1. Le enciclopedie medievali come modelli di sapere

di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri

1.1 Un “punto di vista” sul sapere passato e il giudizio sul presente

Nel medioevo l’enciclopedia si presenta come una serie di conoscenze selezionate e organizzate in una struttura unitaria secondo vari criteri (alfabetico, per argomenti e così via): ancor più della vastità delle notizie esposte (esistono anche enciclopedie settoriali) nell’enciclopedia ha rilievo il “punto di vista” sul sapere del passato e il giudizio sullo stato presente delle conoscenze. Nelle enciclopedie medievali, come in altre epoche, si può notare la presenza di due elementi in diverso equilibrio fra loro nei vari autori: (1) lo status quaestionis delle conoscenze esposte e (2) il tentativo di dare un senso allo scibile raccolto presentando implicitamente o esplicitamente un progetto di promozione e finalità del sapere. Adottando questa distinzione, si può utilmente confrontare le enciclopedie medievali sia con opere analoghe di altre epoche (ad esempio con quelle ellenistiche o con la Enciclopedia dell’età dei Lumi), sia con altre forme di sapere delle culture medievali cristiana, ebraica e islamica.

Il De Doctrina Christiana di Agostino

Nel De Doctrina Christiana di Agostino di Ippona è presente, e rilevante, una prospettiva progettuale che in diversa misura influenzerà altre enciclopedie medievali. Fra alcuni assiomi, importanti per l’organizzazione del sapere, Agostino ne enuncia con chiarezza tre: (1) la pagina della Bibbia è l’unica via per la salvezza e il testo per eccellenza sul quale confrontare il valore di ogni conoscenza; (2) ogni significato è contenuto in modo nascosto e “velato” nelle parole della Bibbia; (3) di conseguenza per comprendere la pagina sacra è necessario adottare il metodo per figuras, cioè la lettura figurata, congeniale del resto alla tendenza dell’epoca. Secondo Agostino la lettura figurata o allegorica è infatti, dopo la Caduta dall’Eden, una scelta obbligata per l’uomo divenuto incapace di comprendere intuitivamente la verità: il linguaggio è quindi per l’uomo-viator un impreciso (anche se indispensabile) mezzo di comunicazione, e analogie e similitudini sono gli strumenti fondamentali.

Nel De Doctrina Christiana centrale è l’analogia del “furto sacro” che segnala il rapporto con la cultura pagana: come gli ebrei fuggendo dalla schiavitù degli Egizi sottrassero e portarono con sé le ricchezze dei loro padroni, così i cristiani per costruire la nuova cultura a buon diritto devono sottrarre ai pagani il “tesoro delle arti liberali” insieme ad alcune norme morali e forme istituzionali politiche e sociali necessarie alla convivenza civile.

Boezio e Isidoro

Manlio Severino Boezio, attraverso le sue traduzioni e i commenti di Aristotele, tramanda agli autori delle enciclopedie un lessico rigoroso insieme alla formulazione precisa di problemi che diventeranno “classici”. Due secoli dopo Isidoro, vescovo di Siviglia (560-636), nei 20 libri delle Etymologiae sive Origines mira a “salvare il sapere antico”, oramai in pericolo, e a renderlo operante nell’istruzione dei prelati e dei funzionari del regno visigoto: le enciclopedie dei secoli successivi si rifaranno ampiamente alla sua trattazione delle arti liberali, del diritto, della medicina, della storia delle lingue, della società e della famiglia, della geografia, delle scienze naturali e delle tecniche. In Isidoro lo studio etimologico delle parole svolge la funzione di comprenderne il significato originario, di definirne l’utilizzo più appropriato (funzione normativa) e di raggiungere al tempo stesso la realtà di ciò che esse rappresentano (status ontologico). Le Etymologiae conobbero nel medioevo latino una vastissima diffusione contribuendo alla ricostruzione dello scibile antico in funzione politica e cristiana.

1.2 Le enciclopedie dal XII al XIII secolo

Nel XII secolo, l’età delle scuole cattedrali, la rinascita della società e della cultura segna una svolta anche nella storia delle enciclopedie che si avvalgono di testi nuovi provenienti dagli autori greci e arabi che ritornano in circolazione nell’Occidente latino proponendo nuove prospettive di valutazione.

