(Invocazione)
Esistono numerosi ḥadīth in cui il Profeta Muḥammad si sofferma sulla qualità e la necessità del du‘ā’ (invocazione, supplica, richiesta rivolta a Dio) quale cuore palpitante del culto del musulmano:
Si tramanda da al-Nu‘mān ibn Bashīr che il Profeta disse: “L’invocazione è adorazione (ad- du‘ā’ huwa al-‘ibāda). Lo riportano At-Tirmidhī e Abū Dāwud”.100
In realtà, i sapienti che insistono sull’importanza di quest’ultimo [du‘ā’] all’interno del rito della ṣalāt intendono richiamare l’attenzione sul significato “attivo” e “operativo” del du‘ā’, che permette di illuminare la preghiera con un’espressione di volontà che in effetti da un punto di vista oggettivo pare fondamentale nella vivificazione della ṣalāt (spessa descritta tradizionalmente come “intimo colloquio”). Inoltre, da un punto di vista più profondo si deve intendere il du‘ā’ non tanto come “invocazione” quanto come “con-vocazione” di grazia, “libera” in quanto continuamente cangiante conformemente al continuo mutare delle condizioni contingenti in cui si viene a trovare il credente. Questo permette di comprendere perché, secondo quanto riporta at-Tirmidhī (Libro delle Invocazioni, cap. I, 3382), l’Inviato di Dio, su di lui la preghiera e la pace divine, abbia detto che “il du‘ā’ è il midollo”, e cioè l’elemento centrale, il fior fiore, dell’adorazione (ad- du‘ā’ mukhkh al-‘ibādā)”101.
Questo naturalmente vale in special modo per la prostrazione (sujūd) il momento cruciale di approssimazione dell’uomo all’Altissimo, il punto in cui tempo e spazio della ṣalāt convergono a costituire il viatico privilegiato alla formulazione e all’accoglimento delle richieste:
Si tramanda da Abū Hurayra che l’Inviato di Allāh disse: “Il momento nel quale il servo è più vicino al suo Signore è quando è prosternato: e dunque [quando siete prosternati] moltiplicate le invocazioni”. Lo riporta Muslim.102
Il du‘ā’ è parte integrante di un processo di avvicinamento dell’uomo verso il suo Signore, sia nella misura di un’aspirazione sincera a Dio, sia nella ricerca della condivisione la più ampia possibile degli effetti del favore divino rispetto all’umanità.
È per questo motivo che quando, nel Corano, Dio si rivolge agli uomini, li invita a confidare nella certezza della Sua risposta di fronte all’invocazione sincera di chi voglia chiamarlo in causa:
Quando i Miei servi ti chiedono di Me, ebbene Io sono vicino! Rispondo all’appello di chi Mi chiama quando Mi invoca. Procurino quindi di rispondere al Mio richiamo e credano in Me, sì che possano essere ben guidati.103
InvocateMi, e Io vi risponderò104
Peraltro, data una vicinanza signoriale continuamente riaffermata nel Corano di là da ogni illusoria distanza (“Siamo più vicini all’uomo della sua vena giugulare”)105, in questo versetto s’instaura ancora una volta un’immediata corrispondenza tra la creatura e il Creatore, per effetto della quale la risposta di Questi è in qualche modo l’esito della risposta del primo al Suo richiamo, in una misura tale che l’essere ben guidati precede l’aspirazione ad esserlo, anche se occorre che l’uomo formuli davvero la necessità di questa aspirazione106. D’altra parte si tratta di una corrispondenza relativa, giacché la Parola e la Volontà di Dio precedono sempre la creatura nel suo anelito e sempre nella misura del più misericordioso amore:
Da Abū Hurayrah ha riportato che Il Profeta ha detto: “Allāh, sia Egli esaltato, dice: “Io sono secondo l’idea che il Mio servo ha di Me, ed Io sono con lui quando Mi menziona; e se Mi menziona in cuor suo, lo menziono in cuor Mio. E se Mi menziona in pubblico, lo menziono in un pubblico migliore di quello; e se si avvicina a Me di un palmo, Mi avvicino a lui di un cubito, e se si avvicina a Me di un cubito; Mi avvicino a lui di un braccio; e se viene da Me camminando, vado da lui correndo’”. Lo ha trasmesso Bukhārī (e così Muslim, Tirmidhī e Ibn Māja).
