3. Epitteto e Marco Aurelio

di Angelo Giavatto

3.1 Epitteto

La nozione di “scelta” è un concetto fondante della filosofia di Epitteto (50-125/130 ca.), protagonista, con Seneca e Marco Aurelio, dello stoicismo di età imperiale. Essa coinvolge la riflessione sulla libertà umana e costituisce tanto il fondamento quanto il criterio che regola l’attività filosofica.

Con “scelta” si traduce il termine greco proáiresis, dal verbo proairéo, composto dal preverbo pro- (“prima”) e da airéo (“prendere”, “scegliere”, “preferire”). Pro- può avere due significati: temporale (“prima” nel tempo) o comparativo (“prima” rispetto a qualcos’altro che viene tralasciato). Nel primo significato il termine era impiegato dagli stoici antichi, che intendevano probabilmente la proáiresis come una “scelta preliminare” di condotta di vita. Aristotele aveva invece assegnato al prefisso un significato comparativo, intendendo proáiresis come “scelta preferenziale” presa mediante deliberazione e definendola un “desiderio deliberativo che riguarda le cose che dipendono da noi” (Etica Nicomachea 3,5, 1113a 10-11). Oltre che il significato comparativo, Epitteto deve ad Aristotele anche il concetto di “ciò che dipende da noi”. Tuttavia, rispetto ad Aristotele, egli afferma che solo la proáiresis e le “azioni proairetiche” dipendono da noi, mentre il resto (corpo, oggetti, individui) è indipendente: ciò che dipende da noi non è l’oggetto della proáiresis ma si identifica con essa.

Epitteto assegna la facoltà di scelta a ogni essere umano, in particolare a colui che si impegna nella via del perfezionamento permessa dalla filosofia. Per Epitteto, infatti, la proáiresis è lo strumento necessario per conseguire la libertà, il “bene supremo” a cui ciascun essere umano deve tendere e che permette di vivere in autonomia rispetto all’esterno e a ciò che sfugge al controllo individuale. La proáiresis è lo strumento capace di condurre a tale condizione e in quanto tale deve essere considerata come una facoltà o un atto mentale piuttosto che come il risultato di un atto deliberativo.

ESERCIZIO

E8: Epitteto

TESTO

T10: Epitteto, Vaticinio

TESTO

T11: Epitteto, Progresso

TESTO

T12: Epitteto, Ostacoli e libertà

Bene supremo e beni esteriori

Se si intende proáiresis come “scelta” – o “facoltà di scelta” – è necessario verificarne il senso dal punto di vista relazionale: “scelta” di che cosa? O tra che cosa? Per Epitteto la scelta si compie tra i vantaggi esteriori e ciò che mira al bene supremo; quest’ultimo, come si è visto, consiste nella somma espressione della scelta, nel raggiungimento della libertà. L’idea di scelta come espressione perfetta della facoltà di scegliere non è circolare o tautologica, ma va letta nel contesto del progresso individuale. Tale facoltà appartiene a ogni essere umano e gli permette di scegliere spontaneamente il bene. All’inizio essa è sovrastata dagli influssi esterni, dalle false opinioni e dalla subordinazione dell’intelletto agli impulsi corporei. Contro tale corruzione essa deve essere esercitata con costanza, allo scopo di “irrobustirsi” e riuscire a opporsi agli influssi esterni. Alla fine di questo processo, l’individuo avrà ristabilito la condizione naturale di spontanea e autonoma scelta del bene, raggiungendo la libertà.

Identificandosi con il bene, la proáiresis acquista in Epitteto un’importanza pervasiva. Alla luce di essa Epitteto reinterpreta la dottrina stoica degli indifferenti, le parti del reale che non appartengono né ai beni né ai mali: gli indifferenti sono gli oggetti esterni alla proáiresis, a cui essa può applicarsi ma che ad essa rimangono estranei. D’altra parte, la bontà e la cattiveria umane non sono altro che “un tipo particolare di scelta”.

LETTURE

Stoicismo

ESERCIZIO

E9: Epitteto

La “scelta” e l’azione morale

La “scelta” possiede una portata etico-pratica in Epitteto. La proáiresis interviene in effetti in tutti e tre gli ambiti che articolano secondo Epitteto la filosofia: la dottrina del desiderio, relativa a ciò che appare come un bene o come un male (l’individuo dovrà estirpare ogni passione e orientare i propri slanci alla sola proáiresis); la dottrina dell’impulso (definito come un atto della proáiresis), relativa a ciò che è appropriato o inappropriato; la dottrina dell’assenso, relativa a ciò che è vero o falso (in quanto operazioni psichiche, tanto l’impulso quanto l’assenso sono soggetti al controllo della proáiresis).

