ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

S[ignora] Vittoria, sola

Aspettare e non venire è cosa da morire. Si se farà troppo tardi, non si potrà far nulla per questa volta; e non so si se potrà di bel nuovo offrirsi tale occasione, come si presenta questa sera, di far che questa pecoraccia raccoglia i frutti degni del suo amore. Quando mi credevo di guadagnar una dote co l’amor di costui, sento dir che cerca d’affatturarmi1, con l’avermisi formata in cera. E potrebbe giamai l’unita forza, fatta del profondo inferno, gionta alla efficacia che si trova ne’ spirti de l’aria e l’acqui, far ch’io possa amar un che non è soggetto amoroso? Si fusse il dio d’amore istesso, bello quanto si voglia, si sarà egli povero o ver, – ché tutto viene ad uno, – avaro, ecco lui morto di freddo; e tutto il mondo agghiacciato per lui. Certo, quel dir povero, over avaro, è un miserabile e svergognatissimo epiteto, che fa parer brutti i belli, ignobili i nobili, ignoranti i savii, ed impotenti i forti. Tra noi che si può dir piú che reggi, monarchi ed imperadori? questi pure, si non arran de quibus, si non farran correre gli de quibus2, saran come statue vecchie d’altari sparati3, a’ quali non è chi faccia riverenza. Non possiamo non far differenza tra il culto divino e quello di mortali. Adoriamo le sculture e le imagini, ed onoriamo il nome divino scritto, drizzando l’intenzione a quel che vive. Adoramo ed onoramo questi altri dei che pisciano e cacano, drizzando la intenzione e supplice devozione alle lor imagini e sculture, perché, mediante queste, premiino i virtuosi, inalzino i degni, defendano gli oppressi, dilatino i lor confini, conservino i suoi, e si faccino temere dall’aversarie forze: il re, dunque, ed imperator di carne ed ossa, si non corre sculpito, non val nulla. Or, che dunque sarà di Bonifacio, che, come non si trovassero uomini al mondo, pensa d’essere amato per gli belli occhii suoi? Vedete quanto può la pazzia! Questa sera intenderà che possan far contanti; questa sera spero che vedrà l’effetto della sua incantazione. – Ma questa faccia di strega, che fa tanto che non viene? Oh, la veggo in fine!

SCENA SECONDA

Lucia, s[ignora] Vittoria

LUCIA Voi siete cqua, Signora?

VITTORIA Non possevo resister dentro col tanto aspectarti. Vedi che passarà la comodità1, che questa sera abbiamo per questi uomini? Avete parlato a la moglie di Bonifacio?

LUCIA Io gli ho tutta la verità narrata, ed oltre di gran punti d’avantaggio2, di sorte che ella tutta s’infiamma ed arde di convencere suo marito, in questo fatto. Anzi, lei ha pensato un’altra cosa che molto mi piace, ciò è che gl’improntiate3 vostra gonnella e manto, per due serviggi: ed a fin che non sii conosciuta al venir ed all’entrar ed uscir di casa vostra, ed anco perché, negli abbracciari che gli faremo far al buio, venghi a conoscerla per signora Vittoria in tutte l’altre parte, fuor ch’il volto, il qual per il camino portarà amantato, secondo la vostra consuetudine4, e poi dentro la camera per un pezzo gli faremo aspettar il lume, tanto che possan far5 per una volta.

VITTORIA Sí, ma bisognarà pure che lei lo risaluti e gli risponda qualche parola; e sarà difficile che non la venghi a conoscere nella voce.

LUCIA Oh, provedere a questo è la piú facil cosa del mondo! Io gli dirò che parli piano e sotto voce, perché, gionte a muro a muro, son de vicine che odono tutto quel che si dice llí dentro.

VITTORIA Voi dite assai bene: lei farà finta de temer d’essere udita da gli altri di casa e da vicini. – Chi è che viene?

LUCIA M[esser] Bartolomeo.

SCENA TERZA

S[ignora] Vittoria, m[esser] Bartolomeo, Lucia

VITTORIA Dove va m[esser] Bartolomeo?

BARTOLOMEO Vo al diavolo!

LUCIA Piú presto trovarai costui che l’angelo Gabriello.

BARTOLOMEO Madonna portanovelle, accordaliuto1, per ché gli angeli non sono cossí affabili come diavoli, lo mondo vien provisto di te e di tue pari per scusar quelli2.

VITTORIA Forse, che ci va troppo per farti montar il senapo? Il molto frequentar e prossimarti al fuoco t’ha disseccato, tanto che facilmente la rabbia ti predomina, dai dentro a l’ingiurie senz’esser provocato.

BARTOLOMEO Non dico a voi, s[ignora] Vittoria, ché vi porto ogni rispetto ed onore.

VITTORIA Come non dite a me? vi par che questa ingiuria che dite a lei, non resulti criminalmente in mia persona? Andiamone, Lucia.

BARTOLOMEO Non cossí in furia, Signora. Io burlo con Lucia che piú mi tenta, si piú mi vede fastidito.

LUCIA Sí, sí, messer sí, in tutto Napoli non è peggio lingua che la tua, che ti sii mozza, lingua da risse e da discordia!

BARTOLOMEO Al contrario di cotesta tua, di concordia, pace ed unione.

SCENA QUARTA

Bartolomeo, solo

Cancaro se mangi quante ruffiane e puttane sono al mondo! Starebbono fresche le potte, s’aspettassero la nostra rendita, idest l’entrata: per me tanto, sicuramente l’aragne1 vi potran far la tela.

