«Caro Carrelli, spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.»
Il mistero della scomparsa di Ettore Majorana ha inizio con questa breve missiva. La lettera è datata 26 marzo 1938 ed è stata scritta a Palermo, su carta intestata del Grand Hotel Sole, telefoni 11.748 e 17.672.
Da ormai quattro mesi il giovane scienziato si è trasferito a Napoli, dove, all’università, gli è stata affidata la cattedra di Fisica teorica. Risiede in pieno centro, all’albergo Bologna di via Depretis. La sua partenza risale a meno di ventiquattr’ore prima. Si è imbarcato per la Sicilia la sera del 25 marzo, a bordo di un piroscafo della Tirrenia.
Prima di intraprendere la breve traversata, ha scritto altre due lettere. La prima, indirizzata alla famiglia, è stata lasciata in bella vista sulla sua scrivania e recita così: «Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi». Il secondo biglietto – regolarmente spedito – è destinato al professor Antonio Carrelli, che dirige l’Istituto di fisica del capoluogo partenopeo. Vi si legge: «Caro Carrelli, ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma soprattutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi. Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto, particolarmente a Sciuti; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo».
Prima ancora di ricevere il messaggio, il 26 marzo, Carrelli si vedrà recapitare un breve telegramma dal contenuto apparentemente criptico: «Non allarmarti. Segue lettera. Majorana». Arrivano poi, a strettissimo giro di posta, entrambe le missive, quella del 25 e quella del 26. 1 Qualcosa non quadra.
Cosa significa tutto questo? I primi a domandarselo sono Carrelli e Luciano Majorana, uno dei fratelli di Ettore: dopo un breve scambio di telefonate, i due si precipitano di gran carriera all’albergo Bologna, dove ad attenderli ci sono una stanza vuota e la terza lettera appoggiata sul tavolo. Del fisico, nessuna traccia.
Da una ricostruzione minuziosa degli ultimi movimenti del giovane scienziato è emerso che il 24 marzo Majorana è stato all’università. Ha avvicinato una delle sue studentesse, la venticinquenne Gilda Senatore, le ha consegnato un plico di appunti e le ha detto: «Signorina Senatore, tenga queste carte, poi ne riparleremo». Prima di partire, Majorana si è premurato di incassare tutti gli stipendi arretrati, che fino ad allora non aveva mai ritirato. 2 Ha anche recuperato il proprio passaporto, valido per l’espatrio. Dopodiché è svanito nel nulla.
Ettore Majorana si trattiene a Palermo per almeno due giorni. Il 27 marzo acquista un biglietto di ritorno per Napoli, sempre con la compagnia Tirrenia. Se sia veramente salito su quel piroscafo, tuttavia, resta ancora oggi un mistero. Stando a quanto riportato sulla prenotazione, avrebbe diviso la cabina con altre due persone: il professor Vittorio Strazzeri, dell’Università di Palermo, e un viaggiatore inglese, tale Carlo Price. Strazzeri racconterà agli inquirenti una storia piuttosto strampalata: dirà di aver scambiato alcune parole con il Price, che peraltro non appariva per nulla anglofono, anzi «parlava come noi, gente del Sud» e aveva l’aspetto rozzo di un negoziante in trasferta. Con il terzo passeggero – che in teoria doveva essere Majorana –, invece, non aveva scambiato nemmeno una parola. Anni dopo, Leonardo Sciascia risolverà a modo suo questo piccolo enigma: Strazzeri non si sarebbe intrattenuto con Price, bensì con il terzo uomo, che era veramente un commerciante meridionale, e al quale Majorana aveva ingegnosamente ceduto il proprio biglietto. 3 Come dire: il gioco delle tre carte in salsa atomica.
Sia come sia, il dato di fondo è fin da subito evidente: lo scienziato fuggitivo non ha alcuna intenzione di ricomparire. Il 30 marzo, con una lettera al rettore dell’Università di Napoli, Carrelli rende pubblica la scomparsa del collega. Il 31 dello stesso mese il capo della polizia fascista, il senatore Arturo Bocchini, ordina a tutti i questori del Regno di intraprendere accurate ricerche «ai soli fini [di] rintraccio, senza comunque far nulla trapelare all’interessato».
Il 16 aprile il filosofo Giovanni Gentile scrive a sua volta a Bocchini, chiedendogli di intensificare le indagini: «Vi raccomando caldamente la cosa. Il professor Majorana è stato in questi ultimi anni una delle maggiori energie della scienza italiana. E se, come si spera, si è ancora in tempo per salvarlo e ricondurlo alla vita e alla scienza, non bisogna tralasciar nessun mezzo intentato».
