Ma se mi procuro questo piacere con tanta prudenza e circospezione non sarà più un piacere per me.
Lope de Vega1
Appena tornato a Parigi, uscendo dallo studio del marchese, che era sembrato molto confuso dai dispacci ricevuti, il nostro eroe corse dal conte Altamira. Al privilegio di essere stato condannato a morte, questo straniero univa molta gravità e la fortuna di essere religioso; questi due meriti e, più di tutto, la sua nobile origine riuscivano molto graditi alla signora de Fervaques, che lo vedeva spesso. Julien gli confessò seriamente di essere molto innamorato di lei.
«È donna della più alta e più pura virtù,» rispose Altamira «con solo un po’ di gesuitismo e di enfasi! Vi sono giorni nei quali, pur comprendendo ognuna delle parole di cui si serve, non capisco il senso dell’intera frase. Spesso mi fa pensare che io non sappia il francese così bene come dicono. Una tale frequentazione farà parlare di voi; vi conferirà importanza in società. Ma andiamo da Bustos,» aggiunse il conte Altamira, che era un uomo metodico «lui ha già fatto la corte alla marescialla.»
Don Diego Bustos si fece spiegare a lungo la faccenda, senza dire nulla, come un avvocato nel suo studio. Aveva una grossa faccia da frate con baffi neri e una gravità senza pari; peraltro, un buon carbonaro.
«Ho capito,» disse infine a Julien «ma la marescialla de Fervaques ha avuto o non ha avuto degli amanti? Avete dunque qualche speranza di riuscire? Ecco il problema. Voglio dire che, per mio conto, ho fatto fiasco. Ora che non sono più offeso, mi faccio questo ragionamento: spesso lei è di malumore e, come vi dirò tra poco, è anche abbastanza vendicativa. Però non trovo in lei il temperamento irascibile che è quello del genio, e che riveste tutto come di una vernice di passione. Anzi deve la rara bellezza e il colorito fresco al suo modo di fare flemmatico e tranquillo da olandese.»
Julien si spazientiva per la lentezza e la calma imperturbabile di quello spagnolo. Di tanto in tanto, senza volerlo, si lasciava scappare dei monosillabi.
«Ma mi state a sentire?» gli disse con gravità don Diego Bustos.
«Perdonate la furia francese; sono tutt’orecchi» rispose Julien.
«La marescialla de Fervaques è, dunque, molto portata all’odio. Perseguita inesorabilmente persone che non ha mai visto, avvocati, poveri diavoli di letterati che hanno composto canzoni come Collé, sapete? Ho la mania di amare Maria eccetera.
E Julien dovette subirsi tutta la citazione. Lo spagnolo era molto contento di cantare in francese. Eppure quella divina canzone non fu mai ascoltata con maggiore impazienza. Alla fine, don Diego disse: «La marescialla ha anche fatto licenziare l’autore di queste altre strofe: Un giorno l’amante all’osteria…».
E Julien trepidò al pensiero che volesse cantargliele tutte. Ma don Diego si contentò di esaminarle. Erano veramente empie e indecenti.
«Quando la marescialla» continuò lo spagnolo «si adirò contro questa canzone, io le feci osservare che una donna della sua condizione non avrebbe dovuto leggere tutte le sciocchezze che si pubblicano. Per quanti progressi possono fare la religiosità e la severità, vi sarà sempre in Francia una letteratura da osteria. Quando la marescialla de Fervaques ebbe fatto togliere all’autore, povero diavolo a mezza paga, un posto da milleottocento franchi, io le dissi: “Badate, avete attaccato con le vostre armi quel poetastro; lui può rispondervi con le sue rime: scriverà una canzone sulla virtù. I frequentatori dei salotti dorati saranno solidali con voi, ma la gente cui piace ridere ripeterà i suoi epigrammi”. Sapete, signore, che cosa mi rispose la marescialla? “Tutta Parigi mi vedrebbe andare al martirio per la gloria di Dio. Sarebbe uno spettacolo nuovo in Francia. Il popolo imparerebbe a rispettare la qualità. Sarebbe, quello, il più bel giorno della mia vita.” Mai i suoi occhi furono più belli.»
«E lei li ha splendidi!» esclamò Julien.
«Vedo che ne siete innamorato… Dunque,» riprese gravemente don Diego Bustos «lei non ha la costituzione biliosa che induce alla vendetta; se le piace far del male, è perché è infelice; credo di scorgere in lei l’infelicità interiore. Che sia una virtuosa stanca del suo mestiere?»
Lo spagnolo guardò in silenzio Julien per un minuto buono, poi aggiunse con serietà: «Ecco tutto. Da ciò potete trarre qualche speranza. Ho molto riflettuto nei due anni in cui sono stato suo umile servitore. Tutto il vostro avvenire, signor innamorato, dipende da questo grande problema: è una virtuosa stanca di esserlo e cattiva perché si sente infelice?».
