SCENA PRIMA
Bonifacio, Lucia
BONIFACIO Ho ho ho ho ho1.
LUCIA Sí che, messer Gio. Bernardo mio,…
BONIFACIO Ricordatevi ch’io son Bonifacio, ho ho ho ho ho.
LUCIA Vi giuro ch’io mi dismentico di esser con voi: tanto sete accommodato bene, che par che non vi manchi il nome di Gio. Bernardo.
BONIFACIO Ho ho ho ho. Sarrà pur bene di chiamarmi cossí, perché, si alcuno vi udisse parlare, he he he he he he, sarrà bene che vi senta chiamarmi cossí, hihi, ih, hihi.
LUCIA Voi tremate: che cosa avete?
BONIFACIO Niente, he he he he. Avertisci, Lucia, che si alcuno, pensando ch’io sii Gio. Bernardo, ho ho ho ho ho, mi volesse parlare, rispondete voi, hi hi hi hi hi, – ché io bisogna che mi finga andar in colera, ha ha ha, e passar oltre, he he he: – voi dirrete che mi lasciano, ho ho ho ho ho, perché vo fantastico per alcune cose che passano2, ho ho ho ho.
LUCIA Voi dite bene: non farrò altrimente errore.
BONIFACIO Ho ho ho ho ho ho.
LUCIA Vorrei sapere perché tremate. Ditemi, tremate per freddo o per paura? che cosa avete?
BONIFACIO Cara mia Lucia, io ho, ho ho ho, il tremore de l’amore, pensando che, adesso adesso, ho da esser gionto al mio bene, he he he he he he he he he.
LUCIA Oh sí sí, io so adesso qual sii questo tremore: cossí trema quando uno si trova con qualche bona robba molto desiderata: voi fate conto di esser con lei, perché la non vi è troppo lontano.
BONIFACIO O, ho ho ho ho, signora Vittoria mia, ha ha ha ha, mio bene, quel petto di diamante, che mi facea morire, he he he he he.
LUCIA Voi suo bene, e lei vostro bene. Giuro per quel Santoche die’ la mittà3 della sua cappa per l’amor de Dio4, che da dovero ramollareste un diamante, tanto avete il sangue dolce. Oggi mi parete piú bello che mai: io non so se questo procede da l’amore o da altro.
BONIFACIO Ho ho ho ho ho. Andiamo presto, perché mi scappa, ha ha ha ha.
LUCIA Non la fate andar a terra, si non volete la maldizion de Dio5, ha ha ha: mi fate venir la risa. Se vi scappa questo, scrollandovi farrete dell’altro.
BONIFACIO È la verità; ma, ha ha ha ha ha ha…
LUCIA Via, dunque.
SCENA SECONDA
Bartolomeo, Consalvo, Mochione
BARTOLOMEO O traditor, o ladro, o sassino, dunque non avete il pulvis Christi e ’l pulvis del diavolo? Oimè, ahi lasso, o me disfatto, vituperato! Tu me la pagherrai.
CONSALVO Meglio farrai tacendo, pover omo, altrimente tutti ti stimaranno pazzo: sarrai la favola de tutto Napoli, sino a’ putti faranno comedia di fatti tuoi: e non avanzarrai altro.
BARTOLOMEO Con questa persuasione pensi di farmi tacere?
[CONSALVO] Si non vuoi tacere, crida tanto che ti schiattino i pulmoni. Che volevi tu ch’io sapesse di questo vostro negocio? Un mese fa, venne questo vostro Cencio, e mi dimandò s’io avevo litargirio1, alume, argento vivo, solfro rosso, verde rame, sale armoniaco2 ed altre cose ordinarie; io li risposi che sí. E lui soggionse: «Or dunque, voi sarrete il mio ordinario3, per certa opera che debbo fare. Tenete ancora a presso di voi questa polvere, che si chiama pulvis Christi, della quale mi mandarrete secondo la quantità che vi sarrà dimandata. Abbiate ancora a presso voi questo mio scrigno, dove sono le mie cose piú care ch’io abbia».
BARTOLOMEO Queste cose se l’ha prese?
CONSALVO Non; e però tacete, ché, si lui verrà per quelle, non uscirrà da mia casa, come si pensa4.
BARTOLOMEO Voi dite bene, si non se ne fusse andato per la posta. Non l’hai udito tu, adesso adesso, Mochione?
MOCHIONE Da tutte bande5 si dice.
CONSALVO Or, che devevo far io? Voi lo dovevate conoscere, che lavorava in vostra casa, ed ha piú de quindici giorni dimorato con voi; e poi non so dove sii alloggiato in sino a questo tempo. Voi di vostra mano mi avete mandato a dimandar or questa or quella cosa; e, quanto al pulvis Christi, come voi lo chiamate, mi dimandaste la prima volta tanto, che era la mittà, e, la seconda volta, altre tanto, che fu tutto il resto. Oggi, quando me hai mandato a dimandar tanto, che tutto quel ch’ebbi non farrebbe per la decima parte, mi son maravigliato, e ti ho mandato a dire, che l’alchimista Cencio non me ne die’ piú.
BARTOLOMEO Io non dubito che lui e tu mi avete piantato il porro dietro6.
CONSALVO Si tu pensi mal dal canto mio, tu pensi una gran mentita7, pazzo da catena insensato! Ha ben bastato lui solo per burlarti! Che volevi tu che io sapesse di fatti tuoi, che son diece anni che non ti ho parlato? Avete mandato per cose di mia bottega, ed io ti ho mandato quel che avevo.
BARTOLOMEO Oimè, questo pulvis del diavolo era oro meschiato e posto in polvere, con qualche altra maldezione, che non lo facea conoscere! Ben vedevo io che gravavapiú ch’altra polvere. Da cquà procedevano le verghette d’oro. Oh, maldetto ’l giorno che lo viddi! Io mi appiccarrò8.
CONSALVO Va’ pure e fa’ presto.
BARTOLOMEO Mi appiccarrò, dopo aver fatto appiccar te, barro9 traditore.
CONSALVO Hai mentito cento volte per la gola! Va’ mi fa il peggio che tu puoi, ch’io non ti stimo un danaio. Va’, pazzo, pover pazzo, cerca il pulvis Christi.
BARTOLOMEO Oimè, che farrò io? come ricuperarrò li miei scudi, io?
CONSALVO Fate come ha fatto lui, si possete trovar un altro ch’abbia il cervello come voi, e la borsa come la vostra.
BARTOLOMEO Vegliacco, questo è ufficio di pari tuoi.
CONSALVO Aspetta un poco, ché voglio farti uscir la pazzia, o ’l vino, dal naso: toh toh, spaccatornese10.
BARTOLOMEO Questo di piú, anh? O cornuto disonorato: zo, zo.
CONSALVO Gusta di questi altri, che son piú calzanti: zo, zo, zo.
BARTOLOMEO Oi oi, oimè, traditor sassino! aggiuto, aggiuto!
MOCHIONE Aggiuto, aggiuto, aggiuto, ché uccide mio padron co’ pugni!
CONSALVO Lascia, che ti voglio aggiutar io a levarti la pazzia di capo: zo, zo, zo, zo.
BARTOLOMEO Oh, per amor de Dio, ch’io sono assassinato! Aggiuto, aggiuto!
SCENA TERZA
Sanguino da capitan Palma; Corcovizzo, Barra, Marca da birri; Bartolomeo, Consalvo, Mochione
SANGUINO Alto, la corte! Che rumore è questo?
BARTOLOMEO Questo sassino mi ha sassinato nelle facultà; adesso, mi assassina ne la persona, come vedete.
SANGUINO Legatele insieme, e menatele priggioni.
CONSALVO Signor Capitano, costui me vuole imponere cose che sono aliene da uomini da bene, come sono conosciuto io.
BARTOLOMEO Andiamo in Vicaria, perché la giustizia farrà il suo dovere.
BARRA Caminate, via, presto, perché è notte.
SANGUINO Strengile bene, che non scappino.
CORCOVIZZO Si me scappano, dite che le ho liberati io.
SANGUINO Strengile bene co la corda. Via, via, andiamo.
BARTOLOMEO Oh, meschino me! e questo di piú. Mochione, va’ a Marta, e digli che doman mattina per tempo venghi a trovarmi in Vicaria.
MOCHIONE Io vo.
SANGUINO Caminate, via, in vostra mal’ora, presto.
SCENA QUARTA
Mochione, solo
Come un autem genuit tira l’altro, e l’altro l’altro, a l’altro l’altro; e come uno ex tribu et millia signati1, per certo filo, procede dall’altro; e come una cereggia2 tira l’altra: cossí sogliono far il piú delle volte i guai e gli inconvenienti: ché a presso l’uno viene l’altro. Ed è proverbio universale, che le sciagure mai vengon sole. – Mio padrone, per primo male, conobbe Cencio; per il secondo, vi ha lasciato seicento scudi; per il terzo, ha tanto speso in far provisione di bozzole3, fornelli, carboni ed altre cose che concorreno a quella follia; ha, per il quarto, perso tanto tempo; per il quinto, la fatica; per il sesto, ha fatto questione, e farrà, con questo speciale4; per il septimo, ha avanzate sin a dodici pugni fermi da bastaggio5; per l’ottavo, è andato priggione; per il nono, sarrà qualch’altra mal’ora, prima che esca di carcere, e ci varrà di tempo e moneta; per l’ultimo, sarrà di lui fatta comedia per questo maldetto pulvis Christi. – Mi par veder m[esser] Gio. Bernardo. Costui deve aver intesa qualche cosa. Voglio udirlo, che va borbottando da per lui.
SCENA QUINTA
M[esser] Giov. Bernardo, Mochione
GIO. BERNARDO Dubito che questi marranchini1, co le lor frascherie, sarranno attenti a far qualch’altro negocio, e non farranno venir ad effetto questo principale, se pur ne farranno uno degli due. Per certo credo che la strappazzarranno. Olà, olà, bel figlio!
MOCHIONE Che comandate, m[esser] Gio. Bernardo.
GIO. BERNARDO Avete vedute alcune persone cqua?
MOCHIONE Ne ho viste pur troppo, alla mal’ora.
GIO. BERNARDO Che gente l’era.
MOCHIONE Il capitanio di agozzini con tre zaffi2, che han menato mio padrone priggione insieme con Consalvo speciale. Perché l’han qui trovati a donarsi de pugni, le menano strettamente legati in Vicaria.
GIO. BERNARDO Chi è vostro padrone?
MOCHIONE Messer Bartolomeo.
GIO. BERNARDO Dunque, è andato priggione m[esser] Bartolomeo? che disgrazia! Mio figlio, dimmi un’altra cosa: perché si batteva insieme con Consalvo?
MOCHIONE Signor, io non so. V. S. mi perdoni, ché io ho fretta di andar in casa.
GIO. BERNARDO Or, andate con dio.
SCENA SESTA
Gio. Bernardo, solo
Burla burlando questo frappone1 di Sanguino starrà occupato per far qualche mariolaria con questi altri cappeggianti2; e tra tanto Bonifacio co la moglie uscirranno di casa de la Signora; ed io solo non potrò far cosa che vaglia. Oh, che mal viaggio facciano! Bisognarrà, a l’uscita di costoro, che io abbia modo de intrattenergli, sin che possano costoro, in qualche cantone dove l’arran ridutti, aver spedito l’…3 – Ave Maria, questa borsa è la mia: Ave Maria, questa cappa è la mia. Piaccia a Dio che questi che veggo venir siino essi.
SCENA SETTIMA
Sanguino, Barra, Marca, Corcovizzo
SANGUINO Ah, ah, ah. Il fatto di costoro è come quel di Cola Perillo1, che si sentea male e non sapeva in qual parte de la persona si fusse il dolore. Il medico gli toccava il petto, e diceva: «Vi duol cqua?» «Non». Poi, li tocca la schena: «Vi duol cqua?» «No». Poi, ne gli reni: «Vi duol cqua?» «Non». Poi, li tocca il stomaco: «Vi duol cqua?» «Non». Al ventre: «Vi duol cqua?» «Non». A’ coglioni: «Vi duolen forse questi?» «Non». Il medico disse: «È forse a questa gamba?» «Signor non». «Vedi, di grazia che non fusse a quell’altra».
BARRA Ah, ah, ah.
