Archimede nasce nel 287 a.C. a Siracusa, dove trascorre l’intera esistenza – tranne forse un periodo di studi ad Alessandria – e dove muore, settantacinquenne, per mano di un soldato romano durante il sacco della città nel 212 a.C. Matematico, fisico e astronomo, Archimede è tra i massimi scienziati di tutta l’antichità.
Archimede compone due trattati di argomento fisico: Sull’equilibrio dei piani e Sui corpi galleggianti. Nel primo egli affronta la teoria della leva, il cui principio fondamentale, secondo il quale due corpi sono in equilibrio se i loro pesi stanno in proporzione inversa alle rispettive distanze dal fulcro, era noto da tempo. Dell’argomento, infatti, si erano già occupati gli aristotelici.
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Le invenzioni di Archimede
Ma l’approccio di Archimede è totalmente diverso e si fonda sul solo postulato di simmetria, secondo il quale i corpi (omogenei) a simmetria bilaterale sono in equilibrio. Egli inizia la sua dimostrazione da una leva, di peso trascurabile, i cui bracci hanno entrambi una lunghezza pari a due unità. Alla leva sono applicati tre pesi uguali, due dei quali situati alle estremità dei bracci e uno sul fulcro (in fig. situazione A). Per il postulato di simmetria, il sistema risulta in equilibrio. Prendendo poi in considerazione un solo braccio, per esempio quello di destra, possiamo constatare che, in virtù del medesimo postulato, esso si trova in equilibrio rispetto al proprio centro (in fig. situazione B). Considerando di nuovo il sistema nel suo insieme, si ha dunque che, in questa nuova configurazione, il peso di sinistra, posto a due unità di lunghezza dal fulcro, controbilancia esattamente i due pesi, applicati a un braccio di lunghezza unitaria (in fig. situazione D). Generalizzando il procedimento, Archimede riesce a dimostrare il principio della leva con un metodo matematico, lontano dall’approccio speculativo dei suoi predecessori e assai simile, per rigore logico, a quello utilizzato da Euclide negli Elementi, stabilendo così, per la prima volta, quel legame tra matematica e meccanica destinato a caratterizzare la fisica moderna.
Nel trattato Sui corpi galleggianti, in due libri, Archimede formula il principio idrostatico, che ancora oggi porta il suo nome, secondo cui un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto uguale al peso del volume di fluido spostato. Fu in seguito a questa scoperta che Archimede pare avesse esclamato il leggendario “Éureka!” (“Trovato!”).
ESERCIZIO
E16: La scienza
Nel campo della matematica, i contributi di Archimede sono di straordinaria importanza. Nell’Arenario egli calcola il numero di granelli di sabbia che occorrerebbero per riempire completamente l’universo. Non si tratta di un mero esercizio accademico: ad Archimede serve un numero enorme, che non sia tuttavia una pura astrazione priva di significato fisico. Lo scopo del trattato è infatti quello di illustrare un sistema di numerazione esponenziale, da lui elaborato, potenzialmente in grado di esprimere qualunque numero. Egli assume così, per tutte le grandezze in gioco (raggio terrestre, distanza Terra-Sole ecc.), valori abbondantemente sovrastimati rispetto a quelli adottati al tempo, ed effettua il calcolo sulla base della teoria eliocentrica di Aristarco, che implicava un universo di dimensioni assai maggiori rispetto ai modelli geostatici.
ESERCIZIO
E17: La scienza
LETTURE
L'atronimia ellenistica
Il breve trattato Sulla misurazione del cerchio, che avrà larga diffusione durante il Medioevo, contiene – ammesso che l’opera ci sia giunta in maniera completa – tre sole proposizioni. Tra queste la dimostrazione del teorema secondo cui l’area di un cerchio è equivalente a quella di un triangolo rettangolo che ha per cateti il segmento rettificante la circonferenza e il raggio del cerchio stesso, il che equivale a dire che l’area del cerchio, secondo la notazione moderna, è uguale a πr2. Di grande originalità è la proposizione numero tre, che contiene un metodo, oggi noto come “algoritmo archimedeo”, per calcolare il valore di π con una qualsivoglia approssimazione. L’aspetto assolutamente innovativo di questo metodo risiede nell’avere, per così dire, eliminato la geometria sottostante, riconducendola a una procedura puramente aritmetica, reiterabile all’infinito per giungere all’approssimazione desiderata.
