3. Scetticismo antico

di Lorenzo Corti

3.1 La filosofia scettica e le sue due varianti

In generale essere scettici su di una questione significa sospendere il proprio giudizio al riguardo, non sottoscrivere alcuna opinione positiva. Con l’espressione “scetticismo antico” (dalla radice greca sképsis, “indagine”) si indica una tendenza filosofica che nasce nella Grecia classica e che sistematizza questo atteggiamento: una filosofia scettica raccomanda la sospensione del giudizio riguardo a una parte (o addirittura alla totalità) delle indagini umane. Lo scetticismo filosofico si sviluppa in due varianti. La prima, quella pirroniana, deve il suo nome al suo fondatore Pirrone di Elide e vede tra i suoi protagonisti Timone di Fliunte, Enesidemo, Agrippa e Sesto Empirico. La seconda, lo scetticismo accademico, è legata a una fase dell’Accademia platonica; suoi esponenti di spicco sono Arcesilao di Pìtane, Carneade di Cirene e Filone di Larissa.

ESERCIZIO

E13: Scetticismo

3.2 I pirroniani

Pirrone di Elide

Pirrone di Elide è una figura per noi misteriosa. Pittore di formazione, studia con il sofista Brisone e con il filosofo democriteo Antigone; assieme a quest’ultimo e ad altri filosofi partecipa alla spedizione di Alessandro il Grande in Asia e in India. Non scrive nulla; della sua vita e del suo pensiero ci informano Diogene Laerzio e il peripatetico Aristocle di Messene, che presenta il pirronismo secondo la visione di Timone di Fliunte, collaboratore e portavoce di Pirrone.

Timone di Fliunte

Timone sostiene che chi vuole essere felice deve badare a come le cose sono per natura, a quale deve essere la nostra disposizione verso di esse e a qual è il risultato di tale disposizione: Pirrone mostra che le cose sono egualmente senza differenze, senza stabilità, indiscriminate; perciò né le nostre sensazioni né le nostre opinioni sono vere o false. Non bisogna quindi dare loro fiducia, ma essere senza opinioni, senza inclinazioni, dicendo di ogni cosa “è non più che non è”, oppure “è e non è”, oppure “né è, né non è”. A coloro che si troveranno in questa disposizione deriverà dapprima la non-asserzione, poi l’imperturbabilità.

Subito dopo la morte di Timone non si ha lo sviluppo di una vera e propria scuola pirroniana. Diogene Laerzio nomina diversi personaggi che mantengono in vita il pirronismo ad Atene e ad Alessandria, ma è solo con Enesidemo che esso torna in auge in una forma rinnovata, spesso denominata neopirronismo.

3.3 Gli accademici

Arcesilao di Pìtane

Alla figura di Arcesilao è legata la seconda variante dello scetticismo, quella definita accademica. Egli diventa, infatti, scolarca dell’Accademia attorno al 265 a.C. e, con la collaborazione del suo successore (non immediato) Carneade di Cirene, la converte allo scetticismo (orientamento che sarebbe durato per più di due secoli). Arcesilao si ispira al Socrate esaminatore, ossia al suo implacabile investigare i fondamenti delle proprie e altrui credenze. Non scrive nulla: la sua posizione deve essere ricavata dalle testimonianze di Cicerone, Sesto Empirico e altri autori tardi.

Componente essenziale della filosofia di Arcesilao è la sistematica messa in discussione di tesi filosofiche. Arcesilao eredita da Socrate il suo metodo di confutazione: usando le loro regole di inferenza, egli deriva dalle dottrine dei suoi avversari non-scettici (i “dogmatici”) conclusioni per loro inaccettabili. Dimostrando, così, la falsità delle dottrine dogmatiche.

Oggetto della critica di Arcesilao è, in particolare, la tesi stoica secondo cui esiste un criterio di verità: quella che viene definita “rappresentazione catalettica”. Gli stoici sostengono che se sai qualcosa, devi averlo “appreso”; che l’apprendere significa dare l’assenso a una impressione o rappresentazione apprensiva; e che l’impressione di qualcosa è apprensiva se è vera di quella cosa, se è causata da quella cosa e se non può essere causata da nient’altro. Perché tu sappia che piove occorre che piova, che il fatto che piove abbia causato la tua impressione che piove, e che la tua impressione che piove non possa essere causata da nient’altro. Arcesilao sostiene che la terza condizione non può mai essere soddisfatta, e dunque che non vi sono impressioni apprensive. Poiché nulla è apprensibile, il saggio non sa nulla. D’altronde il saggio non può avere mere opinioni: ne consegue che, secondo Arcesilao, anche per gli stoici il saggio sospende il giudizio. Mancando un criterio di verità, lo scettico di Arcesilao sospende il giudizio su tutto.