SANGUINO Cossí, questi pover’omini, essendo in nostre mani, si senteano male, e non sapeano dove lo si consistesse.
CORCOVIZZO Quando m[esser] Bartolomeo me si sentí poner mano alla borsa, disse: «Cossí siete voi birri ed io priggione da Vicaria, come voi sete cardinali ed io papa. Prendete, prendete, e buon pro vi faccia: perché tutto cavarrò io da questo mio socio». «Sí, sí», disse quell’altro: «cappello paga tutto»2.
SANGUINO E quell’altro, quando gli toglieste la sua, che disse?
CORCOVIZZO «A, ah, ah. Corpo di Nostra Donna, la sentenza è data: ecco noi arrivati in Vicaria, eccone spediti. Per la grazia di Santo Lonardo, – ché gli voglio offrire una messa con un collaio di ferro, – noi abbiamo fatto il peccato e le borse ne fanno la penitenza».
SANGUINO E tu che gli dicesti? non parlavi?
[CORCOVIZZO] «Noi», li dissi, «per questa volta vi perdoniamo, e non vogliamo menarvi in priggione: e, acciò non vi facciate male col battervi, vogliamo lasciarvi cqui legati. A fin che non possiate darvi di pugni senza un terzo, e perché non è onesto che in questo bene, che io fo, venghi a perdere mia fatica, tempo ed un passo e mezzo di fune, voglio pagarmi; e, perché cqua non è lume, aspettatemi ch’io venghi a ritornarvi il restante».
SCENA OTTAVA
Esce Giov. Bernardo
GIO. BERNARDO Ah, ah, ah, che avete fatto?
SANGUINO Abbiamo castigati dui malfattori.
GIO. BERNARDO Fate la giustizia, ché Dio vi agiutarrà!
SANGUINO Come quella d’un certo papa, – non so se fusse stato papa Adriano1, – che vendeva i beneficii piú presto facendone buon mercato che credenza2: il quale era tutto il dí co le bilancie in mano, per veder se i scudi erano di peso. Cossí farremo noi, e vedremo quanto ne viene a ciascuno.
GIO. BERNARDO Come le avete lasciati priggioni?
SANGUINO Con sicurtà, che non si diano pugni, mentre sarran dui.
GIO. BERNARDO Olà, olà, retiratevi, retiratevi, ché credo che messer Bonifacio viene.
SANGUINO Olà, Barra, Marca, Corcovizzo, a dietro, a dietro, lasciamo che prima raggionino con m[esser] Gio. Bernardo.
GIO. BERNARDO Andate, ché io le aspettarrò cqua, al passo.
SCENA NONA
M[esser] Bonifacio, Carubina, m[esser] Gio. Bernardo
BONIFACIO Tutto questo male l’ha fatto questa ruffiana strega di Lucia, e quest’altra puttana vacca di sua padrona. S’hanno voluto giocar di fatti miei: mai, mai piú voglio credere a femine. Si venesse la Vergine…, – poco ha mancato ch’io non dicesse qualche biastema.
CARUBINA Togli via queste iscusazioni, scelerato, che io ti conosco, e le conosco! Chi è costui che, cossí dritto dritto, se ne viene verso noi?
BONIFACIO Questa è qualch’altra diavolo di matassa: credo che questa ruffianaccia me ne abbia fatte piú di quattro insieme.
GIO. BERNARDO O io sono io, o costui è io.
BONIFACIO Questo è un altro diavolo piú grande e piú grosso, non tel’ ho detto?
GIO. BERNARDO Olà, Messer uomo da bene.
BONIFACIO Questo ci mancava per la giunta di una mezza libra.
GIO. BERNARDO Olà, Messer de la negra barba, dimmi chi di noi dui è io, io o tu? non rispondi?
BONIFACIO Voi siete voi, ed io sono io.
GIO. BERNARDO Come, io sono io? Non hai tu, ladro, rubbata la mia persona, e, sotto questo abito ed apparenzia, vai commettendo di ribalderie? come sei cqua tu? che fai con la signora Vittoria?
CARUBINA Io son sua moglie, m[esser] Gio. Bernardo, che son venuta cossí, per grazia che mi ha fatta una signora per farmi convencere questo ribaldo.
GIO. BERNARDO Dunque, voi sete madonna Carubina, voi? e costui come è fatto Gioanbernardo?
CARUBINA Io non so. Dicalo lui che sa parlare ed ave l’età.
BONIFACIO Ed io ho mutato abito, per conoscere1 mia moglie.
CARUBINA Tu hai mentito, traditore: ancora ardisci, in mia presenza, negare?
GIO. BERNARDO Furfantone, in questo modo tradisci tua donna, la quale conosco onoratissima?
BONIFACIO Di grazia, m[esser] Gio. Bernardo, non venemo a termini de ingiurie: lasciami che io faccia i miei negocii con mia moglie.
GIO. BERNARDO Come, ribaldo, pensi tu scappar dalle mie mani, cossí? voglio veder conto e raggione di questo abito; voglio saper come abusate di mia persona. Tu puoi aver fatte in questa foggia mille ribaldarie, le quali sarranno attribuite a me, si non starrò in cervello.
BONIFACIO Io vi priego, perdonatime; perché non ho fatto altro fallo, che con mia moglie, il quale non è cognito ad altro che alla signora Vittoria, e quei di sua casa, che hanno conosciuto che sono io.
CARUBINA Fatelo per amor mio, m[esser] Gio. Bernardo: non fate che questo passe oltre.
GIO. BERNARDO Perdonatemi, Madonna, ché è impossibile che io faccia passar questa cosa cossí di leggiero. Io non so che cosa abbia egli fatto, però non so che cosa io gli debbia perdonare.
BONIFACIO Andiamo, andiamo, Carubina.
GIO. BERNARDO Ferma, ferma, barro, ché tu non, non mi scapparrai.
BONIFACIO Lasciami, ti priego, si non vogliamo venire a i denti ed a le mani.
CARUBINA Misser Giov. Bernardo mio, ti priego per l’onor mio.
GIO. BERNARDO Signora, sarrà intiero l’onor vostro, perché non può esser male quel che voi avete fatto; ma io voglio veder del torto che costui ha fatto a voi ed a me.
BONIFACIO Tu non m’impedirrai.
GIO. BERNARDO Tu non mi scapparrai.
SCENA DECIMA
Sanguino, Barra, Marca, Corcovizzo,
Gio. Bernardo, Carubina, Bonifacio
SANGUINO Olà, olà, alto, la corte! Che rumori son questi?
BONIFACIO (A l’altra!) Siate li ben venuti, signori. Vedete che io mi sono incontrato con quest’uomo vestito di mia foggia, caminando con mia moglie. Viene a farne violenza. Io mi querelo di lui.
GIO. BERNARDO Tu hai mentito, scelerato; e ti provarrò, per questo vestimento che porti, che tu sei un falso.
SANGUINO Che diavolo, son dui gemini1 che fanno a questione.
BARRA Questi tre, insieme con la femina, farranno dui in carne una2.
MARCA Credo che cercano chi de lor dui è esso, per essere il marito de la femina.
SANGUINO Questa deve essere qualche sollenne imbroglia. Menatele priggioni tutti, tutti.
GIO. BERNARDO Signore, non dovete menar in priggione altro che costui, non me.
SANGUINO Via, via, sciagurato, tu sarrai il primo.
GIO. BERNARDO Di grazia, signor Palma, non mi fate questo torto, perché son persona onorata. Io son Gio. Bernardo pittore, omo da bene.
CORCOVIZZO Signor Capitano, vedete che non mostra differenza l’uno dall’altro.
CARUBINA Signor capitan Palma, – viva la verità! – questo stravestito è mio marito, m[esser] Bonifacio; quest’altro è m[esser] Gio. Bernardo. Questa è la verità che non si può ascondere.
GIO. BERNARDO E per confirmazione, vedete si quella barba è la sua.
BONIFACIO Io confesso che è posticcia; ma lo ho fatto per certo disegno, per cose che passano tra me e mia moglie.
CORCOVIZZO Ecco la barba cqua di questo uomo da bene nelle mie mani.
SANGUINO Dimmi, uomo da bene, è la barba tua questa?
BARRA Signor sí, è la sua, perché l’ave comprata.
SANGUINO Adesso conoscemo che costui è falso: menate, dunque, lui preggione con la femina. Ed a voi, m[esser] Gio. Bernardo, da parte della Gran Corte de la Vicaria comandiamo che domani, ad ore quattordici3, doviate trovarvi avante il giodice ordinario per la informazione di questo fatto, sotto pena di cento cinquanta scudi.
GIO. BERNARDO Io non mancarrò, signore Palma. Sa V. S. che questo non lo deve nisciuno cercare piú di me, al quale è fatta ingiuria; e mi protesto4 per le ribalderie che può aver commesse costui, sotto questo abito.
SANGUINO La giustizia non mancarrà.
CARUBINA Ed io, misera, ancora debbo esser vituperata ed andar priggione, per aver voluto apprendere5 questo scelerato di mio marito?
GIO. BERNARDO Signore Capitano, io risponderrò, e vi dono assicuranza per questa madonna; la quale conosco onoratissima, benché si sua moglie, e lei non è partecipe in questo fatto.
SANGUINO Voi vi dovereste contentare che lasciamo vostra persona. Costei non andava insieme con suo marito?
GIO. BERNARDO Signor sí.
SANGUINO Dunque, verrà insieme con lui.
CARUBINA Ma io non ero consapevole. Io lo ho cercato e ritrovato in fallo; ed ora me ne venevo dalla casa della s[ignora]Vittoria, riprendendolo per questo maldetto fatto; e, si ve piace, sarrà cqui tutto il mondo che non vi dirrà cosa che m’incolpi. Andiamo dalla s[ignora] Vittoria e gli altri di sua casa.
GIO. BERNARDO Vi assicuro, Signor, che non è errore dal canto di Madonna; e, si vi fusse, io mi dono ubligato ad ogni satisfazione per lei. A me basta solo, e fo instanzia, che costui vada in preggione, solamente; e da madonna Carubina io non pretendo altro, e di nuovo vi priego che la lasciate andare.
SANGUINO Par che apertamente non costa delitto dal canto suo. La rimetto a vostra preciaria6, con questo che a voi, – come vi chiamate? – …
CARUBINA Carubina, al servizio di V. S.
SANGUINO …a voi, madonna Carubina, da parte della Gran Corte della Vicaria facciamo comandamento che domani, ad ore quattordeci, vi doviate trovare avant’ il giodice ordinario per la informazione di questo fatto, sotto pena di sessanta scudi.
CARUBINA Sarrò ubedientissima, secondo il mio devere.
BONIFACIO Vi accorgerrete, m[esser] Gio. Bernardo, che io non vi ho tanto offeso, quanto vi pensate.
GIO. BERNARDO Tutto se vedrà.
SANGUINO Or su, andiamo, non piú dimora. Videte che non fugga. Depositatelo con quel mastro di scola, perché poi le menarremo in corte.
BONIFACIO Di grazia, legatemi: fate ancor questo piacere a mia moglie ed a m[esser] Gio. Ber[nardo].
SANGUINO Fate pure che non fugga. Via, buona notte.
GIO. BERNARDO Buona notte e buon anno a V. S., signore Capitano, e la compagnia.
SCENA UNDICESIMA
Gio. Bernardo, Carubina
GIO. BERNARDO Vedi, ben mio, che gran torto fa questo pazzacone a vostre divine bellezze. Non vi par giusto che egli sii pagato della medesma moneta?
CARUBINA Si lui non fa quel che gli conviene, io non debbo far il simile.
GIO. BERNARDO Farrete, cor mio, quel che conviene, quando non farrete altro che quello che farrebbe ogni persona di giudicio e sentimento, che vive in terra. Voglio, ben mio, che sappiate che questi che lo tengono, non sono birri, ma certi compagnoni galant’omini, miei amici, per li quali lo farremo trattare come a noi piace. Ora, lui dimorarrà llà; e tra tanto che questi fingono altri negocii, prima che menarlo in Vicaria, andarrà un certo m[esser] Scaramuré: il quale fingerrà di accordar1 questa cosa, con questo che si umilii a noi, che siamo stati da lui offesi, e che doni qualche cortesia a questi compagni, non perché loro si curino di questo, ma per far la cosa piú verisimile; e V. S. non verrà a perdere cosa alcuna.
