La mattina dopo ci alzammo completamente coperti di polvere. Dopo esserci lavati, cercammo di portare il pittore a mangiare qualcosa con noi, ma lui insisteva nel rifiutarsi. Intanto era arrivato Ni Bin, di ottimo umore. – Non parteciperò al torneo – gli disse Wang Yisheng. Restarono tutti di sasso. – Magnifico – disse Ni Bin –. Come mai? Verrà gente da tutta la provincia per assistere al torneo. – Non partecipo e basta – disse Wang Yisheng. Ci pensai io a spiegare il perché, e allora Ni Bin disse sorridendo: – Il segretario è un uomo di cultura e ama molto questo genere di oggetti. Quegli scacchi sono un bene di famiglia, ma io proprio non reggo la vita in campagna. Vorrei vivere in un posto dove non debba sporcarmi tutti i giorni. Gli scacchi non danno da mangiare, se possono servirmi per ottenere qualcosa vale la pena di disfarsene. La mia famiglia poi non è più ricca come un tempo, non mi biasimerà –. Il pittore incrociò le braccia sul petto, si strofinò la guancia e guardando il cielo disse: – Non ti si può biasimare, Ni Bin. Le tue esigenze non sono nulla di straordinario. In questi due anni anch’io mi sono spesso sentito confuso, la vita è diventata troppo legata ad aspetti materiali. Per fortuna ho ancora la pittura. Solo la pittura può dissipare la mia malinconia –. Wang Yisheng lo guardò sbalordito, poi, rivolto a Ni Bin, disse: – Grazie Ni Bin, ma non parteciperò al torneo, ne sfiderò invece i vincitori –. Ni Bin fu preso da un repentino entusiasmo e agitando la sua enorme mano disse: – Ottimo! Vado a dire al segretario di organizzare un torneo amichevole. Se batterai i campioni del torneo, sarai tu il vero campione; se perderai, non sarà una cosa grave –. Dopo un certo indugio, Wang Yisheng disse: – Non devi dire assolutamente niente al segretario. Andrò io stesso a parlare con i campioni. Se vorranno misurarsi con me, giocherò con i primi classificati.
Nessuno aveva altro da dire, così andammo ad assistere alle gare, tanto per trascorrere il tempo. Wang Yisheng passò tutto il tempo nel cortile adiacente alla sala in cui si giocava a scacchi, osservando sui cartelloni lo svolgersi delle partite. Il terzo giorno furono proclamati i vincitori. Seguirono la premiazione e uno spettacolo. Il marasma era tale che non si riusciva a sentire chi avesse ricevuto quale premio.
Ni Bin ci disse di aspettarlo nella sala della premiazione e poco dopo tornò con due uomini in uniforme da quadri. Quando li presentò, si scoprì che erano il secondo e il terzo classificato. – Questo è Wang Yisheng – disse Ni Bin –. È un giocatore straordinario e vorrebbe fare una partita con voi due campioni. Sarà un’occasione per imparare qualcosa l’uno dall’altro –. I due diedero un’occhiata a Wang Yisheng e chiesero: – Ma come mai non hai partecipato al torneo? Noi siamo qui da parecchi giorni, vogliamo tornarcene a casa. – Non vi farò perder tempo, giocherò contemporaneamente con tutti e due – disse Wang Yisheng. I due si scambiarono un’occhiata, poi capirono: – A mente? –. Wang Yisheng annuì. Allora cambiarono completamente atteggiamento: – Noi non abbiamo mai giocato a mente – dissero ridendo. – Non vi preoccupate – rispose Wang Yisheng –, voi giocherete con la scacchiera. Su, venite, cerchiamoci un posto –. Non si sa come la notizia si diffuse creando un immediato subbuglio. La gente dei vari distretti diceva che un giovane venuto dalla campagna, e che non aveva partecipato al torneo, non accettava il risultato e sfidava il secondo e il terzo classificato. Fummo circondati da un centinaio di curiosi che si accalcavano e spingevano. Sentendoci responsabili per Wang Yisheng, ci tenemmo al suo fianco. Lui, chinando il capo, disse ai due: – Andiamo, andiamo, stiamo attirando troppa attenzione –. In quel mentre si fece avanti un uomo dalla folla e disse: – Sei tu lo sfidante? Mio zio è il campione del torneo. Ha sentito dire che tu non accetti il risultato e mi ha mandato per invitarti da lui –. Wang Yisheng rispose lentamente: – Non è necessario. Se tuo zio