Ahl al-Kitāb

(Gente del Libro)

Gente del Libro è un’espressione coranica che rappresenta coloro che hanno ricevuto il Messaggio di Dio prima dell’ultima Rivelazione affidata a Muḥammad perché la Profezia fosse completata e conclusa:

Iddio, non c’è dio all’infuori di Lui, il Vivente, l’Assoluto. Ha fatto scendere su di te il Libro con la verità, a conferma di ciò che era prima di esso. E fece scendere la Torāh e il Vangelo, in precedenza come guida per le genti. (Corano, III, al-‘Imrān, 2-4).

Per quanto riguarda i rapporti con gli Ahl al-Kitāb, ossia cristiani ed ebrei, il musulmano, malgrado il perdurare di un triste pregiudizio, non ha l’obbligo di convertirli ma di incitarli, attraverso il vivificante esempio dell’ultima Rivelazione, a far ritorno alla pura adorazione dell’Unico Dio, secondo quanto è prescritto dal Corano:

Di’: “O gente della Scrittura, addivenite a una dichiarazione comune tra noi e voi: e cioè che non adoreremo altri che Dio, senza nulla associarGli, e che non prenderemo nessuno di noi come signori all’infuori di Dio”. Se poi volgono le spalle allora dite: “Testimoniate che noi siamo sottomessi a Dio” (Corano, III, al-Imrān, 64).

Tuttavia questa esortazione deve essere indirizzata solo a coloro che hanno misconosciuto progressivamente l’unicità di Dio e l’interezza salvifica della Rivelazione:

Ma essi ruppero l’alleanza e Noi li maledicemmo e indurimmo i loro cuori: stravolgono il senso delle parole e dimenticano gran parte di quello che è stato loro rivelato. Non cesserai di scoprire trasgressioni da parte loro, eccetto alcuni. Sii indulgente con loro e dimentica. Iddio ama i magnanimi (Corano, V, al-Mā’ida, 13).

Si tratta quindi di fare in modo che si attui un riconoscimento della comune sottomissione a Dio18, non di convertire gli altri, giacché l’ortodossia e l’ortoprassi all’interno di una religione rivelata garantiscono, se Iddio vuole, il perseguimento e l’accesso alla Verità divina che si copre di nuovi veli nell’offrirsi agli uomini perché il Volto di Dio, nella sua immensa luminosità e grandezza, non può essere contemplato durante l’esistenza terrena19.

Per questo niente è più lontano da un’autentica devozione religiosa del proselitismo, poiché, sempre riferendosi alla Rivelazione Coranica:

Non vi è costrizione nella religione (La ikrāha fī l-dīn). La retta via ben si distingue dall’errore. Chi dunque rifiuta l’idolatria e crede in Iddio, si aggrappa all’impugnatura più salda senza rischio di cedimenti. Iddio è Colui che ascolta e che tutto sa. (Corano, II, al-Baqara, 256).

Capita purtroppo spesso di assistere alle pretese di chi riconosce l’ortodossia delle rivelazioni del monoteismo abramico non nella comune fonte che le ha ispirate, e cioè nel Dio Unico che si è appunto rivelato, ma in saltuarie risonanze, magari nel riconoscimento solo di quelle cosiddette pagliuzze della verità che una visione esclusivista riesce a malapena ad ammettere nelle altre religioni monoteiste.

Qualora invece si ricorra ad una lettura obiettiva del Corano si potranno rintracciare nel comune riconoscimento del Dio Unico, il quale si è provvidenzialmente manifestato in tempi diversi, le ragioni della comune genealogia di ebrei, cristiani e musulmani:

Di’: “Crediamo in Dio e in quel ch’è stato rivelato a noi e in quel ch’è stato rivelato ad Abramo e a Ismaele e a Isacco e a Giacobbe e alla Tribù, e in ciò che fu dato a Mosè, e a Gesù e ai Profeti dal loro Signore senza far distinzione alcuna tra loro, e a Lui noi tutti ci sottomettiamo” (Corano, III al-Imrān, 84);

Questo ovviamente non deve condurre a mistificazioni riguardo al fatto che l’ultima Rivelazione si collochi a compimento di un percorso unitario in cui le precedenti leggi sono nella sostanza portatrici del medesimo messaggio, che la Risāla del Profeta Muḥammad realizza perfettamente. Da questo punto di vista, si pone la delicatissima questione della portata salvifica dei Messaggi che precedano quello Coranico, soprattutto una volta che quest’ultimo si sia manifestato storicamente (cfr. infra, al-dīn al-qayyim).