CARUBINA Io mi accorgo, che voi siete troppo scaltrito, che avete saputo tessere tutta questa tela. Io comprendo, adesso, molte cose.
GIO. BERNARDO Vita mia, io son tale che per vostro servicio mi gettarrei in mille precipicii. Or, poi che mia fortuna e bona sorte, – la quale piaccia a gli Dei che voi la confirmiate, – ha permesso ch’io vi sii cossí a presso come vi sono, vi priego, per il fervente amore che sempre vi ho portato, e porto, che abbiate pietà di questo mio core tanto profonda ed altamente impiagato da vostri occhii divini. Io son quello che vi amo, io son quello che vi adoro. Che si m’avessero concesso gli cieli quello che a questo sconoscente e sciocco, che non stima le mirabile vostre bellezze, han conceduto, giamai nel petto mio scintilla d’altro amore arrebe avuto luoco, come anche non ha.
CARUBINA Oimè, che cose io veggio e sento? a che son io ridutta?
GIO. BERNARDO Priegovi, dolce mia diva, si mai fiamma d’amor provaste, – la quale in petti piú nobili, generosi ed umani suol sempre avere piú loco, – che non prendiate a mala parte quel che dico: e non credete, né caschi già mai nella mente vostra, che per poco conto ch’io faccia del vostro onore, per cui spargerrei mille volte il sangue tutto, cerchi quel che cerco da voi; ma per appagar l’intenso ardore che mi consuma, il qual, però, né per essa morte2 posso credere che giamai si possa sminuire.
CARUBINA Oimè, m[esser] Gio. Bernardo, io ho ben tenero il core! Facilmente credo quel che dite, benché siino in proverbio le lusinghe d’amanti. Però desidero ogni consolazion vostra; ma, dal canto mio, non è possibile senza pregiudizio del mio onore.
GIO. BERNARDO Vita della mia vita, credo ben che sappiate che cosa è onore, e che cosa anco sii disonore. Onore non è altro che una stima, una riputazione; però sta sempre intatto l’onore, quando la stima e riputazione persevera la medesma. Onore è la buona opinione che altri abbiano di noi: mentre persevera questa, persevera l’onore. E non è quel che noi siamo e quel che noi facciamo, che ne rendi onorati o disonorati, ma sí ben quel che altri stimano, e pensano di noi.
CARUBINA Sii che si vogli de gli omini, che dirrete in conspetto de gli angeli e de’ santi, che vedeno il tutto, e ne giudicano?
GIO. BERNARDO Questi non vogliono esser veduti piú di quel che si fan vedere; non vogliono esser temuti piú di quel che si fan temere; non vogliono esser conosciuti piú di quel che si fan conoscere.
CARUBINA Io non so quel che vogliate dir per questo; queste paroli io non so come approvarle, né come riprovarle: pur hanno un certo che d’impietà.
GIO. BERNARDO Lasciamo le dispute, speranza dell’anima mia. Fate, vi priego, che non in vano v’abbia prodotta cossí bella il cielo: il quale, benché di tante fattezze e grazie vi sii stato liberale e largo, è stato però, dall’altro canto, a voi avaro, con non giongervi ad uomo che facesse caso di quelle, ed a me crudele, col farmi per esse spasimare, e mille volte il giorno morire. Or, mia vita, piú dovete curare di non farmi morire, che temer in punto alcuno, che si scemi tantillo3 del vostro onore. Io liberamente mi ucciderrò, – si non sarrà potente il dolore a farmi morire, – si, avendovi avuta, come vi ho, comoda e tanto presso, di quel, che mi è piú caro che la vita, dalla crudel fortuna rimagno defraudato. Vita di questa alma afflitta, non sarrà possibile che sia in punto leso il vostro onore, degnandovi di darmi vita; ma sí ben necessario ch’io muoia, essendomi voi crudele.
CARUBINA Di grazia, andiamo in luoco piú remoto, e non parliamo cqui di queste cose.
GIO. BERNARDO Andiamo, dolcezza mia, ché vengono di persone.
SCENA DODICESIMA
Consalvo e Bartol[omeo], attaccati insieme, con le mani dietro.
CONSALVO Camina in tua mal’ora, becco cornuto: arriviamo queste gente che ne sciolgano.
BARTOLOMEO Oh, che ti venga il cancaro, castronaccio, padre de becchi! Mi hai fatto cadere.
CONSALVO Oimè, la coscia!
BARTOLOMEO Vorrei che t’avessi rotto il collo. Ecco, siamo caduti: or alzati, adesso.
CONSALVO Alziamoci.
BARTOLOMEO Al tuo dispetto, voglio star cossí tutta questa notte, testa di cervo.
CONSALVO Alziamoci. Che non possi alzarti né mo’1 né mai.
BARTOLOMEO Or dormi, perché sei colcato. Vedi, poltrone, quanto per te ho patito, e patisco.
CONSALVO E patirrai.
BARTOLOMEO Cornuto coteconaccio2, fuuuh!
CONSALVO Oimè, mi mordi, anh? Giuro per S. Cuccufato3, che, si tu vuoi giocare a mordere, ti strepparrò il naso di faccia, o ver un’orecchia di testa.
SCENA TREDICESIMA
Scaramuré, Consalvo, Bartolomeo
SCARAMURÉ Vorrei sapere che uomini son questi, che cossí colcati fanno a questione.
CONSALVO Alziamoci, porco: sarremo peggio svergognati, si sarremo trovati cossí.
BARTOLOMEO Quasi che fai gran torto di essere svergognato. I travi non ti danno fastidio, ma sí ben il pelo1.
CONSALVO S’io avesse le mani libere, ti farrei cridare aggiuto di altra sorte, che non cridaste un’altra volta. Non ti voi alzare?
BARTOLOMEO Io ti ho detto che voglio dimorar tutta questa notte cossí.
SCARAMURÉ Ah, ah, ah, questi certo sono stati attaccati insieme, co le mani addietro: l’uno si vuol alzare e l’altro non. Uno de dui mi par tutto m[esser] Bartolomeo alla voce; ma è impossibile, perché veggo che son mascalzoni in camiso2. Olà, imbreachi3, che avete? che fate cossí llà?
CONSALVO O Messer gentil omo, vi priego, venete a sciorne. O m[esser] Scaramuré, sete voi?
BARTOLOMEO Io vi priego, lasciatene cossí.
SCARAMURÉ Olà m[esser] Bart[olomeo], e voi, m[esser] Consalvo, non mi possevo imaginar che voi fuste! Che caso strano è questo? dui uomini saggi, in questo modo? state e perfidiate4 in questa foggia? siete impazziti?
BARTOLOMEO Peggio dirrete, quando saprete che mi sono appiccato. Di grazia, non ne sciogliete.
SCARAMURÉ Lascia, lascia fare a me. Come passa questo negocio?
CONSALVO Io avevo paroli con costui: siamo venuti a pugni. Corsero certi marioli in fazzone5 di birri, al rumore; ne legorno come ne volessero menar in Vicaria; quando fummo a Maiella6, ne svoltorno7 l’altre mani a dietro, in questa forma che vedete, a culo a culo; e per la prima, ne levorno le borse e si partirno; poi, ricordatosi meglio, ritornorno dui di essi, e ne levorno i mantelli e le berrete, e ne hanno scuciti gli panni di sopra con un rasoio. Dopo’ siamo noi partiti, ed abbiamo discorso sin tanto che viddi un omo ed una donna in questo loco; volsi affrettarmi per chiamarli o giongerli, ed al tirar che feci di questo buon omo,…
BARTOLOMEO E tu sei una buona bestia, un buon bue.
SCARAMURÉ Avete torto ad ingiuriarvi cossí.
CONSALVO …al tirar che feci di costui, cascò come un asino che porta troppo gran soma, ed ha fatto cascar ancora me; e per perfidia non si vuole alzare.
SCARAMURÉ Alzatevi adesso, ché sete sciolti. La troppo colera fa l’uomo pazzo e furioso. Or su, non voglio saper piú di vostre raggioni, perché è notte. Guardate di battervi, perché il primo di voi che si moverrà, ne arrà dui contra. Voi, messer Consalvo, prendete quel camino, e voi m[esser] Bartolomeo, quest’altro.
BARTOLOMEO Sí, sí, passarrà questa notte: domani ci revederremo con questo amico.
CONSALVO A rivederci da ora a cent’anni. Buona notte a voi, m[esser] Scaramuré.
SCARAMURÉ A dio, andate.
BARTOLOMEO A dio. O povero Bartolomeo, quando sarrò appiccato, son certo che sarrò libero, ché piú disastri non me si aggiongerranno!
SCENA QUATTORDICESIMA
Scaramuré, solo
Questo diavolo di Sanguino è conosciuto come la falsa moneta; e con tutto ciò si sa maneggiare1 di tal sorte, che in certo modo il capitan Palma medesmo non si saprebbe rapresentar meglio che come lo rapresenta lui. Guarda, guarda come tratta queste povere bestie. Or, mentre m[esser] Gio. Bernardo negocia lui da un canto, io voglio far di modo che questo buon cristiano non solo non si lamenti di me, ma che me si tenga ubligato. Ecco qua la porta della academia di marioli. To, to, to.
SCENA QUINDICESIMA
Corcovizzo, Scaramuré, Sanguino, m[esser] Bonifacio
CORCOVIZZO Chi è allà, chi è?
SCARAMURÉ Sono Scaramuré, al vostro servizio.
CORCOVIZZO Che Scaramuré? che nome di zingano1? che volete? che sete voi?
SCARAMURÉ Voglio dir una parola al signor capitan Palma.
CORCOVIZZO È occupato; pur aspetta un poco, ché li dirrò si ve vuole udire.
SCARAMURÉ (Ah, ha, ha, come son prattichi della sua arte costoro! L’arte di mariolare ave li suoi termini e regole, come tutte l’altre).
SANGUINO Chi è? olà.
SCARAMURÉ Amico.
SANGUINO O amico o parente o creato o paesano, vieni domani in Vicaria.
SCARAMURÉ Di grazia, uditemi, perché è necessario ch’io vi parli per questa sera.
SANGUINO Chi siete voi?
SCARAMURÉ Son Scaramuré.
SANGUINO Non vi conosco; pure che cercate?
SCARAMURÉ Vorrei pregarvi di una cosa che importa.
SANGUINO Aspettate, ché da cqua ad un’ora voglio condurre certi priggioni in Vicaria, e mi parlarrai per il camino.
SCARAMURÉ Io vi supplico, si è possibile, venete qui, ché voglio dirvi cose d’importanza che non vi dispiacerrà saperle.
SANGUINO Voi sete troppo fastidioso. Aspettate che descenderrò.
SCARAMURÉ (Ah, ah, ah, gli altri son professi o baccalaurei2: costui è dottore e maestro. Credo che…) Oh, veggo m[esser] Bonifacio alla fenestra.
BONIFACIO Eh, m[esser] Scaramuré, vedete dove sono io? Voi sapete quel che voglio dire.
SCARAMURÉ Non piú, non piú: questa è la causa che mi ha fatto venir cqua.
SANGUINO Levati via da quella fenestra, in tua mal’ora, porco presuntuoso! Chi ti ha data licenzia di accostarti alla fenestra e parlare?
BONIFACIO Signor Capitano, V. S. mi perdona, io me ritiro.
SCARAMURÉ Ah, ah, ah, ah, voi sete tanti diavoli! Io adesso ho sciolti m[esser] Bartolomeo e Consalvo, che non si possevano alzar da terra, si mordevano, arrabbiavano, si davano del becco cornuto.
SANGUINO Ah, ah, ah, e si sapessi gli altri propositi che passano con m[esser] Bonifacio ed il pedante, rideresti altrimente.
SCARAMURÉ La vostra comedia è bella, ma, in fatti di costoro, è una troppo fastidiosa tragedia.
SANGUINO In conclusione: ne vogliamo mandare il pedante, de po’3 avergli graffati4 quelli altri scudi che gli son rimasti dentro la giornea. Or, parlate a Bonifacio ed accomodatelo con noi.
SCARAMURÉ Farrò prima certe scuse con esso lui. Farrò che lui mi mandi a pregar m[esser] Gio. Bernardo che gli perdoni; e lo farrò venire, e dimandar perdono, a lui ed a lei; e tutti insieme dimandaremo a voi grazia di lasciarlo libero: e credo che vi farrà ogni partito5, per tema che non lo menate in Vicaria.
