XXVI
L’amore morale

There also was of course in Adeline

That calm patrician polish in the adress,

Which ne'er can pass the equinoctial line

Of any thing which Nature would express:

Just as a Mandarin finds nothing fine,

At least his manner suffers not to guess

That any thing he views can greatly please..

Don Juan, c. XIII, st. 841

“C’è un po’ di pazzia nel modo di vedere di questa famiglia” pensava la marescialla. “Sono tutti fanatici del loro abatino, il quale sa soltanto ascoltare, con degli occhioni bellissimi, questo è vero.”

Julien, dal canto suo, trovava nelle maniere della marescialla un esempio quasi perfetto di quella calma patrizia che esprime una perfetta cortesia, e ancor più l’impossibilità di alcuna viva emozione. I gesti inconsulti, la mancanza di dominio su sé stessi avrebbero scandalizzato la signora de Fervaques quasi quanto la carenza di un contegno imperioso nei riguardi degli inferiori. Il minimo segno di emotività sarebbe apparso ai suoi occhi come una specie di ebbrezza morale di cui bisogna arrossire e che nuoce molto ai doveri che ha verso sé stessa una persona di alto rango. La sua grande gioia era di parlare dell’ultima caccia reale; il suo libro favorito le Memorie del duca di Saint-Simon, specialmente per la parte genealogica.

Julien conosceva il posto che, data la disposizione delle luci, si addiceva al genere di bellezza della signora de Fervaques. Vi si sistemava in anticipo; ma aveva grande cura di voltare la sedia in modo da non vedere Mathilde. Stupita da quella costanza nell’evitarla, un giorno quest’ultima abbandonò il divano azzurro e andò a mettersi a un tavolino poco distante dalla poltrona della marescialla. Julien la vedeva molto da vicino al di sotto del cappello della signora de Fervaques. Quegli occhi, che disponevano della sua sorte, dapprima lo spaventarono, poi lo distolsero violentemente dall’apatia abituale. Parlò a lungo e bene.

Si rivolgeva alla marescialla; ma il suo unico scopo era di far colpo sull’animo di Mathilde. Si animò talmente, che la signora de Fervaques non riuscì più a seguire le parole di lui.

Era un primo successo. Se Julien avesse avuto l’idea di completarlo con qualche frase di misticismo tedesco, di alta religiosità e di gesuitismo, la marescialla lo avrebbe collocato di colpo tra gli uomini superiori destinati a rigenerare il secolo.

“Poiché ha tanto cattivo gusto da parlare così lungamente e con tanto ardore alla signora de Fervaques,” pensava Mathilde “non lo ascolterò più.” E, per tutto il resto di quella serata, mantenne la parola, anche se con fatica.

A mezzanotte, quando prese il candeliere della madre per accompagnarla fino alla sua camera, la marchesa si fermò lungo le scale per fare un completo elogio di Julien. Mathilde finì con l’irritarsi: non poteva prendere sonno. Un pensiero la calmò: “Ciò che io disprezzo può essere un merito agli occhi della marescialla”.

Julien, dal canto suo, aveva agito e quindi si sentiva meno infelice. I suoi sguardi si posarono per caso sul portacarte in cuoio di Russia nel quale il principe Korasoff aveva messo le cinquantatré lettere d’amore che gli aveva regalato. Julien lesse in calce alla prima lettera: «Da inviare otto giorni dopo il primo incontro».

«Sono in ritardo!» esclamò. «E già molto tempo che vedo la signora de Fervaques.» Si mise subito a trascrivere la prima lettera d’amore: era un’omelia zeppa di frasi sulla virtù e mortalmente noiosa. Julien ebbe la fortuna di addormentarsi alla seconda facciata.

Alcune ore dopo, il sole ormai alto lo sorprese seduto alla scrivania. Uno dei momenti più penosi della sua vita era quello in cui ogni mattina, destandosi, si rendeva conto del suo dolore. Quel giorno terminò la copia della lettera quasi ridendo. “È possibile” pensava “che vi sia stato un giovane capace di scrivere roba di questo genere?” Contò molte frasi di almeno nove righe. In calce all’originale lesse un’altra nota a matita:

Portare questa lettera personalmente: a cavallo, cravatta nera, finanziera azzurra. Lasciarla al portiere con aria contrita: profonda malinconia nello sguardo. Se vedete qualche cameriera, asciugatevi furtivamente gli occhi e rivolgetele la parola.