Ugo di San Vittore

Nel Didascalicon di Ugo di San Vittore la filosofia, definita la “disciplina che cerca di stabilire le ragioni delle cose umane e divine”, comprende cinque parti: la teologia, la matematica, la pratica o morale, la logica e la meccanica. Novità principali sono, da un lato, la collocazione della teologia che, pur studiando l’oggetto più alto (l’intellectibile, realtà pura separata dalla materia e accessibile solo alla mente), è compresa all’interno della filosofia e coordinata alle altre scienze e, d’altro lato, la valutazione positiva delle arti meccaniche. Le sette arti o scienze “servili”, o “adulterine” o “meccaniche” (lavorazione della lana, architettura di edifici e navi, scienza della navigazione, agricoltura, tecniche della caccia, medicina e tecniche del teatro), erano infatti escluse dalla filosofia o vero sapere sia nella prospettiva platonica, dove si presentavano come copie artificiali delle cose – a loro volta copie naturali della realtà ideale – sia nel pensiero cristiano, che le giudicava semplici “rimedi” alle conseguenze del peccato originale. D’altronde, mentre nella società antica e altomedievale le sette arti “illiberali” erano attività praticate soltanto da uomini non-liberi, il mondo nuovo che si apre nel XII secolo con la suddivisione del lavoro all’interno delle città porta alla ribalta nuovi mestieri e il progresso delle tecniche necessarie alle nuove forme di vita sociale.

LETTURE

Le arti meccaniche

Un nuovo genere per un pubblico più vasto

A cominciare dalla fine del secolo XII le cosiddette “piccole enciclopedie”, al contrario delle opere nate nelle scuole (per esempio a Chartres e a San Vittore), sono libri “manuali” destinati a un pubblico più vasto e non specialistico (grandi mercanti, medici, giuristi, diplomatici) e al nuovo ceto cittadino che vuole essere informato sugli argomenti scientifici e morali con testi di agile e rapida consultazione. Ne sono prova l’assenza di ampie digressioni filosofiche e teologiche e, al contrario, la presenza più estesa di temi riguardanti la vita sociale e familiare, la politica e l’economia, anche domestica. Un esempio di questo nuovo genere di manuale enciclopedico è il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico che raccoglie e attinge a una pluralità di fonti sia tradizionali che nuove, come la Fisica di Aristotele, senza tuttavia un reale approfondimento e una discussione dei temi. Le sezioni sulla vita familiare e la medicina ebbero nei secoli vita autonoma e furono stampate e citate ancora nel Seicento.

Al secolo XIII appartengono due grandi e complesse enciclopedie di ampia fortuna, ristampate per molti secoli: quella di Vincent de Beauvais, precettore dei figli del re di Francia Luigi IX, e i trattati di Alberto Magno, famoso maestro universitario e grande conoscitore di Aristotele.

Lo Speculum naturale di Vincent de Beauvais, insieme allo Speculum doctrinale e allo Speculum historiale, rispecchiano la cultura universitaria contemporanea (con citazioni di Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Avicenna e Averroè) e testimoniano l’interesse prevalente dell’autore per la cultura araba. Nello Speculum doctrinale risalta la novità dell’epistemologia di Vincent: la logica perde il primato di “scienza delle scienze” (così la definiva Agostino) e rientra nelle litterae insieme alla grammatica e alla retorica; l’etica si divide in politica, economia e morale; le arti meccaniche sono descritte dall’autore dal vivo tanto che le pagine dedicate al tema restano un vero documento per la storia della tecnica medievale.

Alberto Magno, astronomia e scienze naturali

L’esposizione delle scienze fatta da Alberto Magno in vari trattati (De vegetalibus et plantis, De mineralibus, De meteoris) supera senz’altro la definizione di enciclopedia e testimonia la statura di auctor del maestro che mirava a commentare e “spiegare ai latini tutto il pensiero di Aristotele” e non a esporre un elenco di nozioni tratte da autori diversi. Nelle scienze naturali, Alberto corregge con l’esperienza e la conoscenza dal vivo alcune descrizioni aristoteliche. Il contesto generale dei trattati è la prospettiva magico-astronomica che proprio attraverso gli scritti di Alberto si diffonde nella cultura dell’epoca (si veda il terzo canto del Paradiso nella Divina Commedia). Si tratta di una prospettiva derivata dalla teoria aristotelica dove astrologia e metafisica sono saldate dall’affermazione della dipendenza del mondo sublunare dal moto dei cieli. Anche per Alberto Magno “tutte le cose naturali o prodotte dall’arte sono in prima istanza mosse dalla virtù celeste”.