Nonostante questa apertura munifica, l’uomo, la cui natura è frettolosa, soprattutto se privato del discernimento fornito dalla bussola della Rivelazione finisce per invocare in egual misura il bene come il male:
L’uomo invoca il male come invoca il bene. In verità l’uomo è frettoloso107.
Questa fretta ha a che fare senz’altro con l’incostanza relativa proprio all’organo preposto all’adorazione in quanto sede dell’intelletto, ovvero il cuore. Nella sua etimologia (q-l-b), il cuore si caratterizza proprio per la sua propensione ad essere continuamente oscillante e cangiante. Ecco perché, in una delle sue invocazioni più frequenti, come riferisce ‘Ā’isha in un ḥadīth trasmesso da Tirmidhī, il Profeta Muḥammad era solito ripetere: “O Tu che volgi i cuori, rendi il nostro cuore saldo nella tua religione”.
È a partire da questa saldezza che, per effetto di una etimologia condivisa, l’invocazione (du‘ā’) può divenire appello agli uomini (da‘wa) ed essere estesa al prossimo, con sollecitudine, ma anche con rispetto e senso di adab, giacché la conoscenza dei cuori è una prerogativa esclusiva del Signore:
Chiama al sentiero del tuo Signore con la saggezza e la buona parola e discuti con loro nella maniera migliore. In verità il tuo Signore conosce meglio [di ogni altro] chi si allontana dal Suo sentiero e conosce meglio [di ogni altro] coloro che sono ben guidati.108
In un certo senso, la da’wa è davvero intrinseca al du‘ā’, ovvero non dimenticandosi di Dio nelle proprie invocazioni, l’uomo non si chiude nella difesa egoistica delle proprie aspettative e aspira con i propri simili alla ricerca di ciò che è più necessario. La da‘wa, allora, quando avviene nella naturalezza della quotidianità, non è spirito missionario o zelo proiettato verso gli altri, ma sincera comunione di misericordia, giacché “nessuno è veramente credente se non desidera per i propri fratelli ciò che desidera per se stesso”109.
100 An-Nawawî, I Giardini dei devoti, p. 657,
101 Lodovico Zamboni, in Muḥammad Ibn Ismā‘îl al-Bukhârî, Il Ṣaḥîḥ ovvero “La giustissima sintesi”. Detti e fatti del Profeta Muḥammad. I Libri riguardanti la preghiera, Edizioni Orientamento, Caprara di Campegine, 2013, p. 18 n. 6.
102 Ivi, p. 666.
103 Corano, II, al-Baqara, 186.
104 Corano, XL, al-Ghāfir, 60.
105 Corano, L, Qāf, 16.
106 È per tale motivo che Ibn ‘Aṭā’ Allāh, in riferimento alla provvidenziale predisposizione dell’inclinazione della creatura, ha affermato: “Non ti sia motivo di sconforto se, nonostante l’insistenza della tua invocazione (du‘ā’), Egli (Allāh) tarda ad accordarti ciò che hai chiesto. L’esaudimento delle tue invocazioni (du‘ā’) è garantito per ciò che Lui ha scelto di accordarti e non per quello che hai scelto tu, e nel tempo (waqt) in cui Lui vuole, e non nel momento che desideri tu”; e ancora: “Quando Egli ti pone sulle labbra una richiesta, sappi che ti vuole esaudire” (Ibn ‘Aṭā’ Allāh, Sentenze e colloquio mistico, cit., p. 55). Nonostante questa provvidenziale predisposizione, non bisogna ritenere tuttavia che tutto ciò cui inclina la creatura sia gradito al suo Signore. Infatti, l’emiro ‘Abd al-Qādir ha sottolineato come sia erroneo ritenere che “tutto quanto Dio vuole per i Suoi servi Lo soddisfi e Gli sia gradito […] Dio vuole per i Suoi servi ciò che la Sua scienza gli insegna su di loro da sempre. E ciò che la Sua scienza gli insegna su di loro da sempre è quanto esigono le loro realtà essenziali e quanto rivendicano le loro predisposizioni, sia tutto questo bene o male, credenza o infedeltà” (Abdel Kader, Il libro delle soste, p. 167).
107 Corano, XVII, Al-’Isrā’, 11.
108 Corano, XVI, An-Naĥl, 125.
109 Ḥadīth riferito da Anas e trasmesso da al-Bukhārī e Muslim.