Taṣawwuf

(Esoterismo)

In termini di simbolismo geometrico, è stato detto che la circonferenza, destinata a rappresentare la Sharī‘a, ovvero la legge e i precetti della religione, non esisterebbe senza il centro rappresentato dalla Haqīqa, la realtà principiale che ne è il fondamento metafisico. Il ricollegamento tra la circonferenza, cioè la Sharī‘a – che ha un’importanza ineludibile, stabilita da Dio e non è frutto di un’invenzione umana come ora i sociologi della religione ora gli irriducibili modernisti si ostinano a pensare – e il suo centro, è nell’Islam operato provvidenzialmente dalle ṭuruq (sing. ṭarīqa), letteralmente le Vie, cioè i raggi che conducono direttamente a Dio. Le ṭuruq, nel corso della storia, hanno verificato le possibilità di realizzare la santità nell’Islām attraverso il taṣawwuf, ossia la dimensione esoterica dell’Islām, che in occidente è meglio conosciuto come Sufismo.351 Ma la parola sufismo potrebbe trarre in inganno, e come tutti gli ismi far pensare a una realtà meramente umana, comparsa come alcuni orientalisti sostengono solo tardivamente e per effetto d’influenze (magari di origine cristiana o persiana o induista) esterne alla tradizione islamica. Questo equivoco nasce probabilmente dall’impossibilità per gli uomini moderni di comprendere che le affinità tra le diverse forme religiose, soprattutto per quel che concerne il loro versante esoterico, dipendono non da una spinta emulativa di origine umana, ma dal carattere metafisico e divino di tutte le vere, e quindi ortodosse, religioni, le quali, come attesta un insegnamento tradizionale islamico, sono le perle tenute insieme dal filo della Tradizione assiale (al-dīn al-qayyim). Il taṣawwuf è proprio esclusivamente dell’Islām,352 non è concepibile al di fuori dell’Islām, non è dissociabile dalla forma religiosa islamica. Tutti i Maestri hanno focalizzato l’importanza assoluta e il riferimento esclusivo, nell’ambito delle pratiche del taṣawwuf, del Corano e della Sunna. Lo Shaykh Shādhilī, per esempio, insisteva con i suoi discepoli sulla necessità di propendere sempre per il Corano e la Sunna, nel caso in cui l’ispirazione durante il cammino spirituale fosse in contraddizione con essi. Lo Shaykh Sīdī Muḥammad al-Muṣṭafā Baṣṣīr ha intitolato una sua decisiva lezione: Ṣirāṭ Allāh wāḥida: al-Qur’ān wa l-Sunna (La Via di Allāh è unica: il Corano e la Sunna).

Una dimostrazione ulteriore, in tal senso, è rappresentata dal fatto che il cammino intrapreso all’interno del taṣawwuf da un discepolo sotto la guida di un maestro, si basa, lungo l’eventuale superamento dei vari gradi iniziatici, sulla ripetizione di formule coraniche e sull’esempio di un patto iniziatico, bay‘a, stretto fra il Profeta Muḥammad e i suoi più vicini Compagni. Si racconta, infatti, che durante una sosta a Ḥudaybiya, nel 628 d.C. sesto anno dell’Egira, il Profeta chiamò uno dei suoi Compagni affinché proclamasse a tutti gli altri: “Lo Spirito di Santità è disceso sul Messaggero di Dio e ha comandato fedeltà. Venite quindi nel nome di Dio a stringere il vostro patto”. Da allora il patto si è tramandato dai Compagni (Ṣaḥāba) ai coloro che sono venuti subito dopo (Tābi‘ūn), e ancora a coloro che sono venuti successivamente (Tāb al-Tābi‘ūn) e da maestro a discepolo ininterrottamente fino ai nostri giorni (tutte le ṭuruq discendono dal Profeta Muḥammad per il tramite di ‘Alī, fatta eccezione per la Naqshbandiyya il cui tramite è Abū Bakr).

