O rus, quando ego te aspiciam!
Virgilio1
«Il signore sta certamente aspettando la corriera per Parigi, vero?» gli chiese il padrone di una locanda nella quale si fermò per fare colazione.
«Quella di oggi o di domani, poco importa» rispose Julien.
La corriera arrivò mentre lui faceva così l’indifferente. Vi erano due posti liberi.
«Come? Sei tu, mio povero Falcoz!» disse il viaggiatore che arrivava da Ginevra a quello che saliva nella diligenza contemporaneamente a Julien.
«Ti credevo stabilito nei dintorni di Lione,» rispose Falcoz «in qualche deliziosa vallata vicino al Rodano.»
«Stabilito così bene che scappo.»
«Come? Scappi? Tu, Saint Giraud! Con quell’aria da brava persona, hai commesso qualche delitto?» disse, ridendo, Falcoz.
«In verità, tanto varrebbe. Fuggo l’orribile vita della provincia. Amo, come sai, la frescura dei boschi e la tranquillità campestre; mi hai spesso accusato di romanticherie. Non volevo, in vita mia, sentir parlare di politica e la politica mi costringe a fuggire.»
«Ma di che partito sei?»
«Di nessuno ed è questa la mia rovina. Ecco tutta la mia vita politica: amo la musica, la pittura; un buon libro costituisce, per me, un avvenimento. Tra poco avrò quarantaquattro anni. Che mi resta da vivere? Quindici, venti, trent’anni al massimo! Ebbene, scommetto che fra trent’anni i ministri saranno forse un po’ più abili, ma onesti quanto quelli di oggi. La storia d’Inghilterra mi serve da specchio per il nostro futuro. Si troverà sempre un re che vorrà accrescere le sue prerogative; l’ambizione di diventar deputati, la gloria e le centinaia di migliaia di franchi guadagnati da Mirabeau toglieranno sempre il sonno ai provinciali ricchi: questo, per loro, vorrà dire essere liberali e amare il popolo. Sempre il desiderio di diventare pari o gentiluomini di Camera spronerà i reazionari. Sulla nave dello Stato tutti vorranno occuparsi della manovra, perché essa è ben retribuita. Non vi sarà, dunque, mai un modesto posticino per il semplice passeggero?»
«Racconta, racconta: deve essere molto divertente, con il tuo carattere tranquillo! Sono forse le ultime elezioni che ti cacciano dalla tua provincia?»
«Il mio male viene da più lontano. Quattro anni or sono avevo quarant’anni e cinquecentomila franchi; ora ho quattro anni di più e probabilmente cinquantamila franchi di meno, perché li perderò sulla vendita del mio castello di Monfleury, situato vicino al Rodano, in posizione superba. A Parigi ero stanco di quella continua commedia alla quale si è obbligati da ciò che voi chiamate la civiltà del secolo XIX. Ero assetato di bonarietà e di semplicità. Compero un terreno sui monti in vicinanza del Rodano: nulla di più bello sotto il cielo. Il vicario del villaggio e i proprietari dei dintorni mi fanno la corte per sei mesi. Offro loro dei pranzi: “Ho lasciato Parigi” racconto “per non parlare né sentir parlare più di politica in vita mia. Come vedete, non sono abbonato ad alcun giornale. Meno lettere mi porta il fattorino postale, più sono contento”.