1.3 Crisi dell’enciclopedia e progetti enciclopedici del XIII secolo

L’ampliarsi degli orizzonti culturali, l’aumento delle discipline studiate e dei testi di riferimento insieme ai nuovi interessi dei lettori sono gli aspetti emersi nelle opere di Vincent de Beauvais e Alberto Magno. Sono questi stessi elementi a imprimere al genere enciclopedico una svolta, evidente nell’opera di Ruggero Bacone e di Raimondo Lullo: dall’enciclopedia intesa come raccolta dello scibile dell’epoca si passa all’enciclopedia come progetto che prospetta, attraverso una nuova organizzazione del sapere, una riforma della società politica e religiosa.

La riforma di Ruggero Bacone

Nei frammenti del “discorso preliminare” a una enciclopedia mai realizzata (l’Opus maius, l’Opus minus e l’Opus tertium), Bacone, sensibile come molti francescani alle idee millenaristiche, lancia il progetto di un profondo rinnovamento della scienza e dell’ordine politico/religioso. L’inizio è un’opera di demolizione della cultura del tempo, asservita secondo Bacone a un’oramai sterile auctoritas e lontana dalla ricerca attiva, mentre nella “parte costruttiva” sono individuate le discipline indispensabili per il “recupero della verità”: la conoscenza delle lingue – latino, greco, arabo ed ebraico –, la matematica sull’esempio del maestro Roberto il Grossatesta vescovo di Lincoln e la scienza sperimentale che si fonda sull’osservazione dei fatti. Il modello di sapere che ne risulta, nuovo nel metodo e nei risultati, è per Bacone l’indispensabile base della riforma della Christianitas.

Lullo e l’arte “combinatoria”

L’arte “combinatoria”, simbolo dell’unità del sapere e della leggibilità del mondo, segna con forza l’opera vastissima (più di 250 titoli in latino e catalano) di Raimondo Lullo. Centrale l’idea di una clavis universalis (chiave di lettura universale) insieme logica e metafisica, attraverso la scomposizione di concetti complessi in elementi semplici, poi tradotti in simboli e lettere a creare un linguaggio logico perfetto.

Lullo, come Bacone, non redige un inventario di nozioni e auctoritates ma espone un’idea del sapere che crede in grado di promuovere un mutamento profondo nella società. È un aspetto questo che preannuncia il futuro percorso dell’enciclopedia, da sistema chiuso di sapere a “progetto per mutare il comune modo di pensare”, come scriveranno gli enciclopedisti francesi secoli dopo.

ESERCIZIO

E3: Le enciclopedie medievali

AMBIENTE CULTURALE

Le vie del sapere: traduzioni e cultura cittadina

La translatio

Tra XI e XII secolo si assiste a un grandioso processo di trasmissione del sapere conosciuto come Translatio studii. Esso consiste principalmente in un movimento di traduzione che nel corso di un paio di secoli permette all’Occidente di colmare alcune lacune teoriche, sia nei confronti della cultura greca (di cui si conosceva poco e sostanzialmente attraverso fonti secondarie), sia di quelle ebraica, araba e bizantina, che avevano da tempo raccolto e assimilato l’eredità greca. Fino all’XI secolo le auctoritates indiscusse sono gli autori della sapientia christiana (Padri latini e greci, Boezio, gli enciclopedisti come Cassiodoro e Isidoro di Siviglia) che rappresentano anche il principale veicolo della cultura greca. Il modello epistemologico dominante, la tradizionale divisione del sapere in trivio e quadrivio, viene messo in discussione con l’ingresso dei nuovi testi aristotelici (logica nova) e dei commenti arabi.

