(Aprente)
In verità, ti abbiamo concesso una vittoria evidente.124
La vittoria cui ci si riferisce in questo versetto coranico corrisponde in realtà, dal punto di vista etimologico, a un’apertura, giacché la radice trilittera f-t-ḥ esprime l’idea beneaugurante di un inizio indubitabilmente vantaggioso. D’altra parte la vittoria appartiene solo a Dio e, per quanto Egli possa concederla ai Suoi servi, essa non sarà se non provvisoriamente. Per tale motivo, quando la vittoria è concessa, è sempre un’apertura divina che pretende, da parte del servo, riconoscimento immediato e umile rifugio nell’istighfār, nella richiesta di perdono:
Quando verrà il soccorso di Allāh e la vittoria, e vedrai le genti entrare in massa nella religione di Allāh, glorifica il tuo Signore lodandoLo e chiediGli perdono: in verità Egli è Colui che accetta il pentimento.125
Questa più autentica sensazione di vittoria trapela nell’attributo preminente della sūra al-Fātiḥa (“l’Aprente”) che, inaugurando il Corano, assume una funzione complessiva di “apertura” per coloro che recitandola sappiano farne tesoro. La recitazione, come per tutte le sure del Corano è preceduta dalla ricerca della protezione dal male (“Mi rifugio in Allāh da Satana, il lapidato”). La basmala (bismi Llāhi l-Raḥmāni l-Raḥīm) che apre la sūra rappresenta, secondo il Profeta Muḥammad, la chiave del libro126 e di ogni azione, sebbene, nella fattispecie della sūra al-Fātiḥa, gli Imām Abū Ḥanīfa e Mālik e non la considerino parte integrante del testo recitato:
Nel Muaṭṭa’ l’Imām Mālik ben Anas tramanda da Sa‘id, liberto del figlio di ‘Amr ben Kurayz, che l’Inviato di Dio, su di lui la preghiera e la pace divine, chiamò Ubayy ibn Ka‘b mentre stava pregando in moschea. Quando questi ebbe finito di pregare, raggiunse l’Inviato di Dio. “Il Profeta mi prese per mano, mentre si accingeva ad uscire dalla porta della moschea, e disse: “Spero che tu non esca dalla porta della moschea prima di aver imparato una sūra che non ha eguali in ciò che è stato rivelato nella Torah, nel Vangelo e nel Corano! Io allora, continua a raccontare Ubayy, presi a rallentare il passo, sperando che me la insegnasse. Quindi dissi: “Inviato di Dio, qual è la sūra che mi hai promesso”? “Cosa reciti” mi chiese “all’inizio della preghiera”? Gli recitai allora “La lode spetta a Dio Signore dei mondi” fino alla fine. L’Inviato di Dio disse: “È questa la sūra: sono i sette raddoppiati ed è il magnifico Corano che ho portato” […] ed è in virtù di questo ḥadīth che l’Imām Mālik ritiene la basmala non facente parte della sūra Aprente. Ubayy infatti inizia con le parole “La lode spetta a Dio”, e non dice “Nel Nome di Dio, Misericordioso e Clementissimo”.127
Secondo i dettami di questo madhhab, ecco dunque, per esteso, il testo coranico:
Al-ḥamdu li-Llāhi Rabbi l-‘ālamīn
Al-Raḥmāni l-Raḥīm
Māliki yawmi l-dĩn
iyyāka na‘budu wa iyyāka nasta‘īn
ihdina l-ṣirāṭa l-mustaqīm
ṣirāṭa l-ladhīna an‘amta ‘alayhim ghayri l-maghḍūbi ‘alayhim wa lā l-ḍāllīn.
La lode [appartiene] ad Allāh, Signore dei mondi
il Compassionevole, il Misericordioso,
Re del Giorno del Giudizio.
Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto.
Guidaci sulla retta via,
la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira, né di coloro che vagano nell’errore.
La Sunna testimonia che la conclusione della recitazione è sancita dalla pronuncia della formula āmīn (“così sia”): “L’Imām Aḥmad, Abū Dāwud e al-Tirmidhī tramandano che Wā’il ibn Ḥijr sentì l’Inviato di Dio recitare ghayri l-maghḍūbi ‘alayhim wa-la l-ḍāllīn (“…ben diversi da quanti incorrono nell’ira, come da quelli che vagano smarriti”), dopo di che disse āmīn, prolungandone la pronuncia; oppure, secondo Abū Dāwud, lo disse a voce alta. al-Tirmidhī lo considera un ḥadīth attendibile, e viene riportato anche da ‘Alī, da Ibn Mas‘ūd […]”128. La sollecitudine rispetto alla ripetizione di questa formula da parte dei fedeli è altresì certificata da numerosi testimoni: “È riportato infatti nei due Ṣaḥīḥ da Abū Hurayra che l’Inviato di Dio disse: “Quando l’Imam dice āmīn, anche voi ditelo, e a colui che pronuncia āmīn in armonia con l’analoga pronuncia degli angeli vengono perdonati i peccati che ha compiuto sino a quel momento”. Muslim dal canto suo tramanda queste parole dell’Inviato di Dio, su di lui la preghiera e la pace divine: “Quando uno di voi durante la preghiera dice āmīn, e gli angeli nel cielo anch’essi dicono āmīn, e questi āmīn si armonizzano l’uno con l’altro, a costui vengono perdonati i peccati che ha compiuto sino a quel momento”. Si dice che l’“armonia” nella pronuncia di āmīn tra i fedeli e gli angeli sia da intendere nel senso della “sincronia”: secondo altri, ci si riferisce all’armonia nella risposta [divina all’invocazione], o ancora ad un’identica purezza di fede”129.
