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La regina Margherita

Amore! In quale follia non riesci a farci provare piacere?

Lettere di una monaca portoghese1

Julien rilesse le lettere. Quando suonò la campana del pranzo, pensò: “Come devo essere sembrato ridicolo agli occhi di quella bambola parigina! Che pazzia rivelarle il mio pensiero. Ma, forse, non una pazzia tanto grande. La verità, in questa occasione, era degna di me. Perché, poi, venirmi a interrogare su cose intime? Questa domanda è indiscreta da parte sua. Ha mancato di tatto. Le mie idee su Danton non fanno parte del servizio per il quale suo padre mi paga”.

Entrando in sala da pranzo, il cattivo umore di Julien fu distratto dal lutto strettissimo della signorina De La Mole, e tanto più ne fu colpito, in quanto nessun’altra persona della famiglia vestiva di nero.

Dopo pranzo l’eccesso di entusiasmo che lo aveva ossessionato per tutto il giorno svanì. Per fortuna, l’accademico, che sapeva il latino, era tra gli invitati al pranzo. “Ecco l’uomo che, meno degli altri, si burlerà di me, se la domanda sul lutto della signorina De La Mole sarà, come presumo, una goffaggine.”

Mathilde lo guardava con espressione strana.

“È questa la civetteria delle donne di queste parti, come me l’aveva descritta la signora De Rênal” pensò Julien. “Non sono stato gentile con lei questa mattina; non ho ceduto al suo capriccioso desiderio di conversare, e ciò ai suoi occhi è un pregio. Certo il diavolo non ci perde niente. Più tardi la sua sdegnosa alterigia saprà ben vendicarsi. La sfido al peggio. Che differenza con ciò che ho perduto! Che naturalezza affascinante! Che ingenuità! Conoscevo i suoi pensieri prima di lei, li vedevo nascere; avevo come antagonista nel suo cuore solo la paura della morte dei suoi figli. Era un affetto ragionevole e spontaneo, che appariva delicato anche a me che ne soffrivo. Sono stato uno sciocco. L’idea che mi facevo di Parigi mi ha impedito di apprezzare quella donna sublime. Che differenza, Dio mio! E che cosa trovo qui? Vanità arida e altera, tutte le sfumature dell’amor proprio e nient’altro.”

Si alzavano da tavola. “Non devo lasciare che qualcun altro si accaparri il mio accademico” pensò Julien. Si avvicinò a lui mentre passavano in giardino, assunse un’aria gentile e sottomessa e condivise i suoi furori contro il successo di Hernani.2

«Se fossimo ancora al tempo delle liste di proscrizione!…» gli disse.

«Allora non avrebbe osato!» esclamò l’accademico con un gesto alla Talma.3

A proposito di un fiore, Julien citò un passo delle Georgiche di Virgilio e notò che nulla poteva uguagliare la bellezza dei versi dell’abate Delille. Lusingò, insomma, l’accademico in tutti i modi. Dopo di che, con il tono della massima indifferenza, disse: «Suppongo che la signorina De La Mole abbia ereditato da qualche zio del quale porta il lutto».

«Come? Siete di casa e non conoscete la sua pazzia?» disse l’accademico fermandosi di colpo. «In realtà è strano che la madre le permetta cose simili; sia detto tra noi: in questa casa non si brilla proprio per forza di carattere, eppure la signorina Mathilde ne ha per tutti e li comanda. Oggi è il 30 aprile!» E l’accademico si fermò di nuovo, guardando Julien con aria d’intesa. Julien sorrise nel modo più intelligente che poté.

“Che rapporto ci può essere tra comandare a bacchetta un’intera casa, indossare un vestito nero e il 30 aprile?” si chiedeva. “Devo essere ancora più sciocco di quanto pensassi.”

«Vi confesserò…» disse all’accademico. E il suo sguardo continuava a interrogare.

«Facciamo un giro in giardino» propose l’altro intravedendo con vivissimo piacere l’occasione di un lungo, elegante racconto. «Come! È mai possibile che non sappiate che cosa sia accaduto il 30 aprile 1574?»

«Dove?» chiese Julien stupito.

«In place de Grève.»