Di metalli dicono che il piú grave è l’oro: e tuttavia nulla cosa fa andar l’uomo piú sciolto, leggiero e isnello che questo. Non ogni peso ed ogni cosa che ne s’aggionge, ne aggrava; ma se ne trova una tale, che è tanto lieve che, quanto è piú grande, fa piú ispedito2 e destro. L’uomo, senza l’argento ed oro, è come ucello senza piume, ché chi lo vuol prendere, sel prende, chi sel vuol mangiar, sel mangia: il qual però, s’ha quelle, vola, e se n’ha tante piú, tanto piú vola, e piú s’appiglia ad alto. Messer Bonifacio, quando s’arrà scrollata la borsa e la schena3, si sentirà piú grave4, al dispetto di tutti suoi nemici.

Ma ecco, a tempo, quel bel paranimfo inamorato. Non porta piú la bella cappa: bendette siino le mani a quel mariolo! Adesso corre all’odore.

SCENA QUINTA

M[esser] Bartolomeo, m[esser] Bonifacio

BARTOLOMEO Affrettati, affretta un po’ piú, m[esser] Bonifacio. Poco fa ho veduto passar il tuo core, la tua anima per cqua. Ti giuro che, adesso veggendola, mi son ricordato di tuoi amori; e perciò, considerandola un poco piú attentamente, mi ha parsa cossí bella, che mi s’è tanto gonfiata la vena maestra, che non posso piú dimorar dentro le brache1.

BONIFACIO Basta: mi doni la baia m[esser] Bartolomeo. Io sono inamorato, io sono incatenato. Voi fate per li nominativi2 ed io per li aggettivi, voi co la vostra alchimia ed io co la mia, voi al vostro fuoco ed io al mio.

BARTOLOMEO Io al fuoco di Vulcano e voi a quel di Cupido.

BONIFACIO Vedremo chi di noi farà meglior riuscita.

BARTOLOMEO Vulcano è un uomo raggionevole, discreto e da bene; quest’altro è un putto senza raggion, bardascio sfondato3, il quale a chi non fa disonore, fa danno, ed a chi non fa l’uno, fa l’uno e l’altro.

BONIFACIO Beato voi, s’arete cossí buona riuscita, come avete buon conseglio!

BARTOLOMEO Sfortunato voi, si la madre di pazzi non vi aggiuta!

BONIFACIO Volete dir la sorte. – Ve dirrò, m[esser] Bartolomeo, alle buone riuscite ogn’un sa trovar quella raggione che giamai vi fu: ancor ch’io maneggi miei affari con furia di porco salvatico4, e mi succedon bene, ogn’un dirà: – Costui ha bel discorso, ha saputo prender il capo del negocio cossí e cossí, ed ha ben fatto. – Per il contrario, dopo’ ch’io arrò compassato5 i miei negocii con quante filosofie giamai abbiano avuto que’ barbiferi6 mascalzon7 di Grecia e de l’Egitto, si, per disgrazia, la cosa non accade a proposito, ogn’ un mi chiamarà balordo. Si la cosa passa bene: – Chi l’ha fatto, chi l’ha fatto? Il gran consiglio pariggino8. – Si la va male: – Chi l’ha fatto, chi l’ha fatto? La furia francesa9. – Oltre: – Perché questo, perché? Per conseglio di Spagna10. – Perché, perché? Per l’alta e lunga spagnola11. – Chi ha guadagnato e mantiene tanti bei paesi ne l’Istria, Dalmazia, Grecia, ne l’Adriatico mare e Gallia Cisalpina? chi orna Italia, l’Europa ed il mondo tutto di una tanta Republica a nisciun tempo ed a nisciun modo serva? Il maturo conseglio vineziano12. – Chi ha perso Cipri13, chi l’ha perso? La coglioneria di que’ Magnifici14, la avarizia di que’ m[esser] Pantaloni15. – Allora dunque si fa conto del giudizio ed è lodato, quando la sorte ed il successo è buono.

BARTOLOMEO Tanto che volete dir a nostro proposito: «Ventura dio, niente senno basta»16. – Veggio venir Lucia: io ve la lascio. Ho inviato alla botteca di Consalvo il mio garzone per certa polvere; e non vede ora di venire: bisogna ch’io vi vadi.

BONIFACIO Andate, ch’io ho da raggionar con costei per altri affari che per quei che voi credete.

SCENA SESTA

Bonifacio, Lucia

BONIFACIO (Costei per la prima mi chiederà de danari: son certo che sarà questo il proemio; e la mia risoluzione sarà: cazzo in potta, e danari in mano; ch’a la fine non voglio che femine sappiano piú di me). – Ben venga Lucia. Che mi porti di nuovo?

LUCIA Oh, misser Bonifacio dolce, io non ho tempo di salutarti, perché vi bisogna parlar di soccorrer presto al fatto di questa signora infelicissima.

BONIFACIO Fate buone premisse, se volete buona conclusione. Il mal de la borsa1

LUCIA La si muore…

BONIFACIO «Quando sarà morta, la faremo sepelire»: disse un Santo Padre2.

LUCIA Io dico che la nostra signora Vittoria si muore per voi, crudele. Questa è la vita che possete donargli, e che gli promettete? voi menate passatempi, e quella povera gentil donna si risolve tutta in suspiri e lacrime, che, si voi la vedrete, non la conoscerete piú, non vi parrà forse bella come vi solea parere. Non so si in voi potrà tanto l’amore quanto la compassion di lei.

BONIFACIO Che? ha bisogno di danari?

LUCIA Che vol dir danari? che vuol dir danari? vadano in mal’ora3 quanti ne sono al mondo! Si voi ne volete da lei, la ve ne darrà.

BONIFACIO Or questo non…, ah ah ah, questo non crederò io, ah ah ah ah.

LUCIA Dunque, non lo credete, crudelaccio, senza pietà? Uh, uh, uh, uh.

BONIFACIO Voi piangete?