«Ma tutto questo non garba al vicario. Ben presto sono preso di mira da mille domande indiscrete, angherie eccetera. Volevo dare due o trecento franchi l’anno per i poveri; me li chiedono, invece, per associazioni religiose, quella di San Giuseppe, quella della Vergine eccetera. Io rifiuto, e allora mi insultano in cento modi. Sono così sciocco da offendermi. Non posso più uscire la mattina per godermi la bellezza delle nostre montagne, senza trovare qualche scocciatura che mi strappi dalle mie fantasticherie e mi ricordi spiacevolmente gli uomini e la loro malvagità. Durante la processione delle Rogazioni, per esempio, il cui canto mi piace molto (probabilmente è una melodia greca), non si benedicono più i miei campi perché, dice il vicario, appartengono a un empio. Muore la vacca di una vecchia contadina bigotta: lei dice che è colpa della vicinanza di uno stagno che appartiene a me, l’empio filosofo venuto da Parigi; e, otto giorni dopo, trovo i miei pesci a pancia all’aria, avvelenati con la calce. Le angherie mi circondano, sotto tutte le forme. Il giudice conciliatore, uomo onesto ma che teme per la sua carica, mi dà sempre torto. La pace dei campi diventa un inferno per me. Appena mi hanno visto abbandonato dal vicario, capo della Congregazione del villaggio, e non appoggiato dal capitano in pensione, capo dei liberali, tutti mi sono piombati addosso, perfino il muratore a cui davo da vivere da un anno; perfino il carraio che voleva imbrogliarmi impunemente aggiustando i miei aratri.
«Allo scopo di avere un appoggio e di vincere qualcuno dei miei processi, mi faccio liberale; ma, come tu dici, arrivano quelle dannate elezioni. Mi domandano il voto.»
«Per uno sconosciuto?»
«Macché, per un uomo che conosco fin troppo. Rifiuto: orribile imprudenza! Da quel momento, ho contro anche i liberali. La mia posizione diventa intollerabile. Credo che se fosse saltato in testa al vicario di accusarmi d’aver assassinato la mia domestica, si sarebbero trovate venti persone dei due partiti che avrebbero giurato di avermi visto commettere il delitto.»
«Tu vuoi vivere in campagna senza servire le passioni dei tuoi vicini, senza neppure ascoltare le loro chiacchiere. Che errore!…»
«Ma vi ho rimediato, finalmente. Monfleury è in vendita. Perdo cinquantamila franchi, se occorre, ma sono felicissimo: lascio quest’inferno di ipocrisia e di angherie. Vado a cercare la solitudine e la pace campestre nel solo posto in cui esistono in Francia, in un appartamento al quarto piano sugli Champs-Élysées. E ancora sto pensando se non sia il caso di cominciare la mia carriera politica nel quartiere del Roule distribuendo il pane benedetto ai parrocchiani.»
«Tutto questo non ti sarebbe capitato sotto Bonaparte» disse Falcoz con gli occhi luccicanti d’ira e di rimpianto.
«Sarà! Ma perché non ha saputo mantenersi al suo posto il tuo Bonaparte? Tutto quello che subisco oggi è per causa sua.»
A questo punto l’attenzione di Julien raddoppiò. Fin dalle prime parole, aveva capito che il bonapartista Falcoz era il vecchio amico d’infanzia del signor De Rênal, da lui ripudiato nel 1816, e che il filosofo Saint Giraud doveva essere fratello di quel capo ufficio della prefettura di… che sapeva farsi aggiudicare a buone condizioni le case comunali.
«È tutto questo lo ha fatto il tuo Bonaparte» continuava Saint Giraud. «Un uomo onesto, inoffensivo come pochi, quarantenne e con cinquecentomila franchi non può stabilirsi in provincia e trovarvi la pace: i preti e i nobili lo cacciano via.»
«Ah, non dire male di lui!» esclamò Falcoz. «Mai la Francia è stata così in alto nella stima dei popoli come durante i tredici anni nei quali ha regnato. Allora c’era grandezza in tutto ciò che si faceva.»
«Il tuo imperatore, che il diavolo se lo porti,» riprese l’uomo di quarantaquattro anni «è stato grande solo sui campi di battaglia e quando ha riordinato le finanze verso il 1802. Che significa la sua condotta, dopo? Con i suoi ciambellani, la sua pompa, i ricevimenti alle Tuileries ha dato una nuova edizione di tutte le stupidaggini monarchiche. Si trattava di un’edizione riveduta e la si sarebbe potuta sostenere per un secolo o due ancora. I nobili e i preti sono voluti tornare all’antico; ma non hanno la mano di ferro che è necessaria per imporla al popolo.»
