di Gabriella Pironti
L’origine dell’universo e la theogonia, la “nascita degli dèi”, costituiscono l’argomento del celebre poema di Esiodo, che racconta il lento e conflittuale processo attraverso cui il mondo trova infine un suo equilibrio, garantito dalla suprema autorità di Zeus, re degli dèi e degli uomini. Pur non essendo un testo “canonico”, in quanto più tradizioni teogoniche circolavano nel mondo antico, il poema esiodeo costituisce, come i poemi omerici, un punto di riferimento essenziale per i Greci. Nel disegnare, attraverso la genealogia e la ripartizione degli “onori” (timai), le articolazioni interne al mondo degli dèi olimpi, la Teogonia si rivela un documento altrettanto essenziale per chi, oggi, voglia comprendere il politeismo ellenico.
Dalla cosmogonia al “mito di successione”
Nel raccontare le origini dell’universo e la storia degli dèi immortali, Esiodo non si limita a raccogliere e sistemare un insieme di tradizioni, ma, attraverso la diacronia del racconto, descrive il presente e celebra l’ordine di Zeus. Discendente dalla stirpe di Urano (“Cielo”) e Gaia (“Terra”), ultimo figlio di Crono e Rea, Zeus è la sola potenza divina in grado di assicurare, contro ogni minaccia, l’equilibrio dell’universo. Dopo una lunga fase di gestazione, conflitti e guerre intestine, il mondo degli dèi, e con esso quello degli uomini, trova infine una sua stabilità, garantita da una divinità di stirpe regale, che accede al trono dopo aver dato prova della sua forza e autorità, e diventa re su richiesta degli altri dèi: quella di Zeus è presentata quindi come una monarchia in un certo senso elettiva e meritocratica. Muovendo lo sguardo verso il passato del mondo divino, il poeta lo racconta dunque alla luce dell’eterno presente del regno di Zeus.
Tre sono le potenze primordiali da cui trae origine l’universo intero: dapprima Chaos, non il disordine o il vuoto, ma il grande “Abisso”, voragine spalancata, sorta di buco nero che contiene il tutto, informe e instabile; poi Gaia, “Terra”, sede stabile e dai contorni definiti, che tuttavia affonda le sue radici nel Tartaro, regione infera sotto la quale si spalanca l’abisso primordiale; infine Eros, pulsione irresistibile, “che scioglie le membra” (lysimeles), vero e proprio motore della generazione (Teogonia, 116-122).
Da Chaos nascono Notte ed Erebo (la “tenebra” al maschile, in quanto spazio), che si uniscono tra di loro per generare Giorno (Hemere, al femminile in greco) e Etere, introducendo così nell’universo in formazione fondamentali coordinate spazio-temporali. Gaia, dal canto suo, produce per partenogenesi Urano, il “Cielo” che la sovrasta, poi i Monti, che articolano la sua superficie, e infine Ponto, il “Mare” che si agita nelle sue profondità. I contorni dell’universo si precisano. Avendo generato Urano, il suo partner maschile, Gaia si ridetermina al femminile; posti l’uno di fronte all’altro, essi costituiscono la coppia primordiale, “Cielo” e “Terra”, e danno origine a una stirpe divina destinata a governare l’universo.
Tra i terribili figli di Urano e Gaia vi sono i Ciclopi e gli Ecatonchiri, i primi (da non confondere con Polifemo e i suoi compagni) detentori di potenti armi cosmiche quali il fulmine, il tuono e il lampo, i secondi dotati di una smisurata possanza fisica; dalla coppia primordiale nascono anche altre divinità, successivamente denominate “Titani” poiché si solleveranno (in greco titainein) contro il padre Urano. Timoroso di questa progenitura e geloso della loro forza, Urano li respinge nelle profondità di Gaia e la madre escogita allora contro Urano un piano che solo il più giovane dei figli, Crono (da non confondere con Chronos, il “Tempo”), ha l’audacia di realizzare. È questo il primo movimento del cosiddetto “mito di successione”: armato da Gaia di un falcetto ricurvo, Crono, il dio “dall’intelligenza ritorta” (ankylometes), castra Urano e diventa re degli dèi immortali con l’inganno e la violenza; il padre contro cui ha levato la mano lo maledice, profetizzando ai suoi figli una sorte funesta, in punizione del sangue versato. Come vedremo, sarà poi Zeus, a compimento del “mito di successione”, a realizzare la profezia di Urano e a comminare la giusta punizione ai colpevoli, detronizzando Crono e imprigionandolo per sempre, insieme ai Titani, nelle profondità del Tartaro.