SANGUINO Or su, non si perda tempo. Io lo farrò venir cossí legato a basso, e vi darrò comodità di parlargli come in secreto.
SCARAMURÉ Fate, ch’io aspetto.
SCENA SEDICESIMA
Sanguino, Barra, Marca, Bonifacio, Scaramuré
SANGUINO Olà, Coppino1, sta in cervello, che costui non fugga.
BARRA Non dubitate, Signore.
SANGUINO E voi, Panzuottolo2 guardate da quell’altro passo.
MARCA Cossí fo.
SANGUINO Discostatevi un poco, fate che possa parlar costui con questo uomo da bene, a suo bel comodo. Voi altro messer…, – non posso retenir il vostro nome, – …
SCARAMURÉ Scaramuré, al servizio di V. S.
SANGUINO …voi, messer Scaramuré, parlate a costui in questo angolo, remoti.
SCARAMURÉ Ringrazio V. S. per infinite volte.
SANGUINO Mi basta una grazia per una volta.
SCARAMURÉ Che ha detto V. S.?
SANGUINO Basta, basta.
SCENA DICIASSETTESIMA
Scaramuré, m[esser] Bonifacio
SCARAMURÉ Messer Bonifacio, accostatevi.
BONIFACIO Hu, uh, uh, misero me, quante confusioni oggi! Vedete che frutti raccolgo di miei amori e di vostri consegli, m[esser] Scaramuré.
SCARAMURÉ Oh, reniego…1, che mi vien voglia di toccar un de’ santi piú grandi di paradiso.
BONIFACIO Chi? San Cristoforo2, hu, hu, hu.
SCARAMURÉ Io dico non il piú grande e grosso, ma un di que’ baroni3. Ma basta la litania de santi che ho detto allora, subbito che seppi questa cosa; ma in luoco di dire: «Ora pro nobis», io li ho mandate tante biasteme a tutti, – fuor ch’a S. Leonardo della cui grazia al presente abbiam bisogno, – che, si per ogni peccato io debbo star sette anni in purgatorio, solo per i peccati miei da due ore in cqua, bisogna ch’il giorno del Giudicio aspetti piú di diece milia anni, prima che venga.
BONIFACIO Fate errore a biastemare.
SCARAMURÉ Che volete ch’io facesse, considerando il vostro danno e disonore, e che par ch’io vi abbia affrontato4, e che, si questa cosa va avanti, possemo venire a termine di essere ruinati voi ed io.
BONIFACIO Come lo avete saputo?
SCARAMURÉ Come sapea le cose lontane Apollonio5, Merlino e Malaggigi6?
BONIFACIO Io vi intendo. Piaccia al cielo che con questa arte mi possi liberare da le mani di costoro.
SCARAMURÉ Lasciami fare, ch’io non son venuto per altro che per rimediare a questo. Ma ditemi prima un poco le vostre cose. Pensate voi che senza arte ho ridutto costui a donarmi facultate di parlarti cossí, come ti parlo in secreto, che essi ne guardino solamente di lontano? sai che non sogliono simil gente concedere anco a quelli che conoscono, ed hanno, per amici?
BONIFACIO Per certo che io ne ho avuto un poco di maraviglia.
SCARAMURÉ Ho proceduto con umiltà, preghiere e scongiuri ed un scudo. Ma, prima che procediamo ad altro, ditemi, vi priego, vostri affari.
BONIFACIO Che volete ch’io vi dichi? Ecco, sfortunato me, che mi han fatto i vostri rimedii e ricette! Ecco l’amor di quella puttana, ecco la malignità di quella ruffianaccia di Lucia, che mi ha fatto credere cose che non mi arrebbe possute dare ad intendere anco il patriarca del concistoro de’ diavoli! Io voglio spendere vinticinque scudi a fargli marcare il volto7.
SCARAMURÉ Guarda bene che non è stata la colpa di costei, né della signora Vittoria, né mia, – perché credo che pensi peggio di me che de gli altri, benché non vogli dirlo, – ma la vostra forse.
BONIFACIO Di grazia, vedete si possete persuadermi questo.
SCARAMURÉ Sete voi certo che quei capelli ch’io vi dimandai per porgli alla testa dell’imagine, erano della s[ignora] Vittoria.
BONIFACIO Son certo del cancaro che si mangi quella bagassa di mia fortuna! I capelli son di mia mogliera, – che gli vadano mille mal’ anni, a compartirseli con colui che pensò di darmela, con quel che mi portò la prima nova, e quel prete schiricato8 che la sposò: – quelli raccolsi io destramente sabbato a sera, quando si pettinava.
SCARAMURÉ Or, ecco come io ho intesa la verità.
BONIFACIO Da chi?
SCARAMURÉ Da chi la sa, ed ha possuto dirmela. Ho dimandato capelli di vostra moglie, io?
BONIFACIO Signor non; ma mi dimandaste i capelli di donna.
SCARAMURÉ Io vi dissi, in nome del diavolo, i capelli de la donna, e non i capelli di donna, indifferentemente. Eravamo forse in proposito di far qualche pippata9 per le bambine?
BONIFACIO E qual differenza fate voi tra i capelli di donna e i capelli de la donna?
SCARAMURÉ Quella che saprebbono far i putti, quando cominciano ad aver l’uso di raggione. Non eravamo noi in proposito di far la imagine in suo nome?
BONIFACIO Per dir la verità, non posso io avere quella capacità che avete voi. Talvolta voi pensate di dar a bastanza ad intendere la cosa ad un altro, perché la intendete voi; e non è sempre cossí.
SCARAMURÉ Or, ecco la maldetta causa ch’ave imbrogliato l’effetto de l’incanto. La cera è stata scelta, ed incantata, in nome di Vittoria; la imagine è stata formata in suo nome; i capelli poi erano di tua moglie: da cqua è avenuta questa confusione. Tua moglie in casa di Vittoria: tua moglie è stata tirata, Vittoria è stata inamorata. Tua moglie co i vestimenti di Vittoria, Vittoria senza i suo’ vestimenti. Tua moglie in loco de Vittoria, in casa de Vittoria, in letto di Vittoria, in veste di Vittoria; Vittoria solamente si bruggia ed arde per voi, e, per sola vostra esistimazione, è stata gionta con voi. E Vittoria e Lucia e quella tua moglie, tutti, stanno estremamente maravigliate. Lucia se ricorda di avere portato a tua moglie li vestimenti della signora Vittoria, e non se ricorda come, e non sa dire che cosa l’ha spinta a farlo. La signora Vittoria è estremamente stupita, come voi, vestito da m[esser] Gio. Bernardo, con vostra moglie, vestita di sue vesti, e con lei vi siate trovati in suo letto; come a quell’ora si son trovate tutte le porte aperte per voi e vostra moglie, e Lucia stordita a condur lei e voi; e lei con altre fante e garzoni trovarsi occupata dentro la sala, che non s’arrebbe possuto partire insino a certo termine. Vostra moglie ancora vederete che è rimasta attonita: che non sa la raggione di quel ch’ha fatto circa il vestirse di quell’abito, ed essersi menata in quella stanza.
BONIFACIO Questo è uno intrecciamento troppo grande.
SCARAMURÉ Tutto quel che ha causato questa confusione, piú destintamente l’intenderete, quando sarremo fuori di questi intrichi.
BONIFACIO Mi maraveglio; ma un dubio mi resta. Perché mia moglie, come è venuta in loco della signora Vittoria per lo effetto che se è adimpito in lei e non in quella, in causa che mi doveva amare, mi ha fatti di strazii che non si derrebbono aver fatti ad un cane?
SCARAMURÉ Non vi ho detto che tua moglie, in virtú de gli capelli ch’eran sui, è stata solamente attirata in quella stanza; ma non posseva essere inamorata, perché la cera non è stata scelta, formata, puntata e scaldata in suo nome?
BONIFACIO Adesso son capace del tutto10. Prima non avevo bene inteso.
SCARAMURÉ Or su, basta: abbiamo troppo discorso circa questo negocio. Veggiamo di far di modo di donar qualche cosa a costoro ed uscirgli da le mani, che fingano che sete fuggito o qualch’altro partito prendano; perché l’altre cose poi facilissimamente potranno accomodarsi.
BONIFACIO Io non mi ritrovo piú di otto scudi sopra11; e li ne prometterò, si sarrà duro12 a volerne di vantaggio.
SCARAMURÉ Oh, non vi credeno13 per allora che gli sarrete uscito da le mani.
BONIFACIO Gli lasciarrò, oltre, il mantello, e le anella che ho nelle dita. E credo che col vostro dire farran per meno, perché costoro per un scudo rinegarebono Cristo e la Madre, e la Madre della Madre.
SCARAMURÉ Voi non conoscete il capitan Palma.
SCENA DICIOTTESIMA
Sanguino, Scaramuré, Bonifacio[,] [Barra]
SANGUINO Vorrei sapere, quando sarran finiti questi vostri raggionamenti? abbiamo da star ad aspettar voi, tutta questa notte, cqua?
SCARAMURÉ V. S. ne perdoni, si l’abbiamo dato troppo fastidio, facendola tanto aspettare. Or, poi che si è degnata di farci tanto di favore, la supplicamo che ne ascolta una parola.
SANGUINO Non piú, non piú, è ora d’andare in Vicaria: domani potremo parlar a bell’aggio. Andiamo, andiamo: olà, Panzuottolo, Coppino.
BONIFACIO Oimè, Dio aggiutami, Santo Leonardo glorioso!
SCARAMURÉ Fatene questa grazia, per amor di Dio, s[ignor] Capitano.
BONIFACIO Ed io ve ne prego, co le braccia in croce.
SANGUINO Or su, ho comportato tanto, posso comportar un altro poco.
SCARAMURÉ Signor mio, quel tanto che noi vogliamo farvi intendere è questo, che a V. S. non può rendere giovamento alcuno la confusione di questo povero gentil uomo, ma sí ben si farrà un perpetuo e servitore e schiavo, tanto me, quanto lui, si, accettando una piccola offerta, ne farrà grazia di donargli libertà che si parta.
SANGUINO Io me imaginavo bene che tu eri venuto per questa prattica, con speranza di subornare la giustizia. Mi maraviglio assai della temerità, uomo di pochissima conscienza, in sperare di farmi uscir di mano un priggione di quella importanza che può esser questo uomo. Forse che non l’ho detto a questi miei famigli? Però io ti ho data questa baldanza e ti ho sentito parlare, per aver occasione di castigarti del tuo fallo, e farti essere essempio a gli altri: ed acciò ne sii piú certo, verrai priggione insieme con lui, a mano a mano. Olà, Coppino.
BARRA Signore, che comandate?
SANGUINO Porta cqua, per legar quest’altro uomo da bene.
SCARAMURÉ Di grazia, signor Palma, V. S. mi ascolti prima.
BONIFACIO Signor mio, per amor de Dio, per tutti li Cori de li angeli, per la Intemerata Vergine, per tutta la Corte celestiale, io vi priego.
SCARAMURÉ Alzati via, ché io non voglio essere adorato: non son io Re di Spagna, né Gran Turco.
BONIFACIO Io vi priego, abbiate compassion di me e non entriate in colera; e ricordatevi che tutti siamo peccatori ed avemo bisogno della misericordia di Dio, il quale ne promette tante misericordie, quante noi ne facciamo ad altri.
SANGUINO (Un scelerato, come costui, sarrebbe un predicatore, si avesse studiato). Li errori bisogna che si castighino, sai tu?
BONIFACIO Si tutti li errori si castigassero, in che consisterrebbe la misericordia?
SANGUINO Va’ in mal’ora, ché io ho altro da fare che di disputare.
SCARAMURÉ Tacete voi, m[esser] Bonifacio; lasciate dir a me. – Signor Palma, non abbia giamai permettuto Dio, che io avesse voluto tentar questo con pregiudicio della giustizia, e disonor di V. S., la quale, circa le cose che appartengono alla giustizia, è conosciuta sincerissima da tutto Napoli.
SANGUINO Lasciamo da canto queste adulazioni. Non sono io che fo misericordia o rigore, giustizia o ingiustizia; ma gli miei superiori. Sai bene che il mio ufficio è solo di far condurre priggione i malfattori, over i pretenduti malfattori; del resto io non posso impacciarmi.