A questo scettico i dogmatici (in particolare gli stoici) rivolgono la cosiddetta “obiezione di inattività”: se lo scettico sospende il giudizio non è in grado di agire, e quindi di vivere. L’obiezione presuppone che per agire siano necessari impulso, impressione e assenso. Per potere gustare un fico maturo, devi avere avuto l’impulso o desiderio di mangiare un fico maturo, ricevuto l’impressione che quel fico pare maturo, dato il tuo assenso alla tua impressione e formato la credenza che quel fico è maturo. Nella sua replica, Arcesilaonega questo presupposto: per spiegare l’atto dello scettico sono sufficienti desiderio e impressione; lo scettico vuole mangiare un fico maturo, il fico gli sembra maturo, perciò lo mangia. Questo non significa che agisca in modo non-razionale, come un animale: “Chi sospende il giudizio su tutte le cose” riporta Sesto Empirico “regolerà le scelte e i rifiuti e, in genere, le proprie azioni secondo ciò che è ragionevole e, procedendo in conformità con questo criterio, agirà con successo”. Uno scettico sceglierà di eseguire quelle azioni che, se eseguite, possono essere difese razionalmente.

Carneade

Alla morte di Arcesilao il suo pensiero continua a essere insegnato all’interno dell’Accademia senza modifiche rilevanti, fino all’arrivo di Carneade. Nato a Cirene, Carneade emigra ad Atene per studiare logica sotto la direzione dello stoico Diogene di Babilonia. Fa quindi il suo ingresso nell’Accademia e la guida tra il 167 e il 137 a.C. Nel 155 a.C. viene inviato come ambasciatore a Roma, dove impressiona l’uditorio con i suoi argomenti pro e contro la giustizia. Carneade rinnova l’impronta scettica data all’Accademia da Arcesilao, ampliandone l’arsenale e i bersagli. La sua maggiore innovazione consiste nella introduzione del concetto di “plausibile”.

Carneade polemizza con lo stoicismo: propone argomenti contro l’esistenza degli dèi e la pretesa di determinare il bene supremo dell’uomo, la scienza della divinazione e il determinismo causale che essa presuppone. Come Arcesilao, Carneade attacca la nozione di impressione apprensiva. Per sapere che piove, devi avere dato il tuo assenso alla impressione apprensiva che piove, tale cioè da potere essere causata solo dal fatto che piove. Ma impressioni di questo tipo non esistono: per ogni impressione vera è sempre possibile trovare una corrispondente impressione falsa indistinguibile da essa. Nessuna impressione è apprensiva; dunque non possiamo sapere nulla.

Possiamo tuttavia distinguere, tra le nostre impressioni, quelle plausibili da quelle implausibili, quelle più plausibili da quelle meno plausibili, quelle contraddette da impressioni concomitanti da quelle non così contraddette. Possiamo inoltre esaminare le nostre impressioni: esse possono essere sempre false, ma preferiremo le plausibili alle implausibili, le più plausibili alle meno plausibili, e quelle non-contraddette e scrutinate (ossia esaminate) a tutte le altre.

Le fonti presentano il plausibile di Carneade come un criterio d’azione. È un modo di spiegare come lo scettico dovrebbe agire? Lo scettico deve agire in modo razionale, cioè sulla base del plausibile? Oppure si tratta di un modo di spiegare come lo scettico, pur sprovvisto di credenze, possa agire e non sia quindi destinato alla morte come volevano i dogmatici? Lo scettico, in altre parole, può vivere perché può agire sulla base delle proprie impressioni plausibili? Le fonti non ci consentono di affermare con certezza una delle due possibilità.