vuole giocare, giocherò con tutti e tre assieme –. Questa risposta creò grande sensazione tra la folla, che ci sospinse fuori, verso la sala dove si era tenuto il torneo. Una folla di oltre cento persone ci seguiva per strada. I passanti chiedevano che cosa stesse accadendo, forse una battaglia tra giovani istruiti? Quando venivano a sapere di cosa si trattava si univano anche loro. A metà strada avevamo ormai dietro di noi oltre un migliaio di persone. I negozianti e i clienti uscivano dalle botteghe per vedere che cosa stesse accadendo. L’autobus era bloccato e i passeggeri, sporgendo la testa, si trovavano davanti una folla di teste ondeggianti, che sollevava un gran polverone. Alla baraonda si aggiungeva il crepitare della carta sparsa a terra, che la massa calpestava. Al centro della strada stava fermo un idiota che farfugliava una canzone incomprensibile. Qualcuno, mosso a compassione, lo condusse sul ciglio della strada e lui, appoggiato al muro, continuò come prima a cantare. Quattro o cinque cani attraversavano su e giù la folla, abbaiando come se stessero guidando una caccia al lupo.
Quando giungemmo alla sala, eravamo circondati da varie migliaia di persone. La polvere sollevata avrebbe impiegato molto tempo prima di depositarsi. Gli slogan e le insegne che avevano ornato la sala erano già stati rimossi. Uscì un uomo che, alla vista di tutta quella folla, sbiancò in volto. Ni Bin andò a parlamentare con lui. Questi annuiva guardando la folla e alla fine realizzò che volevamo usare la sala. Allora aprì in fretta la porta, ripetendo «Va bene, va bene», ma quando vide che tutti cercavano di entrare si allarmò. Noi ci mettemmo immediatamente a guardia della porta, lasciando passare solo Ni Bin, Wang Yisheng e i due campioni. In quel mentre, dalla folla uscì un uomo che disse: «Se il maestro può giocare con tre persone contemporaneamente, non sarà certo un quarto a creargli problemi. Vorrei partecipare anch’io». A questo punto, dalla folla si levò un nuovo clamore e altri si fecero avanti proponendosi di giocare contro Wang Yisheng. Non sapendo cosa fare, entrai nella sala per parlarne con lui. Wang Yisheng, mordendosi le labbra, chiese ai due giocatori: «Voi che ne dite?». Quelli scattarono in piedi e dissero che per loro andava bene. Tomai fuori e calcolai che, compreso il campione, c’erano in tutto dieci sfidanti. Ni Bin disse: «Dieci porta male, meglio nove». Così uno venne escluso. Il campione non si era visto, ma qualcuno venne a riferire che, trattandosi di una partita a mente, sarebbe rimasto a casa, mandando qualcuno ad annunciare le mosse. Wang Yisheng ci pensò su e poi disse che era d’accordo. I nove si chiusero nella sala. Il cartellone che era appeso sul muro di fuori non sarebbe stato sufficiente, allora qualcuno portò otto grandi fogli di carta bianca sui quali vennero rapidamente disegnate le scacchiere. Qualcun altro ritagliò un centinaio di quadrati di cartone, sui quali da un lato vennero scritti in rosso e in nero gli ideogrammi corrispondenti ai vari pezzi, dall’altro venne incollato un filo sottile, mediante il quale erano appesi ai chiodi che si trovavano nei punti di intersezione della scacchiera. Quando soffiava il vento, oscillavano leggermente. Per strada il clamore della folla era incessante.
La gente continuava ad affluire. Gli ultimi arrivati, benché spingessero con tutte le loro forze, non riuscivano ad aprirsi un varco nella massa e allora afferravano quelli che si trovavano vicino per chiedere cosa stesse accadendo, pensando fosse stato esposto un avviso che annunciava delle condanne a morte. Più lontano, le donne con in braccio i figli formavano un altro assembramento. Molti, poi, in piedi sulle biciclette poggiate sui cavalletti, allungavano il collo nella speranza di vedere qualcosa. Nel pigia pigia, una gran quantità di gente cadde a terra tra mille grida. I ragazzini cercavano di infilarsi, ma gli adulti li spingevano via con i piedi. Il clamore della folla risuonava nella strada come un tuono.