BONIFACIO Oimè, povero me!
SCARAMURÉ Signormo1, si V. S. ascolta, spero che mi essaudirrà.
SANGUINO Io non mi prendo colera e fantasia per passatempo. Abbiate, dunque, buone raggioni, come mi promettete; altrimente, non dormirrete in vostro letto, questa notte.
BONIFACIO O Cristo, aggiutami!
SCARAMURÉ V. S. sa che in Italia non è come in certi paesi oltramontani, dove, – o sii per la freddezza di quelli, o sii per gran zelo delle povere anime, o per sordida avarizia di quei che administrano la giustizia, – sono perseguitati que’ che vanno a cortiggiane. Cqua, come in Napoli, Roma e Venezia, che di tutte sorte di nobilità son fonte e specchio al mondo tutto, non solamente son permesse le puttane, o corteggiane, come vogliam dire…
SANGUINO Mi par vedere che costui loda le tre città per esservi bordelli ed esserno copiose di puttane: questo paradosso non è degli ultimi.
SCARAMURÉ La priego che mi ascolti. Non solamente, dico, son permesse, tanto secondo le leggi civili e monicipali, ma ancora sono instituiti i bordelli, come fussero claustri2 di professe3.
SANGUINO Ah, ah, ah, ah, questa è bella. Or mai, vorrà costui che sii uno degli quattrocento maggiori o degli quattro Ordini minori4; e, per un bisogno, vi instituirrà la abbatessa, ah, ah.
SCARAMURÉ Di grazia, ascoltatemi. Cqui, in Napoli, abbiamo la Piazzetta, il Fundaco del Cetrangolo, il Borgo di Santo Antonio, una contrada presso Santa Maria del Carmino5. In Roma, perché erano disperse, nell’anno 15696 Sua Santità ordinò che tutte si riducessero in uno, sotto pena della frusta, e li destinò una contrada determinata, la quale di notte si fermava7 a chiave: il che fece non già per vedere il conto suo circa quel che appartiene alla gabella8, ma acciò si potessero distinguere dalle donne oneste, e non venessero a contaminarle. Di Venezia non parlo, dove per magnanimità e liberalità della illustrissima Rep[ublica,] – sii che si voglia di alcuni particulari m[esseri] Arcinfanfali9 clarissimi, che per un bezzo10 si farrebbono castrare, per parlar onestamente, – ivi, le puttane sono esempte11 da ogni aggravio; e son manco soggette a leggi che gli altri, quantunque ve ne siino tante, – perché le cittadi piú grandi e piú illustre piú ne abondano, – che bastarebbono in pochi anni, pagando un poco di gabella, a far un altro tesoro in Venezia, forse come l’altro. Certo, se il Senato volesse umiliarsi un poco a far come gli altri, si farrebbe non poco piú ricco di quel ch’è; ma perché è detto: «in sudore vultui ti»12, e non «in sudore delle povere potte», si astengono di farlo. Oltre che, alle prefate13 puttane portano grandissimo rispetto, come appare per certa ordinanza, novamente fatta sotto grave pena: che non sii persona nobile o ignobile, di qualunche grado e condizion ch’ella sii, ch’abbia ardire d’ingiuriarle e dirgli improperii e villanie: il che mai si fe’ per altra sorte di donne…
SANGUINO (Ah, ah, ah, non viddi piú bel sofista di costui). Tu me la prendi troppo larga e lunga; e mi pare che ti burli di me e di questo povero omo ch’aspetta il frutto della tua orazione o leggenda o cronica, – non so che diavolo la sii. – Ma pur concludi presto, ch’io ti supportarò un altro poco.
BONIFACIO Ti priego, parla a mio proposito. Che hai da far di Venezia, Roma e Napoli?
SCARAMURÉ Concludo, Signor, che in queste tre città consiste la vera grandezza di tutta Italia: perché la prima di quell’altre tutte che restano, è di gran lunga inferiore a l’ultima di queste.
BONIFACIO Oimè, che mi vien voluntà di cacare.
SANGUINO Ah, ah, aspetta, buon omo, veggiamo dove va a calar costui al fine.
SCARAMURÉ La conclusione è che le puttane in Napoli, Venezia e Roma, ideste in tutta Italia, son permesse, faurite14, han sui statuti, sue leggi, sue imposizioni ed ancora privileggii.
SANGUINO Devi dire: come privileggii.
SCARAMURÉ E però consequentemente, non si toglie facultà a persone di andar a corteggiane, e non son persequitate dalla giustizia…
SANGUINO Io comincio ad intendere costui.
BONIFACIO Ed io. Si va accostando15, laude e gloria a Nostra Donna di Loreto.
SCARAMURÉ …E non solamente questo; ma ancora gelosissimamente la giustizia si astiene di procedere, perseguitare e comprendere16 quelli che vanno a donne di onore: perché considerano i nostri principi esser cosa da barbari di prendere le corna che un gentil uomo, un di stima e di qualche riputazione abbia in petto, ed attaccarglile nella fronte. Però, sii l’atto notorio quanto si voglia, non si suol procedere contra, eccetto quando la parte, – la quale sempre suol essere di vilissima condizione, – non si vergogna di farne instanzia. Quanto alle parte onorate, la giustizia verrebbe a farli grandissimo torto ed ingiuria; perché non contrapesa il castigo che si dà a colui che pianta le corna, ed il vituperio che viene a fare ad un personaggio, facendo la sua vergogna publica e notoria a gli occhi di tutto il mondo. Sí che è maggior l’offesa che patisce da la giustizia che del delinquente; e benché nientemanco il mondo tutto lo sapesse, tuttavia sempre le corna, con l’atto de la giustizia, dovengono piú sollenne e gloriose. Ogni uomo, dunque, capace di giudicio, considera, che questo dissimular che fa la giustizia, impedisce molti inconvenienti; perché un cornuto e svergognato coperto, – se per un tale può esser ditto cornuto o svergognato, di cui l’esistimazione non è corrotta, – per tema di non essere discoperto, o per minor cura ch’abbia di quelle corna, che nisciun le vede, – le quali in fatto son nulla, – si astiene di far quella vendetta, la quale sarrebbe ubligato secondo il mondo di fare, quando il caso a molti è manifesto. La consuetudine, dunque, d’Italia ed altri non barbari paesi, dove le corna non vanno a buon mercato, non solamente comporta e dissimula tali eccessi, ma anco si forza di coprirli. Onde, in certo modo, son da lodare quei che permettono i bordelli, per li quali si ripara a’ massimi inconvenienti, che possono accadere in nostre parti…
SANGUINO Concludi presto, vi dico.
BONIFACIO Oimè, mi fa morir di sete! mi viene il parasisimo17.
SCARAMURÉ Finalmente, dico a V. S. che l’eccesso di m[esser] Bonif[acio] è stato per conto di donna, la quale, o sii puttana o sii d’onore, non deve esser caggione che lui, che è uomo di qualche stima e nobile,…
BONIFACIO Io so18, mi par, gentil omo del seggio19 di S. Paulo.
SCARAMURÉ …sii visto priggione et c[etera]: onde potrebbono ancor altri venir ad essere gravemente vituperati. A V. S., che è persona discreta, credo che basti d’aver udito questo, per intendere tutto il caso.
SANGUINO Si questo è per causa di donne, io son molto mal contento che costui mi sii venuto nelle mani; e mi scuso, avanti a Dio ed il mondo, che non è mia intenzione di ponere in compromisso l’onor di persona vivente. Ma voglio che sappi tu, e lui medesmo mi può esser testimonio e la compagnia presente, che a questa cosa non posso riparare io. Costui mi è stato posto nelle mani da un certo m[esser] Gio. Bernardo pittore, il quale lui contrafacea con una barba posticia, ed ancora contrafà con la biscappa che gli vedi; e la barba è cqua, in mano di nostri famegli, la quale, si volete vedere come gli sta bene, verrete domani a quattordeci ore, in Vicaria, ché potrete ridere, quando le confrontarremo insieme, co le barbe.
BONIFACIO O povero me, eh, per amor de Dio, agiutatemi.
SANGUINO Or, quel pover omo da bene fa istanzia alla giustizia, per eccessi che costui può aver fatti, e pretenduti di fare, in forma e specie di sua persona: onde possa, per l’avenire, aversi qualche pretensione contra colui, da qualche parte lesa, per eccessi che abbia commesi costui.
BONIFACIO Signor, di questo non è da dubitare.
SANGUINO Omo da bene, non sono io che dubito. Sí che comprendete voi, e sappia ognuno, ch’io non lo tengo, e meno in Vicaria, per mio bel piacere, ma perché ne ho da rendere conto; e colui è molto scalfato20 contra di questo, ed è apparecchiato doman mattina di far gli suoi atti contra il presente. Oltre, la sua femina anco si lamenta; e m[esser] Gio. Bernardo e la donna mi potrebbono dare gran fastidio.
SCARAMURÉ Della donna non si dubita.
SANGUINO Anzi di quella io dubito piú. Queste per gelosia sogliono strapazzar la vita, ed onor proprio e di mariti. Or dunque, considerate voi, m[esseri], che cosa posso far io per voi: posso aver compassion de lui, ma non agiutarlo.
SCARAMURÉ S[ignor] Capitano, V. S. parla come un angelo.
BONIFACIO Come un evangelista; non si può dir meglio; santamente.
SANGUINO Or su, dunque, andiamo. Panzuottolo, fa’ che venghi abasso quel magister, e spediamoci.
SCARAMURÉ Signor Capitanio, io dono una nova a V. S.
SANGUINO Che nova?
SCARAMURÉ Io mi confido di far di modo, – si ne vuol far tanto di grazia di aspettar un mezzo quarto d’ora, – di riconciliare quel m[esser] Gio. Bernardo con m[esser] Bonifacio.
BONIFACIO O che piacesse a Dio e potessi far questo!
SANGUINO Voi ne date la berta. Questo è impossibile.
SCARAMURÉ Anzi, è necessario. Quando lui saprà come la cosa passa, io credo che et cetera. Io li son tanto amico, che, si l’è colcato21, lo farrò levare e lo farrò venir cqua, e farrò de modo che si accordino insieme; ma bisogna che voi, m[esser] Bonifacio, li chiedete perdono, e gli facciate qualche degna satisfazione di parole ed atti di umiltà, perché, veramente, lui può presumere che l’abbiate molto offeso.
BONIFACIO Cossí è. Io mi offero di baciargli i piedi ed essergli amico ed ubligato in perpetuo, si me perdona questo fallo e non mi espone alla vergogna: non solamente a lui, uh, uh, uh, ma ancora a V. S., signor Capitano mio, uh, uh, uh.
SANGUINO Alzati, non, non mi baciar i piedi, sin tanto ch’io non sii papa.
BONIFACIO A V. S. sarrò ubligato, si in questo fatto mi aggiutarrà, dandone comodità per un poco di tempo di trattar questo accordo. Ed a voi m[esser] Scaramuré, vi priego co le viscere del core ed anima mia, trattate questo negocio caldamente, ché la vita mia vi sarrà in perpetuo ubligatissima.
SCARAMURÉ Io mi confido assai, almeno di condurlo, sotto qualche pretesto, sin cqua; e quando vi sarrà, farremo tanto con la vostra umiltà ed intercession del sign[or] Capitanio, – si ne vuol tanto faurire, – e mie persuasioni, che la cosa non passarrà avanti; ed è anco necessario che non sii ingrato alla generosità del s[ignor] Capitano.
SANGUINO Oh, io non mi curo di questo, quanto a me! Bisognarà sí ben far qualche buona cortisia a questi miei famegli, almeno per chiudergli la bocca. Oltre che, non mi basta questo: voglio che si riconcilii ancora con la sua femina, e che dimanda mercè a lei cossí bene come a quell’altro. E quando vedrò quelli dui contenti e satisfatti, io non procederrò oltre, perché non posso far di non aver compassione, ancor io, di questo povero m[esser] Bonifacio.
BONIFACIO Signor mio, eccome cqua, tutto in anima e corpo, al servizio vostro; per li compagni, dico per questi famegli, ecco cqua le anella, tutto quel ch’ho dentro questa borsa, e questa maldetta biscappa, che, per ogni modo, me la voglio levar di sopra.