Il 27 luglio la madre del fisico, Dorina Corso, si rivolge direttamente a Mussolini. 4 Allegato alla sua lettera c’è un lungo messaggio di Enrico Fermi: «Io non esito a dichiararVi – scrive lo scienziato –, e non lo dico quale espressione iperbolica, che fra tutti gli studiosi italiani e stranieri che ho avuto l’occasione di avvicinare il Majorana è fra tutti quello che per profondità di ingegno mi ha maggiormente colpito».
Per tutta risposta il duce sibilerà agli inquirenti: «Voglio che si trovi!». Con spirito forse meno solenne, ma indubbiamente più pratico, la famiglia offrirà a chiunque possa fornire informazioni utili una ricompensa di trentamila lire. Ma anche questo tentativo cadrà nel vuoto.
Ha scritto Sciascia: «Nel genio precoce – quale appunto era Majorana – la vita ha come una invalicabile misura: di tempo, di opera. Una misura come assegnata, come imprescrittibile». 5 La misura di Ettore Majorana sembra concludersi così, in una strana ridda di lettere e proclami, alla giovane età di trentun anni. Ma per comprenderne le ragioni dobbiamo fare, innanzitutto, un breve passo indietro.
L’ipotesi del convento resterà di gran lunga la più battuta. Il primo a sostenerla è probabilmente il professor Vittorio Strazzeri. In una lettera a Salvatore Majorana, il 31 marzo 1938, l’illustre cattedratico azzarda una sua personalissima interpretazione dei fatti: «Mi perdoni – scrive – se ardisco darle un suggerimento, quale è quello di cercare se Suo Fratello si fosse chiuso in qualche convento, come è capitato altra volta con persone non molto religiose, mi pare a Monte Cassino». Sulla stessa falsariga insistono svariate segnalazioni della prima ora.
Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile un giovane si presenta alla chiesa del Gesù Nuovo di Napoli, «chiedendo di essere ospitato in un ritiro per fare esperimento di vita religiosa». Il padre gesuita che lo accoglie non ha dubbi: si tratta certamente di Majorana. Circa un mese dopo il questore di Napoli redige la seguente nota: «Lo scomparso, pare il 12 corrente, si presentava al Convento di S. Pasquale di Portici per essere ammesso in quell’ordine religioso, ma non essendo stata accolta la richiesta, si allontanò per ignota destinazione».
Nell’estate del 1938 Luciano Majorana si reca a Perdifumo, tra le verdi colline dell’entroterra cilentano. Anche da lassù sono partite le immancabili segnalazioni: si parla di «un fuggiasco», un giovane elegante che fuma tantissime sigarette e si nasconde nei boschi. I suoi principali alleati sarebbero i pastorelli, che lo riforniscono di cibo e tabacco. L’uomo avrebbe trovato rifugio nel locale convento dei gesuiti, il cui priore, padre Salvatore Bergantini, è uno dei più noti intellettuali della zona. Le ricerche vengono condotte scrupolosamente, con tanto di cani segugi. Racconterà un testimone: «Majorana stette qui per una stagionata. Quelli che per mesi vennero da Napoli a cercarlo erano gente buona a soldi. Usavano anche cani addestrati. Io allora tenevo la casa sgarrupata e loro mi dissero: “Uè, Moresà, guarda che se ci aiuti a prendere Majorana ti aggiustiamo noi la casa”. Ma quello continuava a scappare e n’azzeccava vicino alle persone». 6 La grottesca caccia all’uomo raggiunge il suo apice all’inizio di agosto, quando un giovane pittore napoletano, scambiato per Majorana, viene inseguito da una folla di pastori durante una festa paesana.
Negli anni, di pari passo con l’assottigliarsi delle ultime speranze, cominceranno a circolare teorie sempre più bislacche. C’è il caso di Tommaso Lipari, un vecchio barbone di Mazara del Vallo soprannominato – non troppo affettuosamente – «l’uomo cane». Lipari dice di venire dall’Africa, è un appassionato di matematica e trascorre le giornate a raccattare mozziconi di sigaretta. Quando muore, nel 1973, tutta Mazara scende in piazza a salutarlo. Anni dopo un suo concittadino dichiarerà ai giornalisti: «Mi disse di chiamarsi Ettore Majorana e di essere un ex professore di matematica e fisica».
Il caso finisce sulla scrivania di Paolo Borsellino, allora procuratore di Marsala. Ne nasce una breve inchiesta, le cui conclusioni sono le seguenti: Tommaso Lipari è nato a Tunisi nel 1900 e nel marzo del 1938 si trovava in prigione.
