Nel 335 a.C. Aristotele fonda ad Atene un’istituzione dedita alla ricerca filosofica e scientifica che, se si richiama nello spirito all’Accademia platonica, se ne allontana invece per gli ambiti di studio e per le metodologie perseguite. Dopo la morte di Aristotele, le attività del Liceo si concentrano sempre più su un’indagine della natura dapprima sotto la guida di Teofrasto di Ereso, poi ad opera di Stratone di Lampsaco, noto con l’epiteto di “fisico”. A partire dal I secolo a.C. non si hanno più notizie certe sulla scuola di Aristotele: in età imperiale la tradizione peripatetica si localizzerà sempre più ad Alessandria e a Roma, specializzandosi nell’attività del commento alle opere acroamatiche dello Stagirita.
Le principali fonti per la conoscenza dell’organizzazione e dell’attività del Liceo sono costituite dagli scritti e dai testamenti dei membri della scuola; più rare le fonti esterne. Sappiamo con certezza quando il Liceo viene fondato, e che si tratta di un’istituzione privata, non regolata né sovvenzionata dallo stato, che offre un’istruzione scientifica e filosofica di alto livello.
I due nomi con cui la scuola, intesa sia in senso fisico che in senso spirituale, è indicata sin dall’antichità – Liceo o, più frequentemente, Peripato – suggeriscono che Aristotele, almeno in un primo momento, riunisca i suoi studenti e collaboratori presso il ginnasio pubblico del Liceo (così chiamato perché situato nel santuario dedicato ad Apollo Licio), utilizzando le sale pubbliche della palestra o forse prendendo in affitto alcuni locali poco distanti da essa. La parola perípatos, invece, nel suo uso comune, indica una parte del ginnasio, probabilmente una passeggiata alberata in un giardino: nell’antichità (per esempio in Diogene Laerzio) il nome veniva infatti ricollegato al verbo peripatéin, “passeggiare”, e veniva dunque messo in riferimento all’abitudine di Aristotele di discorrere con i propri amici e allievi passeggiando. Gran parte degli studiosi contemporanei, tuttavia, rifiutano il collegamento: le opere acroamatiche di Aristotele lasciano intuire che nelle lezioni si faccia uso di tavole anatomiche, cartine geografiche e astronomiche, diagrammi, tabelle e lavagne, tutti strumenti che richiedono uno spazio fisso, un’aula, e non possono essere utilizzati passeggiando.
Gli studiosi contemporanei sono ormai d’accordo sul fatto che non si possa considerare il Liceo come una scuola o un’università in senso moderno. Esso è invece strutturato come un’associazione (koinonía), una comunità di uomini, legati da un rapporto di amicizia (philía), che si dedicano insieme alla ricerca scientifica e filosofica (la parola utilizzata da Teofrasto è symphilosophéin, “fare insieme filosofia”, ma la paternità del neologismo è da attribuirsi ad Aristotele, che lo usa per descrivere il tipo di attività praticata nell’Accademia platonica).
Guida della comunità è lo scolarca: questa funzione è rivestita da Aristotele per primo e in seguito da Teofrasto di Ereso dal 323 al 287 a.C. circa, da Stratone di Lampsaco dal 287 al 269 a.C. e da Licone di Troade dal 269 al 226-224 a.C. Lo scolarca si preoccupa insieme agli altri filosofi della crescita intellettuale della scuola, come pure dell’amministrazione degli edifici e degli altri aspetti pratici. La procedura per la nomina dello scolarca non è rigidamente definita, ma varia di volta in volta; il metodo più diffuso sembra essere quello dell’elezione da parte della comunità, anche se possono ricorrere delle eccezioni, come nel caso dello stesso Aristotele e di Stratone, che nei rispettivi testamenti indicano espressamente il proprio successore.