LUCIA Piango la crudeltà vostra, e la infelicità di quella signora: uh uh, misera me, meschina me, che mal’ora t’ha presa, adesso? Mai viddi né udivi4 amor posser tanto in petto di femina. Sin al giorno d’oggi la vi amava certo, uh uh uh, da alcune ore in cqua, non so che fantasia l’abbia presa, che non ha altro in bocca che: «M[esser] Bonifacio mio, cor mio, viscere dell’anima mia, mio fuoco, mio amore, mia fiamma, mio ardore!» Vi giuro che, – son quindici anni ch’io la conosco, tanto piccolina, – sempre l’ho veduta d’un medesmo volto, nell’amor freddissima; adesso, si voi verrete, la trovarrete poggiata sopra il letto, col viso in giú sopra un coscino5 che tiene abbracciato con ambe le braccia, e dire, – che me ne vien rossore e pietà: – «Ahi, messer Bonifacio mio, chi me ti toglie? Ahi, mia cruda fortuna, quando m’ha egli voluta, me gli hai negata; son certa, adesso che io lo bramo e per lui mi consumo, che me lo negarai. Ahi, cuor mio impiagato!»

BONIFACIO È possibile? può esser che lei dica questo? possono essere tante cose?

LUCIA Voi, voi, Bonifacio, mi farete far cosa, che giamai feci in vita mia: voi mi farete rinegare… Uh uh uh uh uh, povera signora Vittoria mia, che pessima sorte tua! in mano di chi sei incappata, uh uh uh! Ora, ora, adesso m’accorgo che voi mai la amastivo6; e che in tutto Napoli non è uomo piú finto di te… Uh uh uh uh uh, oimè, desolata me! che rimedio potrò porgerti, poverina?

BONIFACIO Uh uh, ti credo, ti credo, Lucia mia, non piú piangere! Non è ch’io non credesse quel che voi dite, ma mi maravigliavo. Che influenza nova del cielo può esser questa che mi voglia faurir tanto, che quella mia signora la qual, mercè del mio intenso amore, sempre me si ha mostrata non manco cruda che bella, quel petto di diamante sii cangiato?

LUCIA Cangiata? cangiata? S’io non l’avesse reprimuta, volea venire a ritrovarvi in casa vostra. Io li dissi: «Folla7 che voi siete, voi gli farete dispiacere. Che dirà sua moglie? che dirà tutto il mondo che vi vedrà? Ogn’un dirà: – Che novità è questa? è impazzata costei? – Non sapete voi ch’egli vi ama? avete voi persa la memoria de suoi trattamenti insin al giorno d’oggi? Siete ben cieca e forsennata, se non credete ch’egli si stimarà beatissimo, quando me si udirà dire che voi desiderate ch’egli venga a voi…»

BONIFACIO E chi ne dubita? avete detto l’evangelio8.

LUCIA … Allora, quell’afflitt’alma, – come dismenticata di tanti segni d’amore che voi gli avete mostrati, ed io gli ho donati ad intendere, – disse: «È possibile, o cielo, cielo a me sola crudele, che possa lui venir a me, quel bene, che non fai che mi sia lecito di cercarlo?»

BONIFACIO Uh, uh, uh, dubita, dunque, la vita mia dell’amor mio?

LUCIA Voi sapete che, dove troppo cresce il desio, suole altre tanto indebolirsi la speranza; e, forse, ancora la gran novità e mutazione che vede in se medesma, gli fa per il simile suspettar mutazion dal canto vostro. Chi vede un miracolo, facilmente ne crede un altro.

BONIFACIO Piú presto persequitaranno i lepri le balene, i diavoli se farann’ il segno della santa Croce, sarrà piú presto un Bresciano uomo cortese9, piú presto Satanasso dirrà un Pater ed Ave Maria per le anime che sono in purgatorio, che io esser possa giamai senza l’amor della mia tanto amata e desiderata signora. – Or dunque, senza piú parole, dove andiate cossí cargata10 voi?

LUCIA Ad una vicina per restituirgli questi drappi co i quali, facendo io una via e dui serviggi, venevo per ritrovarvi in vostra casa; ma la buona fortuna me vi ha fatto rincontrar qua. Che risoluzione vogliam prendere? Bisogna, spedito ch’arrò questa facendola11, ritornar presto, subito subito, a solaggiar12 quella meschina, dicendogli che vi ho visto e parlato, e che sarrete tosto a lei.

BONIFACIO Promettetegli di certo, e ditegli che questo è il piú felice giorno ch’io abbia veduto in tutta mia vita: ché mi vien concesso di baciar quel bellissimo volto ch’io tanto adoro, che tien le chiavi di questo afflitto core.

LUCIA Afflitto core è il suo. Bisogna non mancar questa sera; atteso che lei non è per mangiare né per dormire né per riposare alcunamente, piú tosto per morire, si non ve si vede a presso. Non la fate piú lagnar, vi priego, – si pietà giamai avesti al core, – ché la veggio consumar com’una candela ardente.

BONIFACIO Adesso adesso, vo ad ispedir un negocio; e poi o veramente mi verrete, o vi verrò a ritrovare.

LUCIA Sapete quale è il negocio che dovete fare? per suo e vostro onore, bisogna riparare alla suspizion delle persone del mondo, si fusti veduto uscire o entrare in sua casa. Voi sapete che le vicine, sino a mezza notte, son sempre alle fenestre: e chi va e chi viene. È dunque necessario stravestirvi, con accomodarvi di una biscappa13 simile a quella di m[esser] Gio. Bernardo, il qual senza suspizione alcuna suole entrar in questa casa; e non sarà fuor di proposito, si per sorte fussivo guardato da presso, di portar una barba negra posticcia, simile alla sua, perché a tal guisa potremo andar insieme, ed io v’introdurrò dentro la stanza. Cossí farrete la cosa con piú satisfazione della Signora, che con questo si persuaderà che voi amate ancora il suo onore.

