Il bisogno di inquietudine: tale era il carattere della bella Margherita di Valois, mia zia, la quale presto sposò il re di Navarra che ora vediamo regnare in Francia con il nome di Enrico IV. Il bisogno di drammatizzare costituiva tutto il segreto del carattere di quell’amabile principessa; di qui tutti le sue liti e le sue riconciliazioni con i fratelli fin dall’età di sedici anni. Ora, che cosa può rischiare una fanciulla? Ciò che ha di più prezioso: la propria reputazione, la considerazione di tutta la sua vita.
Memorie del Duca d’Angoulême,
figlio naturale di Carlo IX1
“Tra Julien e me non c’è un contratto firmato, niente notaio; tutto è eroico, tutto sarà frutto del caso. Tranne la nobiltà, che gli manca, è come l’amore di Margherita di Valois per il giovane La Mole, l’uomo più notevole del suo tempo. È forse colpa mia se i giovani di corte sono così partigiani delle convenienze e impallidiscono al solo pensiero della minima avventura un po’ bizzarra? Un viaggetto in Grecia o in Africa è, per loro, il colmo dell’audacia e, per di più, sanno muoversi solo in gruppo. Appena si vedono soli, hanno paura non della lancia del beduino, ma del ridicolo: e quella paura li fa impazzire.
“Il mio caro Julien, invece, preferisce agire da solo: mai, in questo essere privilegiato, la più piccola idea di chiedere appoggio e soccorso! Lui disprezza gli altri e perciò io non lo disprezzo.
“Se, con la sua povertà, Julien fosse nobile, il mio amore non sarebbe altro che una volgare sciocchezza, un banale matrimonio con una persona di livello sociale inferiore; non ne vorrei sapere; non vi sarebbe ciò che caratterizza le grandi passioni: l’immensità degli ostacoli da superare e la nera incertezza dell’esito.”
La signorina De La Mole era così presa da questi bei ragionamenti, che il giorno dopo, senza accorgersene, si mise a lodare Julien con il marchese de Croisenois e con suo fratello. La sua eloquenza fu così efficace da irritarli.
«Fate attenzione a quel giovanotto, ha troppa energia» esclamò il fratello.«Se torna la rivoluzione, ci farà ghigliottinare tutti.»
Lei evitò di rispondere e si affrettò a prendere in giro il fratello e il marchese per la paura che avevano della forza vitale. Non è altro, in fondo, che il timore di incontrare l’imprevisto, di rimanere inermi di fronte ad esso.
«Sempre, signori, sempre con la paura del ridicolo, mostro che, disgraziatamente, è morto nel 1816.»
«Non c’è più ridicolo in un paese in cui ci sono due partiti» soleva dire il marchese De La Mole.
Sua figlia aveva afferrato l’idea.
«Così, signori,» diceva ai nemici di Julien «voi avrete avuto una gran paura per tutta la vostra vita e, dopo, vi diranno: “Non era un lupo, ma solo la sua ombra”.»2
Mathilde li lasciò subito. Le parole di suo fratello le facevano orrore. La turbarono molto ma, il giorno dopo, le parvero come l’elogio più bello.
“In questo secolo in cui ogni energia è morta, la sua li spaventa. Gli riferirò le parole di mio fratello. Voglio vedere come risponderà. Ma sceglierò uno di quei momenti in cui gli brillano gli occhi. Allora non può mentire.
“Che sia un Danton?” aggiunse dopo una lunga e vaga fantasticheria. “Ebbene, la rivoluzione scoppierebbe di nuovo. Che parte avrebbero, allora, Croisenois e mio fratello? È già scritta: la sublime rassegnazione. Sarebbero eroici agnelli che si farebbero scannare senza dire una parola. La loro sola paura, morendo, sarebbe ancora di apparire di cattivo gusto. Il mio Julien brucerebbe le cervella al giacobino che venisse ad arrestarlo, se vi fosse appena una speranza di salvezza. Non teme di essere ridicolo, lui.”
Queste ultime parole la lasciarono pensosa; risvegliavano in lei ricordi tristi, e le tolsero tutto il suo ardire. Le ricordavano le spiritosaggini di Caylus, di Croisenois, di Luz e di suo fratello, i quali rimproveravano, concordi, a Julien un atteggiamento da prete: dimesso e ipocrita.