La comunità peripatetica, pur essendo molto fluida, è sommariamente organizzata in due classi: i membri più anziani si occupano soprattutto di ricerca e insegnamento, mentre i più giovani sono per lo più dediti allo studio. Può accedere alla comunità chiunque lo voglia, senza distinzione di età o di ceto; l’unica condizione è quella di avere già un’istruzione elementare e di disporre di scholé, cioè la libertà dalle occupazioni necessarie per vivere, e quindi di un benessere moderato che garantisca tempo da dedicare agli studi.
Non sembra che gli insegnanti richiedessero denaro in cambio delle lezioni, e probabilmente le risorse economiche della scuola erano rappresentate dal patrimonio personale dello scolarca e dalle donazioni da parte di mecenati o degli stessi peripatetici.
Neanche l’esser stato membro di altre scuole filosofiche, o l’essere in disaccordo con le dottrine dello scolarca sono elementi di ostacolo all’entrata nel Liceo: la scuola infatti non nasce come una scuola preposta allo studio e alla diffusione della dottrina del suo fondatore, ma come centro di studio e di ricerca, cui è consentito l’accesso a chiunque voglia dedicarsi alla vita teoretica. I peripatetici godono insomma di piena libertà intellettuale e hanno il diritto di esprimere opinioni in disaccordo con quelle dello scolarca, anche se le discussioni all’interno del Liceo non acquistano mai un livello tanto radicale come quelle caratterizzanti l’Accademia platonica.
Ulteriore dimostrazione del carattere aperto e non settario della scuola è l’uso, attestato da Aristotele e Teofrasto, di tenere al mattino lezioni pubbliche, aperte a tutti, riservando al pomeriggio l’insegnamento specialistico al ristretto gruppo dei membri della scuola.
I primi membri del Peripato fanno propri i temi e il metodo di indagine del loro primo scolarca. Le ricerche del Peripato, infatti, vengono condotte secondo il metodo empirico descritto da Aristotele: l’indagine prende le mosse dalla raccolta e dalla accurata classificazione dei fenomeni, attraverso l’osservazione empirica, la raccolta di libri e documenti, l’interrogazione degli esperti nei vari settori. Solo a partire da questa solida base si può procedere alla ricerca delle cause dei fenomeni, attraverso la discussione comune, nonché il confronto con le opinioni dei filosofi precedenti.
Quanto ai campi di indagine, l’area di principale interesse del Peripato è rappresentata dagli studi naturalistici: vengono condotte ricerche di botanica, zoologia e meteorologia; poco spazio è invece riservato allo studio della matematica pura – uno dei principali soggetti di studio nell’Accademia platonica – a vantaggio della matematica applicata a fenomeni naturali e della tecnica. Probabilmente si conduce anche uno studio approfondito della retorica (una disciplina difesa e insegnata da Aristotele sin dai tempi dell’Accademia), mentre sono relativamente pochi gli studi a noi giunti riguardo temi etici e politici.
Dalla redazione dei risultati di queste ricerche nasce la synagoghé, una forma di prosa scientifica caratteristica del Peripato, che consiste nella raccolta sistematica di materiale attorno a un dato tema; ne sono un esempio la Historia animalium (Storia degli animali) di Aristotele, la Historia plantarum (Storia delle piante) di Teofrasto e la raccolta ormai perduta delle costituzioni di oltre cento città greche, di cui ci è rimasta soltanto la Costituzione degli Ateniesi. Altri dati sono raccolti sotto la forma di pragmatéia: si tratta, anche in questo caso, di una classificazione di dati, che però non rappresenta un’opera letteraria destinata alla pubblicazione e alla fruizione all’esterno della scuola, bensì un complesso di appunti, scritti in collaborazione da più studiosi e aggiornato di volta in volta con i risultati delle nuove ricerche.
Grande rilevanza è data poi allo studio della tradizione filosofica e scientifica: le opinioni dei filosofi che avevano preceduto Aristotele sono raccolte e accuratamente classificate per temi, così da rendere disponibile una biblioteca ampia e leggibile, che costituisce ancora oggi una delle principali fonti per la conoscenza dei cosiddetti presocratici.