Il modello di trasmissione degli insegnamenti e della maieutica spirituale è rimasto sostanzialmente immutato nel corso dei secoli. Partendo dal riconoscimento di un’influenza spirituale iniziatica, la baraka (che può anche prendere la forma della custodia di un mantello, khirqa, appartenuto, sul modello di quello del Profeta, al Maestro), essa si articola in tre elementi fondamentali: la dottrina, il metodo e la maestria. La dottrina rappresenta quella componente intellettuale indispensabile per orientare in senso verticale lo sforzo spirituale di ogni discepolo, mentre il metodo per realizzare questo ritorno al Principio è il ricordo di Dio, dhikr, che consiste nella ripetizione continuativa di formule rivelate. L’uomo può così estinguere la propria individualità, fanā’, realizzando quella dimensione spirituale primordiale che era il suo carattere originario (fiṭra), prima della sua caduta. La maestria rappresenta un elemento fondamentale del taṣawwuf, poiché la conduzione del Maestro, shaykh, è indispensabile alla realizzazione della maturità spirituale dei discepoli. È indispensabile, dunque, la presenza di un Maestro, che si ricolleghi, tramite una catena di trasmissione spirituale (silsila) al magistero del Profeta Muḥammad.

Tradizionalmente si distinguono diversi periodi della storia del taṣawwuf. Se esso nasce con l’Islām di cui appunto rappresenta il cuore, rivolto verso l’adorazione di Dio nell’intenzione più sincera e nel rispetto più scrupoloso delle prescrizioni obbligatorie e supererogatorie, ha conosciuto comunque un primo periodo che corrisponde all’apogeo della civilizzazione islamica sotto il califfato omayyade e il califfato abbaside, fino all’inizio del decimo secolo. Questo periodo è caratterizzato da figure di Santi di grande rilievo come Ḥasan al-Baṣrī (m. 728), Ja‘far al-Ṣādiq (m. 765), discendente del Profeta e considerato dagli sciiti come il sesto Imam impeccabile, Dhū l-Nūn al-Miṣrī (m. 860) e Rābi‘a al-‘Adawiyya (m. 801) di cui sono celebri i detti e le sentenze con le quali istruiva gli uomini della sua epoca. Si racconta che un giorno, passeggiando per le strade con un secchio d’acqua volesse spegnere il fuoco dell’inferno e con una torcia bruciare i giardini del paradiso, affinché Iddio potesse essere amato solo per Se Stesso. Il Santo è presente nel cuore della società che vivifica per mezzo della benedizione divina: “Egli è glorificato da uomini che né il commercio, né gli affari possono distogliere dal ricordo di Dio, dall’esecuzione della preghiera, dall’elargizione della carità e che temono il giorno in cui i cuori e gli sguardi saranno sconvolti”353. Questo primo periodo della storia del Sufismo si chiude a Baghdad con due figure che illustrano due differenti approcci al Taṣawwuf. La prima figura è quella di al-Junayd (m. 910). Egli ripeteva, a testimonianza dell’ortodossia perfetta dell’esoterismo islamico, “la conoscenza dei nostri compagni è delimitata dal Corano e dalla Sunna”. L’altra figura è quella di Manṣūr al-Ḥallāj, condannato a morte nel 922 per i suoi proclami estatici che suscitarono scandalo: “Io sono la Realtà suprema (anā l-Ḥaqq)”. Junayd conservava la padronanza dei propri stati spirituali, mentre al-Ḥallāj era dominato da questi.

Il secondo periodo copre all’incirca due secoli: è quello dei grandi manuali sistematici del sufismo, largamente ispirati all’esempio di Junayd e dei primi santi. Questi grandi manuali (tra i quali vanno senz’altro ricordati il Kitāb al-Luma‘ fī l-taṣawwuf di Abū Naṣr al-Sarrāj, il Ta‘arruf li-madhhab ahl al-taṣawwuf di Kalābādhī) e raggiungono la loro apoteosi nella Risāla di al-Qushayrī ma soprattutto nell’opera considerevole di Abū Ḥāmid al-Ghazālī (m. 1111). Grande figura del suo tempo, al Ghazālī, ricordato col titolo onorifico di prova dell’Islam (ḥujjat al-Islām), era uno stimato insegnante dell’Università Niẓāmiyya di Baghdad, quando fu preso dal dubbio di aver imboccato la via dell’autocompiacimento e dell’esasperazione raziocinante. Abbandonò quindi il suo ruolo universitario per unirsi a gruppi di ū e ritrovare così una fede trasformata dall’esperienza effettiva di Dio. Egli poté allora redigere la sua opera più importante, “La rivivificazione delle scienze religiose (Iḥyā’ ‘ulūm al-dīn), destinata a contemplare tutte le conoscenze religiose. A questo punto, con al Ghazālī, la grande epoca classica della civiltà islamica è giunta al suo termine. A occidente le prime conseguenze della Reconquista spagnola si fanno già sentire; a oriente, le orde mongole si avvicinano. Il XIII secolo rappresenta la stagione dell’adattamento a questi nuovi pericoli. L’insegnamento del taṣawwuf, in tutti i suoi aspetti di metodo e di dottrina, sarà raccolto da Muḥyī-d-dīn Ibn ‘Arabī nelle Illuminazioni della Mecca (al-Futūḥāt al-Makkiyya), destinate ad alimentare, fino ai giorni nostri, numerose vie dell’esoterismo islamico ancora operative e fiorenti come, tanto per fare alcuni esempi, la Tijāniyya, scaturita dallo Shaykh Aḥmad al-Tijānī (1737-1815) o la Naqshbandiyya, scaturita da Khwāja Bahā’ al-Dīn Naqshband di Bukhara (1318-1389) e rivivificata in epoca più recente dallo Shaykh Aḥmad Sirhindī (1564–1624) e da Mawlānā Khālid Baghdādī (1779-1827).