Wang Yisheng era seduto al centro della sala. Le mani poggiate sulle gambe, lo sguardo nel vuoto, il viso e la testa coperti di polvere. Faceva pensare a un accusato sottoposto a interrogatorio. Non potei trattenermi dal ridere, e attraversai la sala per scuotergli di dosso un po’ di polvere. Lui mi afferrò la mano e mi resi conto che tremava un po’. A bassa voce disse: – La cosa ha preso dimensioni spropositate, state all’erta, alla minima complicazione ce la filiamo. – Cosa vuoi che accada? Basta che tu vinca, e andrà tutto bene. Come va? Te la senti? Hai di fronte nove sfidanti, di cui tre sono i campioni del torneo –. Dopo un certo silenzio, Wang Yisheng rispose: – Temo più i vagabondi che i cortigiani. La tecnica dei tre campioni ho avuto modo di vederla, mi chiedo se non sarà tra gli altri sei che io possa trovare un vero avversario. Prendi la mia sacca, non perderla, qualunque cosa accada. Dentro ci sono… – mi guardò – gli scacchi che ha fatto mia madre –. Il suo viso scarno era sporco, il naso contornato di nero, i capelli dritti, il pomo d’Adamo saliva e scendeva e gli occhi erano di un nero da far paura. Sapevo che sarebbe andato fino in fondo. Quando mi allontanai gli dissi con una stretta al cuore: «Mi raccomando!». Solo in mezzo alla sala, senza guardare in faccia nessuno, stava rigido come un pezzo di ferro.
Il gioco iniziò. Le migliaia di presenti tacquero. Si udivano solo le voci, ora calme ora concitate, dei volontari che si erano offerti di comunicare via via le mosse agli altri che fuori le riportavano poi sui cartelloni. Il vento faceva risuonare gli otto cartelloni e fluttuare i pezzi. Il sole illuminava tutto con raggi obliqui e accecanti. La gente delle prime file si era seduta per terra e guardava in alto per seguire il gioco. Dietro si accalcava una massa di persone dai lineamenti sporchi di polvere e con i capelli, lunghi o corti che fossero, agitati dal vento. Nessuno si muoveva, come se la loro vita dipendesse dal gioco.
Improvvisamente mi si risvegliò nell’animo la sensazione di un qualcosa di molto antico, che mi serrò la gola. I libri che avevo letto, quale più quale meno, mi tornavano confusamente alla memoria. Gli eroi un tempo tanto ammirati, Xiang Yu e Liu Bang31, erano ora a bocca aperta per lo stupore, mentre quei soldati dal viso nero i cui corpi erano sparsi sui campi si sollevarono da terra, muti, muovendosi lentamente. Un taglialegna con l’ascia sulla spalla cantava. D’un tratto mi sembrò di scorgere la madre del Topo di scacchiera che piegava una dopo l’altra le pagine di un libro con le sue mani deboli.
Incapace di trattenermi, mi misi a frugare nel sacco di Wang Yisheng. La mia mano incappò in un involucro di stoffa che tirai fuori. Era un sacchettino di vecchia saia blu, sopra vi era ricamato un pipistrello e ai lati, con del filo molto sottile, era stato fatto uno smerlo con punti molto precisi. Ne estrassi uno dei pezzi, era veramente molto piccolo, diafano, faceva pensare a un occhio con uno sguardo dolce. Lo chiusi in pugno.
Il sole finalmente tramontò e l’aria si fece più fresca. La gente continuava a guardare i cartelloni ma cominciò anche a discutere. Ogni volta che veniva riportata una mossa di Wang Yisheng, si levava il clamore. Varie persone andavano apposta in bicicletta ad annunciare al campione rimasto a casa le mosse. L’atmosfera si faceva meno tesa e si cominciò a ridere e scherzare.