La vastità del corpus testuale attribuito a Teofrasto, che è il primo successore di Aristotele nella carica di scolarca del Peripato, testimonia l’ampiezza e l’eterogeneità dei suoi interessi di ricerca: la produzione di Teofrasto si estende infatti dalla metafisica alla fisica, dalla logica all’etica, toccando insomma tutti gli ambiti del sapere indagati da Aristotele. Continuatore del filosofo di Stagira più nella condivisione dei presupposti metodologici che nell’assunzione degli stessi riferimenti dottrinali, Teofrasto sovente approfondisce, sollevando ulteriori aporie, molti dei nuclei problematici lasciati aperti da Aristotele.
Particolarmente esemplificativo di questa attitudine, sospesa fra il riferimento ad Aristotele e l’autonoma elaborazione dottrinale, è un testo di Teofrasto erroneamente indicato con il nome di “frammento metafisico”. Il trattato, che è in realtà un’opera completa divisa in nove capitoli, solleva una serie di aporie intorno al tema dei rapporti fra due diversi livelli ontologici: il piano dei primi principi (oggetto proprio della metafisica) e quello dei corpi in movimento (ambito di indagine della fisica), a sua volta diviso in un mondo di sostanze divine e incorruttibili (le sfere celesti) e nel corruttibile mondo sublunare.
Nell’incipit dell’opera Teofrasto si domanda se vi sia una connessione fra questi due piani e, dopo avere riconosciuto che è ragionevole assumerla, propone nei successivi otto capitoli delle aporie che la minano seriamente.
Dopo avere fortemente intaccato la teoria aristotelica del primo motore o motore immobile,Teofrasto dedica il resto di un trattato, nominalmente consacrato alla filosofia prima, a un’indagine del mondo fisico, proponendo l’ipotesi di un principio di movimento immanente alla natura e criticando fortemente il finalismo aristotelico. Il dubbio sull’efficacia esplicativa del principio teleologico viene avanzato sulla base di esempi desunti dall’osservazione empirica (come il flusso e il riflusso delle maree e la presenza delle mammelle nei mammiferi maschi), che lo portano, se non a escludere del tutto la causa finale, per lo meno a limitarne drasticamente l’ambito di applicazione.
Due importanti ambiti della speculazione di Teofrasto quali la logica e l’etica recano chiaramente il segno delle comuni indagini e delle accese polemiche caratteristiche del Peripato a lui contemporaneo, documentando ancora una volta la natura antidogmatica dell’istituzione fondata da Aristotele. Insieme a Eudemo di Rodi, Teofrasto è infatti ricordato per le ricerche sulla logica. Per quanto riguarda la filosofia morale, celebre è rimasta invece la diatriba con Dicearco di Messina circa l’ideale della vita, incentrata intorno all’enunciazione aristotelica del primato della vita teoretica (bíos theoretikós) e quindi strettamente legata allo statuto di uno dei valori sottesi all’esperienza filosofica del Liceo.
Oltre che per le ricerche logiche compiute con il compagno di studi Teofrasto (insieme al quale è allievo di Aristotele), Eudemo di Rodi è noto come probabile editore dell’Etica Eudemea, per le molte raccolte dossografiche (opere che confrontano le opinioni di pensatori e studiosi di epoche precedenti) compilate nell’ambito della storia delle scienze e per una Fisica molto apprezzata dai commentatori aristotelici di età imperiale. Un lungo frammento di quest’ultimo trattato (tramandato dal filosofo neoplatonico Simplicio) affronta un problema già sollevato nella Metafisica di Aristotele, domandandosi se la dimostrazione dei principi di ogni scienza sia da destinarsi alle stesse singole scienze o a uno o più saperi di livello superiore. La risoluzione di questa difficoltà viene genericamente rinviata a un’“altra filosofia”: si tratta ovviamente dell’aristotelica filosofia prima.