Con la proáiresis, il fulcro della speculazione è posto nell’agire e l’esercizio filosofico è volto al raggiungimento della completa razionalità nell’azione, nell’ambito di “ciò che dipende da noi”. Essa si inscrive nella prospettiva del lavoro su se stessi e del progresso individuale aperto a ciascun essere umano: ciascun uomo è dotato per natura di tale facoltà, inizialmente debole come altre facoltà, fisiche o mentali, ma capace di esercitare se stessa per ripristinare il proprio stato di natura, libero da ogni incrostazione esterna. Quando la scelta sarà pienamente esercitata e del tutto consolidata, ciascun uomo potrà gestire le proprie azioni e la propria presenza nel mondo in completa autonomia: “la mia scelta, nemmeno Zeus la può vincere”.

3.2 I Pensieri di Marco Aurelio: la filosofia come discorso a se stesso

Marco Aurelio (121-180, imperatore dal 161) scrive i Pensieri negli ultimi anni della propria vita, che trascorre sui campi di battaglia. Con questo scritto Marco Aurelio intende comunicare con se stesso per tenere vivi nella propria anima i principi dello stoicismo, così da renderli un possesso stabile del proprio universo interiore e da determinare grazie ad essi il proprio comportamento e la propria disposizione nei confronti del mondo.

Il discorso interiore

Tale progetto, per l’estensione e la qualità del risultato, può essere ritenuto il primo esperimento significativo di pratica del discorso interiore nell’antichità (pur non mancando precedenti episodi embrionali, come il dialogo tra Odisseo e il suo cuore nel ΧΧ libro dell’Odissea, vv. 12-21, oltre che discussioni teoriche, come quella sul pensiero come “discorso dell’anima con se stessa” nel Teeteto platonico, 189e-190a). Esso si fonda su una precisa posizione epistemologica – ammettere la legittimità e la possibilità dell’autopersuasione e dell’intervento sul proprio universo interiore – e presuppone scelte stilistiche e argomentative coerenti con lo scopo prefisso.

La necessità, per Marco Aurelio, di rivolgersi a se stesso presuppone l’assenza di un concreto interlocutore esterno; essa possiede tuttavia implicazioni più profonde, di interesse filosofico. Marco Aurelio, per estrazione sociale e culturale, può godere delle più evolute e raffinate forme di educazione disponibili nel II secolo d.C. Ciò lo porta a contatto con le filosofie del tempo e con lo stoicismo in particolare; e alla filosofia egli si dedica pur sapendo che i suoi doveri non gli avrebbero permesso di essere un filosofo di professione. L’esperienza dell’apprendistato filosofico è presente nei Pensieri in un doppio registro: come bacino di dottrine e come modello di confronto dialettico, di domanda e risposta tra la voce di un maestro e quella di un allievo. Con la scrittura dei Pensieri Marco Aurelio fonde i due registri e impegna se stesso in un lavoro che sul piano dei contenuti si rifà alle dottrine apprese e sul piano del metodo al modello dialogico e didattico; soltanto, nei Pensieri fa coincidere i due interlocutori presupposti dal modello dialogico e pedagogico con la medesima persona: se stesso.

ESERCIZIO

E11: Marco Aurelio

In un passo dell’opera (5,16,1) l’imperatore filosofo afferma: “quali sono le cose frequentemente impresse, tale sarà la tua mente: l’anima infatti viene impregnata dalle impressioni”. Come dimostra il seguito del testo, tali impressioni (phantasíai) capaci di determinare la struttura della mente – e di conseguenza il comportamento – possiedono un contenuto proposizionale; non a caso Marco Aurelio propone come esempio di phantasía un breve sillogismo: “dove è possibile vivere, là è anche possibile vivere bene; ma in una corte è possibile vivere; dunque in una corte è possibile anche vivere bene”.

TESTO

T13: Marco Aurelio, Dialogo rivolto a se stesso

Autosufficienza del singolo

Un altro passo dei Pensieri (4,3,1-9) illustra in maniera pressoché esauriente la concezione e la pratica del dialogo rivolto a se stesso, che si fonda su un principio di autosufficienza del singolo nel raggiungimento della serenità e del distacco dalle inquietudini quotidiane, scopi, questi, che dall’epoca ellenistica in poi furono condivisi dalla maggior parte delle scuole filosofiche e identificati con il fine stesso della filosofia.