Entrai di nuovo nella sala. L’aria allegra di Ni Bin mi rassicurò. – Come va? – gli chiesi –. Io di scacchi non ne capisco niente –. Ravviandosi i capelli, mi rispose: – Magnifico, magnifico. Non avevo mai visto un combattimento del genere. Ma pensa, lui solo contro nove, nove partite in una volta. Una battaglia su più fronti! Voglio scrivere a mio padre tutte le mosse di queste partite –. In quel mentre, due giocatori si alzarono e, inchinandosi verso Wang Yisheng, dissero: «Ci dichiariamo battuti», e uscirono. Wang Yisheng annuì col capo e lanciò un’occhiata ai loro posti vuoti.
Wang Yisheng non aveva cambiato posizione. Sedeva ancora con le mani sulle ginocchia, lo sguardo fisso davanti a sé come se stesse guardando un luogo estremamente remoto, o vicinissimo. Le sue spalle magre reggevano una giacca molto ampia e polverosa. Il suo pomo d’Adamo si muoveva a intervalli lunghissimi. Per la prima volta ammisi che anche gli scacchi erano uno sport, anzi una maratona, forse peggio ancora. A scuola avevo partecipato a delle maratone, dopo i primi cinquecento metri ero stanco morto, ma, oltrepassato un certo limite, la corsa non occupava più il mio cervello, mi sentivo come un aereo senza pilota, un aliante che planava. Negli scacchi, invece, bisogna essere presenti a se stessi dall’inizio alla fine, non ci si può distrarre se si vuole arrivare a stringere d’assedio il nemico e metterlo con le spalle al muro. Improvvisamente cominciai a preoccuparmi per la salute di Wang Yisheng. Per problemi di soldi non avevamo mangiato granché nei giorni precedenti ed eravamo sempre andati a dormire tardi. Nessuno immaginava che cosa si andava preparando. Vedendolo seduto là, immobile, formulai un voto per lui: tieni duro! Quando in montagna trasportavamo i tronchi, uno da un capo e uno dall’altro, non dovevamo in nessun caso lasciare la presa, ma tirare avanti a denti stretti, senza curarci di quanto la strada fosse dissestata o i fossati profondi. Se uno mollava, non solo si sarebbe ferito lui stesso, ma il compagno sarebbe stato colpito così violentemente da vomitare sangue. Questa volta, però, Wang Yisheng doveva attraversare da solo fossati e dossi, noi non potevamo aiutarlo. Presi una tazza di acqua fresca e, avvicinatomi silenziosamente a lui, gliela misi davanti agli occhi. Lui si scosse e mi rivolse uno sguardo affilato come la lama di un coltello. Quando mi riconobbe, fece un sorriso assente. Gli indicai l’acqua, lui prese la tazza e stava per bere quando un giocatore annunciò la sua mossa. Lui portò la tazza all’altezza degli occhi, l’acqua all’interno era rimasta immobile. Guardando il bordo della tazza, annunciò la sua contromossa e quindi la portò lentamente alle labbra. Allora un altro annunciò una mossa, lui fermò il bordo della tazza sulle labbra, rifletté a lungo, annunciò la sua contromossa e finalmente bevve un sorso, emettendo un suono gutturale così forte da far paura. Gli occhi gli si erano riempiti di lacrime. Mentre mi restituiva la tazza, teneva su di me uno sguardo indefinibile. Dall’angolo della bocca colò giù una goccia d’acqua, scorrendo si aprì un varco tra la polvere del mento e del collo. Gli tesi di nuovo la tazza, ma lui la fermò sollevando la mano. Poi tornò nel suo mondo.
Quando uscii era ormai buio. Tra la folla alcuni montanari impugnavano delle torce di rami di pino, altri avevano pile elettriche che diffondevano tutt’intorno una luce giallastra. La gente era ancor più numerosa, probabilmente si erano aggiunti gli impiegati dei vari uffici distrettuali che avevano staccato dal lavoro. I cani erano seduti davanti alla folla e osservavano con occhi tristi gli spostamenti dei pezzi sui cartelloni; sembravano preoccupati. Alcuni nostri compagni di brigata erano stati circondati dalla folla, che voleva avere da loro delle informazioni. In un baleno frasi come «Wang Yisheng», «Topo di scacchiera», «È un giovane istruito», «Applica una strategia di gioco taoista», si trasmisero di bocca in bocca. Io trovavo tutto ciò un po’ ridicolo, e pensavo di andare tra la folla a spiegare come stavano le cose, ma poi lasciai correre, e man mano che quelle voci si diffondevano, mi sentivo contento. Ormai sul muro erano rimasti solo tre cartelloni.