SANGUINO Basta, basta: voi fate il conto senza l’oste, come se dice: di tutto questo non sarrà nulla, si vostra mogliera e m[esser] Gio. Bernardo non si contentano.
BONIFACIO Io spero che si contentarranno. Andate, vi priego, m[esser] Scaramuré mio.
SCARAMURÉ Io lo guidarrò sin cqua, sotto qualch’altro pretesto che non potrà mancare. Vostra moglie, son certo, che per suo onore ancora non mancarrà di venire.
SANGUINO Andate e fate presto, si volete che vi aspettiamo.
SCARAMURÉ Signor, non è troppo lontano da cqua l’uno e l’altra. Io verrò quanto prima.
SANGUINO Fate che siano presto risoluti del sí o ’l non; e non mi fate aspettare in vano.
SCARAMURÉ Vostra Signoria, non dubiti.
BONIFACIO O Santo Leonardo glorioso, agiutami!
SANGUINO Andiamo, ritorniamo dentro, ch’aspettarremo un poco llà.
SCENA [DICIANNOVESIMA]
Gio. Bernardo, Ascanio
GIO. BERNARDO Tanto che, figliol mio, tornando al proposito, è opinione comone, che le cose son talmente ordinate, che la natura non manca nel necessario, e non abonda in soverchio. Le ostreche non han piedi; perché, in qual si voglia parte del mar che si trovino, han tutto quel che basta a lor sustentamento, perché d’acqua sola, e del caldo del sole, – la cui virtude penetra in sino al profondo del mare, – si mantengono. Le talpe ancora non han occhi; perché la lor vita consiste sotto terra, e non vivono d’altro che di terra, e non posson perderla. A chi non ave arte, non si danno ordegni.
ASCANIO Cossí è certissimo. – Ho udito dire che un certo censore dell’opre di Giove, che si chiama Momo1, – perché son per tutto necessarii questi che parlan liberamente: prima, perché i principi e giodici s’accorgano de gli errori che fanno, e non conoscono, mercè di poltroni e vilissimi adulatori; secondo, perché temino di far una cosa piú ch’un’altra; terzo, perché la bontà e virtú, quando ha contrario, si fa piú bella, manifesta e chiara, e si confirma e si rinforza: – questo censor, dunque, di Giove,…
GIO. BERNARDO Costui non è nominato per un de’ primi e meglior Dei del cielo: perché questi, che han piú corte le braccia, per l’ordinario han la lingua piú lunga.
ASCANIO …questo censor di Giove, in quel tempo, disputando con Mercurio, – il quale è stato ordinato interprete e causidico2 di Dei, – venne ad interrogarlo in questa foggia: «O Mercurio, piú ch’ogni altro sofista, falso persuasore e ruffiano dell’Altitonante, – essendo bene, secondo le occasioni ed esigenze di venti che soffiano, o piú o meno frenar, allentar, alzar e stender vela, – onde avviene che quest’arbore di nave non ha scotta3? Il dirrò piú per volgare: Perché la potta, – parlando con onore dell’oneste orecchie, – non ha bottoni?» A cui rispose Mercurio: «Perché, – parlando co riverenza, – il cazzo non ave unghie da spuntarla»4.
GIO. BERNARDO Ah, ah, ah, che debbero dir gli altri Dei, allora?
ASCANIO La casta Diana e pudica Minerva voltorno la schena, e sen’andaron via; ed un de disputanti disse: «Vadano in bordello!» Arrebbe detto: «Vadano al diavolo!» ma, in quel tempo, non era ancor memoria di quest’uomo da bene. – Sí che, a confirmazion di quel che voi dite, quantunque costui ha mosse, muove e moverrà, – come è stato per il passato ed è al presente e sarrà per l’avenire, – tante questioni, già mai potrà provare errore nelle cose ordinate da natura ed intellecto, si non che in apparenza.
GIO. BERNARDO Voi la intendete bene. Tutti gli errori che accadeno, son per questa fortuna traditora: quella ch’ha dato tanto bene al tuo padrone Malefacio, ed a me l’ha tolto. Questa fa onorato chi non merita, dà buon campo a chi nol semina, buon orto a chi nol pianta, molti scudi a chi non le sa spendere, molti figli a chi non può allevarli, buon appetito a chi non ha che mangiare, biscotti a chi non ha denti. Ma che dico io? deve esser iscusata la poverina, perché è cieca, e, cercando per donar gli beni ch’ave intra le mani, camina a tastoni, e per il piú s’abbatte a sciocchi, insensati e furfanti, de’ quali il mondo tutto è pieno. Gran caso è quando tocca di persone degne che son poche; piú grande, si tocca una de piú degne che son piú poche; grandissimo ed estra ogni ordinario, tanto ch’abbi tastato, quanto ch’abbia a tastare un de’ dignissimi che son pochissimi. Dunque, si non è colpa sua, è colpa de chi l’ha fatta. Giove niega d’averla fatta; però o fatta o non fatta ch’ella sii, o non ha colpa o non si trova chi l’abbia.
ASCANIO E per tanto, incolpar ella o altro è cosa ingiusta e vana. Anzi, alcuni provano che sii non solo conveniente ma necessaria; perché ogni virtute è vana senza l’esercizio ed atto suo, e non è virtú ma cosa ociosa e vana. A chi è dato di posserla cercare, e trovarla, non è degno che stia ad aspettarla. Vogliono i Dei che la sollicitudine discaccie la mala ventura e faccia acquistar le cose desiderate, come è avvenuto in proposito vostro. È forza che gli doni e grazie sien divisi, a fin che l’uno abbi bisogno dell’altro, e, per consequenza, l’uno ami l’altro. A chi è concesso il meritare, sii negato l’avere; a chi è concesso l’avere, sii negato il meritare.
GIO. BERNARDO O figlio mio, quanto parli bene, quanto il tuo sentimento avanza l’età tua! Questo che dici è vero, ed al presente l’ho io isperimentato. Quantunq[ue] questo bene, ch’ho posseduto questa sera, non mi sii stato concesso da’ Dei e la natura; benché mi sii stato negato dalla fortuna, il giudizio mi ha mostrato l’occasione, la diligenza me l’ha fatta apprendere pe’ capelli e la perseveranza ritenirla. In tutti negocii la difficultà consiste che passi la testa, perché a quella facilmente il busto ed il corpo tutto succede5. Per l’avenire tra me e madonna Carubina son certo che non bisognarranno tanti studi, proemii, discorsi, raggioni ed argumenti.
ASCANIO È vero, perché basta esservi una volta abboccati insieme, e lei aver appreso il vostro e voi il suo linguaggio: occhii si vedeno, lingue si parlano, cuori s’intendeno. Tal volta, quel che si concepe in un momento, si retien per sempre. – A don Paulino, curato di S[anta] Primma, che è in un villaggio presso Nola, Sipion Savolino6, un vener7 santo, confessò tutti suoi peccati: da’ quali, quantunque grandi e molti, per essergli compare, senza troppa difficultà fu assoluto. Questo bastò per una volta: perché, negli anni seguenti poi, senza tante paroli e circonstanze, diceva Sipione a don Paulino: «Padre mio, gli peccati di oggi fa l’anno voi le sapete»; e don Paulino rispondeva a Sipione: «Figlio, tu sai l’assoluzione d’oggi fa l’anno: Vadde in pacio et non amplio peccare»8.
GIO. BERNARDO Ah, ah, ah! Noi abbiam molto discorso sopra di ciò: vedi questa porta?
ASCANIO Signor sí.
GIO. BERNARDO Questo è il luoco dove l’han posto. Non bisogna toccar questa porta, sin tanto ch’io non sii risoluto9 da m[esser] Scaramuré. Credo che lui a quest’ora abbia tutto fatto, e che mi vadi cercando. Andate voi tra tanto, e fate che madonna Carubina venghi presto.
ASCANIO Cossí farrò. Credo che vi trovarremo cqua?
GIO. BERNARDO Certissimo, ché non tardarrò troppo ad esser con m[esser] Scaramuré. Andate.
SCENA [VENTESIMA]
M[esser] Gioan Bernardo, solo
Scrisse un epitafio, sopra la sepoltura di Giacopon Tansillo1, il Fastidito2: che sonava in questa foggia:
Chi falla in appuntar3 primo bottone,
Né mezzani né l’ultimo indovina:
Però mia sorte conobbi a mattina
Io che riposo morto Giacopone.
Il primo bottone che appuntò m[esser] Bonifacio fuor della sua greffa4, fu l’inamorarsi di Vittoria; il secondo fu l’averse fatto dar ad intendere che m[esser] Scaramuré, co l’arte magica, facesse uscire Satanasso da catene, venir le donne per l’aria volando llà dove piacesse a lui, ed altre cose assai fuor dell’ordinario corso naturale. Da cqua tutti gli altri svariamenti sono accaduti l’uno dopo l’altro, come figli e figli de figli, nipoti e nipoti di nipoti. Altro non manca adesso ch’appuntar la stringa e assestar la bracchetta5 col gippone6: il che si farrà, chiedendo lui mercè e misericordia, per l’offesa fatta a noi poveri innocenti.
SCENA [VENTUNESIMA]
Gio. Bern[ardo], Ascanio, Scaramuré, Carubina
GIO. BERNARDO Voi, dunque, siete presto ritornati.
ASCANIO Io le ho rancontrati che veneano.
SCARAMURÉ Ecco cqua, siamo tutti per liberar questa povera anima dal purgatorio.
CARUBINA Piacess’a Dio, che da senno vi fusse talmente, che non mi bisognasse di vederlo piú.
ASCANIO A chi vuole, non è cosa che sii difficile.
SCARAMURÉ Io, per non avervi trovato in casa vostra, son stato a quella della s[ignora] Vittoria, credendo che vi fussi; poi, ho inviata Lucia, che vi cercasse e vi menasse cqua.
GIO. BERNARDO Noi siamo tutte le persone necessarie. Voi, madonna Carubina, con Ascanio fate sembiante di venir da per voi; lasciate prima che io e m[esser] Scaramuré negoziamo con Sanguino e quest’ altri; voi, in questo mentre, vi potrete retirare e dimorar un poco cqua, dietro questo angulo.
CARUBINA Voi pensate benissimo. Andiamo, Ascanio.
ASCANIO Ritiriamoci cqua, Madonna: perché potremo ascoltar quel che si dice, e scegliere il tempo piú comodo per sopragiongere.
CARUBINA Ben, bene.
SCENA [VENTIDUESIMA]
M[esseri] Scar[amuré], Gio. Bernardo;
Corcovizzo, Asc[anio], Sanguino
SCARAMURÉ Toccamo la porta. To, to, to.
CORCOVIZZO Chi è là?
SCARAMURÉ Amici. Avisate il signor Capitano che noi siamo cqua.
CORCOVIZZO Or ora, Messer mio.
SCARAMURÉ Questo è Corcovizzo: adesso mi par che si faccia chiamar non so se Cappino o che diavolo d’altro nome. Io ho udito chiamar Panzuoltolo quel l’atro1 o costui.
GIO. BERNARDO Ah, ah, ad un bisogno il pedante e m[esser] Bonifacio le sapranno conoscere. Son mascherati di barba, anch’essi?
SCARAMURÉ Tutti: ché in vero questa mi par essere una comedia vera. Al pedante non manca altro che la barba; m[esser] Bonifacio, si se la vuole attaccare, l’ha. Questi dui si conoscono tra loro, ma non sanno che gli altri ancora sono mascherati.
ASCANIO Manca sol che madonna Carubina porti la sua maschera.
SANGUINO Voi siete cqua? la moglie non l’avete condotta? avertite che senza lei non si farrà nulla.
SCARAMURÉ Signor, la è in camino, viene, adesso adesso sarrà presente.
SANGUINO Aspettate, dunque, ché verremo con quest’uomo a basso.
SCARAMURÉ Tenetevi su la vostra per un poco di tempo.
GIO. BERNARDO Lascia guidar il fatto mio a me.
SANGUINO Siate il benvenuto, m[esser] Gio. Bernardo.
[GIO. BERNARDO] V. S. sia il molto ben trovato. Subito che ho inteso da m[esser] Scaramuré che V. S. mi dimandava, mi son alzato di letto, e venuto come di posta, dubitando che non si fusse scoperta qualche cosa che quel malfattore sotto la mia forma abbia commessa.
