Walāya

(Amicizia divina)

Nella tradizione islamica l’aspirazione alla santità per coloro che, secondo il misterioso disegno di Dio,368 ne siano qualificati si configura come impegno. Un jihād caratterizza lo sforzo del fedele nel percorso di avvicinamento al suo Signore.

Il punto di partenza è dunque, secondo le indicazioni dello stesso Profeta, il superamento dei propri limiti individuali, della superbia scaturita dalla propria attività razionale. La ragione individuale che si riferisce all’anima (nafs) è, infatti, cosa ben diversa dall’intelletto, direttamente ricollegato allo spirito (rū) in virtù del quale l’uomo è fatto, come recita un ḥadīth, secondo la forma di Dio369.

Nella tradizione islamica, l’intelletto e la ragione sono uniti nell’uomo come il segmento verticale e quello orizzontale della croce dell’esistenza: il Santo è colui il quale attraverso la Grazia santificante presente nei riti ritrova il centro, che corrisponde al cuore, per poi risalire gli stati superiori dell’essere fino a liberarsi da ogni stato condizionato. Giunto a questo punto egli è chiamato al-‘ārif bi Llāh, ossia il conoscitore per mezzo di Dio, poiché egli conosce in modo puramente metafisico e incondizionato, attingendo direttamente alla Realtà inesauribile dell’Essenza divina.

Questa Realtà, che è Dio stesso secondo uno dei suoi novantanove più bei nomi, al- Ḥaqq, esprime la santità in altri due nomi. Il primo è al-Quddūs, dalla radice semitica q-d-s da cui deriva anche l’ebraico Qadosh. È giusto ricordare, a tal proposito, che lo stesso nome arabo di Gerusalemme, a testimonianza del ruolo provvidenziale di questa città, è al-Quds. Inoltre, se una parola derivata da questa radice, qiddīs, è utilizzata dagli arabi cristiani per indicare gli uomini pervenuti alla santità, la tradizione islamica, seguendo il testo coranico, si serve di un altro termine, walī, epiteto che evoca le nozioni di amicizia, di prossimità e di protezione. Secondo il Corano infatti: “Dio è l’Amico (al-Walī) di coloro che credono. Egli li fa uscire dalle tenebre verso la luce”370.

Dio, nella sua assoluta trascendenza, nella sua indipendenza dai mondi (Egli è appunto al-Ghanī), ha i suoi amici, awliyā’ (plurale di walī), che si sono rivestiti di questo attributo di prossimità divina e ne sono stati santificati, nella misura in cui la vita spirituale consiste nel rivestirsi degli attributi di Dio (al-takhalluq bi akhlāq Allāh). Nel Corano è detto: “No, in verità, gli amici di Dio non proveranno paura e non saranno rattristati”371. Il termine walī, è al tempo stesso attivo e passivo: come Nome divino è “il Protettore”, e come nome umano è il protetto. La walāya, come ricorda Ibn ‘Ajība, è anche questa ricerca di intimità (uns) con Dio.

L’uomo che si avvii a questo sforzo di approssimazione è stato ben descritto in un ḥadīth qudsī:

Il Mio servo non cessa di avvicinarsi a Me con atti obbligatori, né cesserà il Mio servo di approssimarsi a Me con opere supererogatorie senza che Io lo ami; e quando lo avrò amato sarò l’udito con cui ode, la vista con cui vede, la mano con cui afferra, il piede con cui cammina; e se Mi domanderà gli concederò; e se si rifugerà presso di Me, gli concederò rifugio.

In questa testimonianza divina c’è il senso della santificazione integrale dell’uomo attraverso la Grazia (faḍl) vivificante di Dio, nei confronti della quale i Santi si preoccupano di disporsi con umiltà e trasparenza d’intenzioni.

La consapevolezza cioè di una virtù sacrificale che pertiene ai Santi e che sacrifica, ossia etimologicamente rende sacri, interamente e integralmente, questi uomini è presente nell’Islam non come fatto eterodosso, ma, al contrario, come elemento rilevante considerato in una gerarchia delineata sin dallo stesso Profeta.

368 “Noi eleviamo il rango di colui che noi vogliamo”, Corano, VI, al-An‘am, 83.

369 “Iddio ha creato Adamo nella Sua forma”, trasmesso da al-Bukhārī.

370 Corano, II, al-Baqara, 257.

371 Corano, X, Yūnus, 62.