Tra di esse, una menzione specifica vogliamo riservarla alla Shādhiliyya, (appoggiandoci in tal senso al mirabile studio ancora inedito di Sīdī Abdelmoghite Baṣṣīr)354, fondata da Abū l-Ḥasan al-Shādhilī (morto nel 1258 / 656 H.) il quale era discepolo di Mulay Abd al-Salām Ibn Mashīsh355, uno dei più grandi Maestri di tutti i tempi. Al-Shādhilī ha adottato una pratica specifica per la sua ṭarīqa, destinata a distinguersi nella moltitudine di ṭuruq e correnti ū attive nel Maghrib e nel Mashriq della sua epoca.

C’è unanime consenso tra gli studiosi nel considerare questa ṭarīqa come debitrice dell’insegnamento dell’Imām al-Ghazālī e dei Maestri che vi hanno attinto, ricavandone equilibrio e moderazione356. La Shādhiliyya è appunto considerata come una fioritura derivata dalla scuola di al-Ghazālī, o come una rivivificazione di essa357.

Certo, la Shādhilīyya possiede alcune specificità nel suo insegnamento358, così come specifici awrād (litanie iniziatiche), suoi propri adhkār (invocazioni) e suoi aḥzāb (orazioni), stabilite dallo stesso al-Shādhilī e seguite scrupolosamente dai suoi seguaci359. Allo stesso tempo, la sua originalità risiede altresì nella cerimonia del patto in cui il discepolo apprende la pratica del dhikr dallo shaykh, che si caratterizza per il modo di sedersi, l’uso di abiti consoni e della sibḥa o tasbī (rosario)360. Tuttavia, non sono esattamente queste le caratteristiche che distinguono questa ṭarīqa da tutte le altre; ciò che fondamentalmente caratterizza la Shādhiliyya361 è stato riferito dallo stesso Shaykh al-Shādhilī in una formula divenuta celebre:

Giuro davanti a Dio che questa ṭarīqa ha un carattere di assoluta originalità e che ciò che vi ho apportato non si deve a nessuno di coloro che mi hanno preceduto.362

Questa affermazione mostra come la Shādhiliyya rappresenti un tentativo, nell’ambito del sufismo, di assumere una precisa funzione rivivificatrice nell’Islām del suo tempo.

351 Da consultare, tra le altre pubblicazioni, per una ricognizione sull’argomento: J. Spencer Trimingham, The Sufi Orders in Islam, Clarendon Press, Oxford 1971; Annemarie Schimmel, Mystical Dimensions of Islam, The University of North Carolina Press, Chapel Hill 1975·M. Lings, Che cos’è il sufismo?, Edizioni Mediterranee, Roma 1978; T. Burckardt, Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam, Edizioni Mediterranee, Roma 1987; S. H. Nasr, Sufismo, Rusconi, Milano 1994; A. Scarabel, Il Sufismo. Storia e dottrina, Carocci, Roma 2007; W. C. Chittick, Il sufismo, Einaudi, Torino, 2009. Senza dimenticare i due recenti titoli di definitiva importanza, già più volte citati, di Alberto Ventura: Sapienza Sufi e L’esoterismo islamico.