A livello biografico è particolarmente significativa la scelta di Eudemo di aprire, dopo la morte di Aristotele, una propria scuola a Rodi, sancendo così un distacco dal Peripato teofrasteo.
Dicearco di Messina è noto soprattutto per la sua accanita difesa contro Aristotele e Teofrasto della superiorità della vita pratica su quella teoretica, condotta con un piglio moralistico: la delegittimazione del bíos theoretikós passa infatti per Dicearco attraverso una rivalutazione complessiva della storia del pensiero greco, in cui ad esempio viene sottolineata la dimensione politica dei Sette sapienti, nel tentativo di nobilitare un modello di condotta etica che trova la sua legittimazione nel generico riferimento a un’etica tradizionale assunta dogmaticamente.
L’altro importante apporto del filosofo di Messina al pensiero peripatetico consiste nell’elaborazione di una psicologia che, interpretando l’anima come armonia degli elementi, le attribuisce uno statuto esclusivamente fisiologico e immanente, privandola così dell’immortalità e, in ultima analisi, della sostanzialità stessa.
Alla morte di Teofrasto (287 a.C. ca.), Stratone gli succede nella carica di caposcuola del Peripato, mantenendola per i seguenti 18 anni. Muore intorno al 269 a.C.
Benché il corpus testuale di Stratone non ci sia giunto se non in forma frammentaria, sappiamo, grazie a una diffusa tradizione dossografica che gli attribuisce il significativo soprannome di physikós, “fisico”, che il suo pensiero si muove lungo le linee di un’indagine fisica attenta all’osservazione empirica. Anche se Stratone si mantiene fedele al modello cosmologico proposto da Aristotele, che descrive un universo finito, geocentrico e al di fuori del quale non esiste il vuoto, egli rifiuta completamente la spiegazione teleologica dei moti celesti: muovendosi forse nel solco delle difficoltà sul Primo Motore sollevate da Teofrasto ed Eudemo, il filosofo di Lampsaco radicalizza le posizioni dei due predecessori e descrive una natura governata da un principio di necessità immanente, che non ha più nulla in comune con l’aristotelica causa finale. Ne consegue l’immagine di una natura che, escludendo ogni finalità e trascendenza, si risolve in se stessa.
Stratone arricchisce il suo modello fisico di ulteriori dettagli con l’elaborazione della teoria per la quale tutti i corpi, essendo naturalmente pesanti, accelerano nella caduta e tendono verso il centro: una simile formulazione si oppone decisamente alla dottrina aristotelica dei luoghi naturali. Descrivendo poi i cieli come costituiti di fuoco, Stratone elimina definitivamente il quinto elemento, ossia l’etere, e assume il calore e il freddo come principi irriducibili del movimento. Notevole è anche la teoria della materia proposta da Stratone, secondo la quale la materia sarebbe un corpo spugnoso, pervaso da vuoti microscopici: pare che questa formulazione sia motivata da una serie di osservazioni sulla propagazione della luce (a cui Stratone attribuisce una natura corpuscolare) nell’acqua.
In ambito psicologico Stratone ipotizza una sostanziale continuità fra sensazione e pensiero e interpreta entrambe le affezioni come movimenti dell’anima. Una simile dottrina mina seriamente l’autonomia e l’autosufficienza dell’atto del conoscere, riducendolo al piano della percezione. Stratone immagina l’anima come una mera funzione fisiologica, unificata dal ricorso alla teoria dello pnéuma, che, come l’aria nel flauto, si diffonde in tutti gli organi del corpo. Lo pnéuma fa capo allo hegemonikón, una facoltà che ha sede fra le sopracciglia e che, oltre ad avere il compito di tradurre in sensazioni gli stimoli ricevuti dai sensori, riveste anche una funzione razionale benché molto ridimensionata a causa della sua natura fisica e localizzata in uno specifico organo corporeo.