«Ecco il linguaggio di un ex tipografo.»
«Chi mi scaccia dalla mia terra?» continuò con ira il tipografo. «I preti che Napoleone ha richiamato con il suo concordato, invece di trattarli come lo Stato tratta i medici, gli avvocati, gli astronomi, invece di vedere in loro soltanto dei cittadini, senza preoccuparsi del tipo di lavoro con il quale cercano di guadagnarsi la vita. Vi sarebbero oggi gentiluomini insolenti, se il tuo Bonaparte non avesse creato baroni e conti? No, erano passati di moda. Dopo i preti, chi mi ha irritato maggiormente e mi ha costretto a farmi liberale sono stati i piccoli nobili di campagna.»
La discussione fu interminabile. Questo argomento occuperà la Francia per cinquant’anni ancora. Poiché Saint Giraud ripeteva sempre che era impossibile vivere in provincia, Julien propose timidamente l’esempio del signor De Rênal.
«Perbacco, giovanotto, siete buono!» esclamò Falcoz. «Lui si è fatto martello per non essere incudine; e un terribile martello, anche! Ma lo vedo già sopraffatto dal signor Valenod. Conoscete quell’autentica canaglia? Che dirà il vostro signor De Rênal, quando uno di questi giorni sarà destituito e vedrà il signor Valenod prendere il suo posto?»
«Rimarrà faccia a faccia con i suoi delitti» disse Saint Giraud. «Voi conoscete, dunque, Verrières, giovanotto? Ebbene, Bonaparte, che il cielo confonda lui e il suo ciarpame monarchico, ha reso possibile il regno dei Rênal e dei Chélan, che ha dato origine a quello dei Valenod e dei Maslon.»
Quella conversazione di bassa politica stupiva Julien e lo distraeva dalle sue voluttuose fantasticherie.
Fu poco sensibile al primo impatto con Parigi scorta da lontano. I castelli in aria sulla sua sorte futura dovevano lottare contro il ricordo ancora vivo delle ventiquattro ore che aveva appena trascorso a Verrières. Giurava a sé stessodi non abbandonare mai i figli della sua amica e di trascurare tutto per proteggerli, se le impertinenze dei preti avessero restaurato la repubblica e le persecuzioni contro i nobili.
Che sarebbe avvenuto la notte del suo arrivo a Verrières se, al momento in cui appoggiava la scala contro la finestra della camera della signora De Rênal, avesse trovato in quella stanza un estraneo o lo stesso marito?
Ma com’erano state deliziose le due prime ore, quando la sua amica voleva, sinceramente, mandarlo via e lui perorava la sua causa, seduto accanto a lei nell’oscurità! Un’anima come quella di Julien conserva per tutta la vita simili ricordi. Il resto dell’incontro si confondeva già con i primi tempi del loro amore, quattordici mesi prima.
Julien fu risvegliato dalla sua profonda fantasticheria perché la carrozza si fermò. Era entrata nel cortile della posta, in rue Jean-Jacques Rousseau.
«Voglio andare alla Malmaison»2 disse al cocchiere di una carrozza da nolo che si avvicinava.
«A quest’ora, signore! E perché?»
«Che v’importa? Andate.»
Ogni vera passione non pensa che a sé stessa. Per questo, mi sembra, le passioni sono così ridicole a Parigi, dove il vicino pretende sempre che si pensi molto a lui. Mi guarderò bene dal descrivere l’entusiasmo di Julien alla Malmaison. Pianse. Come! Nonostante i brutti muraglioni bianchi costruiti quest’anno e che dividono il parco in tanti settori? Sissignore; per Julien, come per la posterità, nulla poteva separare Arcole da Sant’Elena e dalla Malmaison.
La sera esitò molto prima di entrare in un teatro. Aveva strane idee su quel luogo di perdizione.
Una profonda diffidenza gli impedì di ammirare la Parigi viva. Era commosso solo dai monumenti fatti costruire dal suo eroe.