Julien era tanto meravigliato, che quel nome non bastò a illuminarlo. La curiosità e l’attesa di qualcosa di tragicamente interessante, così consona al suo carattere, gli accendevano negli occhi quella luce che, a chi narra, piace tanto vedere nell’ascoltatore. L’accademico, felicissimo di trovare un orecchio vergine, raccontò a lungo a Julien come, il 30 aprile 1574, il più bel giovane del suo secolo, Boniface De La Mole e Annibale di Coconasso, gentiluomo piemontese suo amico, fossero stati decapitati in place de Grève. La Mole era l’amante adorato della regina Margherita di Navarra. «E notate che la signorina De La Mole si chiama Mathilde-Marguerite» aggiunse l’accademico. «Boniface De La Mole era anche il favorito del duca d’Alencon e l’intimo amico del re di Navarra, diventato poi Enrico IV, marito della sua amante. Il martedì grasso di quell’anno 1574, la Corte si era trasferita a Saint-Germain al seguito del povero re Carlo IX, che stava per morire. La Mole volle liberare i principi suoi amici che la regina Caterina de’ Medici teneva prigionieri. Fece avanzare duecento cavalli sotto le mura di Saint-Germain: il duca d’Alencon ebbe paura e La Mole fu consegnato al carnefice. Ma ciò che commuove la signorina Mathilde, me lo ha confessato lei stessa sette o otto anni or sono, quando ne aveva dodici, perché è una testa, una testa!…» e l’accademico levò gli occhi al cielo «ciò che l’ha colpita, dicevo, in questa catastrofe politica, è il fatto che la regina Margherita di Navarra, nascosta in una casa della place de Grève, osò far chiedere al boia la testa dell’amante. E la notte seguente, a mezzanotte, si portò quella testa in carrozza e andò a seppellirla lei stessa in una cappella ai piedi della collina di Montmartre.»

«È possibile?» esclamò Julien commosso.

«La signorina De La Mole disprezza il fratello perché, come vedete, lui non pensa affatto a tutta questa storia antica e non si veste a lutto il 30 aprile. Dopo quel famoso supplizio – e per ricordare l’intima amicizia tra Boniface De La Mole e quel Coconasso che, italiano com’era, si chiamava Annibale –, tutti gli uomini della famiglia portano anche questo nome. Quel Coconasso fu, secondo lo stesso Carlo IX, uno dei più crudeli assassini del 24 agosto 1572» aggiunse l’accademico abbassando la voce. «Ma come è possibile, mio caro Sorel, che ignoriate tali cose, voi che vivete in questa casa?»

«Ecco perché due volte, a pranzo, la signorina De La Mole ha chiamato suo fratello Annibal. Credevo di aver sentito male.»

«Era un rimprovero. È strano che la marchesa sopporti tali follie… Il marito di quella ragazza ne vedrà delle belle!»

Queste ultime parole furono seguite da cinque o sei frasi ironiche. La gioia e l’aria di intimità che brillavano negli occhi dell’accademico urtarono Julien. “Eccoci diventati due domestici che stanno parlando male dei padroni” pensò. “Ma nulla deve stupirmi in quest’uomo.”

Un giorno, Julien lo aveva sorpreso in ginocchio davanti alla marchesa De La Mole: chiedeva la concessione di una rivendita di tabacchi per un suo nipote di provincia. La sera, una giovane cameriera della signorina De La Mole, che corteggiava Julien come un tempo Elisa, lo persuase che il lutto della sua padrona fosse un mezzo per attirare gli sguardi: quella bizzarria si adattava profondamente al suo carattere. Lei venerava realmente quel De La Mole, amante riamato della regina più intelligente del suo secolo, che morì per aver voluto ridare la libertà ai propri amici. E quali amici! Il primo principe del sangue ed Enrico IV.

Abituato alla perfetta schiettezza che brillava nel contegno della signora De Rênal, Julien non vedeva che affettazione in tutte le donne di Parigi e, per poco che fosse disposto alla confidenza, non trovava nulla da dire loro. La signorina De La Mole fece eccezione.

Lui cominciava a non scambiare più per aridità di cuore quel tipo di bellezza che deriva dalla nobiltà degli atteggiamenti. Ebbe lunghe conversazioni con Mathilde che, qualche volta, dopo pranzo, passeggiava con lui in giardino davanti alle finestre aperte del salotto. Lei gli disse un giorno che stava leggendo le opere di d’Aubigné e di Brantôme.4 “Strana lettura!” pensò Julien. “E dire che la marchesa non le permette di leggere i romanzi di Walter Scott!”

Un giorno Mathilde, con gli occhi brillanti di quella luce di piacere che dimostra la sincerità dell’ammirazione, gli raccontò il gesto di una giovane donna dell’epoca di Enrico III, riportato nelle Memorie dell’Etoile: avendo scoperto che il marito le era infedele, lo aveva pugnalato.

