Kāfir

(Miscredente)

È sicuramente uno dei termini più equivocati. Nella tradizione islamica vi si fa riferimento per indicare, in una prospettiva che è propria all’etimologia esatta di questa parola, gli uomini che rifiutano la fede, quasi a nasconderla e a volerla cancellare con le loro parole e i loro atti. Infedele è il termine che notoriamente viene usato dalla cultura occidentale per indicare il musulmano, detto anche saraceno. Esso esprime un concetto vincolato a tutti i pregiudizi esistenti da tempi remoti. l’Islām era visto come un’“eresia che da sempre ha minacciato la fede cattolica. Anche perché fin dalla nascita dell’Islām nel VII secolo, e nei secoli successivi, la teologia cristiana ne fu a lungo l’unico interlocutore naturale, e l’approccio polemico che ne elaborò, fra i primi, il teologo Giovanni Damasceno ha lasciato un’impronta indelebile. Nel divampare della polemica iconoclasta e del dibattito sulle eresie, nacque un pregiudizio anti-islamico che, nel migliore dei casi, approdava ad una definizione dell’Islām come religione naturale, una visione ostile che negava totalmente la sua origine divina.

S’aggiunga poi che sul Profeta Muḥammad fiorirono già nell’alto Medioevo leggende e favole che resero la sua vita, stando a quello che racconta Guiberto di Nogent (1052-1124), dominio della plebe e materia di popolare racconto. Il Profeta fu talora rappresentato come monaco ipocrita che avrebbe voluto diventare patriarca di Gerusalemme (Ildeberto arcivescovo di Tours) e talaltra mago pseudo-profeta e capo di ladroni (da Guiberto a Jacopo da Varagine). Ricoldo da Montecroce (m. 1320) considerava come ispiratore di Muḥammad nientemeno che il diavolo, che gli avrebbe dato alcuni compagni eretici. Di conseguenza, la tradizione orale, la voce pubblica, fissandosi nella scrittura, ha rispecchiato una volontà ben precisa: dimostrare che Muḥammad o fu cristiano o un mago ingannatore ammaestrato da un cristiano eretico, e che l’Islām è propaggine eretica del Cristianesimo234.

Per l’Islām esistono i negatori (kuffār, pl. di kāfir), coloro che negano la fede (qualsiasi fede) in Dio, e gli idolatri (mushrikūn, pl. di mushrik), cioè coloro che associano a Dio idoli o esseri creati, che non corrispondono al concetto di infedele ben radicato nell’immaginario occidentale.

L’Islām, oltre a riconoscere e rispettare la Gente del Libro, ebrei e cristiani, fa del credere nelle precedenti religioni la condizione essenziale della compiuta fede del vero musulmano: “Ma quelli che credono, siano essi ebrei, cristiani o sabei, quelli che credono cioè in Dio e nell’Ultimo Giorno e operano il bene, avranno la loro mercede presso il Signore, e nulla avranno da temere né li coglierà tristezza” (Corano II, al-Baqara, 62).

La definizione di kāfir non viene usata per designare le Genti del Libro, ma semmai coloro che tra di essi non sono fedeli al messaggio ricevuto: “Coloro che tra le Genti del libro rifiutano la fede e coloro che associano a Dio non potranno separarsi dalla miscredenza finché non sia giunta loro una chiara prova” (Corano XCVIII, al-Bayyna, 1).

È chiaro che nel momento in cui la Misericordia di Dio si manifesta nel mondo con la Rivelazione, essa appunto si vela attraverso nuove forme che La rendano accessibile agli uomini. Poiché la miscredenza (kufr) costituisce uno stato di vera e propria obnubilazione della Verità divina, essa tuttavia rientra nelle possibilità infinite della manifestazione. In ogni caso, anche tale evenienza è sottoposta inderogabilmente alla volontà di Dio:

Ecco i segni del Libro chiaro. Forse tu ti tormenti perché essi non divengono credenti, ma se volessimo faremmo scendere su di loro un Segno dal Cielo, un Segno davanti al quale si abbasserebbero umili i loro capi. Invece non giunge loro alcun ammonimento nuovo dal Misericordioso, senza che essi se ne ritraggano. Lo tacciano di menzogna ma presto saranno informati di quello che prendevano a scherno. Non guardano essi alla terra e a quante piante ne facciamo crescere da ogni nobile specie e certo in questo c’è un Segno, ma la maggior parte di loro non ha creduto. In verità il tuo Signore è il Potente il Clemente (Corano, XXVI, al-Shu‘arā, 2-9).

E ancora si ribadisce:

E se il tuo Signore avesse voluto, avrebbe fatto credenti tutti quanti sono sulla terra. Ma potresti tu costringere gli uomini ad essere credenti a loro dispetto? – No, nessun’anima può credere se non col permesso di Dio (Corano, X, Yūnus, 99-100).