Unitosi a sua sorella Rea, Crono genera tre dee, Estia, Demetra ed Era, e tre dèi, Ade, Poseidone e Zeus. Timoroso di essere spodestato a sua volta, Crono ingoia i figli non appena nascono, per non lasciarli liberi di agire e di sollevarsi contro la sua autorità. Ma al momento della nascita di Zeus, Rea ottiene l’aiuto di Urano e Gaia contro il suo sposo, facendo leva sul crimine commesso da Crono contro il padre. Alla nascita di Zeus, Crono non si accorge di ingoiare una pietra al posto dell’ultimo nato e Zeus è dunque libero di crescere e di sviluppare la sua potenza, fino al momento in cui si scaglia contro Crono e lo obbliga a vomitare le divinità che questi tratteneva dentro di sé. Una lunga guerra comincia allora tra Titani e Cronidi. Ottenute dai Ciclopi le armi della sovranità e grazie alla forza fisica degli Ecatonchiri suoi alleati, Zeus riesce a sconfiggere Crono e gli antichi dèi, rinchiudendoli nella prigione del Tartaro. Forte di questa vittoria, riportata anche grazie alla costante presenza al suo fianco di Nike (“Vittoria”), Zelos (“Competizione”), Kratos (“Potere”) e Bia (“Forza”), il dio affronta allora il suo ultimo e più terribile avversario: Tifone, figlio di Gaia e del Tartaro.
Solo dopo aver sconfitto in singolar tenzone questo dio mostruoso, quasi un condensato di tutte le forze caotiche e distruttive presenti nell’universo, Zeus riceve allora da Gaia e dagli altri dèi l’incarico di governare il mondo (Teogonia, 881-885).
È questo l’ultimo movimento del “mito di successione”: nessun erede verrà a turbare l’ordine di Zeus, perché il re degli uomini e degli dèi ha l’accortezza di ingoiare Metis, l’“Intelligenza astuta”, divinità possente da cui sarebbe nato il temuto successore (Teogonia, 886-900); assimilatosi la metis, e possedendo ormai al sommo grado la capacità di trasformare ogni situazione di svantaggio in vantaggio, Zeus metieta (“dotato di metis”) si distingue dai suoi predecessori (come abbiamo visto, la metis di Crono era “ricurva” e la sua regalità imperfetta) e diventa in un certo senso il successore di se stesso.
La stabilità del cosmo è così assicurata e la suprema autorità di Zeus garantisce l’equilibrio tra le forze molteplici che vi operano.
Il linguaggio genealogico e la ripartizione delle timai
Quando nell’Inno omerico a Ermes, che racconta la nascita del figlio di Zeus e di Maia, il dio fanciullo accompagnandosi con la lira intona, alla presenza di Apollo, un canto in onore degli dèi, egli racconta l’origine del mondo, celebra gli immortali, secondo il rango e la nascita di ognuno, e indica in che modo gli dèi si sono spartiti gli “onori”.
In altri termini, Ermes canta una teogonia, la cui struttura è analoga al canto che le Muse ispirano a Esiodo (Teogonia, 104-115): genealogia divina e ripartizione degli onori si rivelano tanto più funzionali alla rappresentazione del divino in quanto mettono in evidenza le articolazioni interne al mondo degli dèi e la logica distributiva che, assegnando a ciascuna divinità il posto che le compete, struttura il pantheon.
La complessa struttura genealogica del mondo divino non è fine a se stessa, né va ritenuta espressione di un pensiero primitivo rivolto a mettere un qualche ordine nel caos del politeismo. Si tratta invece di un sofisticato strumento conoscitivo che, nel tracciare l’albero geneaologico delle divinità, disegna una mappa delle potenze che operano nel mondo e le rappresenta attraverso i vincoli della parentela e le modalità della nascita. Due noti antichisti come Jean Rudhardt (1922-2003) e Jean-Pierre Vernant (1914-2007) hanno sottolineato come i caratteri e le prerogative implicite nelle potenze più antiche si esplicitino, precisandosi, nella loro discendenza: ad esempio, dalla coppia di Titani, e dunque di Uranidi, costituita da Iperione, “che avanza in alto”, e Theia, la “divina”, nascono Helios, “Sole”, Selene, “Luna”, e Eos, “Aurora”, divinità cosmiche che, pur raccogliendo l’eredità astrale dei propri genitori, la manifestano assumendo contorni al tempo stesso più delimitati e più precisi. Oceano, il fiume divino che circonda la terra, e Tethys (da non confondere con Thetis, figlia della divinità marina Nereo e madre di Achille), entrambi figli di Urano e Gaia, costituiscono una coppia di antiche divinità acquatiche e sono all’origine di tutti i Fiumi (Potamoi) e di una stirpe di divine fanciulle, le Oceanine, i cui nomi parlanti evocano qualità specifiche inerenti i corsi d’acqua (ad esempio, Kallirhoe, “bella corrente”, Okyrhoe, “rapida corrente”). Come per le Oceanine, anche per le Nereidi, divinità marine, Esiodo ricorre alla tecnica catalogica e ne rappresenta la potenza acquatica invocandone i nomi parlanti (ad esempio, Galene, “bonaccia”, Kymothoe, “onda veloce”, Kymatolege, “che placa le onde”), teonimi che si susseguono, all’immagine dell’onda, in un lungo elenco sapientemente costruito.
