Masīḥ

(Messia)

E quando gli angeli dissero a Maria: O Maria! In verità Dio ti ha prescelta e ti ha purificata e ti ha eletta su tutte le donne del creato. – O Maria, sii devota al tuo Signore, prostrati e adora con chi adora”! Questa è una delle notizie del mondo invisibile che Noi ti riveliamo […] E quando gli angeli dissero a Maria: O Maria, Iddio t’annunzia la buona novella d’una Parola (kalima) che viene da Lui, e il suo nome sarà il Cristo (al-Masīḥ), Gesù, figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell’altro e uno dei più vicini a Dio. Ed Egli parlerà agli uomini dalla culla come un adulto, e sarà dei Buoni.”. O mio Signore, rispose Maria, come avrò mai un figlio se non m’ha toccata alcun uomo”? Rispose l’angelo: Eppure Iddio crea ciò che Egli vuole: allorché ha decretato una cosa non ha che da dire “Sii!” ed essa è. Ed Egli gli insegnerà il Libro e la Saggezza e la Torah e il Vangelo – e lo manderà come Suo Messaggero ai figli d’Israele (Corano, III, āl ‘Imrān, 42-49).

La chiarezza del brano coranico riportato mette in luce la centralità della presenza di Maria e quindi del Cristo, suo figlio, all’interno dell’ultima rivelazione. Maria è stata prescelta secondo una modalità predestinante che Iddio riserva alle creature d’elezione, destinate a custodire una responsabilità enorme e preziosa quale può essere appunto la Rivelazione divina. Nel caso di Maria e di suo figlio, secondo una prospettiva tradizionale islamica, la Rivelazione non è tanto il Vangelo, ma Gesù stesso: appunto “una Parola (kalima) che viene da Lui”. Così la destinataria della Rivelazione, e per essa prescelta, è Maria, eletta (ṣṭalā), come dopo di lei, il Profeta Muḥammad, capace anch’egli di ricevere la Rivelazione della Parola divina sotto forma di Libro (il Corano) e pertanto chiamato Muṣṭafā (l’Eletto).

La parola Masīḥ viene dalla radice m-s-ḥ che afferisce alla sfera semantica destinata a definire il Cristo, ovvero colui che è unto dall’olio divino, dal succo dell’Albero della Vita, un albero né orientale né occidentale come si dice nel Corano (XXIV, al-Nūr, 35).

Secondo la tradizione islamica, Gesù tornerà sulla terra alla fine dei tempi, prima del Giudizio universale: “Egli è conoscenza dell’Ora: pertanto non dubitate ch’essa venga” (Corano, XLIII, al-Zukhruf, 61). Il ruolo di Gesù alla fine dei tempi non sarà quello di Sigillo della Profezia (khātam al-anbiyā’), poiché essa è stata già conclusa con la Rivelazione coranica fatta discendere su Muḥammad, ma egli sarà il Sigillo della Santità (khatm al-wilāya) e giudicherà con giustizia. Se il Corano allude solamente al suo ruolo escatologico, il commentario offerto dagli aḥadīth è molto più articolato ed esplicito270.

Sulla questione del Sigillo della Santità (khātm al-wilāya), ha scritto, in riferimento alla funzione dello Shaykh ‘Akbar, Ibn ‘Arabī, un libro notevole (e molto dibattuto) Michel Chodkiewicz: Le Sceau des Saints. Prophétie et Sainteté dans la doctrine d’Ibn Arabi (Gallimard, Paris, 1986), in cui si attribuisce il Sigillo della Santità muḥammadiana al Maestro Andaluso: “Si important qu’ait été, en un certain lieu, le rôle des personnages – Muḥammad Wafā, Qushāshī, Aḥmad Tijānī… – qui paraissent s’identifier – ou que leurs disciples ont identifiés – au Sceau de la sainteté muhammadienne, il n’est en rien comparable à celui qu’Ibn Arabī a joué et joue encore, de façon discrète mais reconnaissable, dans l’histoire collective du soufisme et sourtout dans l’histoire personelle de bien des soufis”271.

L’idea di una Santità muḥammadiana si coniuga con il dato tradizionale, sottolineato nel suo insegnamento dallo Shaykh Sīdī Muḥammad al-Muṣṭafā Baṣṣīr, di una eredità profetica (wirātha), che la Santità sapienziale riepiloga secondo sfumature diversamente effuse che rispondono al carisma dei differenti Inviati. Esistono così santi musāwī (in riferimento a Mosè) o ‘isāwī (in riferimento al Cristo). Tutti costoro hanno comunque ricevuto la legittimità spirituale che li contraddistingue attraverso la mediazione del Profeta Muḥammad:

La distinzione fra i santi che sono eredi di Muḥammad e quelli che attraverso di lui sono eredi di altri profeti è molto importante dal punto di vista che qui ci interessa, perché a queste due diverse categorie corrispondono, secondo Ibn ‘Arabī, due distinte funzioni: quella del “Sigillo dalla santità generale” (khātam al-walāyat al-‘āmma) e quella del “Sigillo della santità particolare muhammadiana” (khātam al-walāyat al-khāṣṣat al muḥammadiyya). Secondo i dati raccolti da Chodkiewicz, desunti dagli scritti di Ibn ‘Arabii e dai suoi commentatori più antichi, il primo Sigillo sarebbe da identificare nella persona di Gesù, mentre il sigillo muhammadiano sarebbe lo stesso Ibn ‘Arabī.272.

Ventura discute gli aspetti più intransigentemente dogmatici di questo assioma, rilevando i limiti dell’esclusivismo di una prospettiva di per se stessa relativa: “È impossibile limitare nel tempo la pienezza della realizzazione spirituale, che per definizione è eterna e senza la quale l’intera manifestazione cesserebbe per ciò stesso di esistere; il tempo come qualsiasi altra condizione dell’esistenza, non potrebbe in alcun modo toccare qualcosa che è essenzialmente al di là di esso”273 e riconducendone le aporie al Centro capace di risolverle: “Solo riferendoci ai principi metafisici potremo risolvere tutte le apparenti contraddizioni, perché al di là dei punti di vista parziali esiste sempre una prospettiva assoluta e integrale, un “punto di vista divino (mawḍi‘ naẓar al-Ḥaqq) che coglie la realtà in ogni sua sfaccettatura, proprio come lo sguardo di chi si trovi sulla vetta di una montagna percepisce il panorama sottostante senza zone d’ombra o angoli ciechi”274.

270 An-Nawawī, I Giardini dei devoti, pp. 807-814.

271 Michel Chodkiewicz, Le Sceau des Saints. Prophétie et Sainteté dans la doctrine d’Ibn Arabi, Gallimard, Paris, 1986, p. 179.

272 A. Ventura, Sapienza sufi, p. 180.

273 Ivi, p. 181.

274 Ivi, p. 179.