D’altronde, nella sūra intitolata coloro che non credono, al-Kāfirūn, viene esplicitamente rivolto ai musulmani l’invito non a un coercitivo proselitismo (“non c’è costrizione nella religione”, Corano, II, al-Baqara, 256), ma ad una ferma e pacifica distinzione da coloro che non hanno saputo riconoscere la verità salvifica della rivelazione divina:

Di’: o voi che non credete, non adoro ciò che voi adorate, né voi adorate quello che io adoro, né io adoro quello che voi avete adorato, né voi adorate quello che io adoro, a voi la vostra religione a me la mia (Corano, CIX, al-Kāfirūn).

In quest’ottica, proprio la Rivelazione si propone all’umanità come possibilità di distinguere coloro che sanno riconoscere la presenza di Dio nel mondo dagli increduli.

Il Corano, la Parola di Dio incorrotta e incorruttibile secondo i musulmani, ha infatti molti nomi con i quali può essere identificato e riconosciuto, nella tradizione islamica. Uno dei più significativi è senz’altro al-Furqān, cioè il discrimine. La Parola di Dio, nella rivelazione coranica (tanzīl al-Qur’ān), è discesa come affilata possibilità di discernimento, offerta dalla Misericordia divina all’umanità.

L’uomo si comporta da ingiusto quando ignora, quando elude il proprio compito di custode vigile e intelligente della creazione. La negligenza della propria vocazione di servo fedele al Signore in ogni momento e in ogni stato (fī kulli aḥwāl), e quindi l’oblio della riconoscenza costante nei Suoi confronti e del riconoscimento, colmo di gratitudine, della Sua Presenza produce l’ingiustizia e lascia proliferare il male sulla terra.

Ancora prima della punizione di Dio, la ribellione e la noncuranza dei precetti divini rappresentano un castigo e una degradazione a cui l’uomo può pervenire qualora si lasci fuorviare dal mondo:

Poiché in verità, quanto a coloro che non credono, è per loro indifferente che tu li ammonisca o non li ammonisca: mai crederanno. Iddio ha suggellato loro il cuore e l’udito: e la vista loro è velata, e avranno castigo tremendo (Corano, II, al-Baqara, 6-7).

Ciò implica una riflessione sulla libertà umana e sul concetto di libero arbitrio. L’uomo non è libero di allontanarsi impunemente da questa consapevolezza, perché il risultato sarà appunto il progressivo oblio dei suoi doveri di servo fedele e con questo la perdita della sua dignità e della sua stessa ragion d’esistere. Malgrado Dio sia Colui che perdona tutti i peccati (al-Ghaffār) e li cancella (al-‘Afuww) e si volge continuamente verso le proprie creature per perdonarle (al-Tawwāb) non esiste una possibilità di riscatto e di perdono per l’individuo che abbia trasgredito il primo pilastro della Tradizione perenne (dīn al-qayym): non c’è altro dio all’infuori di Dio (Lā ilāha illā Allāh). Questa trasgressione si riferisce appunto a coloro che associano altre divinità fittizie a Dio, ossia i mushrikūn (politeisti). Essa pone l’uomo fuori dalla sua condizione naturale, disumanizzandolo e conducendolo inesorabilmente verso una sfera infera e infernale di ribellione e dolore:

No! Dio non perdona che Gli si associ alcunché. Oltre a ciò Egli tutto perdona. Ma chi attribuisce consimili a Dio, erra lontano nella perdizione (Corano, IV, al-Nisā’, 116).

La miscredenza non è quindi una colpa, se essa procede dalla mancanza di consapevolezza e di conoscenza autentica della rivelazione divina. Può diventare invece un peccato grave nel caso in cui questa ignoranza conduca a un’interpretazione deformante del mistero dell’Unità di Dio. Non è un caso, come si è visto, che l’anticristo venga chiamato in arabo dajjāl (l’impostore), e a suggellare questa rappresentazione del male che pericolosamente divulgherà tra gli uomini disorientati, increduli e ignoranti degli ultimi tempi, una letale sedizione, sta appunto quest’ultimo ḥadīth circa la natura ripugnante del dajjāl:

Si tramanda da Anas che l’Inviato di Allāh disse: “Non v’è stato nessun Profeta che non abbia messo in guardia la propria comunità contro il guercio mentitore. E non è forse vero che egli è guercio, mentre il vostro Signore, Potente e Glorioso, non è affatto guercio? E avrà scritto tra gli occhi k, f, r. È un ḥadīth sul quale v’è pieno accordo.235

Il marchio di riconoscimento dell’anticristo è dunque, secondo la parola profetica, proprio la radice trilittera k-f-r, che designa la miscredenza, intesa come notte oscura che cela la luce della fede. Queste tenebre che inducono gli uomini allo smarrimento e alla perdita del senso autentico della loro esistenza saranno tuttavia squarciate, quando, dopo molti patimenti e molte prove, la ribellione satanica sarà sconfitta dal ritorno del vero Messia, Gesù Cristo.

234 Su tali argomenti cfr. F. Cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Laterza, Bari, 2001.

235 An-Nawawī, I Giardini dei devoti, p. 816.