LETTURE

La filosofia dell'islam

LETTURE

Severino Boezio

LETTURE

Le arti liberali: Cassiodoro e Marziano Capella

Le tre fasi della traduzione degli antichi In una prima fase vengono tradotte principalmente opere scientifiche, magiche e astrologiche; nella seconda fase il lavoro di traduzione si concentra sulle opere dei commentatori e filosofi arabi come al-Farabi, Avicenna, Avicebron, al-Ghazali, mentre continua parallelamente la traduzione di trattati scientifici; la terza fase è caratterizzata dall’ingresso dei testi di Aristotele con le traduzioni di Gerardo da Cremona. Nel XII secolo inoltre, parallelamente al lavoro di Gerardo da Cremona, si sviluppano le traduzioni aristoteliche dal greco, a opera di Enrico Aristippo e Giacomo Veneto.

Nel XIII secolo si vedono i frutti dell’assimilazione dell’eredità araba nella cultura latina e nelle università europee si inizia a sentire l’influenza della lettura averroista di Aristotele. Sul finire del secolo Guglielmo di Moerbeke compie un importante lavoro di revisione delle traduzioni esistenti e fornisce all’Occidente latino gran parte del corpus aristotelicum direttamente dal greco. Cambiano anche i criteri dei committenti: non ci si accontenta più di traduzioni sommarie o letterali e Ruggero Bacone si lamenta continuamente della cattiva qualità del lavoro dei traduttori.

Via araba e via greca Il sapere greco giunge al mondo occidentale non solo in modo mediato, attraverso la trasmissione araba, ma anche attraverso la via delle traduzioni dal greco di autori come Giacomo Veneto, Burgundio Pisano o Enrico Aristippo, senza dimenticare le traduzioni anonime dei libri di logica e dei libri naturales. Il vero contributo della mediazione araba nella trasmissione del corpus aristotelicum all’Occidente, più che nella trasmissione letterale dei testi, sta nell’orientare la lettura di Aristotele nel XIII secolo, nell’ambiente dell’Università di Parigi in particolare: le traduzioni arabe veicolano infatti una specifica concezione del sistema del sapere e della divisione della filosofia che influenzerà i maestri parigini. Caso emblematico quello dello pseudoaristotelico Liber de causis, che viene considerato come culmine della metafisica di Aristotele proprio in ragione dell’interpretazione neoplatonica frutto della lettura avicenniana.

Toledo La Spagna rappresenta senz’altro uno dei più importanti centri della translatio studii: la peculiarità delle condizioni storico-sociali che caratterizzano la penisola iberica a partire dalla fine dell’XI secolo non ha eguali nel resto d’Europa.

La prima area interessata a questo fenomeno è il nord cristiano della penisola iberica, dove operano i primi traduttori. La città di Toledo si distingue, in questa contesto, come polo culturale e centro di traduzioni, grazie alla sua natura trilingue, dovuta alla compresenza di musulmani, mozarabi (cristiani arabizzati), ebrei e cristiani. In generale, la Spagna da poco riconquistata dai re cristiani rappresenta un ambiente unico di scambio e contatto con le culture ebraica e islamica, un milieu culturale particolarmente propizio al contatto diretto con la sapienza araba.

L’Italia meridionale Un’area culturalmente vivace è anche l’Italia meridionale e in particolare la Sicilia, da sempre in contatto con l’impero bizantino e, al contempo, con il mondo arabo, tanto che i conquistatori normanni favoriscono il mantenimento del trilinguismo (latino-greco-arabo) nell’isola. Proprio la corte di Palermo rappresenta il cuore propulsivo delle traduzioni dal greco e dall’arabo.

Sotto il sovrano Guglielmo I lavora Enrico Aristippo, arcidiacono di Catania, uno dei primi traduttori dal greco di opere scientifiche e filosofiche. Traduce opere di Diogene Laerzio, il manoscritto della Syntaxis mathematica (o Almagesto) di Tolomeo, il Menone (1155) e il Fedone (1156) di Platone, il IV Libro delle Meteore di Aristotele. Sotto Guglielmo lavora anche Eugenio di Sicilia, che collabora con Aristippo alla traduzione dell’Almagesto di Tolomeo.