In Marco Aurelio, come negli altri stoici della sua epoca, tale idea è radicata in una più ampia prospettiva intersoggetiva e di relazione con il mondo esterno: l’individuo deve ritenere la propria felicità individuale come autonoma rispetto all’esterno, cioè rispetto agli oggetti materiali e agli altri esseri umani, e nel contempo sforzarsi per esprimere al massimo grado la propria natura sociale, di agire cioè nell’interesse degli altri, soprattutto quando ricopre un ruolo di responsabilità come quello che appunto Marco Aurelio ricopriva (alle occupazioni quotidiane bisogna dunque sempre fare ritorno).

TESTO

T14: Marco Aurelio, L’egemonico

Conciliazione con il reale

Il ritiro in se stessi comporta l’eliminazione del dolore e l’accettazione della realtà in quanto tale, allontanando ogni forma di stupore o di malcontento, giacché la realtà è il risultato di un ordine razionale e come tale deve essere accettata e “amata” dal singolo. Il ritiro in se stessi e la conseguente conciliazione con il reale si realizzano mediante risorse interiori che sono in grado di ristabilire un equilibrio personale che Marco Aurelio definisce “compostezza” (eukosmía) e che è minacciato dalle attività quotidiane, oltre che dalla tendenza all’errore. Il lavoro filosofico di reazione alle distrazioni e all’errore mediante il ritiro in se stessi deve essere effettuato con costanza, così da trasformare tale tentativo di miglioramento in un possesso duraturo. Le risorse interiori a cui fa riferimento Marco Aurelio sono “principi” ispirati alla filosofia, dotati di natura proposizionale e che, per essere efficaci e a pronta disposizione, debbono essere concisi.

ESERCIZIO

E12: Marco Aurelio

Cancellazione del dolore

L’eliminazione del dolore e del malcontento nei confronti della realtà coinvolge pulsioni giudicate come inopportune (il desiderio di fama) e altri ambiti del rea-le: il rapporto con gli altri esseri umani (nello specifico con la loro malvagità), l’accettazione del destino, la gestione degli impulsi corporei.

Ad ogni forma di malcontento che Marco Aurelio intende sradicare da se stesso corrispondono esempi concreti, diversificati sul piano espressivo: può trattarsi di mere asserzioni sulla natura e la struttura del mondo (“gli esseri razionali sono nati gli uni per gli altri”), riguardare più direttamente il dominio dell’etica (“sopportare è una parte della giustizia”), consistere in veri e propri esperimenti mentali di osservazione della realtà da una particolare prospettiva (contemplare l’estensione infinita dello spazio e del tempo per ridimensionare il desiderio di fama) o avere una struttura più chiaramente dialettica e dimostrativa. Per esempio quando nei Pensieri Marco Aurelio contrappone dialetticamente le due ipotesi che l’universo abbia struttura razionale – tesi stoica – o che esso sia fatto di atomi – tesi epicurea – e sia privo di ordine, tale discussione ha lo scopo da un lato di rafforzare l’aderenza di Marco Aurelio alla tesi stoica e dall’altro quello di persuaderlo che anche qualora l’universo fosse disordinato egli dovrebbe persistere nel cammino di perfezionamento morale attraverso la filosofia. Anche in un contesto in cui i contenuti dottrinali sono dati per assodati, egli non rinuncia dunque a ripercorrere il cammino argomentativo che lo ha portato ad accettarli, dimostrando così una forma di “rispetto dialettico” di se stesso in quanto interlocutore.

Questi sono per Marco Aurelio i presupposti epistemologici, i temi e i metodi del discorso interiore del quale i Pensieri sono nel contempo registrazione e messa in atto. In tale dialogo con se stesso Marco Aurelio affronta i temi utili ad allontanare il “dolore” e lo “scontento” (la struttura razionale e provvidenziale del cosmo, la natura sociale dell’essere umano, l’indipendenza dal corpo) e utilizza le tecniche della persuasione (la forma aforistica, il dialogo fittizio, la parénesi, cioè il discorso di esortazione o ammonimento,) allo scopo di trasferire nel proprio pensiero tali contenuti e realizzare nella pratica la filosofia da lui accolta.

TESTO

T15: Marco Aurelio, Il giusto valore