La nascita di una potenza divina trova la sua ragion d’essere anche negli eventi che ne accompagnano l’emergenza al mondo: dai genitali di Urano caduti nel mare, e più precisamente nella spuma seminale (aphros) che fuoriesce dal membro divino, si forma Afrodite, divinità che presiede all’unione sessuale e ai pericoli che l’accompagnano; dal sangue di Urano caduto sulla terra nascono invece i Giganti, guerrieri divini tutti armati, e le Erinni, terribili dee vendicatrici del sangue versato. Lo choc provocato nel cosmo dal crimine di Crono si esprime non solo in questo doppio ordine di nascite, ma anche nella genealogia di Notte: è a questo punto del racconto infatti che la figlia del Chaos primordiale mette al mondo una serie di potenze che esprimono la mortalità, la vecchiaia, la debolezza, la malattia, disegnando in filigrana quella forma di vita fragile ed effimera che sarà l’appannaggio dell’umanità (Teogonia, 211-225).
L’altro asse portante del canto teogonico, insieme alla struttura genealogica, è la ripartizione degli onori, concetto chiave del politeismo ellenico in base al quale a ogni dio sono riconosciute le timai, gli “onori”, corrispondenti alla “parte” (moira) assegnatagli nella società divina. Attraverso nascite, unioni, alleanze e conflitti, il poema esiodeo racconta appunto come gli dèi si sono ripartiti il mondo e come ognuno di essi ha finito col ricevere la parte che gli spettava: Zeus, appunto, l’autorità sovrana, i Titani, invece, l’esilio nelle profondità del Tartaro.
Incastonato nel “mito di successione”, l’episodio di Prometeo (il dio che, nel ripartire iniquamente le carni di un bue, suscita l’ira di Zeus, mettendo fine alla commensalità tra dèi e uomini) svolge anch’esso il tema della ripartizione, raccontando la distanza incolmabile tra dèi e uomini, tra gli immortali destinatari di onori sacrificali e i mortali destinati ad onorarli. Il destino umano si precisa ulteriormente con la creazione, ordita da Zeus, di Pandora, un inquietante prototipo femminile, da cui trae origine la stirpe delle donne e con essa, per gli uomini, la condanna definitiva a una vita di lavoro, sofferenza e infelicità.
L’ordine di Zeus è iscritto nella capacità del figlio di Crono di riconoscere a ognuno la sua parte e di garantire l’equilibrio tra le potenze molteplici che agiscono nell’universo. Infatti, la vittoria sui Titani e il conseguimento dell’onore regale da parte di Zeus sono anche il frutto di una saggia politica perseguita dal dio sovrano: prima dello scontro, questi non solo promette di distribuire a ogni divinità la sua parte, ma si impegna anche a ricompensare quanti tra gli antichi dèi si fossero schierati con lui nonché a correggere una precedente iniqua ripartizione che aveva visto alcuni dèi privati d’onore da Crono. Beninteso, il dio sovrano onora questa promessa, e la giusta ripartizione delle timai è infatti il primo atto del suo regno (Teogonia, 881-885). Inoltre, l’ordine di Zeus è tanto più stabile in quanto non è statico: nuovi dèi possono venire al mondo, conflitti e disordini insorgere in seno agli Olimpi, i rapporti con i mortali necessitare di ulteriori aggiustamenti. In virtù della metis che lo caratterizza, e del rapporto privilegiato con la sfera della themis, la “norma”, il re degli dèi e degli uomini riuscirà sempre vittorioso in questa delicata opera di rinegoziazione delle timai, come testimoniano i quattro principali Inni omerici (A Demetra, Ad Apollo, A Ermes, Ad Afrodite).
A una ripartizione del kosmos tra i Cronidi si fa rapidamente accenno nell’Iliade (XV, 187-193), quando Poseidone, in polemica con Zeus, ricorda che i tre figli di Crono si erano equamente spartiti le tre regioni dell’universo: ad Ade era toccato in sorte il mondo sotterraneo, a Poseidone il regno marino, a Zeus l’etere e il cielo, mentre la terra e l’Olimpo erano rimasti in comune.