“Ma l’amarezza e la frequenza dei loro scherzi provano,” pensò a un tratto con gli occhi brillanti di gioia “a loro dispetto, che lui è l’uomo più notevole che abbiamo avuto tra noi quest’inverno. Che importano i suoi difetti, i suoi lati ridicoli? Ha una certa grandezza e quindi ne sono urtati, quantunque, di solito, siano così buoni e così indulgenti. Certo, è povero e ha studiato per diventare prete: loro invece sono comandanti di squadrone e non hanno avuto bisogno di studi. È più comodo.
“Nonostante tutti gli svantaggi del suo eterno abito nero, e di quella fisionomia da prete che il povero giovane deve avere per non morire di fame, il suo valore li spaventa: è chiarissimo. E quell’aria sacerdotale non ce l’ha più, appena siamo insieme, da soli, per qualche minuto. E quando quei signori dicono una frase che credono sottile e imprevedibile, non è per Julien il loro primo sguardo? L’ho notato benissimo. Tuttavia, sanno che lui non parla mai con loro, a meno che non sia interrogato. Soltanto a me rivolge la parola. Mi giudica di animo elevato. Alle loro obiezioni risponde unicamente con quel tanto che occorre per essere cortese. Diventa subito rispettoso. Con me discute ore intere, non è sicuro delle sue idee finché io vi trovo qualcosa da obiettare. Infine, per tutto l’inverno, non ci sono state fucilate; si è trattato solo di attirare l’attenzione con le parole. Ebbene, mio padre, uomo superiore e che porterà in alto le sorti della nostra casa, rispetta Julien. Tutti gli altri lo odiano; nessuno lo disprezza, tranne quelle bigotte amiche di mia madre.”
Il conte de Caylus aveva, o fingeva di avere, una grande passione per i cavalli; passava la vita nella sua scuderia e spesso vi faceva colazione. Quella grande passione, unita all’abitudine di non ridere mai, gli dava molta considerazione tra i suoi amici: era l’esponente di punta di quel piccolo circolo.
Quando il solito gruppo si trovò riunito, il giorno dopo, dietro la poltrona della signora De La Mole, assente Julien, il conte de Caylus, sostenuto da Croisenois e da Norbert, attaccò vivacemente la buona opinione che Mathilde aveva di quel giovane, e ciò senza una ragione e quasi nel momento stesso in cui lei apparve. Mathilde intuì la manovra a un miglio di distanza e ne fu incantata.
“Eccoli tutti alleati” pensò “contro un uomo di genio, che non ha dieci luigi di rendita e che non può loro rispondere se non è interrogato. Hanno paura del suo abito nero. Che cosa capiterebbe se avesse le spalline?”
Mai lei era stata più brillante. Fin dal primo attacco, coprì di piacevoli sarcasmi Caylus e i suoi alleati. E, quando il fuoco dei motteggi di quei brillanti ufficiali si fu spento, disse al conte: «Supponete che domani un signorotto delle montagne della Franca-Contea si accorga che Julien è suo figlio naturale e gli dia un nome e alcune migliaia di franchi: in sei settimane, lui avrà i baffi come voi, signori e, in sei mesi, come voi, sarà ufficiale degli ussari. E allora la grandezza del suo carattere non sarà più una cosa ridicola. Vi vedo ridotto, signor futuro duca, a quel vecchio e pretestuoso ragionamento: ritenere l’aristocrazia di corte superiore a quella di provincia. Ma che cosa potrete ribattere, se io vi vorrò mettere con le spalle al muro, se avrò la malizia di dare a Julien, per padre, un duca spagnolo, prigioniero a Besançon al tempo di Napoleone, e che, per scrupolo di coscienza, riconosca suo figlio in punto di morte?».
Tutte queste ipotesi di nascite illegittime sembrarono a Caylus e a Croisenois nient’altro che parole di cattivo gusto.
Per quanto Norbert fosse dominato dalla sorella, il discorso di lei era così chiaro che lui assunse un’aria grave, la quale, bisogna confessarlo, si addiceva pochissimo alla sua fisionomia sorridente e gentile. Osò dire qualche parola.