L’amor proprio di Julien era lusingato. Una persona circondata da tanto rispetto e che, a quanto diceva l’accademico, comandava tutta una casa, si degnava di parlargli con un tono che poteva quasi assomigliare all’amicizia.

“Mi ero sbagliato,” pensò ben presto “non si tratta di familiarità: io non sono altro che un confidente da tragedia. È il bisogno di parlare. In questa famiglia passo per dotto. Leggerò Brantôme, d’Aubigné, l’Étoile. Potrò contestare qualcuno degli aneddoti dei quali la signorina De La Mole mi parla. Voglio uscire da questo ruolo di confidente passivo.”

A poco a poco le sue conversazioni con quella giovane dal contegno così fermo, e al tempo stesso spigliato, divennero più interessanti. Lui dimenticava la sua triste parte di plebeo ribelle. La trovava colta e perfino razionale. Le sue opinioni in giardino erano ben diverse da quelle che manifestava in salotto. Talvolta aveva, con lui, un entusiasmo e una franchezza che formavano un contrasto netto con il suo consueto modo di comportarsi, così altero e così freddo.

«Le guerre della Lega sono i tempi eroici della Francia» gli diceva un giorno con gli occhi scintillanti di intelligenza e di entusiasmo. «Allora tutti si battevano per ottenere una cosa che desideravano, per far trionfare il proprio partito e non per guadagnare volgarmente una decorazione, come al tempo del vostro imperatore. Convenite che c’era meno egoismo, meno grettezza. Quel secolo mi piace.»

«E Boniface De La Mole ne fu l’eroe» disse lui.

«Per lo meno, fu amato come, forse, è dolce essere amati. Quale donna, oggi vivente, non avrebbe orrore di toccare la testa del suo amante decapitato?»

La marchesa chiamò la figlia. L’ipocrisia, per essere utile, deve nascondersi, e Julien, come si è visto, aveva fatto a Mathilde una mezza confessione sul suo entusiasmo per Napoleone.

“Ecco l’immenso vantaggio che hanno su di noi” pensò Julien rimasto solo in giardino. “La storia dei loro antenati li eleva al di sopra dei sentimenti volgari e non devono pensare sempre al loro sostentamento! Che miseria!” aggiunse con amarezza. “Sono indegno di ragionare su questi grandi problemi. La mia vita non è altro che un succedersi di ipocrisie, perché non ho mille franchi di rendita per comprarmi il pane.”

«A che cosa pensate, signore?» gli domandò Mathilde, che ritornava di corsa.

Julien era stanco di disprezzare sé stesso. Per orgoglio disse francamente il suo pensiero. Arrossì molto parlando della sua povertà a una persona tanto ricca, e cercò di far ben capire, con un tono di fierezza, che non domandava nulla. Mai era sembrato così bello a Mathilde: la sua espressione era sensibile e franca come non gli capitava spesso.

Meno di un mese dopo, Julien passeggiava pensieroso nel giardino del palazzo De La Mole; ma il suo volto non aveva più la durezza e l’arroganza distaccata che vi imprimeva la continua coscienza della propria inferiorità. Aveva riaccompagnato fino alla porta del salotto la signorina De La Mole, che pretendeva di essersi fatta male a un piede correndo con il fratello.

“Si è appoggiata al mio braccio in maniera così strana!” pensava Julien. “Sono fatuo o è forse vero che ha un’inclinazione per me? Mi ascolta con un’aria così dolce, anche quando le confesso tutte le sofferenze del mio orgoglio! Lei, che ha tanta alterigia con tutti! Sarebbero molto stupiti, in salotto, se le vedessero quell’espressione. Certamente un’aria così dolce e buona non l’ha con nessuno.”

Julien cercava di non dare troppo peso a quella singolare amicizia. Lui stesso la paragonava a una tregua armata. Ogni giorno, rivedendosi, prima di usare il tono quasi intimo del giorno prima, sembrava si chiedessero: “Saremo amici o nemici, oggi?”. Julien aveva capito che lasciarsi offendere impunemente una volta sola da quella ragazza così altera significava perdere tutto. “Se devo mettermi in urto, non è meglio che ciò avvenga subito, difendendo i giusti diritti del mio orgoglio, anziché respingendo il disprezzo che seguirebbe alla minima rinuncia della mia dignità personale?”

Più volte, nei giorni di cattivo umore, Mathilde tentò di assumere verso di lui il tono da gran signora. Metteva una rara finezza in quei tentativi; ma Julien li contrastava aspramente.

