loro madre; lei prese la lettera con una semplicità e un coraggio la cui calma lo spaventò. «La colla è asciugata bene?» gli chiese.

Julien pensò: “È questa la donna che il rimorso rendeva pazza? Quali sono i suoi propositi in questo momento?”. Era troppo orgoglioso per chiederglielo; ma mai, forse, gli era piaciuta di più.

«Se la cosa va male,» aggiunse lei con lo stesso sangue freddo «mi sarà tolto tutto. Sotterrate questo tesoro in qualche posto della montagna: sarà, forse, un giorno la mia sola risorsa.»

E gli diede un astuccio per bicchieri di marocchino rosso pieno d’oro e di alcuni diamanti.

«Ora andate» gli disse.

Baciò i figli e due volte il più piccolo. Julien rimaneva immobile. Lei lo lasciò con passo rapido, senza guardarlo.

Dal momento in cui aveva aperto la lettera anonima, l’esistenza del signor De Rênal era stata spaventosa. Non si era più sentito così agitato da quando, nel 1816, si era trovato sul punto di avere un duello e, per rendergli giustizia, all’epoca la prospettiva di ricevere un proiettile lo aveva reso meno infelice. Esaminava la lettera sotto tutti gli aspetti: “Non è forse una scrittura femminile?” pensava. “E, in tal caso, quale donna l’ha scritta?” Passava in rassegna tutte quelle che conosceva a Verrières, senza poter fissare i suoi sospetti. “Forse un uomo ha dettato la lettera? Ma chi?” La stessa incertezza; era invidiato e, senza dubbio, odiato dalla maggior parte di quelli che conosceva. “Bisogna che consulti mia moglie” pensò per abitudine, alzandosi dalla poltrona nella quale si era sprofondato.

Ma, appena in piedi, battendosi la fronte pensò: “Dio mio, ma è proprio di lei che devo diffidare: lei è la mia nemica in questo momento!”. E la collera gli fece spuntare le lacrime.

Per un giusto compenso all’aridità di cuore, che rappresenta tutta la saggezza pratica dei provinciali, i due uomini che in quel momento il signor De Rênal temeva di più erano i suoi due più intimi amici.

“Dopo di loro, ho altri dieci amici, forse” e li passò in rassegna valutando, di volta in volta, il grado di consolazione che avrebbe potuto trovare in ciascuno. «A tutti, a tutti» esclamò con rabbia «la mia spaventosa storia farà il più grande piacere.» Per fortuna, si credeva molto invidiato, non senza ragione. Oltre alla magnifica casa in città, che il re di… aveva onorato per sempre passandovi una notte, aveva sistemato molto bene il suo castello di Vergy. La facciata era dipinta di bianco e le finestre adorne di belle persiane verdi. Si consolò per un istante al pensiero di tutta quella magnificenza. Quel castello era visibile da tre o quattro miglia di distanza, a scapito di tutte le case di campagna o sedicenti castelli del vicinato, ai quali era stato lasciato l’umile colore grigiastro dato dal tempo.

Il signor De Rênal poteva contare sulle lacrime e sulla compassione di una sola persona, il fabbriciere della parrocchia; ma era un imbecille che piangeva per ogni cosa. E, tuttavia, quell’uomo era la sua unica risorsa.

«Quale disgrazia è paragonabile alla mia?» esclamò con rabbia. «Che isolamento!» “È possibile” diceva a sé stessoquell’uomo degno di compassione “che nella mia sventura non abbia un amico al quale chiedere consiglio? Perché la mia ragione si smarrisce, lo sento!” «Oh! Falcoz! Oh! Ducros!» esclamò con amarezza. Erano i nomi di due compagni d’infanzia che aveva allontanato con la sua alterigia, nel 1814. Non erano nobili e lui aveva voluto rinnegare quei modi democratici che avevano usato da bambini.