«Siete indisposto, amico mio?» gli rispose Mathilde con una lieve sfumatura di serietà. «Bisogna che vi sentiate proprio male per rispondere a degli scherzi facendo il moralista. Della morale, voi? Aspirate, forse, a un posto di prefetto?»
Mathilde dimenticò subito l’aria indispettita del conte de Caylus, il malumore di Norbert e la silenziosa disperazione del signor de Croisenois. Doveva prendere una decisione su un terribile dubbio che si era impadronito del suo animo.
“Julien è abbastanza sincero con me” pensava. “Alla sua età, nella sua condizione di inferiorità, infelice com’è a causa della sua stupefacente ambizione, ha bisogno di un’amica. Io sono, forse, quest’amica; ma non vedo in lui amore. Con l’audacia del suo carattere, me ne avrebbe parlato.”
L’incertezza, quell’intimo dialogo – che da allora occuparono incessantemente Mathilde, e per il quale lei trovava nuovi argomenti dopo ogni conversazione con Julien – fecero svanire del tutto i momenti di noia cui andava tanto soggetta.
Figlia di un uomo intelligente, che poteva diventare ministro e restituire al clero i suoi beni, la signorina De La Mole era stata circondata, al convento del Sacro Cuore, dalle lusinghe più esagerate. Non c’è rimedio a una tale disgrazia. L’avevano convinta che, a causa di tutte le sue prerogative di nascita, di ricchezza eccetera, sarebbe stata più felice di un’altra. È questa, nei principi, la causa della noia e di tutte le loro pazzie.
Mathilde non era sfuggita a quel funesto influsso. Per quanto spirito si abbia, a dieci anni non si può stare in guardia contro le lusinghe, in apparenza così ben fondate, di tutto un convento.
Dal momento in cui ebbe stabilito che amava Julien, non si annoiò più. Ogni giorno si compiaceva con sé stessa della decisione presa di concedersi una grande passione. “Questo divertimento è molto pericoloso” pensava. “Tanto meglio! Mille volte meglio! Senza una grande passione languivo di noia nel periodo più bello della vita, dai sedici ai vent’anni. Ho già perso i miei anni migliori, costretta, per tutto divertimento, a sentire sragionare le amiche di mia madre, le quali, a Coblenza, nel 1792, non erano, a quanto si dice, così moraliste come le loro parole di oggi.”
Mentre quelle grandi incertezze agitavano Mathilde, Julien non capiva quei lunghi sguardi fermi su di lui. Rilevava una maggiore freddezza nel contegno del conte Norbert e un nuovo accesso di alterigia in quelli dei signori de Caylus, de Luz e de Croisenois; ma vi era assuefatto. Quella disgrazia gli capitava qualche volta dopo una serata nella quale aveva brillato più di quanto convenisse alla sua posizione. Senza la speciale accoglienza che gli faceva Mathilde e la curiosità che tutto quell’ambiente gli ispirava, avrebbe evitato di seguire in giardino quei brillanti giovanotti baffuti che, dopo pranzo, accompagnavano la signorina De La Mole.
“Sì, è inutile che io lo nasconda” diceva a sé stesso. “La signorina Mathilde mi guarda in modo strano. Ma, anche quando i suoi begli occhi azzurri fissi su di me sono aperti con il massimo abbandono, vi leggo sempre l’intenzione di esaminarmi, una certa freddezza, un po’ di cattiveria. È possibile che sia amore? Quale differenza dagli sguardi della signora De Rênal!”
Un pomeriggio, Julien, che aveva seguito il signor De La Mole nel suo studio, stava tornando rapidamente in giardino. Mentre si avvicinava senza precauzione al gruppo di Mathilde, sorprese alcune parole pronunciate ad alta voce. Lei tormentava il fratello. Julien sentì pronunciare distintamente il proprio nome due volte. Si fece avanti e, all’improvviso, cadde un silenzio profondo: inutili furono gli sforzi fatti per romperlo. La signorina De La Mole e suo fratello erano troppo animati per poter trovare un altro argomento di conversazione. I signori de Caylus, de Croisenois, de Luz e un loro amico sembrarono a Julien di una freddezza glaciale. Si allontanò.
1 – Memorie… Carlo IX: Mémoires sur les règnes de Henri III et Henri IV (1662).
2 – non… ombra: citazione dalla favola Il pastore e l’armento di La Fontaine (1621-1695).