Con Federico II l’interesse principale si sposta dal mondo greco-bizantino al mondo arabo, verso cui l’imperatore nutre grande curiosità e ammirazione. Al suo servizio lavora l’astrologo Michele Scoto, che scrive di astronomia, alchimia, meteorologia e fisiognomica. Egli contribuisce in modo considerevole all’ampliamento dell’Aristoteles latinus traducendo l’insieme degli scritti zoologici dello Stagirita (De Animalibus); traduce inoltre molti commenti di Averroè. L’ingresso in Occidente del nuovo Aristotele e del suo commentatore arabo “per eccellenza” risultano, quindi, indissolubilmente legati al contributo di Michele.

Successivamente, durante il regno di Manfredi, Bartolomeo da Messina completa l’Aristoteles latinus traducendo dal greco alcuni trattati pseudoaristotelici.

La trasmissione del sapere

Una data simbolica in cui è possibile indicare l’inizio della trasmissione, in forma sistematica, del sapere arabo all’Occidente è il 1106, anno in cui il dotto ebreo Mosè Sefardi si converte al cristianesimo e riceve il battesimo a Huesca, prendendo il nome di Pedro Alfonso. Oltre alla traduzione di opere astronomiche dall’arabo egli è l’autore della famosa Lettera ai peripatetici di Francia, in cui invita gli studiosi dell’Europa cristiana a recarsi in Spagna per attingere la scienza degli arabi, e della Sententia de Dracone, trattato astronomico sui movimenti lunari basato sulle famose “tavole di al-Khwarizmi”. Queste ultime vengono poi tradotte da Adelardo di Bath intorno al 1126 e rappresentano un importante elemento di novità dal punto di vista scientifico.

Adelardo è senz’altro una delle personalità di spicco di questa prima ondata di traduzioni: ha viaggiato nel Sud Italia e in Grecia e ha lavorato principalmente in Inghilterra. Egli porta a termine la traduzione degli Elementi di Euclide; compone inoltre le Quaestiones naturales in cui indirizza la famosa lode al sapere degli arabi.

L’interesse per le opere scientifiche e, in particolare, per l’astronomia e l’astrologia arabe prevale anche in autori come Platone da Tivoli e Ugo di Santalla. Il primo, lavora a Barcellona in collaborazione con il matematico ebreo Abraham bar Hiyya (Savasorda) e traduce opere di astronomia e medicina; il secondo, attivo intorno alla metà del secolo, traduce opere di astronomia, geomanzia, e due trattati astrologici di al-Kindi.

Conoscere la cultura araba Nel contesto della Spagna riconquistata, dove i musulmani godevano di una legislazione che salvaguardava la loro parità giuridica con cristiani ed ebrei, l’opera apostolica non poteva condursi sulla “punta delle spade” – come avveniva in Terra Santa – ma necessitava di un lento lavoro di ricerca e assimilazione dei fondamenti della cultura conquistata. Proprio questa necessità di conoscenza spinge Pietro il Venerabile, abate di Cluny, a farsi promotore della traduzione di opere religiose islamiche, in primo luogo del Corano, convinto che solo una conoscenza diretta dei testi arabi poteva permettere di combattere efficacemente l’eresia musulmana. I due traduttori che Pietro convincerà a partecipare all’opera sono Ermanno di Carinzia e Roberto di Ketton.

LETTURE

L’apogeo delle scienze matematiche islamiche

Altri casi di collaborazione tra studiosi sono legati al nome di Domenico Gundisalvi, arcidiacono di Toledo. Giovanni Ispano, decano della cattedrale di Toledo, succedette probabilmente a Gundisalvi nella carica di arcidiacono. È con questo traduttore che Gundisalvi avrebbe collaborato per tradurre il Fons Vitae di Avicebron, mettendo in circolazione nel mondo latino alcuni temi tipici della teologia pseudoaristotelica.

Dalla collaborazione tra Gundisalvi e Avendauth, che sembra essere posteriore rispetto a quella con Giovanni Ispano, nasce la traduzione di parte del Kitāb al-Shifāʾ (Libro della guarigione) di Avicenna, in particolare il Libro sull’anima (Kitab al-nafs), che introduce in Occidente uno dei primi commenti arabi ad Aristotele.