Non si tratta di una ripartizione alternativa rispetto al racconto esiodeo, ma complementare; né bisogna dimenticare che, pur rivendicando Poseidone la propria autonomia rispetto a Zeus, l’episodio omerico in questione si conclude con la resa del primo alla volontà sovrana del secondo.
Il modello esiodeo allo specchio della Grecia e del Vicino Oriente antico
La Grecia antica conosce altri modelli cosmo-teogonici, alcuni in versi, altri in prosa, in parte coincidenti, in parte divergenti rispetto alla tradizione più diffusa, rappresentata dal poema di Esiodo: la natura frammentaria dei testi che li documentano ne rende tuttavia difficile l’esatta ricostruzione. Figure mitiche di poeti come Orfeo e Museo avrebbero composto teogonie, come anche il sapiente cretese Epimenide; una Titanomachia è attribuita a Eumelo di Corinto, il poeta Alcmane compone una cosmogonia lirica, Ferecide di Siro e Acusilao di Argo una versione in prosa delle origini dell’universo. Non interessati a distinguere tra poesia teogonica e filosofia in versi – come invece si preoccuperanno di fare gli studiosi moderni –, gli antichi, inoltre, associano spesso a Esiodo figure quali Parmenide ed Empedocle, che avevano espresso in versi le proprie riflessioni cosmologiche.
Da quanto conosciamo delle teogonie “orfiche”, sembra che un ruolo importante, tra le potenze primordiali, fosse riservato a Notte e che, a conclusione di un mito di successione solo in parte analogo a quello esiodeo, Zeus avrebbe assorbito il mondo al suo interno per poi ricrearlo. Delle varie cosmogonie circolanti nella Grecia classica offre la parodia un brano degli Uccelli, in cui il commediografo Aristofane mescola abilmente elementi tradizionali: vi si ritrovano Chaos, Notte, Erebo, Tartaro ed Eros. Persino gli uccelli, desiderosi di darsi nobili natali, avevano forgiato una cosmogonia a loro uso e consumo, vantandosi di essere più antichi degli dèi stessi (Uccelli, 693-703).
Ma cosmogonie e teogonie non sono certo esclusive della cultura greca. Fin dal II millenio a.C. circolavano nel Vicino Oriente svariati racconti sulle origini dell’universo, degli dèi, degli uomini.
Alcuni di questi presentano innegabili analogie con le tradizioni greche, analogie che sono state spesso utilizzate per sostenere l’origine orientale delle teogonie elleniche e in generale della mitologia greca. È questo il caso dell’epopea babilonese della creazione, l’Enuma Elish, che racconta di una coppia primordiale, Apsu (l’acqua salata) e Tiamat (l’acqua dolce), di una lotta tra generazioni divine e delle gloriose imprese del dio Marduk.
Un mito di successione analogo a quello raccontato da Esiodo si incontra in alcune tradizioni ittite, incentrate sulle lotte tra gli dèi del cielo, Alalu, Anu e Kumarbi: Kumarbi castra il suo predecessore e ingoiatone il membro virile concepisce al suo interno il dio delle tempeste che è destinato a spodestarlo.
Le evidenti somiglianze che sia l’epopea babilonese sia quella ittita presentano con la tradizione teogonica greca, in particolare esiodea, rimandano probabilmente a una koine culturale che coinvolse, nella più alta antichità, tanto il Mediterraneo quanto il Vicino Oriente.
Tuttavia, a ben guardare, oltre alle analogie possono riscontrarsi differenze altrettanto significative che fanno emergere alcune peculiarità, propriamente greche, nella rappresentazione dell’universo e del mondo divino.
Nell’Enuma Elish la coppia primordiale è costituita da potenze acquatiche, mentre nella tradizione greca più diffusa si tratta di Cielo e Terra; nel poema babilonese, è Marduk vittorioso che crea l’universo smembrando il corpo primordiale di Tiamat, mentre lo Zeus greco esercita la sua signoria su un universo formatosi gradualmente attraverso una dinamica generativa (si pensi all’Eros primordiale) che spinge le sue componenti a unirsi e a procreare.
La differenza più significativa tra il mito di successione ittita e quello esiodeo consiste poi nel ruolo centrale che in quest’ultimo spetta a Gaia, potenza primordiale, ora nemica ora alleata dei sovrani divini, fondamentale istanza di delegittimazione o di legittimazione, i cui consigli portano Zeus sul trono e, con questo, l’ordine nel mondo.
Vedi anche
La figura del filosofo nell’immaginario narrativo
Eraclito e Empedocle
Il “linguaggio” del politeismo
Gli dèi e la fabbricazione dell’umano
Nel nome degli dèi: teonimi, epiteti, epiclesi
Poesia e religione: il pantheon ellenico tra invenzione e tradizione
Il “Destino”
Nascere in Grecia tra rito e mito
La poesia epica