“Eccomi, dunque, nel centro dell’intrigo e dell’ipocrisia! Qui regnano i protettori dell’abate Frilair.”
Ma la sera del terzo giorno la curiosità ebbe il sopravvento sul proposito di veder tutto prima di presentarsi all’abate Pirard. Costui gli spiegò in tono freddo il genere di vita che lo attendeva in casa del marchese De La Mole.
«Se in capo a qualche mese non sarete utile, rientrerete in seminario, ma per la porta principale. Alloggerete in casa del marchese, uno dei più grandi signori di Francia. Porterete l’abito nero, ma come un uomo che sia in lutto, non come un ecclesiastico. Esigo che, tre volte la settimana, continuiate gli studi di teologia in un seminario nel quale vi presenterò. Ogni giorno, a mezzogiorno, andrete nella biblioteca del marchese, che conta di impiegarvi per la compilazione di lettere in merito ad alcuni processi e ad altri affari. Il marchese scrive, in due parole, in margine a ogni lettera che riceve, il genere di risposta che bisogna dare. Ho sostenuto che, in tre mesi, sarete capace di redigere quelle risposte in modo che, su dodici che presenterete alla firma del marchese, almeno otto o nove possano essere firmate senz’altro. La sera alle otto metterete in ordine la scrivania e alle dieci sarete libero. Può darsi» continuò l’abate «che qualche vecchia signora o qualche uomo dal tono mellifluo vi facciano intravedere vantaggi immensi o, senza mezzi termini, vi offrano denaro per prender visione delle lettere ricevute dal marchese…»
«Ah, signore!» esclamò Julien arrossendo.
«È strano» disse l’abate con un sorriso amaro «che, povero come siete e dopo un anno di seminario, vi rimangano ancora di queste indignazioni virtuose. Dovete essere stato proprio cieco!
«Che sia la forza del sangue?» continuò a mezza voce. E aggiunse, guardando Julien: «La cosa strana è che il marchese vi conosce… Non so come. Vi offre, per cominciare, uno stipendio di cento luigi. È un uomo che agisce solo per capriccio, è questo il suo difetto: gareggerà con voi in puerilità. Se è contento, il vostro compenso potrà raggiungere, in seguito, anche gli ottomila franchi. Ma,» proseguì l’abate in tono aspro «capite bene che non vi dà tutto questo denaro per i vostri begli occhi. Si tratta di essergli utile. Al vostro posto, io parlerei pochissimo e soprattutto non parlerei mai di quello che non so.
«Ah!» aggiunse. «Ho preso informazioni per voi: dimenticavo la famiglia del signor De La Mole. Ha due figli, una ragazza e un giovane di diciannove anni, elegantissimo, una specie di folle che, a mezzogiorno, non sa mai che cosa farà alle due. Ha spirito, coraggio. Ha fatto la guerra di Spagna. Il marchese spera, non so perché, che diventiate amico del giovane conte Norbert. Ho detto che siete un gran latinista, e forse lui conta che voi insegniate al figlio delle frasi fatte su Cicerone e Virgilio. Al vostro posto, non mi lascerei mai prendere in giro da quel bel giovanotto e, prima di cedere ai suoi approcci perfettamente cortesi, ma un po’ guastati dall’ironia, me li farei ripetere più di una volta.
«Non vi nasconderò che il giovane conte sulle prime vi disprezzerà, perché non siete altro che un piccolo borghese. Un suo antenato stava a corte ed ebbe l’onore di aver la testa mozzata a place de Grève il 26 aprile 1574 per un intrigo politico. Voi, invece, siete figlio di un carpentiere di Verrières e, per di più, siete alle dipendenze di suo padre. Pesate bene tali differenze e studiate la storia di questa famiglia nel libro di Moréri:3 tutti gli adulatori che pranzano in casa De La Mole vi fanno ogni tanto, come usano dire, allusioni delicate. Badate al modo con il quale risponderete agli scherzi del signor conte Norbert, comandante di uno squadrone di ussari e futuro pari di Francia, e non venite, poi, a lamentarvi con me.»