«Oppure» disse Altamira, rompendo finalmente il suo profondo silenzio «non sarà, come ti ho detto venti volte, semplicemente vanità francese? Il ricordo del padre, il famoso negoziante di stoffe, può essere la causa dell’infelicità di quel carattere già per natura cupo e arido. Vi sarebbe una sola felicità per lei, abitare a Toledo ed essere tormentata da un confessore che le mostrasse ogni giorno l’inferno spalancato.»
Mentre Julien usciva, don Diego gli disse in tono sempre più grave: «Altamira mi fa sapere che siete dei nostri. Un giorno ci aiuterete a riconquistare la nostra libertà. Perciò voglio aiutarvi in questo piccolo divertimento. È necessario che conosciate lo stile della marescialla: eccovi quattro lettere di suo pugno».
«Le copierò e ve le riporterò» esclamò Julien.
«E mai nessuno saprà da voi una parola di quanto abbiamo detto?»
«Mai, sul mio onore!»
«Dio vi aiuti!» aggiunse lo spagnolo e riaccompagnò in silenzio, fino alle scale, Altamira e Julien.
Quella scena divertì alquanto il nostro eroe, che fu sul punto di sorridere: “Ecco il pio Altamira” pensò “che mi aiuta in un’impresa immorale!”.
Durante tutta la seria conversazione di don Diego Bustos, Julien era stato attento alle ore che battevano all’orologio di palazzo d’Aligre. Quella della cena era prossima. Tra poco avrebbe rivisto Mathilde! Tornò a casa e si vestì con molta cura.
“Prima sciocchezza” pensò scendendo le scale. “Bisogna seguire alla lettera le prescrizioni del principe.”
Risalì in camera e indossò un abito da viaggio della massima semplicità.
“Ora si tratta di stare attenti al modo di guardare” pensò. Erano appena le cinque e mezzo e si cenava alle sei. Julien ebbe l’idea di scendere in salotto; lo trovò deserto. Alla vista del divano azzurro si sentì commosso fino alle lacrime e subito le sue guance divennero ardenti. “Devo vincere questa sciocca sensibilità” pensò con rabbia. “Mi tradirebbe.” Prese un giornale per darsi un contegno e passò tre o quattro volte dal salotto al giardino. Tremante e ben nascosto da una grande quercia, osò levare gli occhi alla finestra della signorina De La Mole. Era ermeticamente chiusa. Fu sul punto di cadere e rimase a lungo appoggiato all’albero; poi, a passi incerti, andò a rivedere la scala del giardiniere.
La catena, da lui spezzata in circostanze, ahimè, tanto diverse, non era stata aggiustata. Preso da un impulso di follia, se la portò alle labbra.
Dopo avere errato a lungo dal salotto al giardino, si sentì terribilmente stanco: fu un primo apprezzabile successo. “Così i miei occhi saranno spenti e non mi tradiranno.” A poco a poco i commensali arrivarono e mai l’uscio si aprì senza gettare un turbamento mortale nel cuore di Julien.
Si misero a tavola. Finalmente, fedele all’abitudine di farsi attendere, comparve la signorina De La Mole che, vedendo Julien, arrossì violentemente. Non le avevano detto del suo ritorno. Secondo le raccomandazioni del principe Korasoff, Julien le guardò le mani: tremavano. Turbato lui stesso in modo indicibile da quella scoperta, fu abbastanza fortunato da sembrare solo stanco.
Il marchese lo elogiò. La marchesa gli rivolse la parola un istante dopo con una frase gentile sulla sua aria affaticata. Julien pensava: “Non devo guardare troppo la signorina De La Mole, ma i miei sguardi non devono nemmeno evitarla. Bisogna che io sembri quello che realmente ero otto giorni prima della mia disgrazia…”. Fu soddisfatto del suo comportamento e rimase in salotto. Premuroso per la prima volta verso la padrona di casa, fece ogni sforzo per far parlare gli uomini che le stavano intorno e mantenere viva la conversazione.
La sua cortesia fu ricompensata. Verso le otto annunciarono la marescialla de Fervaques. Julien uscì e ricomparve, poco dopo, vestito con la massima accuratezza. La signora De La Mole gli fu gratissima di questo segno di rispetto e volle manifestargli la propria soddisfazione, parlando del suo viaggio alla signora de Fervaques. Il giovane sedette accanto alla marescialla in modo che i suoi occhi non fossero visti da Mathilde. Così sistemato, secondo tutte le regole, fece della signora de Fervaques l’oggetto di un’ammirazione profondissima. La prima delle cinquantatré lettere che gli aveva regalato il principe Korasoff cominciava appunto con una tirata su questo sentimento.