BONIFACIO Voi avete benissimo pensato. Io ho la persona né piú né meno grande di quella di m[esser] Gio. Bernardo: una biscappa simile alla sua non bisogna ch’io la vadi cercando, perché penso averne una intra le mani. Adesso, con questo medesmo passo, me ne vo a Pellegrino mascheraro14, e mi farò accomodare una barba posticcia che sii a proposito.

LUCIA Andate, dunque, vi priego, e speditevi presto. A dio, che vo a levarmi questa soma da le spalli.

BONIFACIO Va’ in buona ora!

SCENA SETTIMA

Bonifacio, solo

Per quel che costei me dice, io credo di aver approssimata la imagine tanto presso al fuoco, che quasi si sarebbe liquefatta: penso d’averla troppo scaldata. Guarda come la povera donna viene tormentata dall’amore: per mia fé, che non ho possuto contener le lacrime. Si m[esser] Scaramuré, – che Dio li dia il bon giorno e la buona sera, ché adesso conosco per propria esperienza che è un galantissimo uomo, – non mi avesse avertito con dirmi: – Guarda che non si liquefaccia; – io certamente arrei fatta qualche pazzia ch’io non ardisco tra me stesso dirla. Or, va’ numera l’arte maggica tra le scienze vane!

SCENA OTTAVA

Marta, Bonifacio

MARTA Ecco cqua quel pezzo d’asino, il quale volesse Dio che fusse un asino intiero, ché potrebbe servire a qualche cosa. Bona sera, messer Buon in faccia1.

BONIFACIO Ben venga la cara madonna Marta. Vostro marito è filosofo, bisogna che voi siate filosofessa: però non è maraviglia se fate notomia2 de vocaboli. Che cosa intendete per quel Buon in faccia? non credete ch’io ve sia amico alle spalli, ed in assenzia come in presenzia? avete torto a darmi la berta.

MARTA Come vi sta la borsa?

BONIFACIO Come il cervello di vostro Martino, – volsi dir marito, – quando la non ha carlini dentro.

MARTA Io dico di quella di sotto.

BONIFACIO Gran mercè a vostra cortesia! Voi andate cercando il male come i medici. Si voi vi potessivo remediare, vi farei intendere il come e quale. Si volete della broda, andate a Santa Maria della Nova3.

MARTA Volete dir ch’io son cosa da frati4, ser coglione?

BONIFACIO Io ve dirrò d’avantaggio: voi siete cosa da cemiterio, perché una femina che passa trentacinque anni, deve andar in pace, ideste in purgatorio a pregar Dio per i vivi.

MARTA Questo niente manco doviamo dir noi femine di voi altri mariti.

BONIFACIO Dominedio non ha cossí ordinato: perché ha fatto le femine per gli omini e non gli uomini per le femine: e son state fatte per quel servizio, e, quando non son buone a quello, faccisen presente al povero diavolo, perché il mondo non le vuole. Ad altare scarrupato5 non s’accende candela: a scrigno sgangherato non si scrolla sacco6.

MARTA Non è vergogna ad un uomo attempato, qual voi siete, di farsi sentir parlare in questa foggia? A i giovanetti le giovanette, a giovani le giovane, e piú vecchi si denno contentar delle piú stantive.

BONIFACIO E si non, va’ le apicchi7 al fumo e falle stasonar8 dentro un camino. Non è questa la ricetta che ferono i medici al patriarca Davitte9, e, poco fa, ad un certo Padre Santo10, il qual morse11, dicendo: «Mene, mene: non piú baser…»; ma costui scaldò troppo, e lui doveva esser tettato e tettava, e però non è maraviglia, se…

MARTA È perché puose troppo pepe al cardo12.

BONIFACIO In conclusione, madonna cara: a gatto vecchio sorece13 tenerello.

MARTA Questo, come intendete per i vecchi, perché non intendete per le vecchie?

BONIFACIO Perché le donne son per gli uomini, no gli omini per le donne.

MARTA Pur llà il mal’è, perché voi uomini siete giodici e parte; ma pazze son de noi altre quelle che…

BONIFACIO Quelle che si lasciano patire14.

MARTA Non voglio dir questo io, ma qualche vostro degno castigo e contracambio.

BONIFACIO Ideste, essi ad altre, ed esse ad altri.

MARTA Ih, ih, ih, ih.

BONIFACIO Ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah.

MARTA Come trattate la vostra moglie? credo che la lasciate morir di sete. È pur lei giovane e bella, ma che? sii buona la vianda15 quanto si voglia, l’appetito si sdegna, si non si varia, ancor che si dia di botto a cose peggiori: non è vero?

BONIFACIO Non è vero, voi? voi non sapete quel che volete dire? parlate per udir dire, voi? Or lasciamo le burle, madonna Marta mia. Io so che voi sapete di molti secreti: vorrei che m’agiutassi a farmi vittorioso. Io gioco con mia moglie questa notte di qualche cosa, che farrò piú di quattro poste. Insegnatemi, di grazia, qualche droga o pozione, perché mi mantenga dritto sul destriero16.

MARTA Recipe acqua di rene, oglio di schene, colatura di verga e manna di coglioni; ad quantom suffrica, mesceta et fiat potum17; e poi vi governarete in questa foggia, videlicet, statevi su le staffe, a fin che, galoppando galoppando, l’arcione de la sella non vi rompa il culo18.

BONIFACIO Per S. Fregonio, voi siete una matricolata maestra! Son costretto a lasciarvi per alcun necessario affare. A dio, m’avete satisfatto.

MARTA A dio. Si vedete quell’affumato di mio marito, ditegli ch’io l’ho mandato a cercare, e ch’ il cerco, per cosa che importa.