Le virtù molteplici di questa sūra e dei versetti che la compongono sono stati oggetto di una produzione esegetica notevole. In Italia, esistono due testi di riferimento fondamentali. Il primo, più agile, realizzato da Alberto Ventura: al-Fātiḥa. La prima sura del Corano (Marietti, Genova, 1991); il secondo, di Lodovico Zamboni, è parte integrante di un progetto generale di resa in lingua italiana di alcuni dei principali commentari coranici (Il Corano nella sapienza islamica. Il testo sacro dell’Islam secondo i commenti tradizionali. La Sura Aprente, Edizioni Orientamento, Reggio Emilia, 2008).
Quest’ultimo, in particolare, rappresenta un compendio prezioso di alcuni dei contributi decisivi alla comprensione e all’approfondimento dei contenuti stratificati di questo brano della Rivelazione che Ventura ha definito giustamente “breviarum totius Alcorani”, nel senso che essa è realmente un’epitome della spiritualità islamica così come questa ci appare nel Libro sacro rivelato a Muḥammad”130.
Come riporta Lodovico Zamboni, il suo ruolo di apertura e la sua posizione nel testo coranico fanno sì che essa assuma altresì la denominazione di “Madre del Libro” (Umm al-kitāb), sebbene al-Ḥasan e Ibn Sīrīn non siano d’accordo su questa denominazione, asserendo che la “Madre del Libro” sia la “Tavola ben custodita” (al-lawḥ al-maḥfūẓ)131.
E tuttavia si tramanda che Abū Hurayra (in un ḥadīth confermato come “sicuro” da al-Tirmidhī) abbia riportato che l’Inviato di Dio disse: “[La Sura che inizia con le parole] “La lode spetta a Dio, Signore dei mondi” è la madre del Corano (umm al-qur’ān) ed è la madre del Libro (ummu al-kitāb). Sono i “sette raddoppiati” (as-sab‘ al-mathānī) ed è il magnifico Corano (al-qur’ān al-‘aẓīm).132
Il riferimento ai “sette raddoppiati” (as-sab‘ al-mathānī) dimostra la ripetizione obbligatoria della sūra in ogni rak‘a (sequenza completa) della preghiera rituale compiuta dal musulmano, considerato il fatto che l’unità minima della preghiera è di due rak‘a. La tradizione profetica testimonia di una ripartizione esatta di questi versetti, con i primi quattro che appartengono alla glorificazione di Allāh e gli ultimi tre che s’indirizzano alla richiesta implorante della creatura:
Ha detto Iddio: “Ho diviso la preghiera in due metà fra Me e il Mio servo; ed egli avrà ciò di cui ha fatto richiesta”. Quando il servo dice “Lode a Dio, Signore dei mondi”, Dio dice “il Mio servo Mi ha lodato”. Quando dice: “Il Misericordioso, il Compassionevole”, Egli dice: “Il Mio servo Mi ha magnificato”. Quando dice: “Padrone del giorno del giudizio”, Egli dice: “Il Mio servo Mi ha glorificato”, ed aggiunge: “Questo è per Me, il resto è per lui”.133
La ripartizione tra il servo e il Signore è un segno della Misericordia divina che crea e attribuisce al Suo servo i mezzi con i quali rivolgersi a Lui e trovare conforto e scampo per questo stesso motivo. Esistono molti aḥadīth che segnalano come la recitazione della Fātiḥa abbia guarito, debellato e vinto molti mali134, dato il carattere potentemente sintetico dei suoi versetti rispetto all’intera Rivelazione135.
124 Corano, XLVIII, Al-Fatĥ, 1
125 Corano, CX, An-Naşr, 1-3.
126 “Sono molti a ritenere la basmala un versetto a sé in tutte le Sure, ad eccezione dell’unica che essa non introduce: la Sura del Pentimento. Tra questi Ibn ‘Abbās, Ibn al-Zubayr, Abū Hurayra e ‘Alī, e ancora, tra coloro che succedettero alla prima generazione, ‘Aṭā’, Tāwus, Sa‘īd ibn Jubayr, Makhūl, Az-Zuhrī. Tale è anche l’opinione di ‘Abd Allāh ibn al-Mubārak, di al-Shafi’ī e di Aḥmad ibn Ḥanbal”, L. Zamboni, La Sura Aprente, p. 36.
127 Ivi, p. 13.
128 Ivi, p. 127.
129 Ivi, p. 128.
130 A. Ventura, al-Fātiḥa, p. 33.
131 “Questo è invece un Corano glorioso, su una Tavola ben custodita” (Corano, LXXXV, al-Burūj, 21-22).
132 L. Zamboni, La Sura Aprente, p. 9.
133 Ḥadīth riferito da Abū Hurayra e trasmesso da Muslim; “È dunque in questo perfetto equilibrio fra la lode (ḥamd) e la preghiera (du’ā’). In questa saldatura fra il ringraziamento e la domanda che risiede il primo, grande segreto della Fātiḥa”, A. Ventura, al-Fātiḥa, p. 44.
134 Cfr. L. Zamboni, La Sura Aprente, pp. 22-23.
135 “Al Shawkani riporta da Abū Dardā queste parole del Profeta (su di lui la preghiera e la pace divine): “L’Aprente il Libro vale come nessun’altra parte del Corano. Se sul piatto di una bilancia si mettesse l’Aprente il Libro, e sull’altro piatto si mettesse il Corano, l’Aprente prevarrebbe sul Corano sette volte”, ivi, p. 22.