Uno dei due, Falcoz, uomo intelligente e di cuore, negoziante di carta a Verrières, aveva comperato una tipografia nel capoluogo del dipartimento e fondato un giornale. La Congregazione aveva deciso di rovinarlo: il giornale era stato condannato; la licenza di stampare gli era stata ritirata. In quelle tristi circostanze, Falcoz provò a scrivere al signor De Rênal per la prima volta dopo dieci anni. Il sindaco di Verrières credette suo dovere rispondere come un antico romano: «Se il ministro del Re mi facesse l’onore di consultarmi, gli direi: “Rovinate senza pietà tutti i tipografi di provincia e create il monopolio per la stampa, come per il tabacco”». Di quella lettera inviata a un amico intimo – e che tutta Verrières ammirò a suo tempo –, il signor De Rênal ricordava i termini con orrore. “Chi mi avrebbe detto che, con la mia posizione, la mia ricchezza, le mie onorificenze, l’avrei deplorata un giorno?” Passò una notte spaventosa, in questi trasporti d’ira contro sé stessoe contro tutto ciò che lo circondava; ma, per fortuna, non gli venne l’idea di spiare la moglie.

“Sono abituato a Louise,” pensava “lei conosce tutti i miei affari; fossi libero di risposarmi domani, non troverei da sostituirla.” E allora si compiaceva nel pensiero che la moglie fosse innocente: questo modo di vedere non lo metteva nella necessità di dar prova di fermezza di carattere e sistemava le cose molto meglio. Quante donne calunniate si sono viste?

«Ma come?» esclamava a un tratto, passeggiando convulso per la camera. «Dovrei sopportare, come se fossi un uomo da nulla, come se fossi uno straccione, che lei si burli di me con il suo amante? Permetterò che tutta Verrières rida della mia dabbenaggine? Che cosa non si è detto di Charmier? (Era un marito del paese notoriamente ingannato.) Il sorriso è su tutte le bocche quando si pronuncia il suo nome. È un buon avvocato; ma chi parla mai della sua abilità oratoria? Ah! Charmier, dicono, Charmier di Bernard, designandolo così con il nome dell’uomo che fa il suo disonore.»

“Grazie al cielo” pensava in altri momenti “non ho una figlia, e il modo con il quale punirò la madre non nuocerà alla posizione dei miei rampolli. Posso sorprendere quel contadino con mia moglie e ucciderli entrambi; in questo caso, il lato tragico dell’avventura cancellerà, forse, il ridicolo.” Quel pensiero gli sorrise: lo seguì in tutti i particolari. “Il codice penale è dalla mia parte e, qualunque cosa accada, la nostra Congregazione e i miei amici della giuria mi salveranno.” Esaminò il suo coltello da caccia, che era affilatissimo. Ma il pensiero del sangue gli fece paura.

“Posso massacrare di bastonate quel precettore insolente e scacciarlo; ma che scandalo a Verrières e anche in tutto il dipartimento! Dopo la condanna del giornale di Falcoz, quando il suo redattore capo uscì di prigione, contribuii a fargli perdere il posto da seicento franchi. Si dice che quello scribacchino osi mostrarsi ancora a Besançon: potrebbe diffamarmi con abilità e in modo che mi sia impossibile trascinarlo davanti a un tribunale. Trascinarlo davanti a un tribunale!… L’arrogante insinuerà in mille modi di aver detto la verità. Un uomo bennato, che tiene alla sua posizione sociale come me, è odiato da tutti i plebei. Il mio nome comparirebbe in quegli odiosi giornali di Parigi: oh Dio mio, che abisso! L’antico nome dei De Rênal immerso nel fango del ridicolo… Se mai viaggerò, dovrò cambiare nome. Che cosa dico? Lasciare questo nome che fa la mia gloria e la mia forza? Che miseria!

“Se non uccido mia moglie ma la allontano ignominiosamente, lei ha quella sua zia a Besançon che le darà immediatamente tutta la sua sostanza. Louise andrà a vivere a Parigi con Julien: a Verrières lo si saprà e io farò ancora la figura dello stupido.”

Dall’impallidire della lampada, quel disgraziato si accorse che cominciava ad albeggiare. Andò in giardino a prendere un po’ di fresco. In quel momento era quasi deciso a non fare scenate, specialmente per il pensiero che uno scandalo avrebbe colmato di gioia i suoi buoni amici di Verrières.

La passeggiata in giardino lo calmò un poco. «No,» esclamò «non mi priverò di mia moglie: mi è troppo utile.» Immaginò con orrore che cosa sarebbe stata la sua casa senza di lei. Lui non aveva altra parente che la marchesa di R…, vecchia, imbecille e malvagia.