Gundisalvi rappresenta il principale tramite della trasmissione della falsafa all’Occidente latino: oltre a una parte del Shifāʾ di Avicenna (vedi sopra), infatti, è attribuita all’arcidiacono di Toledo la paternità della traduzione di opere di al-Ghazali e di al-Farabi. Ma Gundisalvi non è un semplice traduttore, egli rielabora le conoscenze attinte dai maestri arabi ed è autore di opere originali come il De divisione philosophiae, il De Scientiis e il De anima.

Gerardo da Cremona e i testi di AristoteleTra i nomi dei traduttori operanti in Spagna nel XII secolo spicca quello di Gerardo da Cremona, con cui si inaugura la traduzione sistematica dei testi di Aristotele. Raggiunta la Spagna alla ricerca dell’Almagesto di Tolomeo si trova a Toledo contemporaneamente a Gundisalvi. L’opera di traduzione di Gerardo copre moltissimi campi del sapere: oltre alle opere di Aristotele, traduce trattati di matematica, geometria, ottica, astronomia e astrologia, medicina, opere di alchimia e alcuni testi attribuiti ad al-Kindi, scritti di Alessandro di Afrodisia e lo pseudoaristotelico Liber de Causis.

Giacomo Veneto e Burgundio PisanoUn importante contributo alla trasmissione del corpus aristotelicum era già stato dato da Giacomo Veneto che nel 1125 aveva tradotto gli Analitici Posteriori dal greco e a cui, oltre a questo testo, sono attribuibili anche le versioni greco-latine degli Elenchi Sofistici, della Fisica, del De anima, della Metafisica e di parte dei Parva Naturalia. Il lavoro di Giacomo conferma che verso la metà del XII secolo una buona parte dell’opera aristotelica era disponibile ai lettori latini via greca contribuendo a superare l’idea di una preminenza della via araba. Un altro personaggio importante nel panorama delle traduzioni dal greco è il diplomatico Burgundio Pisano che condivide con Giacomo Veneto l’esperienza dei viaggi diplomatici in Oriente attraverso cui contribuisce, portando con sé numerosi testi, all’acculturazione filosofica dell’Occidente direttamente da fonte greca.

La generazione successiva di traduttori, attivi principalmente nel XIII secolo, è composta da Alfredo Anglico, che traduce lo pseudoaristotelico De Plantiis e il De Mineralibus di Avicenna, e da Marco di Toledo, che compone la seconda versione latina del Corano, dopo quella commissionata da Pietro il Venerabile e Michele Scoto; con loro inizia anche la trasmissione del corpus averroisticum al mondo latino e si aggiungono importanti tasselli al quadro dell’Aristoteles latinus.

Gli altri due nomi legati all’Averroes latinus sono quelli di Guglielmo di Luna e Ermanno Alemanno. Il primo opera verso la metà del XIII secolo a Napoli e traduce i commenti alle opere logiche: il commento medio all’Isagoge di Porfirio, alle Categorie e al De Interpretatione. Ermanno il Tedesco traduce invece il compendio tardoantico dell’Etica Nicomachea (Summa Alexandrinorum), la Retorica e il commento medio di Averroè alla Poetica.

Metodi di traduzione: la mediazione vernacolare Lo studio dei metodi di traduzione non risulta funzionale solo all’analisi della personalità del traduttore, ma, in molti casi, può rivelarsi uno strumento prezioso per la ricostruzione di un testo originale perduto. Gerardo da Cremona, ad esempio, è autore di traduzioni piuttosto letterali e aderenti al testo originale: i testi da lui tradotti sono dunque testimoni fedeli delle versioni arabe perdute; così anche per quanto riguarda le traduzioni di Michele Scoto.

Una delle questioni storiografiche più dibattute riguarda le tecniche di traduzione utilizzate dall’arabo, in particolare la mediazione vernacolare (o traduzione in due tempi): questa tecnica di traduzione prevede l’utilizzo della lingua volgare come mediazione tra l’arabo e il latino, per cui un dotto ebreo o mozarabo legge ad alta voce traducendo dall’arabo in volgare, contemporaneamente un dotto latino trascrive le parole man mano che le ascolta, volgendole dal volgare al latino. Tale metodo avrebbe permesso di superare le numerose difficoltà dell’arabo scritto. Il documento che viene invocato per dimostrare l’utilizzo di questa tecnica è il prologo alla traduzione al De anima di Domenico Gundisalvi: “Eccovi dunque questo libro, così tradotto dall’arabo: io leggevo ogni singola parola e la traducevo in volgare e l’arcidiacono Domenico la volgeva poi in latino”.

