3. Eckhart e la mistica renana

di Alessandra Beccarisi

3.1 Magister e predicatore

Eckhart nasce probabilmente a Gotha nel 1260, ed entra molto presto nel convento dei Domenicani a Erfurt. Studia teologia a Parigi e nel 1294 comincia la sua attività accademica come lettore delle Sentenze di Pietro Lombardo e tiene il sermone solenne di Pasqua. Di questa prima attività a Parigi è conservata, oltre al già citato sermone, anche la Collatio in libros Sententiarum, una sorta di prolusione con cui il giovane docente deve cominciare il suo insegnamento. Tra il 1295 e il 1298 Eckhart torna in Germania e compone per i confratelli del convento di Erfurt, di cui è priore, le Reden (Discorsi) in cui propone una nuova interpretazione delle virtù monastiche, prima fra tutte l’obbedienza. Tra il 1302 e il 1303 Eckhart è chiamato come maestro di teologia all’università di Parigi, ma la sua attività accademica non riscuote grande successo.

Appartengono a questo periodo due prediche e due lezioni sul passo delle Scritture Ecclesiastico 24. Nel 1303 conclude la sua attività accademica e torna in Germania, dove è nominato priore della provincia di Sassonia. Rimane in carica fino al 1311, quando è richiamato a Parigi per un secondo magistero.

Tra il 1298 e il 1311 Eckhart compone la sua opera più ambiziosa, l’Opus tripartitum (Opera in tre parti). Secondo le intenzioni dell’autore, esposte nel Prologo generale, l’Opus tripartitum doveva essere strutturato in questo modo: una prima opera, Opus propositionum, comprendente 1000 proposizioni, che servono da fondamento all’insieme del lavoro teologico; l’Opus quaestionum, ovvero una raccolta di più di 1000 questioni; l’Opus expositionum diviso in due parti, la prima costituita dai commenti alle Sacre Scritture, la seconda da sermoni. A quest’opera Eckhart lavora per tutta la sua vita, senza tuttavia mai concluderla.

Nel decennio successivo al suo secondo magistero parigino Eckhart torna in Germania e cerca di diffondere le sue dottrine anche al di fuori della ristretta cerchia di intellettuali che parlano e comprendono il latino. Intraprende così una vera e propria attività pastorale, che comprende sia prediche che trattati in lingua tedesca (Il libro della consolazione divina, Dell’uomo nobile) destinati a un pubblico “laico”. Tra il 1324 e il 1326 è sicuramente a Colonia, come magister nello Studium Generale dei domenicani: nel 1326 l’arcivescovo di Colonia apre un processo di Inquisizione contro di lui. Eckhart, nel suo Scritto di difesa, prende posizione contro le accuse rivoltegli e difende ogni frase che gli viene contestata. Nel 1327 si appella direttamente a papa Giovanni XXII, che in quegli anni si trova ad Avignone. Delle 60 proposizioni contestategli, la commissione papale ne condanna 25. Quando il 27 marzo 1329 viene pubblicata la bolla con la sentenza di condanna, Eckhart è ormai morto, forse nel 1328, ad Avignone.

La scuola di Colonia

La dottrina dell’intelletto e della felicità mentale di Alberto Magno, nella quale confluiscono motivi averroistici, aristotelici, neoplatonici ed ermetici viene ripresa e sviluppata dalla cosiddetta scuola di Colonia, ovvero da alcuni domenicani tedeschi che a vario titolo frequentano lo Studium Generale di quella città.

Ulrico di Strasburgo

Il primo dei discepoli di Alberto Magno è Ulrico di Strasburgo, che segue le sue lezioni a Colonia. Ulrico è autore di un’imponente opera in sei libri sul Bene sommo (De summo bono), che rivela un influsso notevole del testo dello Pseudo-Dionigi Aeropagita Sui nomi divini e soprattutto delle opere di Alberto. Ulrico è un importante anello di congiunzione tra l’originale pensiero albertino e il suo successivo sviluppo. La differenza tra provvidenza naturale e provvidenza volontaria, che fonda la differenza tra metodo teologico e filosofico, l’intelletto come primo nome di Dio, sono temi presenti in nuce nella produzione albertina, ma che con Ulrico divengono i temi di una filosofia che si suole indicare come “tedesca”.