Gli balenò un’idea molto assennata; ma la sua esecuzione richiedeva una forza di carattere di gran lunga superiore a quella scarsa che il pover’uomo aveva. “Se tengo con me mia moglie,” pensò “un giorno, quando mi farà andare in collera, le rinfaccerò la sua colpa, mi conosco. Lei è orgogliosa: litigheremo e tutto questo capiterà prima che abbia ereditato dalla zia. E allora sì che si burleranno di me! Mia moglie ama i suoi figli; erediteranno tutto loro e io sarò la favola di Verrières. ‘Come?’ si dirà. ‘Non ha saputo neppure vendicarsi di sua moglie!’ Non sarebbe meglio che mi limitassi ai sospetti, senza approfondire? Ma allora mi legherei le mani e non potrei, per l’avvenire, rimproverarle nulla.”

Un istante dopo, il signor De Rênal, di nuovo sotto l’effetto della vanità ferita, si ricordò faticosamente di tutti i particolari raccontati al biliardo presso il Circolo dei nobili di Verrières, quando qualche buon parlatore interrompeva il gioco per divertirsi alle spalle di un marito ingannato. Come adesso gli parevano crudeli quegli scherzi!

“Dio mio! Perché mia moglie non è morta? In tal caso sarei inattaccabile dal ridicolo. Perché non sono vedovo? Andrei a passare sei mesi a Parigi nella migliore società.” Dopo quel momento di sollievo, datogli dall’idea della vedovanza, il suo pensiero tornò ai mezzi per accertarsi della verità. Avrebbe messo a mezzanotte, quando tutti fossero stati a letto, un lieve strato di crusca davanti alla porta della camera di Julien. La mattina seguente, all’alba, avrebbe visto le impronte.

«Ma questo sistema non funziona!» esclamò subito con rabbia. «Quella briccona di Elisa se ne accorgerebbe e, in casa, si saprebbe presto che io sono geloso.»

In un’altra storiella raccontata al Circolo, un marito si era accertato della propria disgrazia attaccando con un po’ di cera un capello che sigillava la porta della moglie e quella dell’amante.

Dopo tante ore di incertezza, questo modo di chiarire la sua sorte gli sembrò il migliore e pensava di servirsene quando, alla svolta di un viale, incontrò la donna che avrebbe voluto vedere morta.

Ritornava dal villaggio. Era andata ad ascoltare la messa nella chiesa di Vergy. Una tradizione, molto incerta agli occhi dello studioso, ma alla quale lei prestava fede, pretende che la chiesetta oggi in uso fosse la cappella del castello del Signore di Vergy. Un tale pensiero ossessionò la signora De Rênal per tutto il tempo che aveva contato di trascorrere pregando nella piccola chiesa. Le pareva di vedere continuamente il marito che uccideva Julien durante la caccia, come per disgrazia, e che poi, la sera, le faceva mangiare il cuore di lui.

“La mia sorte” disse tra sé “dipende da ciò che penserà ascoltandomi. Dopo questo quarto d’ora fatale, non troverò più, forse, l’occasione di parlargli. Non è una persona saggia e guidata dalla ragione. Potrei, in tal caso, prevedere con l’aiuto della mia debole logica quello che farà o dirà. Lui deciderà la nostra sorte comune, ne ha il potere. Ma questa sorte dipende dalla mia abilità, dall’arte di guidare i pensieri di quello strano uomo, accecato da una collera che gli impedisce di vedere metà dei problemi. Dio mio! Mi occorreranno abilità e sangue freddo: dove prenderli?”

Ritrovò la calma come per incanto, entrando in giardino e vedendo il marito da lontano. I capelli e gli abiti di lui, in disordine, annunciavano che non aveva dormito.

Lei gli porse una lettera, con il sigillo spezzato ma piegata. Lui, senza aprirla, guardava sua moglie con occhi da pazzo.

«Ecco una cosa abominevole» gli disse «consegnatami, mentre passavo dietro il giardino del notaio, da un uomo di aspetto equivoco, il quale dice di conoscervi e di dovervi della gratitudine. Esigo da voi che rimandiate senza indugio a casa sua quel signor Julien.» Si era affrettata a dire questa frase, forse un po’ prima che fosse opportuno, per liberarsi dall’orribile prospettiva di doverla pronunciare.