«A quanto sembra,» disse Julien arrossendo vivamente «non dovrei nemmeno rispondere a un uomo che mi disprezza.»
«Non avete neppur l’idea di quel genere di disprezzo; si rivelerà solo attraverso complimenti esagerati. Se foste uno sciocco, potreste crederci; se voleste far fortuna, dovreste crederci.»
«Il giorno in cui ne avrò abbastanza» disse Julien «farò la figura di un ingrato ritornando nella mia cella n. 103?»
«Tutti i cortigiani della casa vi calunnieranno,» rispose l’abate «ma comparirò io. Adsum qui feci.4 Dirò che tale decisione viene da me.»
Julien era addolorato dal tono amaro e quasi cattivo che sentiva nell’abate Pirard. Quel tono sciupava completamente la sua ultima risposta.
La ragione è che l’abate si faceva scrupoli di coscienza perché amava Julien e, se si interessava così direttamente alla sorte di un altro, lo faceva con una specie di terrore religioso.
«Conoscerete anche» aggiunse con la stessa mala grazia e come se compisse un penoso dovere «la signora marchesa De La Mole. È una donna alta, bionda, religiosa, molto cortese e ancor più insignificante. È figlia del vecchio duca di Chaulnes, tanto noto per i suoi pregiudizi nobiliari. Questa gran signora è una specie di sintesi in alto rilievo di ciò che costituisce, in fondo, il carattere delle donne del suo ceto. Non nasconde che la sola prerogativa alla quale dia importanza è l’aver avuto antenati che abbiano preso parte alle crociate. Il denaro viene molto dopo. Ciò vi stupisce? Non siamo più in provincia, amico mio.
«Vedrete nel suo salotto molti gran signori e li sentirete parlare dei nostri principi con un tono di singolare leggerezza. La signora De La Mole, invece, abbassa la voce per rispetto ogni volta che nomina un principe e specialmente una principessa. Non vi consiglio di dire davanti a lei che Filippo II o Enrico VIII furono dei mostri. Sono stati re, cosa che conferisce loro diritti imprescindibili al rispetto di tutti e soprattutto a quello delle persone di nascita oscura come voi e me. Tuttavia,» aggiunse l’abate Pirard «noi siamo preti – perché lei vi considererà tale – e a questo titolo ci ritiene camerieri necessari alla salvezza della sua anima.»
«Padre,» disse Julien «credo che non rimarrò molto tempo a Parigi.»
«Va bene; ma pensate che, per un uomo della nostra condizione, non c’è possibilità di fare fortuna se non attraverso i grandi signori. Con quel non so che d’indefinibile, almeno per me, nel vostro carattere, se non farete fortuna sarete perseguitato; non ci sono vie di mezzo, per voi. Non vi illudete. Gli uomini si accorgono che non vi fanno piacere rivolgendovi la parola e, in un paese di vita sociale come questo, sarete condannato alla disgrazia, se non arriverete a imporre il rispetto.
«Che cosa sareste diventato a Besançon senza questo capriccio del marchese De La Mole? Un giorno capirete tutta l’importanza di ciò che questi fa per voi e, se non siete un mostro, avrete per lui e per la sua famiglia un’eterna riconoscenza. Quanti poveri abati più dotti di voi hanno vissuto anni interi a Parigi con i quindici soldi della messa e i dieci soldi delle lezioni alla Sorbonne!… Ricordatevi che, l’inverno scorso, vi parlavo degli esordi di quel cattivo soggetto del cardinale Dubois. Il vostro orgoglio vi farebbe, forse, credere di avere più ingegno di lui? Io, per esempio, uomo tranquillo e mediocre, facevo conto di morire nel mio seminario: ho avuto la puerilità di affezionarmici. Ebbene! Quando ho presentato le dimissioni, ero in procinto di essere destituito. Sapete qual era la mia fortuna? Avevo cinquecentoventi franchi di capitale, né più né meno; neanche un amico, appena due o tre conoscenze. Il marchese De La Mole, che non avevo mai visto, mi ha tolto da quel brutto pasticcio. Gli è bastato dire una parola e mi è stata data una parrocchia, i cui fedeli sono persone agiate, superiori ai vizi volgari; il reddito, poi, mi fa arrossire, tanto è poco proporzionato al mio lavoro. Vi ho parlato così a lungo solo per mettere un po’ di sale in questa vostra testa. Ancora una parola: ho la disgrazia di essere irascibile. Può darsi che voi e io cesseremo di parlarci.