Sul piano della cronaca più recente, non si può fare a meno di ricordare la Lettera Aperta delle Guide Religiose Musulmane intitolata significativamente a un magnifico versetto coranico20 e indirizzata il 13 ottobre 2007 alle massime autorità cristiane e la dichiarazione di Marrakech del 27 gennaio del 2016 (ratificata da quella di al-Azhar del marzo 2017) che, sotto gli auspici di Sua Maestà, il re Mohammed VI del Marocco e organizzato congiuntamente dal Ministero della Endowment e degli Affari Islamici nel Regno del Marocco e dal Forum per la Promozione della Pace nelle Società Musulmane con sede negli Emirati Arabi Uniti, ha visto riuniti sapienti e Istituzioni del mondo musulmano di numerosi paesi. In questo atto notevole, facendo riferimento alla Carta di Medina e al Patto di ‘Umar (con il quale, nel 637, il secondo califfo garantì libertà di culto dopo la conquista di Gerusalemme), è stata espressa in modo inequivocabile e con piena adesione all’ortodossia dell’Islām una condanna netta nei confronti di tutte le violenze perpetrate ai danni delle minoranze religiose nel dār al-Islām e la necessità di ribadire lo statuto di rispetto dei diritti di culto che l’Islām ha sempre ribadito.

La Carta di Medina cui in queste dichiarazioni ci si richiama è un atto immediatamente successivo all’Egira del 622 del quale esistono un gran numero di versioni (la più importante delle quali riportata nelle pagine della prima biografia del Profeta, redatta da Ibn Iṣḥāq, però anche nell’opera di Ibn Sayyid al-Nās (1273-1334) e nel Kitāb al-Amwāl di Abū ‘Ubayd) che dimostrano la sostanziale autenticità del testo. Nella Carta di Medina, alle minoranze religiose vengono accordati pari diritti politici e culturali di quelli esercitati dai musulmani, viene garantita loro protezione e la religione assume un ruolo di garanzia e di affermazione di civiltà a svantaggio delle pregresse logiche tribali.

Si tratta, dunque, di un testo che, secondo gli estensori della Dichiarazione di Marrakech, non solo fornisce un quadro adeguato per le costituzioni nazionali nei paesi a maggioranza musulmana, ma che dimostra altresì che i relativi documenti delle Nazioni Unite, come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, siano in armonia con la Carta di Medina, incluse le considerazioni relative all’ordine pubblico.

Carta di Medina

alcuni punti fondamentali

La Pace e la sicurezza delle Comunità.

– La Libertà religiosa per tutte le Comunità.

– L’accettazione di Medina come un luogo sacro (interdizione di ogni violenza e porto di armi per il combattimento).

– La Sicurezza delle donne.

– Nessun credente monoteista deve uccidere un altro credente, o sostenere un non credente (kāfir) contro un credente (mu’min).

– La protezione di Dio è su tutti i credenti monoteisti, indipendentemente della loro classe o della loro origine tribale.

– I credenti monoteisti devono aiutarsi.

– Gli Ebrei (Yahūd) sono una comunità con i credenti.

– Gli Ebrei possono continuare a professare la loro religione e la libertà di praticare la loro religione è garantita.

N.B. Il testo conosciuto sotto il nome di Costituzione di Medina”, chiamato anche Carta di Medina, è tratto dal Libro di Ibn Iṣḥāq, nel quale figura sotto il titolo: “Il patto tra gli Emigrati [di Mecca] e gli Ausiliari di Medina (Anṣār), e le riconciliazioni con gli Ebrei”.

 

Il PATTO DI UMAR (al-‘Uhda al-‘Umariyya).

Egli si presentò come segue:

– Dal servitore di Allāh (‘Abd Allāh) Comandante dei credenti (Amīr al-mu’minīn) – ‘Umar.

– Gli abitanti di Gerusalemme sono tutelati sulla sicurezza della loro vita e dei loro beni.

– Le loro Chiese e croci saranno preservate.

– I loro luoghi di culto resteranno intatti.

– Essi non potranno essere confiscati o distrutti.

– Questo trattato si applica a tutti gli abitanti della città.

– Le persone saranno completamente libere di seguire la loro religione, ed essi non dovranno subire nessun disagio o disturbo”.

N.B. Questo “Patto di ‘Umar” è ancora conservato in originale alla chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

18 Inna al-dīna ‘inda Llāhi l-Islām (In verità, la religione presso Dio è l’Islām) (Corano, III, al-‘Imrān, 19). Michel Vâlsan ha individuato in questo versetto il riferimento alla sostanza profonda di ciò che è sotteso a tutte le Rivelazioni tradizionali: “L’Islam così enunciato designa, in verità, non la legge di una forma tradizionale particolare, ma la legge fondamentale e imprescindibile di tutto il ciclo tradizionale”, M. Vâlsan, Sufismo ed esicasmo, Edizioni Mediterranee, Roma, 2000, p. 78.

19 Basti pensare a tal riguardo ad alcuni importanti episodi descritti nella Torāh. Per esempio quando Giacobbe termina il combattimento che gli garantirà la benedizione divina, afferma: “ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva” (Gn, XXXII, 31); ma ancora più significativo è il caso di Mosè, apostrofato dal Signore: “Ma tu non potrai vedere il Mio Volto, perché nessun uomo può vederMi e restare vivo” (Es, XXXIII, 20 ).

20 “Di’: O Gente del Libro! Venite a una parola comune tra noi e voi: che non adoriamo altri che Dio, e non associamo a Lui cosa alcuna, e che nessuno di noi scelga altri signori accanto a Dio. E se essi non accettano dite loro: Testimoniate che siamo coloro che si sono dati completamente a Lui” (Corano, III, ĀlImrān, 64).