SCENA [NONA]

Marta, sola

«Nez couppé n’ha faute de lunettes»1: solea dir quel buon compagno Gianni di Brettagna2 – benedetta sia l’anima sua che mi puose la lingua francesa in bocca, ch’ancora non avevo dodieci anni e mezzo!3 – Voleva egli inferire a proposito, che quanto lui era piú povero ch’il Re di Francia, tanto il Re di Francia è piú bisognoso di lui. Chi piú ha, piú pensa, piú richiede, e manco gode. Il Prencipe di Conca4 mantiene il suo principato con riceverne un scudo e mezzo il giorno; il Re di Francia a pena può mantener il suo regno con spenderne tal volta diecemilia il giorno. Pensa, dunque, chi di questi dui è piú ricco, e chi deve essere piú contento: quello che ha un poco da ricevere, o quello che ha molto da dare? Quando fu la rotta di Pavia, udivi dire, al Re di Francia bisognarno piú di otto conti d’oro5; il Prencipe di Conca quando mai ebbe bisogno piú che de venti o venticinque scudi? quando mai sarà possibile, che gli ne bisognano d’avantaggio? Or, vedi, chi di questi dui prencipi è manco bisognoso? – Meschina me! io lo dico, io lo so, io l’esperimento. Ero piú contenta, quando questo zarrabuino6 di mio marito non avea tanto da spendere, che non potrei essere al dí d’oggi. Allora giocavamo a gamba a collo, alla strettola, a infilare, a spaccafico, al sorecillo, alla zoppa, alla sciancata, a retoncunno, a spacciansieme, a quattro spinte, quattro botte, tre pertosa ed un buchetto7. Con queste ed altre devozioni passavamo la notte e parte del giorno. Adesso, perché ha scudi di vantaggio per la eredità di Pucciolo, – che gli sii maledetta l’anima, anco si fusse in seno di Abrammo8! – ecco lui posto in pensiero, angosce, travagli, tema di fallire, suspicion d’esser rubbato, ansia di non essere ingannato da questo, assassinato da quell’altro; e va e viene, e trotta e discorre, e sbozza ed imbozza9, e macina e cola, e soffia vintiquattro ore del giorno. Tra tanto, oggi, gran mercè a Barra, ché, se lui non fusse, potrei giurare, che piú di sette mesi sono, che non me ci ha piovuto10. Ieri, feci dir la messa di S[ant’]Elia contro la siccità11, questa mattina, ho speso cinque altre grana12 de limosina per far celebrar quella di S. Gioachino ed Anna, la quale è miracolosissima a riunir il marito co la moglie… Si non è difetto di devozione dal canto del prete, io spero di ricevere la grazia, benché ne veggo mala vegilia: ché, in loco di lasciar la fornace e venirme in camera, oggi è uscito, piú del dover, di casa, che mi bisogna a questa ora di andarlo cercando. Pure, quando men la persona si pensa, le gracie si adempiscono. Oh, mi pare udirlo!

SCENA DECIMA

M[esser] Bartolomeo, Marta, Mochione.

BARTOLOMEO Oh misero, sfortunato e desolato me!

MARTA Ahi lassa, che lamenti son questi?

BARTOLOMEO Oimè, sí, questo è cossí: io ho perso peggio che l’oglio ed il sonno! Dimmi, poltroncello, t’ha egli detto cossí, a punto? guarda bene.

MOCHIONE Signor sí; dice alla fine: – Io non ho di questa polvere, e non so si se ne ritrova; – e che la li fu dadata da m[esser] Cencio, e dice che lui non sa che cosa sii il pulvis Christi.

BARTOLOMEO O sconfitto Bartolomeo!

MARTA Iesus, Santa Maria di Piedigrotta, Vergine Maria del Rosario, nostra Donna di Monte, Santa Maria Appareta1, Advocata nostra di Scafata2! Alleluia, alleluia, ogni male fuia3. Per San Cosmo e Giuliano, ogni male fia lontano. Male male, sfiglia sfiglia4, va’ lontano mille miglia. – Che cosa avete, Bartolomeo mio?

BARTOLOMEO E tu sei cqua, a questa ora, alla mal’ora? va’ col tuo diavolo in casa, ch’io voglio andar a risolvermi, si me debbo venir ad apiccar o non! Andiamo, Mochione, a ritrovar costui: lo hai lasciato in bottega?

MOCHIONE Signor sí. Il camin piú piú corto è questo.

MARTA Amara me! voglio tornar in casa ad aspettar la nova. Temo di esser stata esaudita, mal per me! io non ho core di dire quel che penso. Salve, Regina, guardane da ruina. Giesu auto et transi per medio milloro mi batte5. – Costui che mi vien dietro, cossí pian piano, certo deve essere qualche spia di marioli: è bene ch’io m’affretti.