Teodorico di Freiberg

A Ulrico si rifà Teodorico di Freiberg per fondare su nuove basi la differenza tra metodo teologico e metodo filosofico. Nato a Freiberg in Sassonia, nel 1275-1276 è studente di teologia a Parigi, dove insegna successivamente come lettore; dopo essere stato priore provinciale di Germania e vicario generale dei Domenicani, nel 1296 è nuovamente a Parigi come maestro di teologia. Muore in data incerta dopo il 1310. A Teodorico si attribuiscono 33 opere: si tratta di saggi concentrati sui due grandi temi dell’autonomia dell’intelletto e della fondazione della necessità della natura, cui si aggiungono studi di ottica e chimica. Teodorico riprende da Alberto Magno e Ulrico di Strasburgo la necessità di distinguere nettamente teologia e filosofia, ma è da Ulrico che egli trae l’interpretazione dell’importante passo di Agostino sulla differenza tra provvidenza naturale e provvidenza volontaria. La prima governa il mondo della natura fisica, che per Teodorico come per Ulrico consiste in una connessione di cause, oggetto della scienza filosofica; la seconda rappresenta il mondo della volontà e dei valori, oggetto della scienza divina dei santi. La natura è, infatti, secondo Teodorico, governata da leggi, la cui regolarità e necessità è garantita dalla cosiddetta causalità essenziale: la molteplicità dell’universo si fonda su un unico principio di natura intellettuale, che precontiene in sé in modo semplice e unitario gli effetti che si osservano  nel mondo. Gli oggetti extramentali non hanno in sé la ragione della loro conoscibilità. Questa viene piuttosto “costituita” dall’intelletto umano, il quale coglie l’oggetto tramite le categorie (relazione, quiddità, tempo ecc.), che sono per così dire “imposte” all’oggetto stesso. La formazione dell’universale è dunque per Teodorico un atto della spontaneità dell’intelletto, che egli definisce come un’emanazione essenziale dal primo principio, ovvero Dio. In tale processo di emanazione ciò che emana (l’intelletto umano) è un’immagine perfetta del principio da cui deriva (Dio); ne condivide cioè la stessa pura e semplice essenza intellettuale. In questo senso l’intelletto agente è l’attività di una sostanza intellettuale, che in quanto conosce se stessa conosce anche il suo principio, ovvero Dio. Benché la condizione appena descritta rappresenti la vera essenza dell’uomo, essa è però conosciuta solo tramite i suoi effetti. L’uomo vive così in uno stato di perenne estraneità rispetto al suo principio intellettuale, che secondo Teodorico può essere veramente compreso solo nell’altra vita.

Bertoldo di Moosburg

Ultimo erede della scuola di Colonia è Bertoldo di Moosburg. Poche le notizie sul suo conto: nel 1316 studia a Oxford, nel 1327 è a Regensburg come lettore e, tra il 1335 e il 1361, lavora a Colonia nello Studium Generale. È autore di un imponente commento alla Elementatio theologica (Elementi di Teologia) del neoplatonico Proclo. L’imponente commento di Bertoldo rappresenta un importante documento del neoplatonismo, in cui il domenicano ripensa alcuni temi caratteristici della scuola di Colonia alla luce della filosofia di Proclo, che descrive l’universo come totalità delle cose divine, nel loro processo di emanazione e ritorno al Primo Principio: il Sommo Bene, per Bertoldo. In questo senso la filosofia di Proclo è, secondo il domenicano, teologia, intendendo con questo termine la scienza divina dei filosofi. Si tratta di un sapere che investiga l’universo dal punto di vista della provvidenza naturale, ovvero come concatenazione di cause. In questo contesto, il pensiero di Proclo è concepito come un tentativo di superare la contrapposizione tra soggetto che conosce e oggetto conosciuto, per approdare infine a una filosofia dell’unità. L’uomo, che nel suo processo conoscitivo ripercorre a ritroso il processo di emanazione, si assimila al principio stesso che conosce, il Sommo Bene. La beatitudine, secondo Bertoldo, consiste nella scoperta del divino in sé e nel cosmo: si tratta di un sapere che trasforma l’uomo che ne fa esperienza, perché conoscere il divino significa essere divini.