Fu presa da un impeto di gioia nel vedere l’effetto che le sue parole producevano sul marito. Dalla fissità dello sguardo con il quale lui la scrutava, capì che Julien non si era sbagliato. Invece di affliggersi per quella disgrazia reale, pensò: “Che genialità, che intuito perfetto! A che cosa non arriverà in futuro? A causa dei suoi successi, allora, sarò purtroppo dimenticata!”.

Quel piccolo atto di ammirazione per l’uomo adorato la fece riprendere del tutto dal turbamento.

Si compiacque con sé stessa per il suo modo d’agire. “Non sono stata indegna di Julien” pensò con dolce e intima voluttà.

Senza dire una parola, per paura d’impegnarsi, il signor De Rênal esaminava la seconda lettera anonima composta, se il lettore ricorda, da parole stampate incollate su carta di colore azzurrognolo. “Si burlano di me in tutti i modi” pensava sfinito dalla stanchezza. “Ancora nuovi insulti da esaminare e sempre a causa di mia moglie!”

Fu sul punto di coprirla delle ingiurie più grossolane; la prospettiva dell’eredità di Besançon lo trattenne a stento. Divorato dal bisogno di prendersela con qualcosa, sgualcì la carta di quella seconda lettera anonima e si mise a camminare a grandi passi: aveva bisogno di allontanarsi da sua moglie. Pochi istanti dopo tornò accanto a lei, più tranquillo.

«Si tratta di prendere una decisione e mandar via Julien» gli disse subito lei. «Dopo tutto, non è che il figlio di un operaio. Lo indennizzerete con alcuni scudi. Del resto, è un giovane istruito e troverà facilmente il modo di sistemarsi, per esempio, in casa del signor Valenod o del sottoprefetto Maugiron; entrambi hanno dei figli. In tal modo non gli farete torto…»

«Parlate da quella sciocca che siete!» proruppe il signor De Rênal con voce terribile. «Quale buon senso si può sperare da una donna? Non prestate mai attenzione a ciò che è ragionevole: come potreste sapere qualcosa? La vostra indifferenza, la vostra pigrizia, non vi permettono altra attività che la caccia alle farfalle, o esseri deboli che abbiamo la disgrazia di avere nelle nostre famiglie!…»

La signora De Rênal lo lasciava parlare e lui si sfogò a lungo: scaricava la sua collera, come dicono nella regione.

«Signore,» gli rispose infine «parlo come una donna offesa nel suo onore, ossia in ciò che ha di più prezioso.»

Per tutto quel penoso colloquio, dal quale dipendeva la possibilità di vivere ancora sotto lo stesso tetto con Julien, la signora De Rênal ebbe un sangue freddo inalterabile. Cercava le parole che riteneva più adatte a guidare l’ira cieca del marito. Era rimasta insensibile a tutte le riflessioni ingiuriose che lui le aveva rivolto; non le ascoltava, pensava solo a Julien. “Sarà contento di me?”

«Quel contadinello che abbiamo colmato di premure e anche di doni può essere innocente,» disse lei alla fine «ma ciò non toglie che sia la causa del primo affronto che io ricevo… Signore! Quando ho letto quella lettera abominevole, ho promesso a me stessa che o io o lui saremmo usciti dalla vostra casa.»

«Volete fare uno scandalo che ci disonorerebbe? Farete un piacere a molti, qui a Verrières.»

«È vero, si invidia generalmente lo stato di prosperità nel quale la saggezza della vostra amministrazione ha saputo mettere voi, la vostra famiglia e la città… Ebbene, costringerò Julien a domandarvi un congedo per andare a passare un mese in casa di quel mercante di legna che vive in montagna, un piccolo operaio, suo degno amico.»

«Guardatevi bene dall’agire» rispose il signor De Rênal con molta tranquillità. «Prima di tutto, esigo da voi che non gli parliate. Lo fareste con collera e mi costringereste a litigare con lui. Sapete quanto sia suscettibile quel signorino.»