Secondo un altro filone di pensiero, Majorana sarebbe fuggito in Germania, dove avrebbe iniziato a collaborare con gli scienziati del Terzo Reich. La «parentesi nazista» si sarebbe conclusa nel 1945, quando Ettore – un po’ come i protagonisti del film I ragazzi venuti dal Brasile – avrebbe cercato rifugio in America Latina. Scrive Leandro Castellani: «Nel 1944, all’epoca della Repubblica di Salò, Mussolini venne informato della presenza di un italiano nell’équipe degli scienziati tedeschi che stavano lavorando in Germania alla terribile arma segreta in grado di capovolgere in pochi giorni le precarie sorti del conflitto. Mussolini si ricordò della scomparsa di Majorana e ritenne che si trattasse proprio di lui». 7
Il 17 ottobre 2010 il quotidiano «la Repubblica» esce con un titolo cubitale: La ricomparsa di Majorana. L’articolo è corredato di una foto scattata nel 1950, a bordo del transatlantico che sta conducendo Adolf Eichmann in Argentina. A sinistra del criminale nazista è ritratto un giovane uomo sui quarant’anni, con i capelli scuri e gli occhiali da sole. Il giornalista non ha dubbi: si tratta senz’altro di Majorana. L’inquietante ipotesi verrà respinta a gran voce da tutti gli esperti: l’amico di Eichmann ha i tratti marcatamente nordici, le orecchie troppo grandi e una fossetta sul mento. Come può essere Ettore?
Ma i dietrologi sono come le ruspe: non amano perdere tempo con i dettagli. Di recente, analizzando le ultime lettere dello scienziato, un professore di liceo di Orte ha annunciato di aver scoperto un vero e proprio cifrario segreto, con tanto di messaggi in codice. La decriptazione è tutt’altro che complessa. Si parte da un semplice mozzicone di frase – «... speciale non ultimo sussidio dell’arte di governo» –, dopodiché si associa a ogni parola un termine analogo: «speciale» diventa «Germania», perché la relatività speciale è stata teorizzata da Einstein, e Einstein era tedesco; «non ultimo» diventa «intermedio»; «sussidio» si trasforma in «buono», e dunque in «Buenos Aires»; «arte» diventa «parte»; «governo» diventa «nave», perché le navi vengono governate dai marinai. Ecco dunque la soluzione del caso: «Partirò in nave per Buenos Aires dopo aver fatto scalo intermedio in Germania». Elementare Watson!
La majoranologia è una sterminata fucina di nuove storie, alcune delle quali decisamente divertenti. Fra tutte, la più clamorosa è forse quella del raggio della morte. A raccontarla è Rolando Pelizza, un negoziante di scarpe di origini bresciane, nato nel 1938, che negli anni Settanta sarà arrestato con l’accusa di aver partecipato al sequestro di Carla Ovazza, consuocera di Gianni Agnelli. 8 Pelizza avrebbe conosciuto Majorana nel 1958, in un non meglio precisato convento dell’Italia meridionale. Per sei anni sarebbe stato suo allievo, dopodiché avrebbe collaborato con lui alla costruzione di una fantasmagorica macchina in grado di annichilire la materia a suon di positroni: ovvero, per l’appunto, il raggio della morte. Lo strano marchingegno viene effettivamente realizzato, tanto è vero che nel 1976 il professor Ezio Clementel 9 redige un’apposita relazione indirizzata alla Commissione industria della Camera dei deputati. Alle riunioni organizzate per discutere del macchinario partecipano, oltre a Pelizza, diversi esponenti dei servizi segreti. A un certo punto entrano in gioco anche gli americani, che chiedono al sedicente inventore di abbattere un loro satellite spaziale. «Non è possibile» è la singolare risposta. «Purtroppo nevica.»
Quando si tratta di produrre prove tangibili di ciò che afferma, Pelizza corre a trincerarsi dietro un muro di reticenza. Tornerà improvvisamente alla carica negli anni Duemila, annunciando la pubblicazione di due fotografie e diverse lettere autografe del suo presunto «maestro»: l’eterno Ettore Majorana. 10 «Caro Rolando – si legge in una di queste missive –, ti ricordi il nostro primo incontro, avvenuto il primo maggio 1958? Ne è passato di tempo. Oggi si può dire terminato il periodo delle mie lezioni. Ti promuovo a pieni voti, sia in fisica sia in matematica. Come ben sai, quanto hai appreso va molto oltre le attuali conoscenze; pertanto non misurarti con nessuno, perché potresti scoprirti.» Una raccomandazione che il vulcanico discepolo ha evidentemente dimenticato di rispettare.