SCENA UNDICESIMA

Manfurio, solo

Ne gli adagiani1 Erasmi, dico ne gli Erasmi adagiani, – io sono allucinato! – voglio dire ne gli erasmiani Adagii, ve n’è uno, tra gli altri, il qual dice: «A toga ad pallium»2. Questo, adimpiendosi in me ipso3, mi fa che questo giorno sii nigro signandus lapillo4. O caelum, o terras, o maria Neptuni!5. Dopo essermi stati tolti di mano i danai da un vilissimo fure, sotto pretesto di volermi essere ufficiosi6 tre altri me si sono offerti e presentati; li quai, non inquam dexteritate sed sinisteritate quadam7, lasciandomi sovr’il dorso un depilato8 palliolo9, proque capitis operculo10 un capitiolo11 vetusto, – che, versus centrum et in medio, prae nimii sudoris densitudine12 appare incerato vel inpiceato13 vel coriceato14 vol coriaceo seu di cuoio, – con il mio pileo15, la mia toga magisterial han toltami. Prob deûm atque hominum fidem16, eccone delapso a patella ad prunas17. Mi han persuaso con il dire: – Venite nosco18, ché vi farrem trovare il fure. – Sono con essi loro bona fide19 andato, sin quando gionti a di certe, – ut facile crediderim20, – meretricule il domicilio, dove, entrati, mi fecero rimaner nell’atrio inferior, dicendomi: – È ben che noi prima entriamo a prevenirlo, a fin che non paia che ex abrupto con la tua presenza vogliamo confonderlo: però aspettate cqui, ché tosto da alcun di noi sarrete chiamato per decernere, co la minor excandescentia21 che si potrà, quod ad restitutionem attinet22. Or, avendo io per un grand’intervallo di tempo aspettato deambulando23, pensando a gli argumenti coi quali io dovevo confonder costui, tandem24, non essendo verun che mi chiamasse, per certe scale asceso in alto, toccai del primo cubiculo25 porta: dove mi fu risposto che andasse oltre, perché ivi non era, né vi era stato, altro che que’ domestici presenti. Aliquantolum progressus26, batto l’uscio di un altro abitaculo27, il qual era nella medesma stanza28: dove mi fu parimente risposto da una vetula29, dicendomi, s’io volevo far ivi ingresso, che altro non v’era che certe minime contemnendae iuvenculae30; a cui dicendo che di altro fantasma avevo ingonbrato il cerebro, ulterius progressus31 mi ritrovo fuor della casa che avea l’altra uscita in un’altra platea. Allor de necessitate consequentiae32 io conclusi: –Ergo forte33 sono eziamdio da costoro deceputo34, conciossia cosa che domus ista duplici constat exitu et ingressu35. E di bel nuovo ritornato dentro, percunctatus sum36, si ivi dentro fusse altro receptaculo37 in cui quei potessero esser congregati38; mi fu in forma conclusionis detto: – Amico mio, si sono entrati per quella porta, son usciti per questa; si son entrati per questa, sono usciti per quella. – Tunc statim39, temendo qualch’altro soccorso o consiglio simile a i preteriti40, mi sono indi absentato, e, – iuxta del pitagorico simbolo la sentenza41, – le vie populari fuggendo e per i diverticoli42 andando, aspetto il tempo da tornar in casa. Quandoquidem43, adesso, per de gli eunti e redeunti44 la frequenza, temo, – con di mia reputazione il preiducio, – incidere45 in qualcun che mi conosca, in questo indecentissimo abito; expedit46 che in istum angulum mi retiri, in questo mentre, che veggio, approperar un paio di muliercule.

SCENA DODICESIMA

Carubina, Lucia

CARUBINA Al nome sia di Santa Raccasella!

LUCIA Advocata nostra.

CARUBINA Vi par che ne’ gesti e la persona vi rapresenti la s[ignora] Vittoria?

LUCIA Vi giuro per i quindici misterii del rosario, – che ho finiti de dire adesso, – che io medesima, al presente, mi penso essere con essa lei. Sin alla voce e le paroli vi sono accomodatissime. Pur farrete bene a parlargli sempre basso, sotto voce, con essortarlo al simile, fingendo tema di essere udita da vicine, e dall’altre genti di casa che son gionte a muro e muro. Quanto al toccarvi de la faccia, voi l’avete cossí verde1, morbida e piena, come la signora Vittoria, si non alquanto megliore.

CARUBINA Voi farrete che lume non venghi in camera, sin tanto che da me non vi si farrà segno, perché voglio convencere costui d’intenzione e fatto.

LUCIA Oltre che sarrà bene di dar qualche sollazzo alla povera bestia, prima che tormentarla. Fate che scarghe al meno una volta la bisaccia2, per veder con quanta devozione si maneggi.

CARUBINA Oh, quanto a questo, voglio ch’il spasso sii piú vostro che suo! Io me gli mostrarrò tutta infiammata d’amore: e con questo gli piantarrò de baci di orso, lo morsicarrò su le guance, e gli strengerrò le labbra co’ denti, di sorte che sii forzato a farvi udir le strida e gustar de la comedia. Allora dirrò: «Cor mio, vita mia, non cridate, ché sarremo uditi! Perdonami, cor mio, ché questo è per troppo amore!…»

LUCIA Il crederrà per la virtú e forza de l’incanto.

CARUBINA «…Io mi liquefaccio tanto, che ti sorbirrei tutto in sin a l’ossa!»

LUCIA Amor di vipera.

CARUBINA Oh, questo non basta. Poi farrò di modo che mi porga la lingua; e quella voglio premere tanto forte co gli denti, che non la potrà ritrare a suo bel piacere, e non la voglio lasciar, sin tanto che non abbia gittati tre o quattro strida.

LUCIA Ah, ah, ah, ih, ih, ih, ah. Dirrò alla s[ignora] Vittoria: «Questa è la lingua». Potrà egli ben cridare, ma parlar non: questa è alquanto troppo dura, e da fargli uscir l’amor dal culo.

CARUBINA Allor dirrò: «Cor mio bello, mia dolce piaga, anima del mio core, comportami, ti priego, questo eccesso! il mio troppo amare, il mio esser troppo scaldata n’è caggione, questo mi fa freneticare!»

LUCIA Per Santa Pollonia3, ch’avete di bei tiri! Dirrà egli tra sé: «Che canino amor è di costei?»

