(Presenza divina pacificante)
È Lui che fa scendere la Presenza della Sua Pace nei cuori di coloro che credono (Corano, XLVIII, al-Fatḥ, 4).
La sakīna è la presenza pacificante di Dio nei cuori degli uomini, disposti ad accoglierla.
Poiché soltanto l’allontanamento dell’uomo dalla confusione che il mondo, velando i riflessi del Volto divino, induce nella coscienza individuale, può rendere l’uomo capace di accogliere la Vera Pace.
Questa pace è esattamente ciò che rende possibile il ritorno all’ordine dell’ontologia umana, gerarchizzando lo spirito intellettuale sopra le altre parti dell’anima. Il cuore dell’uomo, ricettacolo della conoscenza e della identificazione divina, si volge verso il suo Signore, e rende possibile che la luce intellettuale divina si allinei al ricettacolo, per cui è detto: “il cuore del credente riposa tra le dita del Misericordioso”. Tuttavia sono solo le dita del Misericordioso che possono operare questo capovolgimento del cuore e riorientare il credente verso la luce della conoscenza.
Per questo nel Corano, facendo riferimento alla diretta esperienza del Profeta, è detto che per renderlo “capace” di ricevere la Rivelazione e quindi la sakīna, Iddio stesso gli aprì il cuore: “Non abbiamo forse allargato il tuo petto e liberatoti dal fardello che sovraccaricava il tuo dorso ed elevato il tuo ricordo?” (Corano XCIV, al-Sharḥ, 1-4).
Il termine sakīna deriva dalla radice s-k-n, che evoca pure l’idea di indigenza e di povertà (si pensi a miskīn, che indica appunto l’individuo privo di ogni sostentamento materiale). Si tratta di una povertà intesa tuttavia come svuotamento consapevole di tutto ciò che legato al mondo, contingente. Intesa come Presenza di Dio nel cuore dei credenti, la sakīna è posta, dunque, al centro dell’essere, rappresentato dal cuore in tutte le principali tradizioni. Essa comporta la Grande Pace ovvero l’annullamento nel Principio Trascendente che informa con il Suo spirito (Rūḥ) tutte le creature. In tal senso si è espresso René Guénon, parlando a sua volta del jihād: “La “grande guerra santa” è la lotta dell’uomo contro i nemici che egli porta in sé, ovverosia contro tutti gli elementi che, in lui, sono contrari all’ordine e all’unità. Né si tratta tali elementi di annientarli, poiché essi pure hanno, come tutto ciò che esiste, la loro ragion d’essere e la loro collocazione nell’insieme; ciò che si tratta invece di fare, come dicevamo poco fa, è di “trasformarli” riconducendoli all’unità, in certo qual modo riassorbendoli in essa […] l’unità nell’intenzione e la costante tendenza verso il centro invariabile e immutabile sono simbolicamente rappresentate dall’orientamento rituale (qibla)… egli (il credente) ha ottenuto la “Grande Pace”, la quale è veramente, come abbiamo detto, la “presenza divina” (al-sakīna)”. Si tratta in fin dei conti di quella stessa Pace di cui ha parlato Gesù, ‘Isa Ibn Maryam come viene chiamato nel Corano il Messia, ai suoi discepoli326.
326 “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv, XIV, 27).