Tutto ciò fu eseguito fedelmente.

“Quello che faccio è molto ardito,” pensò Julien uscendo dal palazzo de Fervaques “ma tanto peggio per Korasoff. Osare scrivere a una donna così celebre per la sua virtù! Sarò trattato con il più profondo disprezzo e nulla mi divertirà maggiormente. In fondo, è la sola commedia alla quale io possa essere sensibile. Sì, coprire di ridicolo questo essere odioso che chiamo me stesso mi divertirà. Se cedessi al mio impulso, commetterei un delitto tanto per distrarmi.”

Da un mese, il più bel momento della vita di Julien era quello in cui riportava il cavallo nella scuderia. Korasoff gli aveva espressamente proibito di guardare, per qualunque ragione, l’amante che lo aveva abbandonato. Ma il passo di quel cavallo che lei conosceva così bene, il modo con il quale Julien picchiava con il pomo del frustino alla porta della scuderia per chiamare uno stalliere, attiravano talvolta Mathilde dietro le tendine della sua finestra. Queste erano di mussola così leggera che Julien la vedeva in trasparenza. Guardando in un certo modo al di sotto dell’ala del cappello, scorgeva le linee del corpo di Mathilde, senza vederne gli occhi. “Di conseguenza” pensava “lei non può vedere i miei. E ciò non vuol dire guardarla.”

Quella sera la signora de Fervaques si comportò con lui esattamente come se non avesse ricevuto quella dissertazione filosofica, mistico-religiosa, che la mattina Julien aveva consegnato con tanta malinconia al suo portinaio. Il giorno prima, per caso, aveva capito come fare per essere eloquente; si sedette in modo da vedere gli occhi di Mathilde che, dal canto suo, un istante dopo l’arrivo della marescialla, lasciò il divano azzurro: era come se lei disertasse la sua compagnia abituale. Il signor de Croisenois sembrò costernato da questo nuovo capriccio e il suo dolore evidente tolse a Julien quanto di più atroce aveva la sua infelicità.

A causa di quell’imprevisto, Julien parlò come un angelo; e, poiché l’amor proprio si insinua anche nei cuori che servono da tempio alla più augusta virtù, la signora de Fervaques, mentre risaliva in carrozza, pensava: “La marchesa De La Mole ha ragione, quel giovane prete non manca di garbo. La mia presenza lo avrà, forse, intimidito nei primi giorni. In verità, tutti quelli che si incontrano in questa casa sono molto fatui: non vi vedo altro che virtù sostenute dalla vecchiaia e che avevano un grande bisogno del gelo dell’età. Quel giovane avrà saputo capire la differenza. Scrive bene, ma temo assai che la domanda di illuminarlo con i miei consigli, che mi rivolge nella sua lettera, non sia altro, in fondo, che un sentimento inconsapevole.

“Tuttavia, quante conversioni sono cominciate così! Mi fa ben sperare la differenza tra il suo stile e quello delle lettere di altri giovani che ho avuto occasione di leggere. È impossibile non riscontrare una certa compunzione, una profonda serietà e molta convinzione nella prosa di quel giovane levita: avrà la dolce virtù di Massillon.”2

 

1Don Juan: «Naturalmente c’era anche in Adeline / quella calma aristocratica nei modi / che non oltrepassa mai la linea equinoziale / di tutto quello che la natura vorrebbe esprimere: / come un Mandarino che non trova mai nulla di bello / o almeno il suo atteggiamento non lascia indovinare / che qualunque cosa veda può dargli un grande piacere» (George Byron, Don Giovanni, canto XIII, strofa 84)

2Massillon: Jean-Baptiste Massillon (1663-1742), predicatore cattolico, fu ritenuto il massimo oratore del suo tempo.