Iḥsān

(Virtù perfetta)

Quando, come si è visto (infra Premessa), il Profeta Muḥammad viene interrogato dall’Arcangelo Gabriele, al momento di rispondere alla domanda sul grado della più inarrivabile eccellenza (iḥsān), Muḥammad risponde: “È che tu adori Iddio come se Lo vedessi, poiché, anche tu non sei nella condizione di poterLo vedere, in verità Lui ti vede”. In questo esempio, di cui è protagonista l’Arcangelo Gabriele – scelto da Dio per veicolare l’Annunciazione alla Vergine Maria della discesa del Verbo in lei, e per imporre a Muḥammad la responsabilità della Rivelazione –, abbiamo il risultato dell’estrema provvidenza possibile in questo mondo, secondo una prospettiva islamica; una provvidenza, un’eccellenza spirituale (iḥsān) donata agli awliyā’ (gli “amici intimi di Dio” ovvero i santi), “in questo mondo prima che nell’altro”, come attesta una formula dello Shaykh Abū l-Ḥasan al-Shādhilī.

La certezza di essere costantemente alla presenza dell’Altissimo è uno degli effetti del timore (taqwā), ma anche dell’esercizio costante della murāqaba, ovvero della consapevolezza di essere osservati da Dio in ogni momento della propria esistenza181, alla quale si accompagna la mushāhada, la contemplazione ininterrotta dell’Altissimo.

Questa attenzione fu raccomandata dal Profeta Muḥammad quando, rivolgendosi ad Ibn ‘Abbās, ha detto: “Ragazzo, t’insegnerò delle parole [importanti]: serba Allāh, e Lui ti serberà. Serba Allāh, e Lo troverai di fronte a te”. Lo riporta Tirmidhī182.

Serbare Allāh evoca la necessità di rispettare la custodia cui si venga sollecitati. L’idea della custodia richiama una radice trilittera, ḥ-f-ẓ, cui è ascrivibile il termine āfiẓ, assegnato a colui che conosca l’intero Corano a memoria. Ma ḥāfiẓ è anche uno dei novantanove bellissimi nomi di Dio e indica la qualità divina della custodia del creato e delle creature. Dunque, chi custodisce il Corano ne è in qualche modo custodito e, ritornando al racconto di Ibn ‘Abbās, chi custodisce Allāh ne è custodito.

Come sia possibile custodire Allāh lo chiarisce un ḥadīth qudsī che abbiamo già avuto modo di citare, in cui si afferma che il cuore del servo può contenere ciò che i cieli e la terra non riescono a contenere. Un cuore che sia purificato e sollevato dal velo di questo mondo perché:

[…] quando le luci della Fede, le luci della Conoscenza, le luci dell’Unificazione (tawḥīd) vengono sopraffatte dalle tenebre della disattenzione (ghafla), dalle nuvole della dimenticanza (nisyān), dai veli della disobbedienza (‘isyān), il petto si riempie della polvere delle passioni, della nebbia delle infermità dell’anima e della delusione nei confronti della misericordia di Dio.183

È questa polvere della dimenticanza che rende la vita tormentata e penosa almeno quanto la luce della Conoscenza e dell’Unificazione la rendono degna di essere vissuta.

Secondo un racconto che si riferisce a Bāyazīd Bisṭāmī184, fu chiesto all’anziano Maestro quanti anni avesse ed egli replicò “quattro. A chi gli domandava conto di una risposta così bizzarra, egli replicava: “Dio mi è stato velato da questo mondo per settanta anni, ma sono riuscito a vederLo negli ultimi quattro; il periodo precedente non può dunque considerarsi come pienamente vissuto”.

In rapporto all’islām e all’īmān, la presenza pacificante garantita dall’iḥsān dona un senso di pienezza e di autentica felicità a chi la sperimenti. Lo Shaykh Sīdī Muḥammad al-Muṣṭafā Baṣṣīr parlava, senza mezzi termini, della grande gioia che si fa strada in chi senta su di sé il favore di Allāh e la Sua Misericordia: “Di’ loro che si compiacciano della grazia di Allāh e della Sua misericordia, che ciò e meglio di quello che accumulano (Corano, X, Yūnus, 58).

181 “Nulla di quel che è sulla terra o nei cieli è nascosto ad Allāh” (Corano, III, Āl ‘Imrān, 5; In verità il tuo Signore è sempre all’erta” (Corano, LXXXIX, al-Fajr, 14); “Non sa che Allāh osserva?” (Corano, XCVI, al-‘Alaq, 14).

182 An-Nawawī, I Giardini dei devoti, p. 57.

183 Al-Ḥākim al-Tirmidhī, Le Profondità del Cuore. Trattato sufi, a cura di Demetrio Giordani, Jouvence, Milano, 2015, p. 161.

184 Sapiente e Maestro persiano vissuto a Basṭām tra l’804 e l’874. Fu tra i primi a formulare l’esperienza del fanā’ fī Allāh (estinzione in Dio) e del baqā’ bi Llāh (sussistenza in Dio).