Filone di Larissa

Gli immediati successori di Carneade non introducono innovazioni di rilievo nell’insegnamento accademico, ma le cose cambiano con Filone di Larissa. Dopo aver frequentato per quindici anni l’Accademia guidata da Clitomaco, Filone gli succede nel 110-109 a.C. In seguito all’invasione di Atene da parte di Mitridate, si trasferisce a Roma, dove prosegue l’insegnamento e rimane sino alla morte. Ad Atene, da capo dell’Accademia, Filone adotta dapprima l’interpretazione radicalmente scettica di Carneade, proposta da Clitomaco, e quindi l’interpretazione dottrinale avanzata da Metrodoro di Stratonicea. Nella seconda fase della carriera, a Roma, Filone assume una posizione ancora diversa. Egli sostiene che, quanto all’impressione apprensiva, le cose sono inapprensibili; mentre relativamente alla natura delle cose stesse, esse sono apprensibili. In altre parole, non si può apprendere e sapere nulla solo nel caso in cui restiamo ancorati alla caratterizzazione stoica di apprensione. Ma questa è falsa: in particolare Filone nega che una impressione apprensiva debba essere tale per cui non può provenire da altro che da ciò da cui di fatto proviene. Dunque è possibile sapere qualcosa: il fatto che non vi sia apprensione in senso stoico non implica che non vi sia sapere.

3.4 I neopirroniani

Enesidemo

Attivo attorno alla metà del I sec. a.C., Enesidemo ritiene che l’Accademia sotto la direzione di Filone abbia abbandonato il carattere genuinamente scettico e reagisce proponendo un ritorno al pirronismo e, di fatto, rifondandolo. Scrive un’opera in otto libri, i Discorsi pirroniani, pervenuti a noi in forma di riassunto grazie al catalogo del patriarca bizantino Fozio. Nel primo libro Enesidemo accusa gli Accademici di essere vincolati a credenze e a essi contrappone il proprio scetticismo. Lo scettico considera impressioni e pensieri in opposizione; per questa via accede alla sospensione del giudizio, cui segue la tranquillità; non determina nulla, ma segue le proprie impressioni. Nel resto dell’opera Enesidemo attacca i concetti chiave di fisica, logica ed etica dogmatica per provocare la sospensione del giudizio al loro riguardo.

A Enesidemo è attribuita la paternità dei “dieci modi della sospensione del giudizio”: forme di argomenti con cui lo scettico arriva a produrre appunto questo stato psicologico. I modi funzionano secondo il seguente schema: uno stesso oggetto x appare F nella situazione S, ma appare F* nella situazione S*, dove F e F* sono proprietà incompatibili. Ma le impressioni sono equipollenti: non possiamo preferire S a S* (o viceversa). Perciò approdiamo alla sospensione del giudizio: non possiamo giudicare né che x è F, né che x è F*. I dieci modi differiscono per le situazioni cui fanno riferimento: tipi di animale, esseri umani, sensi, stati psicologici, posizioni, distanze e luoghi, mescolanze, composizione dell’oggetto percepito, relatività, frequenza del fenomeno, leggi, costumi, modi di vita.

Nei due secoli che separano Enesidemo da Sesto Empirico il movimento pirroniano sopravvive senza rivaleggiare per importanza con le scuole filosofiche più importanti.

Agrippa

Alla lista dei seguaci dello scetticismo redatta da Diogene Laerzio sembra doversi aggiungere Agrippa, vissuto probabilmente nella seconda metà del I sec. Di Agrippa non sappiamo quasi nulla, ma sia Sesto che Diogene gli attribuiscono una delle più notevoli creazioni dello scetticismo antico: i “cinque modi di sospensione del giudizio”. Supponi di star per dare il tuo assenso a una proposizione P. O hai qualcosa da dire a sostegno di P, o assolutamente nulla. Ma se non hai nulla da dire a sostegno di P, non devi dare il tuo assenso a tale proposizione (modo ipotetico). Se invece hai qualcosa da dire a supporto di P, ad esempio Q, allora o Q coincide con P, oppure no. Se Q coincide con P, allora devi sospendere il tuo giudizio su P, in quanto stai usando un argomento circolare, non valido (modo della reciprocità). Se Q non coincide con P, allora o non hai nulla da dire a sostegno di Q (e in questo caso, devi sospendere il giudizio su Q e di conseguenza su P), o hai qualcosa da dire in suo favore, diciamo R. Ora possiamo dire di R quanto abbiamo detto a proposito di Q, e potrai evitare di sospendere il giudizio solo introducendo una nuova proposizione S; e così via all’infinito. Ma non puoi andare all’infinito (modo del regresso all’infinito), perciò non c’è via d’uscita: devi sospendere il tuo giudizio su P.