«Quel giovane non ha tatto» replicò la signora De Rênal. «Sarà istruito, voi ve ne intendete; ma, in fondo, non è che un autentico contadino. Per mio conto non ho più una buona opinione di lui, da quando ha rifiutato di sposare Elisa. Sarebbe stata la sua fortuna. Ma ha trovato il pretesto che qualche volta Elisa fa segretamente delle visite al signor Valenod.»

«Ah!» disse il signor De Rênal alzando in modo eccessivo le sopracciglia. «Come? Julien vi ha detto questo?»

«Non precisamente. Mi ha sempre parlato della sua vocazione per il santo ministero; ma, credetemi, la prima vocazione, per quella gentucola, è di avere del pane. Mi faceva capire abbastanza chiaramente che non ignorava quelle visite segrete.»

«E io, io le ignoravo!» esclamò il signor De Rênal, ripreso da tutta la sua collera e calcando sulle parole. «Avvengono in casa mia fatti che io non conosco… Come? C’è stato qualcosa tra Elisa e Valenod?»

«Eh! È storia vecchia, mio caro!» disse la signora De Rênal ridendo. «E, forse, non è avvenuto nulla di male. Fu quando al vostro buon amico Valenod non sarebbe dispiaciuto che a Verrières si pensasse a un amoretto platonico tra me e lui.»

«Ho avuto anch’io la stessa idea una volta!» esclamò il signor De Rênal battendosi la fronte con furore, e procedendo di scoperta in scoperta. «E voi non mi avete detto nulla?»

«Era necessario rompere i buoni rapporti tra due amici per un piccolo eccesso di vanità del nostro caro direttore? Qual è la donna della buona società alla quale lui non abbia indirizzato delle lettere molto argute e anche un po’ galanti?»

«Vi ha, forse, scritto?»

«Scrive molto.»

«Mostratemi subito quelle lettere: ve lo ordino!» E il signor De Rênal parve cresciuto di sei piedi.

«Me ne guardo bene» gli fu risposto con una dolcezza che arrivava quasi alla noncuranza. «Ve le mostrerò un giorno, quando sarete più calmo.»

«Subito, perbacco!» esclamò il sindaco ebbro di collera, eppure più felice di quanto non fosse stato da dodici ore.

«Mi giurate» disse la signora De Rênal con molta gravità «di non aver mai questioni con il direttore dell’ospizio a causa di queste lettere?»

«Questioni o no, posso togliergli i trovatelli. Ma» continuò furibondo «voglio immediatamente quelle lettere: dove sono?»

«In un cassetto della mia scrivania; ma non vi darò la chiave.»

«Lo forzerò!» gridò il signor De Rênal correndo verso la camera della moglie

Scassinò, infatti, con un ferro, una preziosa scrivania di mogano venato proveniente da Parigi, e che lui lucidava spesso con le falde della sua finanziera quando credeva di vedervi qualche macchia.

La signora De Rênal aveva fatto di corsa i centoventi scalini che portavano alla colombaia e legava la cocca di un fazzoletto bianco a una sbarra del finestrino. Era la più felice delle donne. Con le lacrime agli occhi guardava verso i grandi boschi della montagna. “Certo,” pensava “sotto uno di quei folti faggi, Julien attende questo lieto segnale.” Tese a lungo l’orecchio e maledisse poi il monotono frinire delle cicale e il cinguettio degli uccelli. Senza quel rumore importuno, un grido di gioia, partito dalle grandi rocce, sarebbe potuto arrivare fino a lei. I suoi occhi avidi divoravano la china immensa color verde cupo e compatto, quasi fosse un prato formato dalle cime degli alberi. “Come mai non ha la prontezza di spirito” pensava commossa “di inventare un segnale per farmi sapere che la sua gioia è pari alla mia?” Discese dalla colombaia solo quando ebbe il timore che il marito andasse a cercarla.

Lo trovò furibondo. Scorreva le frasi anodine del signor Valenod, poco assuefatte a essere lette con tanta emozione.

Cogliendo il momento in cui le esclamazioni del marito le lasciavano la possibilità di farsi udire, disse:

«Torno sempre alla mia idea. È opportuno che Julien faccia un viaggio. Per quanto possa essere bravo in latino, non è altro, in fondo, che un contadinotto spesso grossolano e privo di tatto. Ogni giorno, credendo di essere cortese, mi rivolge complimenti esagerati e di cattivo gusto, che impara a memoria dai romanzi».