SANGUINO Il malfattore, il Malefacio, eccolo cqua presente. Ma, in nome del diavolo, io non vi ho mandato a chiamare; ma questo m[esser] Scaramuré mi ha tanto pregato ch’io aspettasse un poco da menar costui priggione in Vicaria, e che questo sarrebbe stato di vostra satisfazione, sapendo altre cose che passano circa il negocio del stravestimento di costui. Io sí per farvi piacere, sí anco mosso dalle preghiere di m[esser] Scaramuré, oltre dalle lacrime e contrizione di questo povero peccatore, vi ho aspettato; ma non vi ho mandato a chiamare.
BONIFACIO Misericordia, per amor de Dio!
GIO. BERNARDO M[esser] Scaramuré, voi non m’avete chiamato, da parte del s[ignor] Capitano, con dirmi che mi dimanda per cose che molto importano circa il nostro negocio, che mi avete fatto montar la pagura da le calcagne? come mi fate questi tradimenti? è questa l’amicizia? è questo il zelo ch’avete dell’amor mio? Avete studiato, e, come mi par, studiate, di faurire ed aggiutare, con mio pregiudizio, questa pessima conscienza di omo. Signor Capitano, io mi querelo ancor di costui, che ha abusato del mio nome ed intenzione, parlando con V. S., ed ave abusato dell’autorità e nome di V. S., facendomi aver questo disaggio di venir sin cqua e fastidir tante persone.
BONIFACIO Misericordia, per l’onor de Dio e di Nostra Donna.
SANGUINO Piano, piano. Veggiamo si questa cosa si può accomodare; veggiamo si l’è tanto criminale. Poi che voi siete cqua, pensate bene a quel che fate, non vi lasciate trasportare dalla colera.
GIO. BERNARDO La cosa non si potrà accomodar giamai, dal canto mio; anzi, dopo che la giustizia arrà fatto il suo corso, credo che la cosa non sarrà finita tra me e lui.
SCARAMURÉ M[esser] Gioanbernardo mio, quello che io ho fatto, e fo, non credo che sia con interesso2 de l’onor vostro. Tutte volte che si trovarrà errore che di notte sii stato commesso come in persona vostra, siamo cqua tanti testimonii per farli cascare sopra m[esser] Bonifacio; ma, non essendovi passate altro che certe levità, non so per che causa che passa tra lui e sua moglie, dovete quietarvi.
GIO. BERNARDO Si è dunque stravestito per farmi esser stimato ch’io fusse insieme con sua moglie, per confondere lei e me, per ponerci in pena3 della vita. Non sapete voi che cerca di cangiarla4, ed a me di farmi il peggio che puote?
BONIFACIO Non piaccia a Dio. E perché questo a voi, m[esser] Gio. Bernardo mio? Perdonatime, vi priego per le cinque Piaghe di N[ostro] S[ignore].
GIO. BERNARDO Non tanti baciamenti di piedi, vi priego.
BARRA Tutto il mondo è re e papa alla devozion di costui, solamente in questa occasione. Si Dio li farrà grazia, apresso farrà un casocavallo5 a tutti.
SANGUINO Su su, abbiate pietà, al meno sin tanto che non costi che lui non abbia fatto altro errore che questo. Vedi che deve esser stato qualch’altro intrico: sua moglie ancora era stravestita da un’altra, non era in suo proprio abito, come mi dice costui: però non è verisimile che per quel mezzo vi volesse confondere.
SCARAMURÉ Oltre che, era sua moglie in abito di una donna, la qual senza suspizione alcuna sempre prattica con m[esser] Gio. Bernardo. Su su, m[esser] Gio. Bernardo mio: io ancor vi priego che abbiate la misericordia de Dio avanti gli occhii. Io sapevo bene che voi non sareste venuto sin cqua, s’io non vi parlavo in quel modo. Ancora, ho eccesso6 a riguardo del s[ignor] Capitano, stimando certo che non me ne sarreste nemici, essendo che è per far misericordia e carità ad uno, senza far torto ad un altro.
BONIFACIO M[esser] Gio. Bernardo mio, io mi offero7 obligato a tutte pretensione ed interessi, che vi potessero avvenire. M[esser] Gio. Bernardo, obligatevi, vi priego, questa povera anima di Bonifacio, il quale, si voi volete, sarrà svergognatissimo. L’onor mio è in vostra mano: non potrò negar giamai che per vostra mercè io ho il mio onore: si me fate questa grazia, uh, uh, uh, uh.
SANGUINO Oh, ben bene, eccola, sua moglie!
SCENA [VENTITREESIMA]
Carubina, Sanguino, Scaram[uré], Gioanbernardo, Bonifacio, Barra, Corcovizzo, Ascanio, Marca
CARUBINA Ancora è cqua questo concubinario di sua moglie.
SANGUINO È gran cosa nova questa! Credo che questi che fan professione di casi di conscienza, non si abbiano ancora imaginato, come uno può essere fornicario o concubinario, chiavando sua propria e legitima moglie.
SCARAMURÉ Orsú, lasciamo queste ironie e queste colere. Bisogna risolvere questa cosa cqua, tra noi, – poi che il signor capitan Palma ne fa tanto di favore di farne consultar dell’onor vostro, madonna Carubina: – atteso che la vergogna di vostro marito non può risultar in vostro onore; né manco in utilità vostra, m[esser] Gio. Bernardo.
BONIFACIO Cossí è certissimo. Misericordia, pietà, compassione, carità, per amor de Dio! m[esser] Gio. Bernardo mio, e moglie mia, perdonatime, vi priego, per questa prima volta.
BARRA È gran cosa il mondo. Altri sempre fanno errori e mai fanno la penitenza, per quel che si vede; altri la hanno dopo molti errori; altri vi accappano1 nel primo; altri ancor non han peccato, che ne portano la pena; altri suffriscono senza peccato; altri la portano per gli peccati altrui. In quest’uomo, si ben si considera, tutte queste specie sono congionte insieme.
BONIFACIO Io vi dimando mercè e grazia. La vi supplico che mi concediate come il Signor nostro Giesu Cristo al bon Latrone, alla Madalena.
BARRA (Cazzo, che buon latrone è costui!) Quando voi sarrete buon latrone, come colui che rubbò il paradiso, come da N[ostro] S[ignore], vi si farrà misericordia. Voi siete un ladro che togliete quel che è di vostra moglie, e lo donate ad altre, il suo latte, il suo liquore, la sua manna, la sua sustanza ed il suo bene.
GIO. BERNARDO E la mia persona e la mia barba e la mia biscappa e forse il mio onore, per quel che può aver fatto?
BARRA Però non se gli de’ perdonare como a buon Latrone: piú tosto come alla Madalena.
CORCOVIZZO Vedete che gentil Madalena! che gli vada il cancaro a lui e le quattrocento piattole che deve aver nel bosco dell’una e l’altra barba! Vedete che precioso unguento va spargendo costui! Per mia fé, non gli manca altro che la gonna, per farlo Madalena. Io dico che se gli de’ perdonare, come i Giudei perdonorno a Barrabam2.
SANGUINO Bel modo di aggiutar un poveruomo! bella forma di consolar un afflitto! Tacete, tacete voi: non v’impacciate a questo, attendete a far quel che vi si comanda.
SCARAMURÉ Io vi priego che gli perdonate; e lui vi priega ancora, come vedete, in ginocchioni, o sia in nome de Dio o in nome del diavolo, o come a Barrabam o come a Dimas3.
SANGUINO Cossí, cossí bisogna; ed è ben che se gli faccia misericordia.
GIO. BERNARDO Che dite voi, madonna Carubina?
CARUBINA Io, per questa volta, gli rimetto; ma che stii in cervello per l’avenire, ché gli farrò pagare e questo e quello.
BONIFACIO Certissima vi fo, Carubina mia,…
CARUBINA Io son vostra, ma voi della s[ignora] Vit[toria].
BONIFACIO … che mai, mai piú mi trovarrete in fallo.
CARUBINA Perché adesso hai imparato di farlo piú accortamente.
GIO. BERNARDO Voi l’intendete.
BONIFACIO Io dico che non mi trovarrete in fallo, perché io non farrò fallo.
BARRA Le donne, quando sono a i dolori del parto, dicono: «Mai, mai, mai piú; adesso vi fermo a chiave. Marito traditore, si me ti accostarrai, t’ucciderrò; certissimo, ti stracciarrò co i denti!» Non tanto presto, poi, ch’è uscita quella creatura, per non dar vacuo in natura4, vuoleno per ogni modo che v’entri l’altra. Ecco cqua il pentimento di donna quando figlia, ecco il proponimento di donna quando infanta5.
SANGUINO O bel vedere quando altri piange, altri sta in colera! Voi fate de i tiri, e prendete passatempi. Tacete, tacete.
CARUBINA Io non solamente vi perdono, ma per farti piú grazia e per l’onor mio che vi va per mezzo, ancor supplico m[esser] Gio. Bernardo che si contenti farvi donar libertà al signor Capitano.
BONIFACIO Io vi ringrazio, moglie mia cara. Sin ad oggi vi ho amato per un rispetto e dui doveri: da oggi avanti vi amarrò per tutti doveri e tutti rispetti.
GIO. BERNARDO Messer Bonifacio, io son cristiano, e fo professione di buon catolico. Io mi confesso generalmente, e comunico tutte le feste principali dell’anno. La mia arte è di depengere, e donar a gli occhii de’ mundani6 la imagine di Nostro Signore, di Nostra Madonna e d’altri Santi di paradiso. Però il core non mi comporta, vedendoti mosso a penitenzia, di non perdonarti, e farti quella rimessione che ogni pio e buon Cristiano è ubligato di fare in casi simili. Per tanto, Iddio ti perdoni in cielo, ed io ti perdono in terra. Una cosa solamente mi riservo, – perché è scritto: «Honore meom nemini tabbo»7, – che si sotto questo abito avessi commesso altro delitto, che vi apparecchiate a farne tutte reparazione. E questo lo promettete al s[ignor] Capitano, come ministro della giustizia, a me, avanti vostra moglie, m[esser] Scaramuré, e questi altri compagni.
SANGUINO Non promettete cossí?
BONIFACIO Lo prometto e riprometto, affirmo e confirmo; ed oltre di ciò, io giuro, con ambe le mani alzate al cielo, ch’io non ho comesso altro errore, per il quale possa e debba contristarsi m[esser] Gio. Bernardo, che di essermi contrafatto a lui, per non esser conosciuto, entrando e sortendo dalla stanza della s[ignora] Vittoria: nella quale esso m[esser] Gio. Bernardo non può esser veduto con scandalo o mala suspizione per essere quella sua, che questa donna tiene a piggione.
SANGUINO Per mia fé, si questo è errore, non è grande errore. Orsú, alzatevi in piedi, m[esser] Bonifacio, abbracciatevi insieme con m[esser] Gio. Bernardo, siate meglio amici per l’avenire che per il passato, cercate l’un di far serviggio a l’altro, visitate l’un l’altro, aggiutate l’un l’altro.
GIO. BERNARDO Cossí farremo, si sarrà come deve essere; e con questo vi abbraccio ed accetto per amico.
BONIFACIO Io vi sarrà sempre amico e servitore.
BARRA Siate buoni compagni.
SANGUINO Che fate? abbracciate, baciate vostra moglie.
CARUBINA Questo non importa tra noi: la pace è fatta.
MARCA In casa, in casa. Trattate bene vostra moglie, m[esser] Bonifacio: altrimente vi castigarrà lei insieme con m[esser] Gioan Bernardo.
SANGUINO Orsú, andiate tutti con Dio. Passate per dentro questa stanza, perché uscirrete per quell’altra porta; e voi, m[esser] Bonifacio, lasciarrete quella offerta che avete promessa a questi compagni, per il disaggio che abbiamo avuto per voi.
BONIFACIO Molto di bona voglia, Signor mio.
SCARAMURÉ Andiamo. Che sia lodato Idio, ch’ha fatta questa pace ed unione di m[esser] Bonifacio, madonna Carubina e di m[esser] Gio. Bernardo: tre in uno.
BONIFACIO Amen, amen.
CARUBINA Passate voi, m[esser] Gio. Bernardo.
GIO. BERNARDO Non lo farrò mai, Signora: V. S. vadi avanti.
CARUBINA Bisogna che sia cossí.