Un giorno la interruppe brusco: «La signorina De La Mole ha qualche ordine da dare al segretario di suo padre?

«Lui deve ascoltare i suoi ordini ed eseguirli con rispetto; ma, per il resto, non ha nulla da dirle. Non è pagato per comunicarle i propri pensieri».

Quel modo di fare e gli strani dubbi che aveva Julien fecero sparire la noia che lo opprimeva regolarmente in quel salotto splendido, ma dove si aveva paura di tutto e dove non era conveniente scherzare su nulla.

“Sarebbe bello che mi amasse! Ma, che mi ami o no,” pensava Julien “ho per confidente una ragazza di spirito, di fronte alla quale vedo tremare tutta la casa e, più degli altri, il marchese de Crosenois, quel giovane così educato, così dolce, così coraggioso che riunisce in sé tutti i pregi di nascita e di fortuna, uno solo dei quali basterebbe a mettermi l’animo in pace! Lui l’ama pazzamente, deve sposarla. Quante lettere mi ha fatto scrivere il signor De La Mole ai due notai per combinare il contratto di matrimonio! E io, che mi vedo tanto inferiore con la penna in mano, due ore dopo, qui, in questo giardino, trionfo su quell’amabile giovane; perché, infine, le preferenze sono evidenti, dichiarate. Forse, anche, lei odia in lui il futuro marito. È abbastanza altera per farlo. E le cortesie che mi dimostra mi sono concesse a titolo di confidente subalterno! Ma no, o sono pazzo o mi fa la corte. Più mi mostro freddo e rispettoso con lei, e più mi cerca. Potrebbe essere un partito preso, un’ostentazione; ma vedo i suoi occhi animarsi quando arrivo all’improvviso. Le donne di Parigi sanno fingere fino a questo punto? Che importa! L’apparenza è dalla mia parte: godiamocela. Com’è bella, mio Dio! Come mi piacciono i suoi grandi occhi azzurri, visti da vicino e intenti a guardarmi come spesso fanno! Che differenza tra questa primavera e quella dell’anno scorso, quando vivevo infelice, sostenendomi a forza di carattere, in mezzo a quei trecento ipocriti abietti e sporchi! Ero quasi cattivo quanto loro.”

Nei giorni di diffidenza pensava: “Quella ragazza si burla di me, è d’accordo con suo fratello per turlupinarmi. Eppure sembra che disprezzi tanto la mancanza di energia del giovane conte! ‘È coraggioso e basta’ mi dice. ‘Non ha un pensiero che osi distaccarsi un po’ dalla moda.’ Sono io sempre costretto a prendere le sue difese. Una ragazza di diciannove anni! A quell’età si può esser fedeli, in ogni istante della giornata, all’ipocrisia che ci si è prefissa? D’altra parte, ogni volta che mi guarda con i suoi occhi azzurri e con una certa espressione singolare, il conte Norbert si allontana. La cosa è sospetta. Non dovrebbe indignarsi che sua sorella s’interessi a un domestico della casa? Perché ho udito il duca di Chaulnes chiamarmi così”. A un tale ricordo, l’ira sostituiva ogni altro sentimento.

“È forse una mania del duca esprimersi con modi così antiquati?

“Ebbene, è bella!” continuava a pensare Julien con sguardi da tigre. “L’avrò, poi me ne andrò e guai a chi vorrà ostacolarmi nella fuga!”

Questo pensiero diventò la sua unica preoccupazione. Non poteva rivolgere la mente ad altro. Le giornate passavano per lui come ore.

In qualunque momento, se cercava di occuparsi di qualche faccenda seria, il suo pensiero abbandonava tutto e lui si ridestava, un quarto d’ora dopo, con il cuore palpitante e la testa confusa, per fantasticare su questo pensiero: “Mi ama?”.

 

1Lettere di una monaca portoghese: di autore ignoto, queste lettere (pubblicate a Parigi nel 1669) non contengono la citazione riportata da Stendhal.

2Hernani: dramma di Victor Hugo (1802-1885), rappresentata per la prima volta a Parigi il 25 febbraio 1830..

3Talma: François-Joseph Talma (1763-1826), attore teatrale molto amato e apprezzato sia per il talento sia per le innovazioni nello stile recitativo.

4le opere di d’Aubigné e di Brantôme: gli scrittori francesi Théodore Agrippa d'Aubigné (1552-1630) e Pierre Bordeille de Brantôme (1540-1614) avevano raccontato la storia d’amore tra Margherita di Navarra e Boniface De La Mole.