Sebbene il testo indichi l’utilizzo della mediazione vernacolare, ciò non autorizza a considerarla l’unica tecnica di traduzione in uso nella Spagna cristiana. Va sottolineata piuttosto la coesistenza di diversi metodi di traduzione: da quella individuale a quella in collaborazione con dotti ebrei o mozarabi (non necessariamente su modello di quella descritta da Gundisalvi), fino alla vera e propria traduzione in due tempi.

Traduzioni e revisioni

Nuove esigenze: l’opera di revisione di Grossatesta e Moerbeke Quasi nessun traduttore aveva una competenza linguistica degna di questo nome e spesso le traduzioni si rivelavano testimoni inaffidabili del testo tradotto. La severità dei giudizi di Ruggero Bacone su traduzioni “inservibili” per la loro pessima qualità testimonia senz’altro una grossa difficoltà di comprensione dei testi da parte dei traduttori stessi. Bacone non risparmia critiche a nessun traduttore, eccezion fatta per Roberto Grossatesta, il cui lavoro di traduzione dal greco rappresenta un passo importante nella translatio studii: mira infatti, da un lato, a completare la trasmissione del corpus aristotelicum via greca, dall’altro appare interessato anche a testi teologici e scientifici e propone un modello di lavoro particolarmente attento all’aspetto filologico e linguistico; raccoglie quindi attorno a sé una équipe di traduttori e grecisti, consulta e utilizza numerosi testi di grammatica, e le traduzioni compiute sotto la sua supervisione denotano in effetti unità di metodo e stile.

Oltre ad alcune opere di Nicola Damasceno e dello Pseudo Dionigi Areopagita, Grossatesta fornisce la prima versione integrale dell’Etica Nicomachea, corredata da alcuni commenti greci; a lui sono anche attribuite le traduzioni di alcuni opuscoli pseudoaristotelici e parte del De Coelo.

Uno dei protagonisti fondamentali della translatio studii è Guglielmo di Moerbeke che, alla fine del XIII secolo, attraverso un’attenta revisione delle traduzioni esistenti e un vastissimo lavoro di traduzione restituisce quasi l’intero corpus aristotelicum all’occidente dal greco. Traduce anche opere scientifiche di Archimede, Erone, Tolomeo, Galeno, nonché alcuni commenti tardoantichi alle opere aristoteliche, mosso dall’esigenza di restituire all’occidente latino il “vero Aristotele”, senza passare attraverso la mediazione araba..

Assimilazione e diffusione delle nuove conoscenze A partire dalla fine del XII secolo si assiste alla progressiva diffusione delle nuove traduzioni. In Inghilterra troviamo i primi studiosi pronti ad accogliere con vero interesse le nuove conoscenze e a interpretare i testi aristotelici tradotti (Giovanni Blund, Alfredo Anglico e Roberto Grossatesta); a Parigi si assiste al progressivo passaggio dalla proibizione (condanne del 1210 e 1215) alla prescrizione dei libri naturali di Aristotele nei curricula degli studenti delle Arti: da quel momento si assiste a un vero e proprio trionfo del modello filosofico e scientifico aristotelico. Platone, invece, rimane sostanzialmente assente: Il pensiero di Aristotele sembrava in grado di meglio soddisfare le necessità della cultura dell’epoca. Tuttavia non furono solo i testi aristotelici a contribuire al risveglio dell’Occidente e alla sua rinascita culturale: hanno svolto un ruolo fondamentale in questo senso anche le traduzioni dei trattati di scienza araba, i commenti degli esegeti musulmani alle opere aristoteliche, la riscoperta delle fonti greche attraverso il contatto con la cultura bizantina. Questa circolazione di testi e uomini che si intensifica a partire dal XII secolo dona nuova linfa vitale alla cultura latina e permette la trasmissione e la diffusione di nuove conoscenze e nuovi modelli interpretativi.

Francesca Forte