Sacrificarsi alle proprie passioni, sia pure: ma a passioni che non si provano! O triste secolo diciannovesimo!
Girodet1
Dopo aver letto, dapprima senza piacere, le lunghe lettere di Julien, la signora de Fervaques cominciava a pensarci, ma una cosa la rattristava: “Peccato che il signor Sorel non sia veramente un prete! Potrei concedergli una certa intimità, mentre con quella decorazione e quell’abito borghese posso espormi a crudeli supposizioni, e che cosa rispondere?”. Non terminava il suo pensiero: “Qualche amica maligna può pensare, e anche spargere la voce, che sia un cugino subalterno, parente di mio padre, un negoziante decorato dalla guardia nazionale”.
Fino al momento in cui aveva conosciuto Julien, il più grande piacere della signora de Fervaques era stato scrivere il titolo maresciallo, accanto al suo nome. Poi una vanità da parvenue, morbosa e facile a offendersi di tutto, lottò contro un inizio di simpatia.
“Mi sarebbe facile” pensava la marescialla “fare di lui un grande vicario in qualche diocesi vicina a Parigi! Ma un signor Sorel puro e semplice e, per giunta, umile segretario del marchese De La Mole! È desolante!”
Per la prima volta quell’anima che aveva paura di tutto era presa da un interesse estraneo alle sue pretese di grado e di superiorità sociale. Il suo vecchio portiere osservò che, quando portava una lettera di quel bel giovane dall’aspetto così triste, spariva subito l’aria distratta e malcontenta che la marescialla aveva sempre cura di assumere all’arrivo di uno dei suoi domestici.
La noia di quel modo di vivere desideroso solo di fare effetto sugli altri, senza che in fondo al cuore vi fosse una vera soddisfazione per quel genere di successo, le era divenuta così intollerabile da quando pensava a Julien, che bastava che la sera prima avesse passato un’ora con quel giovane singolare perché le sue cameriere non fossero maltrattate per un’intera giornata. Il credito nascente di Julien resistette a lettere anonime molto ben scritte. Inutilmente Tanbeau fornì ai signori de Luz, de Croisenois, de Caylus due o tre calunnie abilissime, che questi si compiacquero di diffondere senza troppo accertarsi della verità delle accuse. La marescialla, il cui spirito non era fatto per resistere a questi mezzi volgari, raccontava i suoi dubbi a Mathilde e sempre ne era consolata.
Un giorno, dopo aver chiesto tre volte se vi fossero lettere, la signora de Fervaques si decise improvvisamente a rispondere a Julien. Fu una vittoria della noia. Alla seconda lettera, la marescialla fu quasi bloccata dalla sconvenienza di scrivere di proprio pugno un indirizzo tanto volgare: Al signor Sorel, presso il marchese De La Mole. «Bisogna» disse la sera a Julien in tono molto secco «che mi portiate delle buste con il vostro indirizzo già scritto.»
“Eccomi diventato amante-domestico” pensò Julien, e si inchinò, provando piacere a imitare l’espressione del volto di Arsene, il vecchio cameriere del marchese.
La sera stessa portò le buste e la mattina seguente, molto per tempo, ricevette una terza lettera: ne lesse cinque o sei righe all’inizio e due o tre verso la fine. Erano quattro pagine di una scrittura minuta e molto serrata.
A poco a poco, la marescialla prese la dolce abitudine di scrivere ogni giorno. Julien rispondeva con copie fedeli delle lettere russe e la signora de Fervaques, tanto è il vantaggio dello stile enfatico, non era affatto stupita dalla scarsa attinenza tra le risposte e le lettere scritte da lei.
Quale sarebbe stata l’irritazione del suo orgoglio se il piccolo Tanbeau, che si era costituito spia volontaria dei passi di Julien, avesse potuto farle sapere che tutte le sue lettere, ancora sigillate, erano gettate alla rinfusa in un cassetto?
Una mattina il portinaio consegnò a Julien, in biblioteca, una lettera della marescialla. Mathilde lo incontrò, viDe La lettera e l’indirizzo con la scrittura di Julien. Entrò in biblioteca mentre il portiere usciva: la lettera era sul bordo della scrivania. Julien, occupatissimo a scrivere, non l’aveva ancora messa nel suo cassetto.
«Ecco una cosa che non posso soffrire» esclamò Mathilde impadronendosi della lettera. «Voi, signore, dimenticate completamente me, che sono la vostra sposa. La vostra condotta è orribile.»
A quelle parole, il suo orgoglio, colpito dalla spaventosa sconvenienza di un simile comportamento, la soffocò. Scoppiò in lacrime e a Julien sembrò che le mancasse il respiro.
Sorpreso, confuso, non riusciva a capire quanto di meraviglioso e di favorevole avesse per lui quella scena. Aiutò Mathilde a sedersi. Lei si abbandonava quasi nelle sue braccia.
Quando lui si accorse di quel gesto provò per prima cosa una gioia estrema. Poi pensò a Korasoff: “Posso perdere tutto con un solo gesto”.
Le sue braccia si irrigidirono, tanto penoso era lo sforzo imposto dalla strategia adottata: “Non devo neanche pensare di stringermi al petto questo corpo morbido e affascinante, altrimenti lei mi disprezzerebbe e mi maltratterebbe! Che carattere il suo!”.
E, maledicendola, l’amava cento volte di più. Gli pareva di aver tra le braccia una regina.
L’impassibile freddezza di Julien raddoppiò le sofferenze dell’orgoglio che straziavano l’anima della signorina De La Mole. Era ben lungi dall’avere la calma necessaria per cercare di scorgere nei suoi occhi ciò che lui sentiva per lei in quel momento. Non poté risolversi a guardarlo: temeva di vedere un’espressione di disprezzo.
Abbandonata sul divano della biblioteca, immobile e con la testa rivolta dal lato opposto a Julien, lei era in preda ai più vivi dolori che l’orgoglio e l’amore possono suscitare in un animo umano. Quale atroce passo aveva compiuto!
“Disgraziata che sono! Devo sopportare di vedere respinte le offerte più sconvenienti. E da chi?” aggiungeva l’orgoglio pazzo di dolore. “Da un domestico di mio padre!”
«Questo non lo subirò!» disse ad alta voce.
E, alzatasi rabbiosamente, aprì il cassetto della scrivania di Julien, a due passi da lei. Rimase come agghiacciata dall’orrore, vedendo otto o dieci lettere non aperte, simili in tutto a quella che il portiere aveva consegnato poco prima. Su tutte le buste riconosceva la scrittura di Julien, più o meno alterata.
«Non solamente siete con lei in rapporti intimi,» esclamò fuori di sé «per di più la disprezzate. Voi, un uomo da nulla, disprezzate la marescialla de Fervaques! Ah, perdono, amico mio!» aggiunse gettandosi quasi ai suoi piedi. «Disprezzami pure, se vuoi, ma amami. Non posso più vivere senza il tuo amore.»
E cadde svenuta. “Eccola, dunque, ai miei piedi, questa donna orgogliosa!” disse tra sé Julien.
1 – Girodet: Anne-Louis Girodet de Roussy-Trioson (1767-1824) fu un pittore romantico francese.