352 In quanto espressione autentica e profonda dell’Islām ovvero della sottomissione a Dio, lo Shaykh Sīdī Muḥammad al-Muṣṭafā Baṣṣīr ricordava come il vero Ṣufi fosse “colui che non nutre obiezioni rispetto alla volontà di Allāh, né esteriormente né interiormente, questo Ṣufi ha affidato la sua anima (nafs), il suo denaro, la sua famiglia e la sua vita ad Allāh, con il cuore e con il corpo, perciò il servo e ciò che egli possiede appartengono al suo Signore”.

353 Corano, XXIV, An-Nūr, 37.

354 Sīdī Abdel Moghite Baṣṣīr, Les Zaouïas Darqâwiyyas au Maroc, Zaouïa d’Al-Basîr comme exemple, Thèse de doctorat de: Études Arabes, Civilisations Islamique Et Orientales, sous la direction de M. Pierre Lory. Soutenue le 17 Novembre 2015

355 ʻAbd al-Salām ibn Mashīsh al-ʻAlamī è un santo vissuto durante il periodo della dinastia Almohade. Nacque nella regione dei Beni Aross vicino Tangeri e visse dal 1140 al 1227.

356 Āmir Najjār, al-Turuq al-sufiya fi misr, Dār al-m’ārif, Le Caire, 1983, p. 224., Abdelmajid al-Saghir, Min tarīkh al-taṣawwuf al-maghribī, ishkaliyat islāḥ al-fikr al-ṣūfi fi al-qarnayn 18 wa 19, Dar al-āfāq El-Jadida, 1988, p. 31. L’autore precisa che l’Imām al-Shādhilī ha accordato particolare importanza ai seguenti libri: La rivivificazione delle scienze religiose dell’Imām al-Ghazālī, Al-Mawāqif wa al-mukhatabat dello Shaykh Muḥammad Ibn Abd al-Jabbār Nafrī, Qūt al-qulūb di Abū Ṭālib al-Makkī e al-Shifā’ del Qāḍī ‘Iyād. (Hawat, Al-Rawda, p. 332).

357 Saghir, Min tārīkh al-taṣawwuf al-maghribī, p. 31 sgg.

358 Come ha precisato Shaykh Aḥmad Zarrūq, la Shādhilīyya è basata su cinque principi: la pietà, l’osservanza della Sunna, l’essere soddisfatti di Dio e il confidare in Lui.

359 Al di là delle preghiere e delle invocazioni, lo Shaykh al-Shādhilī ha scritto delle orazioni. Tra le più celebri vanno annoverate: Al-fath, al-bahr, al-ayat, al-birr conosciuta con il nome di Ḥizb al-kabīr o Ḥizb al-Shaykh. I testi di queste orazioni sono riportati nel libro di ‘Abdelhalim Mahmūd, Qadhiat al-taṣawwuf: al-madrasa al-Shādhilīyya, Dār al-ma`ārif, Le Caire, 1988, pp. 121-155.

360 Il rosario (tasbīḥ) è uno strumento di meditazione e di ricordo (dhikr) della presenza divina, sin dagli albori della Comunità. Le testimonianze sono numerose. Una, per esempio, fa riferimento a una donna “la quale aveva in mano dei noccioli o dei sassolini che utilizzava per l’esaltazione di Allāh”, riferito da Sa’d ben Abī Waqqās e trasmesso da At-Tirmidhī, in An-Nawawî, I Giardini dei devoti, p. 645. Lo Shaykh Sīdī Muḥammad al-Muṣṭafā Baṣṣīr raccontava come, nell’ambito della Shādhilīyya, si trasmettesse il fatto che lo Shaykh Aḥmad Zarrūq avesse avuto una visione, in sogno, del Profeta Muḥammad che, tra gli altri insegnamenti affidati ai Compagni (Ṣaḥāba), gli raccomandava: “Se una persona esce di casa con il tasbīḥ e con l’intenzione di dire il dhikr ma poi se ne dimentica, gli angeli lo trascrivono come se lo avesse effettivamente recitato”. E, inoltre, ribadiva Sīdī Muṣṭafā come il Profeta Muḥammad avesse visto molti Compagni usare corde con dei nodi per aiutarsi nella recitazione e non avesse mai censurato questa modalità.

361 Najjār, al-Ṭuruq, pp. 227-248.

362 Muḥammad al-Mahdī al Fāsī, Mumti’ al-asmā’ fi dhikr al-Jazūlī wa tuba’ wa malahumā min atba’, Fās 1313 H., p. 4.