GIO. BERNARDO Tocca a voi, Madonna.
CARUBINA Io dunque vo, per farvi servizio ed ubedirvi.
GIO. BERNARDO Seguitemi, m[esser] Bonifacio: tenetevi a me ed appigliatevi alla mia cappa, e guardate di non cascare.
BONIFACIO Io me guardarrò bene.
SANGUINO Aspetta un poco cqua con me tu, figlio mio, perché starremo insieme, mentre costoro si spediscono de lí dentro.
ASCANIO Cossí farrò, come V. S. comanda.
SCENA [VENTIQUATTRESIMA]
Sanguino, Ascanio
SANGUINO Or che vi par del padron vostro m[esser] Bonifacio?
ASCANIO Quel che ne vedo, bene.
SANGUINO Non è lui galant’uomo, saggio, accorto, di valore, d’ogni stima degno?
ASCANIO Quant’ogni par suo.
SANGUINO Chi vi par suo pare?
ASCANIO Chi non sa e conosce piú né men che lui, e chi non vale piú né men che lui.
SANGUINO Essendono molte le specie della pazzia, in quale pensate voi che lavori costui?
ASCANIO Le specie della pazzia le possiamo prendere da piú capi; ma prendendole da questo, che di pazzi altri sono indifferenti, altri son tristi, altri son buoni, costui viene ad essere di tutte tre le cotte: addormito è indifferente, desto è tristo, morto è buono.
SANGUINO Perché l’ha preso madonna Carub[ina]?
ASCANIO Perché è pazzo.
SANGUINO Vi par ch’ell’abbi fatto bene?
ASCANIO Secondo il conseglio del mustaccio1 della barba di quella vecchia lanuta di madonna Angela, ha fatto piú che bene, ideste benissimo. Quella è stata la sua consegliera: quella è la pastora di tutte belle figlie di Napoli. Chi vuol Agnus dei2; chi vuol granelli benedetti; chi vuol acqua di S. Pietro Martire3, la somenza di San Gianni, la manna di S[ant’]Andrea4, l’oglio dello grasso della midolla de le canne dell’ossa del corpo di S. Piantono5; chi vuol attaccar un voto per aver buona ventura, vada a trovar madonna Angela Spigna. A costei venne madonna Carubina, e disse: «Madre mia, voglion darmi marito. Me si presenta Bonifacio Trucco, il quale ha di che e di modo». Rispose la vecchia: «Prendilo». «Sí, ma è troppo attempato»: disse Carubina. Respose la vecchia: «Figlia, non lo prendere». «I miei parenti mi consegliano di prenderlo». Rispose: «Prendilo». «Ma a me non piace troppo»: disse Carubina. «Dunque, non lo prendere»: rispose. Carubina soggionse: «Io lo conosco di buon parentado». «Prendilo»: disse la vecchia. «Ma intendo che dà tre morsi ad un faggiuolo»6. Rispose: «Non lo prendere». «Sono informata», disse Carubina, «ch’ave un levrier di buona razza»7. «Prendilo»: rispose la vecchia madonn’ Angela. «Ma, heimè!» disse, «ho udito dir ch’è candelaio»8. «Non lo prendere»: rispose. Disse Carubina: «Lo stiman tutti pazzo». «Prendilo, prendilo, prendilo, prendilo, prendilo, prendilo, prendilo»: sette volte disse la vecchia; «non importa che sii candelaio, non ti curar che dii tre morsi ad un faggiuolo, non ti fa nulla che non piace troppo, non ti curar che sii troppo attempato. Prendilo, prendilo, perché è pazzo; ma guarda che non sii di que’ riggidi, amari, agresti». «Son certa che non è di quelli»: disse Carubina. «Prendilo, dunque», disse madonna Angela, «prendilo». – Oh, ecco cqua i compagni.
SCENA [VENTICINQUESIMA]
Barra, Marca, Corcovizzo, Manfurio, Sanguino, Ascanio
BARRA Quell’altro è ispedito. Che vogliam far di costui, del domino Magister?
SANGUINO Questo porta sua colpa su la fronte: non vedi ch’è stravestito? non vedi che quel mantello è stato rubbato a Tiburolo? Non l’hai visto che fugge la corte?
MARCA È vero; ma apporta certe cause verisimile.
BARRA Per ciò non deve dubitare d’andar priggione.
MANFURIO Verum; ma cascarrò in derisione appo miei scolastici e di altri per i casi che me si sono aventati al dorso.
SANGUINO Intendete quel che vuol dir costui?
CORCOVIZZO Non l’intenderebbe Sansone1.
SANGUINO Or su, per abbreviarla, vedi, Magister, a che cosa ti vuoi resolvere: si volete voi venir priggione, over donar la bona mano2 alla compagnia di que’ scudi che ti son rimasti dentro la giornea, perché, come dici, il mariolo ti tolse sol quelli ch’avevi in mano per cambiarli.
MANFURIO Minime3, io non ho altrimente veruno. Quelli che avevo, tutti mi furon tolti, ita, mehercle, per Iovem, per Altitonantem, vos sidera testor4.
SANGUINO Intendi quel che ti dico. Si non voi provar il stretto della Vicaria, e non hai moneta, fa’ elezione d’una de le altre due: o prendi diece spalmate con questo ferro di correggia che vedi, o ver a brache calate arrai un cavallo de cinquanta staffilate: ché per ogni modo tu non ti partirrai da noi, senza penitenza di tui falli.
MANFURIO «Duobus propositis malis minus est tolerandum, sicut duobus propositis bonis melius est eligendum»: dicit Peripateticorum princeps5.
ASCANIO Maestro, parlate che siate inteso, perché queste son gente sospette6.
BARRA Può esser che dica bene costui, allor che non vuol esser inteso?
MANFURIO Nil mali vobis imprecor: io non vi impreco male.
SANGUINO Pregatene ben quanto volete, ché da noi non sarrete essaudito.
CORCOVIZZO Elegetevi presto quel che vi piace, o vi legarremo meglio e vi menarremo.
MANFURIO Minus pudendum erit palma feriri, quam quod congerant in veteres flagella nates: id n[on] puerile est7.
SANGUINO Che dite voi? che dite, in vostra mal’ora?
MANFURIO Vi offro la palma.
SANGUINO Tocca llà, Corcovizzo, da’ fermo.
CORCOVIZZO Io do. Taf, una.
MANFURIO Oimmè, Iesus, of!
CORCOVIZZO Apri bene l’altra mano. Taf, e due.
MANFURIO Of, of, Iesus Maria.
CORCOVIZZO Stendi ben la mano, ti dico; tienla dritta cossí. Taff, e tre.
MANFURIO Oi oi, oimè, uf, of of of, per amor della Passion del nostro Signor Iesus. Potius fatemi alzar a cavallo, perché tanto dolor suffrir non posso nelle mani.
SANGUINO Orsú dunque, Barra, prendilo su le spalli; tu, Marca, tienlo fermo per i piedi, che non si possa movere; tu, Corcovizzo, spuntagli8 le brache e tienle calate ben bene, a basso; e lasciatelo strigliar a me; e tu, Maestro, conta le staffilate, ad una ad una, ch’io t’intenda, e guarda ben, che si farrai errore nel contare, che sarrà bisogno di ricominciare; voi, Ascanio, vedete e giudicate.
MARCA Tutto sta bene. Cominciatelo a spolverare, e guardatevi di far male a i drappi che non han colpa.
SANGUINO Al nome di S[anta] Scoppettella9, conta: toff.
MANFURIO Tof, una; tof, oh tre; tof, oh oi, quattro; toff, oimè, oimè…; tof, oi, oimè…; tof, oh, per amor de Dio, sette!
SANGUINO Cominciamo da principio, un’altra volta. Vedete si dopo quattro son sette. Dovevi dir cinque.
MANFURIO Oimè, che farrò io? erano in rei veritate10 sette.
SANGUINO Dovevi contarle ad una ad una. Or su, via, [di] novo: toff.
MANFURIO Toff, una; toff, una; toff, oimè, due; toff, toff, toff, tre, quattro; toff, toff, cinque, oimè; toff, toff, sei. O per l’onor di Dio, toff, non piú, toff, toff, non piú, ché vogliamo, toff, toff, veder nella giornea, toff, ché vi sarran alquanti scudi.
SANGUINO Bisogna contar da capo, ché ne ha lasciate molte, che non ha contate.
BARRA Perdonategli, di grazia, signor Capitano, perché vuol far quell’altra elezione di pagar la strena11.
SANGUINO Lui non ha nulla.
MANFURIO Ita, ita, che adesso mi ricordo aver piú di quattro scudi.
SANGUINO Ponetelo abasso, dunque, vedete che cosa vi è dentro la giornea.
BARRA Sangue di…, che vi sono piú di sette de scudi.
SANGUINO Alzatelo, alzatelo di bel novo a cavallo: per la mentita ch’ ha detta, e falsi giuramenti ch’ ha fatti, bisogna contarle, fargli contar settanta.
MANFURIO Misericordia! prendetevi gli scudi, la giornea, e tutto quanto quel che volete, dimittam vobis12.
SANGUINO Or su, pigliate quel che vi dona, e quel mantello ancora che è giusto che sii restituito al povero padrone. Andiamone noi tutti: bona notte a voi, Ascanio mio.
ASCANIO Bona notte e mille bon’anni a V. S., signor Capitanio e buon pro faccia al Mastro.
SCENA [VENTISEIESIMA]
Manfurio, Ascanio
MANFURIO Ecquis erit modus1.
ASCANIO Olà, mastro Manfurio, mastro Manfurio.
MANFURIO Chi è, chi mi conosce? chi in questo abito e fortuna mi distingue? chi per nome mio proprio m’appella?
ASCANIO Non ti curar di questo, che t’importa poco o nulla: apri gli occhi, e guarda dove sei, mira ove ti trovi.
MANFURIO Quo melius videam2, per corroborar l’intuito3 e firmar4 l’acto della potenza visiva, acciò l’acie5 de la pupilla piú efficacemente per la linea visuale, emittendo il radio6 a l’obiecto visibile, venghi ad introdur la specie7 di quello nel senso interiore, idest, mediante il senso comone, collocarla nella cellula de la fantastica facultade, voglio applicarmi gli oculari8 al naso. Oh, veggio di molti spectatori la corona.
ASCANIO Non vi par esser entro una comedia?
MANFURIO Ita sane9.
ASCANIO Non credete d’esser in scena?
MANFURIO Omni procul dubio10.
ASCANIO A che termine vorreste che fusse la comedia?
MANFURIO In calce, in fine: neque enim et ego risu ilia tendo11.
ASCANIO Or dunque, fate e donate il Plaudite12.
MANFURIO
Quam male possum plaudere,
Tentatus pacientia,
Nam plausus per me factus est
Iam dudum miserabilis,
Et natibus et manibus
Et aureorum sonitu. Amen13.
ASCANIO Donate, dico, il Plaudite; e forzatevi di farlo ancora voi, e fate il tutto bene, da mastro ed uomo di lettere che voi siete: altrimente tornarrà gente in scena, mal per voi.
MANFURIO Hilari efficiam animo, forma quae sequitur14. Sí come i marinai, benché abbin l’arbor tronco, persa la vela, rotte le sarte e smarrito il temone per la turbida tempesta, soglion, nulla di meno, per esser gionti al porto, plaudere; et iuxta la Maroniana sentenza:
Votaque servati solvent in littore nautae
Glauco, et Panopeae, et Inoo Melicertae15;
parimente, Ego Mamphurius, graecarum, latinarum vulgariumque literarum, non inquam regius, nec gregius, sed egregius, – quod est per aethimologiam e grege assumptus, – professor; nec non philosophiae, medicinae, et iuris utriusque, et theologiae doctor, si voluissem16; per esser gionto al porto di miei erumnosi17 e calamitosi successi18, – post hac vota soluturus, – Plaudo19. Proinde20, dico a voi, nobilissimi spectatori, – quorum omnium ora, atque oculos in me video esse coniectos21, – sí come io per ritrovarmi al fine del mio esser tragico supposito22, si non co le mani, giornea e vesti, corde, tamen, et animo Plaudo23; cossí, e megliormente voi, meliori hactenus acti fortuna24, che di nostri fastidiosi ed importuni casi siete stati gioiosi e lieti spectatori, Valete et Plaudite.
Fine dell’atto V.