Dalla folla si levò un improvviso clamore. Mi girai e vidi che ora era rimasto un unico cartellone, quello della partita con il campione. Sulla scacchiera c’erano pochi pezzi. Quelli di Wang Yisheng, i neri, erano disseminati, chi più a fondo chi meno, nella metà avversaria. Nelle retrovie il suo vecchio comandante attendeva pazientemente in compagnia di un consigliere, faceva pensare a un imperatore che, in attesa che i suoi generali gli riportassero dal fronte la notizia della vittoria, chiacchierava con un cortigiano. Mi sembrava quasi di intravedere dei servitori che attendevano a un banchetto e accendevano lunghe candele rosse, mentre i musicisti accordavano un po’ in sordina gli strumenti in attesa che un messaggero, prosternandosi, desse la notizia, per poter allora intonare una musica trionfale. Il mio stomaco emise un lungo brontolìo. Sentendomi le gambe flosce, mi cercai un posto a sedere e guardai in su per seguire sul cartellone l’ultimo accerchiamento, temendo che qualcosa potesse andare storto.
I pezzi rossi rimasero a lungo immobili. Impazienti scrutavamo la strada in attesa dei messaggeri in bicicletta. All’improvviso la folla si agitò e cominciò pian piano ad aprirsi. Un vecchio dalla testa calva ne emerse lentamente, sostenuto da una persona al suo fianco. Mentre osservava gli otto cartelloni delle partite le sue labbra ebbero un tremito. Tra gli astanti si diffuse immediatamente la voce che questi era il campione. Discendente di un’illustre famiglia del distretto, aveva lasciato la sua dimora tra le montagne per venire a giocare a scacchi. Lo faceva per svago e non si sarebbe mai aspettato di vincere. A giudicare dal livello del torneo aveva dedotto che il gioco degli scacchi era ormai in declino. Dopo aver osservato i cartelloni, si stirò leggermente l’abito, e a testa alta entrò nella sala, sempre sostenuto dal suo accompagnatore. La folla si riversò dietro di lui. Seguendo il vecchio mi aprii ansiosamente un varco fino alla porta. Oltrepassata la soglia, egli si fermò e guardò davanti a sé.
Wang Yisheng sedeva da solo al centro della sala, lo sguardo puntato su di noi, le mani sulle ginocchia, rigido come un pezzo di ferro e come questo incapace di vedere e di sentire. La lampada elettrica che pendeva dall’alto gli illuminava debolmente il viso. I suoi occhi, neri e infossati, sembrava guardassero migliaia e migliaia di altri mondi, l’universo infinito. Le sue energie vitali, che apparivano concentrate tutte nei suoi capelli arruffati, tornarono gradualmente a diffondersi per tutto il corpo, soffondendo di calore il suo viso.
La folla era ammutolita dallo stupore. Dopo tutte le voci che erano girate, ora si trovava davanti quell’animuccia nera e mingherlina che sedeva in silenzio, e non poté trattenere un sospiro di meraviglia.
Dopo un lungo intervallo, il vecchio emise un forte colpo di tosse, che risuonò in tutta la sala. Gli occhi di Wang Yisheng misero improvvisamente a fuoco la folla; cercò di muoversi, ma non vi riuscì. Liberatosi della persona che lo sosteneva, il vecchio avanzò di qualche passo, poi si fermò e, congiunte le mani all’altezza dello stomaco, disse ad alta voce: «Giovanotto, io sono vecchio e infermo e per questo non sono potuto scendere di persona sul campo di battaglia, ma ho dovuto far ricorso a dei messaggeri per comunicare le mosse. Nonostante la tua giovane età ho constatato che possiedi una grande maestria negli scacchi. Hai fuso il metodo taoista e quello Zen e sei molto abile nel pianificare le tue mosse. Come tutti i grandi generali del passato e del presente, sai prendere l’iniziativa dispiegando le tue forze, e sai importi lasciando che sia il tuo avversario ad attaccare per primo. Riesci a cacciare il drago e a controllare le acque, il tuo soffio vitale è in armonia con i principi yin e yang. Questo vecchio infermo è fortunato ad averti incontrato. Mi emoziona sapere che l’arte degli scacchi in Cina non morirà. Desidererei poter allacciare con te un’amicizia che passi sopra la nostra differenza di età. Termino qui la partita, ho giocato per divertirmi. Saresti disposto a considerarla patta e salvare la faccia di questo vecchio infermo?».