CARUBINA Fatto questo secondo atto, mostrarrò di volergli concedere l’entrata maestra per una volta, prima che ci colchiamo al letto. M’acconciarrò in atto da chiavare; e tosto che lui arrà cacciato il suo cotale, farrò bene che venghi all’attolite porta, ma prima che gionga all’introibi Re gloria4, voglio apprendergli i testicoli e la verga con due mani, e dirgli: «O ben mio, mio tanto desiderato, o speranza di quest’anima infiammata, prima mi sarran le mani tolte, che tu mi sii tolto da le mani»; e con questo le voglio premere tanto forte, e torcergli come torcesse5 drappi bagnati di bucata. Son certa che le sue mani, in questo caso, non gli serveranno per defendersi.

LUCIA Ih, ih, ih, ah, ah. Certo quel dolore farrebbe perdere la forza ad Erculesso6: oltre che, è certo che in ogni modo voi sete piú forte che lui.

CARUBINA Allora siate certa che cridarrà tanto, che le strida si sentiranno a nostra casa; e peggio per lui si non cridarrà bene, perché tanto piú fortemente sarrà strento7 e torciuto. Quando saranno queste piú solenne terze strida, correrete voi di casa con i lumi: e cossí, tutti insieme, ne conosceremo alla luce, con la grazia di S[anta] Lucia8. De l’altro che sarrà appresso, vederremo.

LUCIA Tutto è bene appuntato. Andate, dunque, in casa della Signora: caminate come sapete: mantenetevi il viso coperto con il manto. Si l’incontrate per il camino, lui non vi parlarà, perché non è onesto per le strade: fategli una profonda riverenza, e, quando sarrete un po’ oltre, fatevi cascar un focoso suspiro, e prendete il camino verso la nostra porta che trovarete aperta. Tra tanto io darrò una volta per certo altro affare; e poi cercarrò lui e lo menarrò in casa. Governatevi bene. A dio.

CARUBINA A dio, a rivederci presto.

SCENA TREDICESIMA

Lucia, sola

Dice bene il proverbio: «Chi vuole che la quatragesima gli paia corta, si faccia debito per pagare a Pasca»1. Tutto oggi non mi ha parso un’ora per il pensiero ch’ho avuto, di far schiudere queste uova in questa sera. Ogni cosa va bene. Resta sol ch’io faccia avisato m[esser] Gio. Bernardo, che si trovi a tempo, e faccia che gli altri si trovino a tempo. Bisogna martellare a misura, quando son piú che uno a battere un ferro. A fé di Santa Temporina2, che mi par lui costui.

SCENA QUATTORDICESIMA

Lucia, m[esser] Gio. Bernardo

LUCIA A punto, siete venuto a proposito.

GIO. BERNARDO Che hai fatto, Lucia mia?

LUCIA Tutto. Messer Bonefacio è andato a stravestirsi, ed accomodarsi una barba simile alla vostra. Sua moglie adesso, in abito della s[ignora] Vittoria, se n’è entrata. Sanguino, vestito da capitan Palma, in barba lunga e bianca. Marca, Floro, Barra, Corcovizzo sono accomodati da birri.

GIO. BERNARDO Io le1 ho veduti or ora, ho parlato con essi. Le ho lasciati cqui vicino, in bottega di un cimatore. Io starrò in cervello, che non mi farrò scappare questo morsello2 di bocca. Hai parlato del fatto mio a madonna Carubina?

LUCIA Liberamus domino3. Credete ch’io sii tanto poco accorta?

GIO. BERNARDO Hai fatto saggiamente: voglio darti per beveraggio un bacio; ba.

LUCIA Gran mercè! io ho bisogno d’altro che di questo.

GIO. BERNARDO Questo è sol un pegno, Lucia mia. È impossibile di trovar una donna da maneggi4 simile a voi.

LUCIA Si voi sapeste quanto mi ha bisognato di spirto, per far capire a m[esser] Bonifacio l’amor novello della signora Vittoria, e persuadergli che si stravesta cossí, ed anco per ridurre madonna Carubina a quel ch’è ridutta: vi maravigliareste assai.

GIO. BERNARDO Son certo che sapete cacciar le mani da cose vie piú importanti che questa. Or è bene ch’io mi parti da cqua, ché non è piú tempo di consegli. Si venisse ora, e ne vedesse m[esser] Bonifacio, guastarebbe la minestra il troppo sale. A dio.

LUCIA Andate, accomodatevi voi altri, perché lui lo accomodarrò io.

SCENA QUINDICESIMA

Manfurio, solo

Poi che costoro sono absentati, voglio rimenarmi un poco per questo piccolo deambulatorio1. Ho veduto due muliercule raggionar insieme, e poi una di quelle è rimasta a confabular con quel pictore. La giovane deve esser qualche lupa2, unde derivatur lupanar3; la vetula, senza dubio, è una lena4. Quel modo di colloquio habet lenocinii specimen5. Io istimo questo pictore aliquantolum fornicario6. Ergo, sequitur conclusio7. Veggo una caterva8 che appropera: voglio iterum9 retirarmi.

SCENA SEDICESIMA

Sanguino, stravestito da capitan Palma; Marca, Barra, Corcovizzo, da birri

SANGUINO Senza dubio, costui che fugge e si asconde, è qualche povera anima da menarla in purgatorio: per certo, è qualche lesa conscienzia; prendetelo.

BARRA Alto, la corte! Chi è llà?

MANFURIO Mamphurius artium magister. Non sum malfactore, non fur, non moechus, non testis iniquus: alterius nuptam, nec rem cupiens alienam1.

SANGUINO Che ore2 son queste che voi dite, compieta o matutino?

MARCA Settenzalmo o officio defontoro3?

SANGUINO Che ufficio è il vostro? Costui per certo vorrà far del clerico.

MANFURIO Sum gymnasiarcha.

SANGUINO Che vuol dir asinarca? Legatelo presto, che si meni priggione.

CORCOVIZZO Toccatemi la mano, Messer pecora smarrita. Venete, che vi vogliamo donar allogiamento questa sera: dimorarrete in casa reggia4.