«Non ne legge mai!» esclamò il signor De Rênal. «Me ne sono assicurato. Credete che io sia un padrone di casa cieco e che ignora ciò che avviene intorno a lui?»

«Ebbene, se non legge in nessun posto quei ridicoli complimenti, li inventa ed è anche peggio. Avrà parlato di me in quel tono a Verrières… E, senza andar tanto lontano,» aggiunse con l’aria di fare una scoperta «avrà parlato così in presenza di Elisa. È quasi come se avesse parlato con il signor Valenod.»

«Ah!» esclamò il signor De Rênal, facendo tremare la tavola e la casa con uno dei più poderosi pugni che siano mai stati sferrati. «La lettera anonima a caratteri di stampa e le lettere di Valenod sono scritte sulla stessa carta.»

“Finalmente!” pensò la signora De Rênal, e si mostrò sconvolta da quella scoperta. Senza avere il coraggio di aggiungere una sola parola, andò a sedersi sul divano, in fondo al salone.

La battaglia era vinta; lei dovette penare molto per impedire al signor De Rênal di recarsi dal supposto autore della lettera anonima.

«Come mai non vi accorgete che fare una scenata al signor Valenod senza prove sufficienti è un gravissimo passo falso? Voi siete invidiato, signore: per che cosa? Per le vostre capacità: la saggia amministrazione, le costruzioni piene di buon gusto, la dote che vi ho portata e, soprattutto, la considerevole eredità che possiamo sperare dalla mia buona zia – eredità di cui si esagera infinitamente l’importanza – hanno fatto di voi la personalità più alta di Verrières.»

«Dimenticate la nascita» disse il signor De Rênal sorridendo leggermente.

«Siete uno dei gentiluomini più distinti della provincia» si affrettò ad aggiungere la signora De Rênal. «Se il re fosse libero e potesse rendere giustizia alla nascita, voi figurereste certo nella camera dei Pari. E, trovandovi in questa posizione magnifica, volete dare all’invidia un pretesto per fare commenti? Parlare al signor Valenod della sua lettera anonima è lo stesso che proclamare in tutta Verrières, ma che dico?, in Besançon, in tutta la provincia, che quel piccolo borghese, ammesso imprudentemente, forse, nell’intimità di un Rênal, ha trovato modo di offenderlo. Se queste lettere che avete scoperto provassero che io ho corrisposto all’amore del signor Valenod, voi dovreste uccidermi, lo avrei meritato cento volte, ma non dimostrate a lui la vostra collera. Pensate che tutti i vostri vicini non attendono che un pretesto per vendicarsi della vostra superiorità; pensate che nel 1816 avete contribuito a certi arresti. Quell’uomo rifugiatosi sul tetto…»

«Penso che voi non avete né riguardi né amicizia per me» esclamò il signor De Rênal con tutta l’amarezza che suscitava in lui un tale ricordo. «E non m’hanno fatto Pari!…»

«E io, mio caro, penso» rispose sorridendo la signora di Rênal «che sarò più ricca di voi, che sono la vostra compagna da dodici anni e che, per tutte queste ragioni, devo avere voce in capitolo, specialmente nella faccenda di oggi. Se preferite a me un signor Julien,» aggiunse con mal dissimulato dispetto «sono pronta ad andare a passare un inverno in casa di mia zia.»

Quest’ultima frase fu pronunciata a effetto: vi si notava quella fermezza che cerca di circondarsi di cortesia. Quel tono fece decidere il signor De Rênal. Ma, secondo l’abitudine della provincia, parlò ancora per molto tempo, ritornando su tutti gli argomenti. La moglie lo lasciava dire; vi era ancora della collera nella sua voce. Alla fine, due ore di chiacchiere inutili esaurirono le forze di quell’uomo che aveva subìto un accesso d’ira durato un’intera notte. Stabilì la linea di condotta che avrebbe seguito nei riguardi di Valenod, di Julien e anche di Elisa.