Sesto Empirico

L’unico autore pirroniano di cui possediamo intere opere è Sesto Empirico, nostra fonte principale per lo scetticismo greco. Medico e filosofo, Sesto visse nella seconda metà del II secolo d.C. Delle sue opere possediamo gli Schizzi pirroniani (un resoconto del pirronismo in tre libri) e un gruppo di undici libri raggruppati sotto l’appellativo di Contro i matematici. Il primo libro degli Schizzi contiene una descrizione dello scetticismo, il secondo e il terzo una critica sistematica delle principali tesi sostenute dai dogmatici in logica, fisica ed etica; Contro i matematici contiene l’attacco di Sesto nei confronti di tutte le scienze. Secondo Sesto, lo scetticismo è una posizione filosofica che determina un certo modo di vivere. Il filosofo scettico, come quello dogmatico e accademico, conduce indagini; le indagini dello scettico però non conseguono alcun risultato. Il pirroniano infatti, nell’investigare, esercita una capacità che gli è propria: quella di opporre gli oggetti della percezione sensoriale e gli oggetti del pensiero in qualsivoglia maniera; una capacità grazie alla quale, in virtù della equipollenza degli oggetti e dei discorsi contrapposti, egli accede dapprima alla sospensione del giudizio, e quindi alla tranquillità. Lo scettico inizia l’indagine ponendo una questione (“Esiste la provvidenza?”) che esige una risposta affermativa o negativa. Ricercatore scrupoloso, egli accumula tutte le ragioni a sostegno dell’una e dell’altra risposta, e dopo averle esaminate non è in grado di preferire le une alle altre. Perciò si trova nell’incapacità di rispondere alla domanda che si era posto; e ciò causa uno stato di tranquillità.

TESTO

T11: Sesto Empirico, Tre differenti filosofie

La descrizione dello scettico pirroniano, come tratteggiata da Sesto Empirico, ha alimentato un ampio dibattito. Qual è il dominio del suo scetticismo? Alcuni interpreti hanno suggerito che il pirroniano sospenda il giudizio su qualsiasi questione e non possieda alcuna credenza; altri che lo sospenda solo sulle questioni scientifico-filosofiche dibattute dai dogmatici e che sia libero di possedere credenze ordinarie. Anche Sesto, come gli accademici, affronta l’obiezione dogmatica in base alla quale un atteggiamento scettico avrebbe come conseguenza logica la totale inattività. Le azioni umane sono spiegate caratteristicamente in termini di credenze e desideri dell’agente. Lo scettico non possiede credenze; dunque non può agire. A questa obiezione Sesto replica fornendo gli elementi che spiegano le azioni dello scettico in assenza di credenze: le sue impressioni, le sue abitudini fondate sul rispetto di leggi e costumi, le sue abilità. La spiegazione fornita intende spiegare non solo il singolo atto eseguito dallo scettico, ma anche le attività e le pratiche sociali da lui esercitate.

TESTO

T13: Sesto Empirico, Seguire i fenomeni

Di particolare interesse e originalità sono le considerazioni di Sesto sul comportamento linguistico scettico. Benché lo scettico proferisca frasi dalla forma grammaticale dichiarativa (“x è F”), egli le usa in modo “catacrestico”, ossia per significare non uno stato di cose a lui esterno ma uno stato psicologico in cui si trova quando le proferisce (il fatto che x gli appaia F); ad esempio, “io vedo un gatto” significherebbe “sono sicuro che la mia mente mi sta rappresentando un gatto”. Queste osservazioni costituiscono una risposta a una implicita obiezione dogmatica, stando alla quale lo scettico, nel formulare frasi di forma dichiarativa, ne affermerebbe il contenuto, manifestando di crederlo vero. In questo senso, la risposta precisa che le frasi scettiche non sono affermazioni (e quindi manifestazioni di credenze) ma pure manifestazioni di affezioni, alla stregua di grida. È stato inoltre sottolineato come Sesto riconosca che lo scettico può comprendere le tesi e le nozioni dogmatiche e come egli accarezzi l’idea che lo scettico possa padroneggiare le espressioni di una lingua seguendo l’uso che ne fanno i suoi interlocutori diretti.

TESTO

T12: Sesto Empirico, Qual è il fine dello scetticismo