Alessandra Beccarisi

3.2 Il pensiero

In un momento storico in cui le dispute sulla povertà della Chiesa sono particolarmente accese, e il desiderio di rinnovamento produce fenomeni sociali di aperta critica alla gerarchia ecclesiastica, come il movimento del Libero Spirito, Meister Eckhart propone un nuovo ideale di povertà e semplicità. La vera rinuncia è secondo Eckhart innanzitutto un atto di liberazione da tutte le proprietà o determinazioni su cui l’uomo fonda erroneamente la propria identità.

L’uomo, un essere divino

L’uomo, infatti, non si qualifica per ciò che ha (pensieri, azioni, proprietà materiali), ma piuttosto per ciò che è, ovvero un essere di natura divina: “Su nient’altro è fondato il nostro essere se non sull’annullamento di noi stessi. Per tale ragione Dio, volendo darsi a noi insieme a tutte le cose come pieno possesso, vuole prima spogliarci completamente in ogni nostro bene. In verità, Dio non vuole che possediamo alcunché di nostra proprietà” (Istruzioni spirituali).

TESTO

T6: Meister Eckhart, Il Dio che è nulla

La scintilla interiore

Quest’atto di liberazione è un processo che necessita di esercizio, dedizione e soprattutto di una graduale presa di coscienza delle proprie possibilità, processo che conduce l’uomo al distacco da ciò che è estraneo alla sua vera natura. La riflessione di Eckhart sullo statuto ontologico dell’uomo fonda così una nuova definizione della sua dignità: fino a quando l’uomo si considera ente tra enti, soggetto dotato di proprietà, non può scoprire il divino che è in sé. Ma se prende le distanze dalla sua dimensione di creatura e riflette attentamente sulla sua essenza, scopre allora che egli viene da Dio e che da sempre è uno con Dio. Questo riconoscersi uno con Dio non è il risultato di un’esperienza mistica irrazionale ed emotiva, ma piuttosto è la scoperta della originaria libertà del proprio spirito. Libertà che Eckhart intende come indeterminatezza e totale apertura all’essere. Queste sono le caratteristiche di quel principio essenziale dell’anima umana che Eckhart, nelle opere in tedesco, chiama “tempio”, “castello”, “scintilla” o “luce dello spirito”. Il domenicano rielabora la dottrina aristotelica dell’intelletto possibile, che egli utilizza in un contesto totalmente nuovo. Eckhart riprende l’idea di un intelletto indeterminato, ma non gli contrappone un oggetto che deve essere conosciuto; piuttosto lo fa essere il polo contrario e necessario di un altro intelletto assolutamente indeterminato, ovvero Dio.

LETTURE

Aristotele

LETTURE

La filosofia dell'islam

Le prime quaestiones

Nelle prime questioni parigine (1302-1303) Eckhart contrappone, infatti, l’universo dell’essere a quello del pensare, intendendo il primo come il mondo fisico nel quale vive l’esperienza quotidiana del senso comune. Di fronte a questa esperienza, l’essere si presenta sempre e soltanto come essere creato, determinato nello spazio e nel tempo, oggetto passivo del conoscere. Di fronte all’essere, l’intelletto rivela invece una condizione completamente diversa: l’intelletto in quanto tale è un “non-ente”, perché indeterminato. In ragione di tale caratteristica, l’intelletto (ed Eckhart non distingue tra intelletto divino e umano) è intrinsecamente relazionalità, ha cioè la proprietà di riflettere su se stesso e autocomprendersi. Dio e l’uomo, in quanto essere razionale, sono dunque i poli di una sola e unica relazione.