Una o due volte, durante quella grande scena, la signora De Rênal fu sul punto di provare un senso di simpatia per il dispiacere molto reale di quell’uomo, che era stato il suo amico per dodici anni. Ma le vere passioni sono egoiste. D’altra parte, lei si aspettava di momento in momento la confessione di aver ricevuto il giorno prima la lettera anonima, ma questa confessione non venne. Alla sicurezza della signora De Rênal mancava la conoscenza delle idee che l’anonimo aveva potuto suggerire all’uomo dal quale dipendeva la sua sorte. In provincia, infatti, i mariti sono i padroni della situazione. Un marito che si lamenta si copre di ridicolo, cosa ogni giorno meno pericolosa in Francia; ma la moglie, se lui non le dà denaro, cade nella condizione di operaia a quindici soldi al giorno e, per di più, i benpensanti si fanno scrupolo ad assumerla.

Un’odalisca dell’harem deve amare il sultano a ogni costo: lui è potentissimo e lei non ha alcuna speranza di sottrarsi alla sua autorità con una serie di piccole astuzie. La vendetta del padrone è terribile, cruenta, ma fiera, generosa. Una pugnalata mette fine a tutto. Un marito del secolo XIX ucciDe La moglie a colpi di disprezzo pubblico, chiudendole tutti i salotti.

Il senso del pericolo fu vivamente risvegliato nella signora De Rênal al suo ritorno nella propria camera. Rimase colpita dal disordine in cui la trovò. Le serrature di tutti i suoi graziosi cofanetti erano state rotte, molti pezzi dell’impiantito erano stati sollevati. “Si sarebbe mostrato inesorabile verso di me!” pensò. “Rovinare così questo pavimento in legno policromo, che gli piace tanto! Quando qualcuno dei ragazzi entra qui con le scarpe bagnate, diventa rosso di rabbia. Eccolo sciupato per sempre!” La vista di quella violenza dissipò immediatamente i rimproveri che lei si faceva per la sua vittoria troppo rapida.

Un po’ prima che suonasse la campana del pranzo, Julien ritornò con i ragazzi. Al dessert, quando i domestici si furono ritirati, la signora De Rênal gli disse in tono molto secco: «Mi avete manifestato il desiderio di andare a passare una quindicina di giorni a Verrières. Il signor De Rênal è disposto a concedervi una licenza. Partirete quando vi sembrerà opportuno. Ma, perché i ragazzi non perdano tempo, vi saranno mandati ogni giorno i loro compiti e voi li correggerete».

«Certo,» aggiunse il signor De Rênal con tono molto duro «non vi accorderò più di una settimana.»

Julien gli lesse sul volto l’inquietudine di un uomo profondamente tormentato.

«Non ha ancora preso una decisione» disse alla sua amica quando, per un momento, fu solo con lei in salotto.

La signora De Rênal gli riferì in breve ciò che aveva fatto dal mattino in poi.

«I particolari a questa notte» aggiunse ridendo.

“Perversità femminile!” pensò Julien. “Quale piacere, quale istinto le induce a ingannarci?”

«Mi sembrate illuminata e, al tempo stesso, resa cieca dal vostro amore» le disse con una certa freddezza. «Il vostro contegno di oggi è stato mirabile; ma è prudente tentare di vederci questa sera? La casa è piena di nemici. Pensate all’odio appassionato di Elisa verso di me.»

«Quell’odio assomiglia molto all’appassionata indifferenza che sembrate avere per me.»

«Anche indifferente, devo salvarvi da un pericolo nel quale vi vedo sprofondare. Se il caso vuole che il signor De Rênal parli con Elisa, con una sola parola lei può svelargli tutto. Perché non potrebbe nascondersi, bene armato, vicino alla mia camera…»

«Come? Neanche un po’ di coraggio?» disse la signora De Rênal con tutta l’alterigia di una nobildonna.

«Non mi abbasserò mai a parlare del mio coraggio» rispose freddamente Julien. «È una volgarità. Che il mondo giudichi dai fatti. Ma,» aggiunse prendendole la mano «non immaginate quanto io mi senta legato a voi e quanta sia felice di potervi salutare prima di questa crudele separazione.»

 

1Twelfth night:«Ahimè, non nostra è la colpa, ma della nostra fragilità: / poiché come siamo fatte, siamo.» (William Shakespeare, La dodicesima notte, atto II, scena I)