MANFURIO Domini, io sono un maestro di scola, a cui, in queste ore prossime, son stati da certi furbi rubbati i scudi ed involate le vesti.

SANGUINO Perché dunque fuggi la corte5? Tu sei un ladro, nemico de la giustizia; zo, zo, zo.

MANFURIO Quaeso6, non mi verberate7, perché io fuggiva di esser veduto in questo abito, il quale non è mio proprio.

SANGUINO Olà, famegli8, non vi accorgete di questo mariolo? non vedete questo mantello che porta, è stato rubbato a Tiburolo nella Dogana.

CORCOVIZZO Perdonatime, signor Capitano, Vostra Sign[oria] se inganna: perché quel mantello aveva passamani gialli nel collaio9.

SANGUINO E non le vedi? sei cieco? Non son passamani questi? non son gialli?

CORCOVIZZO Po San Manganello10, che l’è vero.

MARCA Al corpo della Nostra…, costui è un solenne mariolo; zo, zo, zo, zo.

MANFURIO Oimè, voi perché mi bussate pure? Io vi ho detto che mi è stato elargito in vece della mia toga da alcuni scelesti11 furi, e, ut more vestro loquar12, marioli.

SANGUINO Sin ora sappiamo che tu sei nostro fuggitivo; che questo mantello è stato rubbato. Va’ priggione, ché si vedrà chi è stato il mariolo.

MANFURIO Menatemi in casa del mio ospite, presso gli Vergini13, ché vi provarrò ch’ i’ non son malfattore.

SANGUINO Non prendemo le persone per menarle in casa sua, noi; zo, zo. Andate in Vicaria, ché dirrete vostre raggioni ad altro che a’ birri.

MANFURIO Oimè, cossí trattate gli eruditi maestri? dunque, di tanto improperio14 mi volete afficere15?

MARCA Parla italiano, parla cristiano, in nome de lo tuo diavolo, ché t’intendiamo!

BARRA Lui parla bon cristiano; perché parla, come si parla quando si dice la messa.

MARCA Io dubito che costui non sia qualche monaco stravestito.

CORCOVIZZO Cossí credo io. Domine abbas, volimus comedere fabbas?16.

BARRA Et si fabba non habbemo, quit comederemo?

MANFURIO Non sum homo ecclesiasticus17.

SANGUINO Vedete che porta chierica? porta la forma de l’ostia in testa?

MANFURIO Hoc est calvitium18.

BARRA Per questo vizio farrai la penitenza, scomunicato; zo, zo, zo, zo.

MANFURIO Dixi calvitium, quasi calvae vitium19. E non mi bussate, quia conquerar20. Cossí si trattano uomini di dottrina ed eruditi maestri?

SANGUINO Tu hai mentito: non hai fortuna né similitudine di maestro; zo, zo.

MANFURIO Vi recitarrò cento versi del poeta Virgilio, aut per capita21 tutta quanta la Eneide. Il primo libro, secondo alcuni, comincia: «Ille ego qui quondam»; secondo altri che dicono quei versi di Varo22, comincia: «Arma virumque cano»; il secondo: «Conticuere omnes»; il terzo: «Postquam res Asiae»; il quarto: «At regina gravi»; il quinto: «Tu quoque littoribus nostris»; il sesto: «Conticuere omnes»23.

SANGUINO Non ci ingannarrai, poltrone, con queste parole latine imparate per il bisogno. Tu sei qualche ignorante: si fussi dotto, non sarreste mariolo.

MANFURIO Venghi, dunque, qualche erudito, e disputarrò con esso lui.

SANGUINO «Cennera nomino quotta sunt?»24.

MANFURIO Questa è interrogazione di principianti, tirumculi25, isagogici26, et primis attingentium labellis27: a’ quai si declara masculeum idest masculino, foemineum il femminile, neutrum quel che non è l’uno né l’altro, commune quel che è l’uno e l’altro,…

BARRA Mascolo e femina.

MANFURIOepicoenum quel che non distingue l’un sexo da l’altro.

SANGUINO Quale di tutti questi sete voi? sete forse epiceno?

MANFURIO «Quae non distinguunt sexum, dicas epicoena».28

SANGUINO Dimmi, si sete magister: che cosa, per la prima, insegnate a putti?

MANFURIO Nella dispauteriana Grammatica è quel verso: «Omne viro soli quod convenit, esto virile».

SANGUINO Declara.

MANFURIO Omne – idest totum, quidquid, quidlibet, quodcumque universum; – quod convenit – quadrat, congruit, adest; – viro soli – soli, duntaxat, tantummodo, solummodo viro, vel fertur a viro; – esto – idest sit, vel dicatur, vel habeatur; – virile: – idest, quel che convien a l’uomo solamente, è virile.

SANGUINO Che diavolo di propositi insegnano a putti per la prima volta, costoro! Quel che gli uomini soli hanno, e manca alle donne, hoc est, ideste, chiamisi, dichisi il virile, il membro virile!

BARRA Questa è una bella lezione, in fé di Cristo!

MANFURIO Nego, nego. Io non dico quel che voi pensate, – vedete che importa parlar con ineruditi! – io dico del geno29 che conviene a maschi.

SANGUINO Zo, zo, zo; questo è cosa da femine, scelerato vegliacco.

MANFURIO Quello che voi pensate è di maschii, proprie et ut pars30; ed è di femine, ut portio, et attributive vel applicative31.

SANGUINO Presto, presto, depositatelo in questa stanza, ché poi lo menaremo in Vicaria. Vuol mostrarsi dottore; e ci fa intendere che è de l’arte da spellechiar capretti32.

MANFURIO O me miserum! verba nihil prosunt. O diem infaustum atque noctem!33.

Fine dell’atto IV.