Un’idea un po’ vivace diventa una volgarità, tanto si è abituati alle vane parole. Guai a chi inventa, parlando!
Faublas1
Dopo alcuni mesi di prova, ecco a che punto era Julien il giorno in cui l’intendente del marchese gli versò il quarto trimestre del suo stipendio. Il signor De La Mole lo aveva incaricato di sorvegliare l’amministrazione delle sue terre in Bretagna e in Normandia e lui vi faceva frequenti viaggi. Aveva, poi, la direzione della corrispondenza relativa al famoso processo con l’abate Frilair. L’abate Pirard gli aveva dato tutte le istruzioni.
Sulle indicazioni dei brevi appunti che il marchese segnava in margine alle sue carte di ogni genere, Julien componeva lettere che venivano quasi tutte firmate.
Alla scuola di teologia i suoi maestri, pur deplorando la sua scarsa assiduità, lo consideravano come uno dei migliori alunni. Tutte quelle occupazioni, intraprese con lo slancio di un’ambizione tormentata, avevano ben presto tolto a Julien il bel colorito che aveva portato dalla campagna. Il pallore era un merito agli occhi dei giovani seminaristi, suoi nuovi compagni. Lui li giudicava assai meno cattivi, assai meno in adorazione davanti a uno scudo di quelli di Besançon, e loro lo credevano minato dalla tisi. Il marchese gli aveva assegnato un cavallo. Per timore di essere scoperto durante le sue cavalcate, Julien aveva detto loro che quell’esercizio gli era stato ordinato dai medici.
L’abate Pirard l’aveva presentato in varie associazioni di giansenisti. Julien ne rimase stupito: nel suo intimo l’idea della religione era indissolubilmente legata a quelle dell’ipocrisia e della speranza di guadagnar denaro. Ammirò quegli uomini pii e severi che non pensavano al bilancio. Molti giansenisti lo avevano preso a benvolere e gli davano dei consigli. Un mondo nuovo gli si apriva davanti. Conobbe, presso di loro, uno dei conti di Altamira, alto quasi sei piedi, liberale condannato a morte nel suo paese, e molto religioso. Quello strano contrasto, devozione e amore della libertà, lo colpì.
I rapporti di Julien con il giovane conte De La Mole si erano raffreddati. Norbert aveva notato che lui rispondeva con troppa impulsività agli scherzi di alcuni suoi amici. Inoltre, avendo mancato una o due volte alle norme della convenienza, il giovane segretario aveva imposto a sé stessodi non rivolgere mai la parola alla signorina Mathilde. In casa De La Mole tutti erano sempre perfettamente cortesi verso di lui; ma lui si sentiva in disgrazia. Il suo buon senso provinciale spiegava il fatto con il proverbio popolare: piace solo ciò che è nuovo.
Forse vedeva un po’ più chiaramente dei primi giorni, oppure era cessato il primo incanto prodotto dai modi urbani dei parigini.
Appena smetteva di lavorare piombava in preda a una noia mortale: è l’effetto dell’aridità che nasce dalla cortesia perfetta, ma così misurata, dosata con tanta precisione secondo il grado sociale, che distingue l’alta società. Un cuore sensibile vi sente l’artificio.
Certo, si può rimproverare ai provinciali un tono volgare o poco cortese; ma, quando vi rispondono, loro lo fanno con un po’ più di passione. L’amor proprio di Julien non era mai ferito in casa De La Mole; ma spesso, alla fine della giornata, sentiva la voglia di piangere. In provincia un cameriere di caffè si interessa a voi, se vi capita un incidente mentre entrate nel locale; ma, se questo incidente ha qualcosa di sgradevole per il vostro amor proprio, lui, nell’esprimervi la sua compassione, ripeterà dieci volte la parola che vi tortura. A Parigi si ha il riguardo di nascondersi per prendervi in giro; ma voi rimanete sempre un estraneo.
Trascuriamo moltissime piccole disavventure che avrebbero gettato il ridicolo su Julien se lui, in certo qual modo, non fosse stato inferiore al ridicolo stesso. Una sensibilità folle gli faceva commettere migliaia di goffaggini. Tutti i suoi divertimenti si ispiravano al bisogno di cautelarsi: ogni giorno si esercitava al tiro della pistola ed era tra i buoni allievi dei più famosi maestri d’armi. Appena poteva disporre di un momento di libertà, invece di impiegarlo a leggere, come prima, correva al maneggio e chiedeva i cavalli più bizzosi. Nelle cavalcate con il maestro d’equitazione era quasi sempre sbalzato di sella.
Il marchese lo trovava utile per il suo impegno ostinato, il suo silenzio, la sua intelligenza e, a poco a poco, gli affidò tutti le faccende più difficili da sbrogliare. Nei periodi in cui la sua grande ambizione gli concedeva un po’ di tregua, il marchese concludeva degli affari con sagacia: poiché era in grado di avere delle informazioni, giocava in borsa con fortuna. Comperava case, boschi, ma facilmente si lasciava prendere dal malumore. Regalava centinaia di luigi e litigava per qualche centinaio di franchi. Le persone ricche, di sentimenti elevati, cercano negli affari il divertimento, non i risultati pratici. Il marchese aveva bisogno di un capo di stato maggiore che mettesse un ordine chiaro e facile da capire nelle sue questioni finanziarie.
La marchesa De La Mole, sebbene di carattere molto riservato, si burlava talvolta di Julien. L’imprevisto, che nasce dalla sensibilità, fa orrore alle grandi dame; è il contrario delle buone norme di convenienza. Due o tre volte il marchese volle difenderlo: «Se è ridicolo nel vostro salotto, trionfa nel suo ufficio». Dal canto suo, Julien credette di penetrare il segreto della marchesa. Appena veniva annunciato il barone De La Joumate, lei sembrava rivivere. Il barone era un essere freddo, dalla fisionomia impassibile. Piccolo, snello, brutto, molto elegante, passava la vita a corte e non si pronunciava mai su nessun argomento, e questo era anche il suo modo di pensare. La marchesa, per la prima volta in vita sua, si sarebbe sentita straordinariamente felice se avesse potuto farne il marito di sua figlia.
1 – Faublas: nonostante Stendhal faccia derivare queste parole dal romanzo Gli amori del Cavaliere di Faublas di Louvet de Coudray (1760-1797), all’interno dell’opera non compaiono.