Faqr

(Povertà)

O uomini, voi siete bisognosi di Dio, mentre Dio è Colui che basta a Se stesso, il Degno di lode.116

La povertà cui ci si riferisce in questo versetto costituisce il risultato dell’affermazione di un principio fondamentale, quello cioè dell’assoluta indigenza, quale che sia il suo censo o il suo stato, della creatura dinanzi al Signore.

È chiaro che la scoperta di questo stato, ineludibile per ogni creatura, avviene per gradi ed è destinata ad alimentare il cammino progressivo (sulūk) della realizzazione spirituale. Non è un caso che il termine fuqarā’ (sing. faqīr) abbia finito per riferirsi a coloro che, facendo parte di una ṭarīqa (ovvero di una via iniziatica) perseguono il modello perfetto di povertà spirituale rappresentato dall’esempio del Profeta Muḥammad117, che quando si è dimostrato incurante, anche su un piano materiale, rispetto agli agi di questa vita118, l’ha fatto per evidenziarne il carattere inane ed effimero:

Si tramanda da Ibn Mas‘ūd: “L’Inviato di Allāh dormì su di una stuoia e quando si alzò ne aveva il segno impresso sul fianco. Allora gli dicemmo: “Inviato di Allāh, e se ti preparassimo un giaciglio?” Lui rispose: “Che abbiamo [in comune] io e il basso mondo? Nel basso mondo io non sono che un cavaliere che si mette all’ombra di un albero, poi alla sera si rimette in cammino e lo lascia’”. Lo riporta al-Tirmidhī.

Il profilo del cavaliere che si staglia icasticamente in conclusione di questo ḥadīth prelude alla Futuwwa, la cavalleria iniziatica che costituisce la summa della più autentica realizzazione spirituale119, per il tramite dei compagni del Profeta (e, in special modo, dei cosiddetti ahl al-ṣuffa, ovvero la “gente della panca, cioè di coloro che avevano scelto di vivere nello spazio adiacente all’abitazione del Profeta a Medina)120.

La scelta della povertà allora diviene consapevole in nome della certezza della provvisorietà dello stato creaturale e della dipendenza assoluta dal suo Signore:

Si può definire “essere contingente” quello che non ha in se stesso la propria ragione sufficiente; un simile essere, per conseguenza, non è niente, di per se stesso, e nulla di quel che è gli appartiene in proprio. È questo il caso dell’essere umano, considerato come individuo, così come di tutti gli esseri manifestati in uno stato qualsiasi, poiché, qualunque sia la differenza tra i gradi dell’esistenza universale, essa è sempre nulla nei confronti del Principio. Questi esseri, umani o no, sono dunque, per tutto ciò che sono, in totale dipendenza dal Principio, “al di fuori del quale nulla, assolutamente nulla, può esistere”; ed è proprio la coscienza di questa “dipendenza” che costituisce quel che numerose Tradizioni chiamano “povertà spirituale”.121

Come ha affermato lo Shaykh Aḥmad ibn Muḥammad ibn ‘Ajībah al-Ḥasanī (1747–1809), la qualificazione dell’uomo è la povertà (al-faqr); che l’uomo la realizzi e la Ricchezza di Dio (al-Ghanā) gli sarà presto data. Così pure colui che aspira a delle grazie elevate abbassi la sua anima e si cancelli davanti alle creature”. È a questa povertà piena di grazia che si riferiva il Profeta Muḥammad quando ha invitato un uomo che scongiurava di amarlo, di pensare bene a quello che affermava, aggiungendo in seguito: “Se mi ami preparati a bardare la povertà, perché la povertà accorre a chi mi ama più velocemente di quanto l’inondazione corra al suo sbocco”122.

La povertà diventa il corretto viatico per intraprendere, con appropriata intenzione, il cammino verso la conoscenza di Dio. Questa conoscenza è segnata da una prima consapevolezza riguardo alla propria condizione di dipendenza totale dal proprio Creatore:

Iddio è Colui che basta a Se Stesso mentre siete voi ad essere i poveri (Corano, XLVII, Muḥammad, 38).

Ed ecco come ha testimoniato, in perfetta sapienza, questa stazione lo Shaykh Aḥmad Ibn Idrīs al-Fāsī:

Noi non ci inorgogliamo per nessuna creatura, qualunque sia; non rimettiamo le nostre speranze in nessuna creatura, per nessun motivo. Noi siamo dei servi di Dio, in viaggio verso Dio, i quali non temono che Dio, non sperano in nient’altro che in Dio, non si affezionano a null’altro che a Dio, e non confidano in nessun’altro se non in Dio. Chiunque si affeziona solo a Dio è guidato sulla Via retta, e chiunque confida in Dio è ricompensato, secondo le parole del nostro signore e maestro Muḥammad, l’Inviato di Dio (la Pace e la Benedizione di Dio siano su di lui): “Quel che un uomo teme ha potere su di lui, ma se un uomo non teme che Dio, nessun altro se non Dio avrà potere di lui”. Egli ha detto inoltre: “Un uomo dipende da ciò che lo conduce verso quello cui aspira, ma se un uomo aspira soltanto a Dio, Dio non lo guiderà verso nient’altro”.123

116 Corano, XXXV, Fāṭir, 15.

117 “[…] tale modello consiste nel comportamento dell’Inviato nei confronti del suo Signore, nella perfetta Realizzazione di quanto presuppone la servitù e nel compimento di tutto ciò che esige la Signoria, nella totale dipendenza nei confronti di Dio (al-faqr ilayhi) […]”, Abdel Kader, Il libro delle soste, p. 191.

118 “Si tramanda da ‘Amr ben al-Ḥārith, fratello della Madre dei Credenti Juwayriyya: “Alla sua morte l’Inviato di Allāh non lasciò né dinar né dirham, né schiavo né schiava, non lasciò nulla insomma, ad eccezione della mula bianca che soleva cavalcare, delle sue armi e di un terreno che aveva destinato come elargizione per il viandante”. Lo riporta al-Bukhari”, An-Nawawī, I Giardini dei devoti, p. 284.

119 Sulamî, Il libro della cavalleria, Roma, 1990. All’affermazione di Junayd sulla futuwwa, per cui essa “consiste nell’abolire la visione dell’ego, e nel rompere tutti i legami (di considerazione sociale diversa dalla relazione diretta con Dio)”, così risponde Abû Hafs: “Ciò che dite è molto bello, ma per me la Futuwah consiste soprattutto nell’agire con rettitudine e nel non esigere dagli altri di fare altrettanto”, F. Skali, Futuwah, Paris, 1989, p. 32.

120 “Poiché si sono liberati di tutti i loro averi, li si è chiamati poveri (fuqarā). Ad uno di loro venne chiesto chi fosse il Ṣufi, intendendo con ciò e quello rispose “Colui che non possiede e non è posseduto”, intendendo con ciò colui che non è ingannato dalla bramosia. Un altro (alla stessa domanda) rispose: “è colui che non possiede nulla e, se mai possiede qualcosa, ne fa dono generosamente” […]”, Kalābādhī, Il sufismo, p. 57.

121 R. Guénon, L’esoterismo Islamico e il Taoismo, cit., p. 37.

122 Ḥadīth riferito da ‘AbdAllah Ibn Mugaffal e trasmesso da At-Tirmidhī, in An-Nawawī, I Giardini dei devoti, p. 287.

123 Cfr. R.S. O’Fahey, The Enigmatic Saint: Ahmad Ibn Idris and the Idrisi Tradition, Northwestern university press, 1990, p. 79.