Dopo lo scolarcato di Stratone inizia per il Liceo una fase di declino, segnata da un’improvvisa perdita di vitalità della scuola. Gli storici di età imperiale la attribuiscono al leggendario smarrimento delle opere di Aristotele, raccontato da Strabone e da Plutarco nella Vita di Silla.
Secondo questa leggenda, Aristotele lascia la sua biblioteca – una fra le prime raccolte di libri dell’antichità, dopo quella di Euripide – a Teofrasto, e quest’ultimo, nel suo testamento, ne fa dono a Neleo di Scepsi, membro del Peripato sin dai tempi di Aristotele. Neleo porta la biblioteca, contenente anche gli scritti di Aristotele e Teofrasto, a Scepsi, per darla in custodia ai suoi familiari. Ma questi ultimi, saputo che i sovrani di Scepsi raccolgono libri per istituire una biblioteca a Pergamo, la nascondono in un cunicolo sotterraneo, dove giace dimenticata per oltre un secolo. Viene poi ritrovata dagli eredi di Neleo, che la vendono ad Apellicone di Teo, che pubblica i testi con numerosi errori. Lucio Cornelio Silla, giunto in Grecia nell’86 a.C., si impadronisce della biblioteca di Apellicone e la porta a Roma, dove vi lavora Andronico di Rodi, cui si devono la catalogazione e la pubblicazione delle opere aristoteliche.
La leggenda dello smarrimento del corpus aristotelicum sarebbe in realtà poco attendibile: sappiamo infatti che diverse copie degli scritti dello Stagirita sono presenti, all’epoca in cui la leggenda le considera disperse, non solo ad Atene, ma anche ad Alessandria e a Rodi. È vero tuttavia che, dopo lo scolarcato di Stratone, le opere di Aristotele e di Teofrasto vengono lette sempre meno. La ragione di tutto ciò non va ricercata in un loro presunto smarrimento, quanto piuttosto nel fatto che in età ellenistica gli interessi teorici del Peripato vanno allontanandosi sempre più da quelli originari.
La tendenza all’autonomia delle scienze, caratteristica dell’età ellenistica, è facilmente riscontrabile anche nel Peripato del periodo successivo a Stratone. L’utilizzo sempre più diffuso e rigoroso del metodo empirico conduce i peripatetici alla specializzazione delle singole discipline, con il conseguente abbandono delle ricerche speculative di più ampio respiro. L’ontologia aristotelica viene a poco a poco abbandonata, fatto che decreta l’autonomia – tematica e metodologica – delle varie scienze. Inoltre i peripatetici mostrano uno spiccato interesse per campi di indagine che ai tempi di Aristotele erano stati più marginali. In definitiva, i trattati di Aristotele vengono trascurati soprattutto perché sono oramai legati solo debolmente alle indagini e ai campi di interesse del Peripato.
A ciò si aggiunga che, attorno alla metà del III secolo a.C., il centro della ricerca e della cultura si sposta da Atene a Roma e Alessandria, e sono sempre meno i filosofi e gli studiosi che lavorano ad Atene ed entrano in diretto contatto con il Liceo, fatto che contribuisce all’esaurirsi della ricerca filosofica e scientifica nella scuola.
L’ultimo scolarca di cui abbiamo notizie certe è Diodoro di Tiro; sembra però che la scuola abbia continuato la propria attività fino al I secolo a.C., rinvigorita dalla pubblicazione delle opere aristoteliche. Non abbiamo più notizie del Liceo dopo il I secolo e alcuni hanno avanzato l’ipotesi che sia il Peripato che l’Accademia siano stati chiusi in seguito alla conquista di Atene da parte di Silla, nell’86 a.C. Accanto all’attività del Peripato, troviamo poi quella dei commentatori aristotelici di età imperiale: se l’attenzione dei peripatetici è volta allo studio dei fenomeni secondo il metodo empirico aristotelico, l’interesse dei commentatori si concentrerà innanzitutto sulle opere e sulle dottrine di Aristotele.