«Se le arie altezzose della marchesa o gli scherzi di cattivo gusto del figlio vi dovessero rendere decisamente insopportabile quella casa, vi consiglio di terminare gli studi in qualche seminario a una trentina di miglia da Parigi, e piuttosto al nord che al sud. Al nord c’è più civiltà e meno ingiustizia e,» aggiunse abbassando la voce «devo ammetterlo, la vicinanza dei giornali parigini fa paura ai piccoli tiranni.
«Se invece continueremo a vederci con piacere, qualora la casa del marchese non vi andasse più bene, vi offrirò il posto di mio vicario e dividerò a metà con voi ciò che rende la parrocchia. Vi devo questo e ancora di più» continuò interrompendo i ringraziamenti di Julien «per la straordinaria offerta che mi avete fatto a Besançon. Se non avessi avuto i miei cinquecento franchi, voi mi avreste salvato.»
L’abate aveva perduto il tono di voce aspro. Con sua grande vergogna, Julien si sentì gli occhi pieni di lacrime. Moriva dal desiderio di gettarsi tra le braccia del suo amico e non poté fare a meno di dirgli, con l’aria più virile che poté ostentare:
«Sono stato odiato da mio padre fin dalla prima infanzia e questa era per me una delle più grandi disgrazie. Ma non mi lamenterò più della sorte: in voi, signore, ho ritrovato un padre».
«Bene, bene» disse l’abate con imbarazzo; poi, trovando a proposito una frase da direttore di seminario, ammonì: «Non bisogna mai dire la sorte, figlio mio; dite sempre: la Provvidenza».
La carrozza si fermò. Il cocchiere sollevò il batacchio di bronzo di una porta immensa: erano arrivati a palazzo De La Mole e, perché i passanti non potessero dubitarne, queste parole si leggevano incise su un marmo nero che sovrastava il portone.
Quella forma di ostentazione dispiacque a Julien. “Hanno tanta paura dei giacobini! Vedono un Robespierre e la sua carretta dietro ogni siepe, tanto che, spesso, diventano estremamente ridicoli. E poi ostentano così la loro casa perché la marmaglia la riconosca in caso di rivolta e la saccheggi.” Comunicò il suo pensiero all’abate Pirard.
«Ah, povero ragazzo, sarete presto mio vicario. Che idea spaventosa vi è venuta!»
«Non trovo nulla di più semplice» disse Julien.
La serietà del portiere e specialmente la pulizia del cortile lo avevano riempito d’ammirazione. C’era un bel sole.
«Che magnifica architettura!» disse Julien all’amico.
Si trattava di uno di quei palazzi dalla facciata molto comune del quartiere di Saint-Germain, costruiti verso l’epoca della morte di Voltaire. Mai la moda e la bellezza sono state così lontane l’una dall’altra.
1 – Virgilio: «O campagna, quando ti vedrò!». Nonostante Stendhal attribuisca questa citazione a Virgilio, è in realtà tratta dalle Satire di Orazio (II, 6).
2 – Malmaison: castello a pochi chilometri da Parigi, fu residenza di Napoleone.
3 – Moréri: Louis Moréri (1643-1680), autore di un Grand dictionnaire historique.
4 – Adsum qui feci: «Sono io che l’ho fatto.» (Virgilio, Eneide, IX, 426).