La dottrina dell’immagine spiega attraverso una metafora questa dinamica di identità e differenza. L’immagine di un uomo in uno specchio è contemporaneamente identica e differente rispetto all’uomo reale: identica in quanto ne costituisce la stessa immagine riflessa, differente in quanto immagine in uno specchio. Così l’immagine di Dio nell’uomo. L’intelletto fonda contemporaneamente identità e differenza rispetto a Dio; identità in quanto è lo stesso intelletto divino che si specchia nell’uomo, differenza in quanto l’immagine è in un uomo concreto, determinato spazio-temporalmente e finito. Questo rapporto di intimità tra uomo e Dio, che fonda l’essenza dell’uomo, è chiamato da Eckhart “la nascita di Dio nel fondo dell’anima”.

ESERCIZIO

E11: Eckhart e la mistica renana

3.3 La mistica renana

Con il termine “mistica renana” si intende comunemente una vasta e multiforme produzione letteraria localizzata lungo la valle del Reno, comprendente soprattutto testi anonimi, composti per lo più all’interno di circoli o movimenti spirituali spesso in odore di eresia. Queste opere in volgare tedesco hanno spesso come temi alcune questioni al centro della produzione eckhartiana: divinizzazione dell’uomo, libertà dello spirito, preferenza per un’etica dell’intenzione rispetto a una religiosità rituale, relativizzazione dell’importanza della gerarchia ecclesiastica.

Enrico Suso

Nato intorno al 1295 (forse 1297) a Costanza e morto nel 1366 a Ulm, Suso è uno dei più noti discepoli di Eckhart. Nel 1332 sarà accusato di eresia a causa del suo evidente “eckhartismo”. Tra il 1362 e il 1363 redige l’Exemplar, che comprende un’autobiografia, o Vita, il Piccolo libro della saggezza eterna, il Piccolo libro della verità e il Piccolo libro delle lettere. Nel Libro della verità Suso intende condurre una chiara difesa di Eckhart e salvare la dottrina eckhartiana dalla deriva eretica del movimento del Libero Spirito, impersonato, nel Libro, dall’inquietante “selvaggio” senza nome. Per questo Suso si preoccupa di offrire un’interpretazione ortodossa di un concetto fondamentale del pensiero eckhartiano, ovvero l’“abbandono”. Nel dialogo con il “selvaggio” Suso afferma che l’uomo perfetto, ovvero l’uomo che si è annullato in Dio, non perde del tutto corporeità, sensibilità e ragione, rimane cioè comunque distinto rispetto a Dio, in cui si annulla. Egli sottolinea così l’impossibilità per l’uomo di diventare uno con Dio, per quanto egli possa allontanarsi da sé e perdere il proprio io.

Giovanni Tauler

BOX

La filosofia dei laici

Nato a Strasburgo forse nel 1300 ed entrato nell’ordine dei domenicani verso il 1315, anche Giovanni Tauler ha seguìto l’insegnamento di Eckhart fino al 1323-1324. Autore di un voluminoso corpus di Sermoni, ripropone alcuni temi della filosofia eckhartiana, mediati però dalla lettura di Bertoldo di Moosburg, nella cui opera trova la possibilità di fondare filosoficamente l’unione mistica tra uomo e Dio, attraverso una riflessione sull’essenza dell’anima umana. Tauler, infatti, rifiuta la tesi tomista, secondo cui l’immagine di Dio nell’uomo consiste nelle tre facoltà dell’anima (memoria, intelletto e volontà). Seguendo Bertoldo, egli afferma che l’immagine di Dio nell’uomo risiede piuttosto nell’anima. Tauler sostituisce la visione intellettuale di Dio, di cui avevano parlato Teodorico di Freiberg ed Eckhart, con l’unione “mistica” tra uomo e Dio, che l’uomo divino può solo sperimentare, ma di cui non può parlare.