Nel trattato Sulle spirali Archimede definisce cinematicamente la curva che porta oggi il suo nome, la “spirale di Archimede” appunto, come il luogo piano di un punto che si muove uniformemente su di una semiretta partendo dal suo estremo, mentre, incentrata su questo, essa ruota con velocità angolare uniforme. Gli studi sulla spirale lo conducono a due risultati di grande importanza: il calcolo dell’area del primo giro della spirale e la determinazione, per qualsiasi punto della curva, della direzione della tangente (a quanto consta, nessuno prima di allora aveva mai determinato la tangente di una curva che non fosse una circonferenza).
Archimede si occupa a fondo anche del calcolo delle superfici delimitate da coniche o da segmenti di coniche. Nel trattato Sulla quadratura della parabola, servendosi ancora del metodo di esaustione, dimostra che l’area di un segmento parabolico è uguale ai 4/3 del triangolo che ha per base e per altezza rispettivamente la base e l’altezza del segmento parabolico. Archimede tuttavia non giungerà a trovare una soluzione generale, valevole cioè anche per l’ellisse e per l’iperbole, al problema dell’area dei segmenti di una conica.
Il trattato Sulla sfera e sul cilindro contiene numerosi e importantissimi teoremi relativi a questi due solidi, tra i quali il teorema secondo cui il volume di una qualsiasi sfera è uguale a quattro volte quello del cono che ha la base uguale al cerchio massimo della sfera e l’altezza uguale al raggio della stessa, e quello relativo alla superficie delle calotte sferiche. Ma il trattato contiene anche il teorema di cui forse Archimede andava più fiero, tanto da fare incidere sulla propria tomba una sfera inscritta in un cilindro circolare retto di altezza uguale al diametro della sfera: il rapporto tra i volumi dei due solidi sta nello stesso rapporto delle rispettive aree, ovvero 3/2.
Molte opere di Archimede sono andate perdute. Per questo vale la pena ricordare brevemente la fortunosa storia di un celebre palinsesto (cioè un codice manoscritto il cui testo originale è stato cancellato e sul quale è stato scritto un nuovo testo), contenente alcune sue opere. Il palinsesto di Archimede fu scritto nel X secolo, probabilmente a Costantinopoli. All’inizio del XIII secolo il manoscritto fu raschiato e utilizzato per trascrivervi un testo di preghiere ortodosse. Nel XIX secolo si scoprì l’esistenza di testi matematici ancora leggibili sotto la riscrittura e, dal 1906 al 1908, il palinsesto fu esaminato dal celebre filologo danese Johan Ludvig Heiberg che vi individuò la presenza di alcune opere di Archimede. Oltre agli scritti di altri autori e a testi di Archimede già noti, esso contiene un trattato, Il metodo, che era precedentemente sconosciuto. La scoperta di questo testo ha segnato una svolta decisiva nell’interpretazione dell’intera opera di Archimede. In tutti gli altri suoi trattati, infatti, non v’è quasi mai traccia delle indagini antecedenti alla formulazione definitiva dei suoi teoremi e delle relative dimostrazioni.
Il metodo di Archimede è mutuato dalla meccanica e, per questo, egli stesso non lo considera rigoroso. Pur tuttavia esso rivela un grande valore euristico in quanto, pur non essendo rigoroso, rende plausibile il risultato. Infatti tale metodo è capace di agevolare la ricerca di nuovi teoremi e delle relative dimostrazioni, successivamente formalizzate in maniera rigorosa attraverso il metodo di esaustione. “Spesso io scopersi con l’aiuto della meccanica proposizioni che ho poi dimostrato col mezzo della geometria, perché il metodo in questione non costituisce una vera dimostrazione. Giacché riesce più facile, dopo che con tale metodo si sia acquistata una cognizione all’ingrosso delle questioni, immaginarne poi la dimostrazione, che se si cercasse questa senza alcuna nozione preliminare”.
Con questo metodo, Archimede scoprirà, ad esempio, il teorema relativo all’area del segmento parabolico. Egli giunge, infatti, a formularne l’enunciato immaginando di porre in equilibrio su una bilancia segmenti (di retta) appartenenti al segmento di parabola, esattamente come si fa in meccanica quando si pongono in equilibrio dei pesi sui bracci di una leva.