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Il teatro sguazzava in un’estasi di musica e colori. Jeschek aveva fatto un vero miracolo. Le colonne del foyer erano rivestite di edera e fiori di stoffa, impalpabili farfalle di carta seta pendevano da lunghi e sottilissimi fili appesi al soffitto, sventolando a ogni movimento d’aria, mentre il pavimento era ricoperto da un folto tappeto verde che a prima vista sembrava in tutto e per tutto un morbido prato.

Ogni volta che un ospite metteva piede nel foyer si sentivano risuonare gli «Ohhh!» e gli «Ahhh!». Una ragazza con indosso uno scintillante vestito da elfo tese le braccia e girando su se stessa sussurrò: «È un sogno».

A risultare gradite alla Haidrich però non erano solo le decorazioni, ma anche e soprattutto gli ospiti che avevano accettato l’invito – si erano presentate numerose personalità di spicco: ex baroni, conti e principi, uomini e donne del mondo dell’arte, della politica e dell’economia. Avevano tutti preso sul serio il tema del ballo, vestendosi in maniera fantasiosa.

C’era, per esempio, il cantante Heinz Rosenberg, che nonostante la maschera era inconfondibile con i suoi folti baffoni. Travestimento inutile anche per Alois Rock, la leggenda dell’alpinismo, bastava un’occhiata alle sue orecchie a sventola per riconoscerlo; e la salottiera Auguste Bernauer era talmente robusta che nessuna maschera avrebbe potuto farla passare inosservata.

Altri ospiti erano più difficili da identificare. C’era per esempio una signora con un lungo vestito rococò verde ricamato con innumerevoli fiori gialli. I capelli erano nascosti da un cappello anch’esso decorato da fiori, che le teneva celato anche il viso. Oppure il signore di bella presenza col lungo mantello rosso e la maschera da uccello… nel vederlo, Rita Haidrich ebbe un brivido. Voleva somigliare a un ibis, ma sembrava più un medico della peste in pieno Medioevo.

«Dov’è Oswald?» sussurrò Rita Haidrich a Mitzi, che al suo fianco contemplava a occhi spalancati quella variopinta animazione.

«Arriverà subito, vedrà». Mitzi pescò come per magia un paio di forcine dalla borsa e fissò un ricciolo ribelle che si era sciolto dall’acconciatura della Haidrich. «Lei è magnifica».

La giovane attrice sorrise dolcemente e sollevò il capo. «Che lo spettacolo abbia inizio» mormorò, rivolgendosi poi a un uomo che presumeva di conoscere. «Sono contentissima che sia riuscito a venire» disse ostentando tutta la sicurezza che poté racimolare.

Ovunque si volgesse lo sguardo si vedevano seni prosperosi e gonne fruscianti. Le bottiglie venivano stappate, i bicchieri tintinnavano, il foyer era un coro di risate e chiacchiere vivaci. I camerieri servivano spumante e una ragazzina vestita da fioraia con un’ampia gonna a campana rossa e un bellissimo fazzoletto in testa distribuiva fiori di croco che Oswald era riuscito a raccogliere di nascosto qua e là.

«Conteeenta?». Jeschek, l’unico ospite a non indossare alcun travestimento, puntò le mani sui fianchi e guardò Rita Haidrich pieno di aspettativa. «Ho dato tuuutto. Ho faaaatto miraaacoli, solo per leeei, milaaaady». Le prese la mano e gliela baciò.

Lei tirò via la mano e l’abbracciò. «Grazie, signor Jeschek, grazie» gli sussurrò all’orecchio mentre lo teneva stretto al petto e gli dava un bacio sulla testa pelata.

Jeschek divenne paonazzo e fece un inchino. «Seeempre al suo seeervizio» disse riaggiustandosi la giacca. «Si goooda il suo baaaallo. Io adeeesso torno a occupaaarmi di aaaaltre cooose». Con un sorrisetto soddisfatto si diresse alla porta che portava alle quinte. «Tuuutto il mooondo è un teaaatro» mormorò.

Rita Haidrich controllò l’ora e si tamponò con un fazzoletto il labbro superiore. Tra un quarto d’ora avrebbe aperto ufficialmente la serata di balli, tombola e intrattenimenti.

Si sventolò con la mano e armeggiò con la scollatura del vestito nella speranza di alleviare il senso di oppressione. Così tante persone. Così tante maschere. Così tante cose che potevano andare storte.

«Signora Haidrich». Una voce la distrasse da quei pensieri. Era Auguste Bernauer, il cui salotto era noto in tutta la città. «Non mi ha riconosciuta, vero?».

Come per incanto Rita Haidrich entrò nella parte dell’ospite. Sfoggiò un sorriso raggiante e spalancò le braccia. «Signora Bernauer… come avrei mai potuto riconoscerla? Il suo travestimento è formidabile!».

Fece un cenno a un cameriere di passaggio e stava per prendere un calice di Hochriegl dal vassoio quando si sentì afferrare per un braccio. Spaventata si voltò portandosi una mano al petto.

Era Oswald. «Allora?». Sorrideva a trentadue denti. «Che ne dici?». Era vestito di verde da capo a piedi. Scarpe verdi, pantaloni verdi, camicia verde, cravatta verde, il tutto coronato da un civettuolo cappello di feltro a punta, ovviamente verde.

«Sembri uno gnomo della foresta» sibilò lei. «Dov’eri finito? Ti ho cercato dappertutto. Lo sai che stasera ho bisogno di te».

«Uno gnomo?». Lui si finse offeso. «Sono un filo d’erba. Fresco e tenero».

Rita Haidrich sollevò gli occhi al cielo e tentò di nuovo di prendere un calice di spumante, ma non fu abbastanza lesta. «Non sono proprio in vena di scherzi e non ho nessuna intenzione di passare la serata a cercarti in ogni dove».

«E va bene, va bene. Mi dispiace. Ho dovuto trattenermi con un paio di giornalisti. La maledizione è stata una manna». Era sfavillante, come una moneta nuova di zecca. «Pandora sarà un grandissimo successo. Vogliono tutti vedere il film colpito dall’incantesimo. Sbancheremo i botteghini».

Rita Haidrich lo fulminò con lo sguardo. «Oggi però non siamo qui per Pandora né tantomeno per la maledizione. Oggi siamo qui per il ballo, i bambini e me».

«Ma certo, certo». Oswald si rivolse ad Auguste Bernauer. «Se posso rubarle un attimo la stella della serata… Giù all’“Inferno” ci sono altri ospiti che attendono impazienti la nostra cara Rita».

«All’inferno?» chiese la Bernauer aggrottando la fronte.

Oswald rise. «È così che chiamano il piano interrato, sede dell’omonimo spettacolo di cabaret2. In principio volevamo tenere il ballo solo qui sopra, ma poi c’è stata una tale richiesta di biglietti che abbiamo deciso di allargarci» spiegò. «Il responsabile dell’allestimento, il signor Jeschek, ha borbottato un po’, ma quando sono in gioco bambini poveri si deve fare tutto quel che si può. Ogni corona conta».

La signora Bernauer si portò una mano al petto. «Lei è davvero un uomo buono, che Dio la protegga».

 

 

 

2 Die Hölle, ovvero “L’Inferno”, è stato uno dei primi e più importanti cabaret viennesi, in attività dal 1906 al 1937 nel seminterrato del Theater an der Wien. Ispirato ai cabaret francesi, è stato il vivaio di numerosissimi artisti dell’intrattenimento per i paesi di lingua tedesca.