Wang Yisheng tentò di nuovo di alzarsi, ma non vi riuscì. Ni Bin ed io ci precipitammo verso di lui e, sostenendolo per le ascelle, lo tirammo su. Le sue ginocchia restavano piegate e non riusciva a drizzare le gambe. Avevo l’impressione che pesasse solo qualche etto, feci allora cenno a Ni Bin di metterlo giù e di massaggiargli le gambe. La folla fece capannello attorno a noi. Il vecchio sospirava scuotendo la testa. Ni Bin gli fece un lento e vigoroso massaggio lungo il corpo, sul viso e sul collo. Dopo un po’, il suo corpo si rilassò e fece peso sulle nostre mani che lo sostenevano. Dalla gola emise un suono rauco, aprì lentamente la bocca, poi la richiuse, l’aprì di nuovo e si schiarì la gola. Dopo una lunga pausa, disse con voce flebile: «E pari sia».
Commosso, il vecchio disse: – Non verresti a riposare da me stasera? Potresti fermarti due giorni, così potremmo discutere di scacchi –. Scuotendo il capo Wang Yisheng rispose con voce debole: – No. Sono con degli amici, siamo venuti insieme e resteremo insieme. Andiamo al Centro culturale, là c’è un nostro amico –. Allora il pittore, che si trovava tra la folla, gridò: «Andiamo! Andiamo a casa mia, ho già comprato da mangiare».
Uscimmo lentamente, circondati dalla folla e illuminati da un cerchio di fiaccole. Montanari e cittadini si accalcavano attorno a noi per cogliere il portamento regale del re degli scacchi, ma quando lo vedevano scuotevano il capo e sospiravano.
Camminavo lentamente sostenendo Wang Yisheng, la luce delle torce ci seguì lungo tutto il tragitto. Giunti a casa del pittore, al Centro culturale, la folla si ammassò alle finestre, nonostante qualcuno tentasse di disperderla. Preoccupato, il pittore nascose in fretta alcuni dei suoi dipinti.
Pian piano la gente sfollò. Wang Yisheng era ancora un po’ stordito. D’un tratto mi accorsi che stringevo ancora in pugno quel pezzo degli scacchi che aveva fatto sua madre e glielo mostrai. Lui lo fissò assente, come se non lo riconoscesse, ma la sua gola emise un suono e all’improvviso vomitò con un singulto. «Mamma», singhiozzò, «tuo figlio oggi… mamma…». Un senso di pena ci assalì, pulimmo a terra, andammo a cercargli dell’acqua e tentammo di consolarlo. Dopo essersi sfogato, Wang Yisheng recuperò il suo spirito abituale e mangiammo tutti assieme. Il pittore si ubriacò al punto che, incurante degli altri, si gettò sul letto e si addormentò. L’elettricista allora ci portò tutti, compreso Ni Bin, all’auditorio, dove ci sistemammo sul palcoscenico per dormire.
La notte era così buia che stendendo la mano non si distinguevano le dita. Wang Yisheng dormiva profondamente. Nelle orecchie mi risuonava ancora il clamore della folla e davanti agli occhi avevo ancora la luce che le torce gettavano attorno. Mi sembrava di vedere la gente delle montagne che, con i visi duri, marciava nella foresta portando la legna sulle spalle e cantando. Mi venne da ridere; pensavo: «Se non fossi uno qualunque, potrei forse conoscere una tale gioia? La mia famiglia è stata distrutta e ora mi ritrovo tutti i giorni a zappare. Eppure qui c’è della gente vera che è una gioia e una fortuna aver conosciuto. Il cibo e gli abiti sono dei bisogni fondamentali, l’umanità da quando esiste si dà da fare ogni giorno per procurarseli. Ma limitarsi a questi sarebbe davvero poco umano». La stanchezza prese gradualmente il sopravvento. Coprendomi con il sipario caddi in un sonno profondo.