La marescialla annunciò che andava all’Opera Buffa. Julien vi si precipitò. Trovò il cavaliere de Beauvoisis, che lo condusse in un palco di gentiluomini della Camera, proprio accanto a quello della signora de Fervaques. Julien la guardò costantemente. “Bisogna” pensava ritornando a palazzo “che tenga un diario dell’assedio; altrimenti dimenticherei a che punto sono.” Si sforzò di scrivere due o tre pagine su questo noioso argomento e riuscì in tal modo, cosa meravigliosa, a non pensare alla signorina De La Mole.
Mathilde lo aveva quasi dimenticato durante il viaggio di lui. “Dopo tutto, non è altro che un essere comune” pensava. “Il suo nome mi ricorderà sempre il più grande errore della mia vita. Bisogna tornare in buona fede alle idee correnti della saggezza e dell’onore. Una donna ha tutto da perdere, dimenticandole.” Si mostrò disposta a permettere finalmente la conclusione degli accordi con il marchese de Croisenois, preparati già da tanto tempo. Costui era pazzo di gioia e sarebbe rimasto molto stupito se qualcuno gli avesse detto che, in fondo a quel modo d’agire di Mathilde, che lo rendeva tanto orgoglioso, c’era della rassegnazione.
Tutte le idee della signorina De La Mole cambiarono quando rivide Julien. “In verità è lui mio marito. Se ritorno in buona fede alle idee di saggezza, devo, evidentemente, sposare lui.”
Si aspettava gesti importuni, arie d’infelicità da parte di Julien e preparava le sue risposte, perché, certamente, finita la cena, lui avrebbe cercato di parlarle. Invece Julien rimase in salotto, i suoi sguardi non si rivolsero neppure al giardino, Dio sa con quale pena! “È meglio aver subito una spiegazione” pensò Mathilde, e vi si recò da sola, ma Julien non si fece vedere.
Mathilde si mise a passeggiare presso la porta-finestra del salotto e lo vide occupatissimo a descrivere alla signora de Fervaques i vecchi castelli in rovina che coronano i colli delle rive del Reno, e che danno loro un aspetto tanto particolare. Cominciava a cavarsela abbastanza bene con quel linguaggio fatto di frasi sentimentali e pittoresche, che, in certi salotti viene definito spirito.
Il principe Korasoff si sarebbe inorgoglito, se fosse stato presente: quella serata si svolgeva esattamente come lui aveva previsto. Avrebbe, anche, approvato la condotta che Julien tenne nei giorni seguenti.
Un intrigo tra i membri del potere occulto dava la possibilità di disporre di alcuni nastrini azzurri; la signora marescialla de Fervaques esigeva che il suo prozio fosse nominato cavaliere dell’ordine. Il marchese De La Mole aveva la stessa pretesa per suo suocero. Riunirono i loro sforzi e la marescialla andò quasi ogni giorno a palazzo La Mole. Da lei Julien seppe che il marchese sarebbe stato nominato ministro. Offriva alla Camarilla un piano assai ingegnoso per annullare la Costituzione in modo indolore, nello spazio di tre anni.
Julien poteva sperare in un episcopato, se il marchese giungeva al ministero; ma ai suoi occhi tutti questi grandi interessi si erano come coperti di un velo. La fantasia li scorgeva solo vagamente e, per così dire, in lontananza. L’orribile infelicità che lo rendeva maniacale gli mostrava tutti gli interessi della vita soltanto nei rapporti con la signorina De La Mole. Calcolava che, dopo cinque o sei anni di assidue cure, sarebbe riuscito a farsi amare di nuovo.
Quel cervello così freddo era piombato, come si vede, in un completo stato di follia. Di tutte le qualità che un tempo lo avevano distinto gli rimaneva soltanto un po’ di fermezza. Materialmente fedele al piano di condotta tracciato dal principe Korasoff, si metteva ogni sera molto vicino alla poltrona della signora de Fervaques, ma gli era impossibile trovare anche una sola parola da dirle.
Lo sforzo che si imponeva per sembrare guarito agli occhi di Mathilde assorbiva tutte le energie del suo spirito. Rimaneva accanto alla marescialla come un essere quasi inanimato; perfino i suoi occhi, come per un’estrema sofferenza fisica, avevano perduto il loro fuoco.
Poiché il modo di vedere della marchesa De La Mole era sempre e solo una riprova delle opinioni del marito – che poteva farla diventare duchessa –, da alcuni giorni lei portava alle stelle i meriti di Julien.
1 – Lope de Vega: Felix Lope de Vega y Carpio (1562-1635), scrittore, poeta e drammaturgo spagnolo.