(Istmo)
L’idea che esista un confine che separa i mondi o che, all’interno della stessa manifestazione una barriera costituisca lo spartiacque necessario alla comprensione dei benefici divini, è ribadita in più occasioni nel Corano:
Egli è Colui che ha fatto confluire le due acque: una dolce e gradevole, l’altra salata e amara, e ha posto tra loro una zona intermedia, una barriera insormontabile.39
Ha lasciato liberi mari affinché si incontrassero [ma] fra loro vi è una barriera che non possono oltrepassare. Quale dunque dei benefici del vostro Signore negherete?40
Così pure l’idea dell’irrinunciabilità dei confini tra mondi assume il senso della responsabilità che pertiene a ciascuno di essi, come pure il dominio cui essi appartengono:
“[…] Che io possa fare il bene che ho omesso”. No! Non è altro che la [vana] parola che [egli] pronuncia e dietro di loro sarà eretta una barriera fino al Giorno della Resurrezione.41
L’irrinunciabilità di questi confini non implica una loro impenetrabilità. Se, come viene ricordato nella Fātiḥa, Dio è Rabbi l-‘ālamīn, “Signore dei Mondi”, e questi mondi rispondono, come si vedrà (infra: Dunyā n. 87), ad una nitida gerarchia, ciò non significa che essi non possano intendersi nel senso di una compresenza perfettamente incomprensibile solo dal punto di vista della prospettiva della manifestazione grossolana e contraddistinta dal tempo cui appartengono coloro che sono ancora prigionieri delle condizioni di questo mondo. L’istmo è il confine che testimonia di questa compresenza, della possibilità dello stare sulla soglia tra mondi, che la morte prima e la sosta nella tomba, in attesa del giorno del giudizio, rendono evidente:
Once the soul completes its trajectory in this life, it moves on to the next place of in-betweenness. Islamic texts commonly call the first posthumous realm the barzakh or “isthmus,” because it is situated between the ocean of this world and the ocean of the next world. For Ibn ‘Arabi, however, every place, time, and world, and indeed everything in existence other than the Real, is an isthmus, because nothing can be discretely itself by itself. Discreteness is definition and limitation, and these depend upon the configuration of surrounding realities.42
La possibilità di un avvicinamento a questo limite è costituita, per coloro che hanno raggiunto la realizzazione spirituale e per coloro che vi aspirano dalla funzione “incantatoria” e salvifica del dhikr:
L’invocazione del Nome divino (dhikr) […] consiste nella recitazione ripetuta di un Nome divino, che il discepolo compie in solitudine o in apposite assemblee collettive. […] Ciò che il più delle volte si perde di vista è che il dhikr non costituisce un fine in se stesso e che una delle sue principali funzioni è quella di agire come un vero e proprio “incantatore” della mente, favorendo in tal modo la concentrazione di quest’ultima in un solo punto. La concentrazione è infatti uno dei mezzi indispensabili ai fini della realizzazione spirituale.43
Negli stati (aḥwāl) che l’invocazione veicola e soprattutto nelle stazioni cui essa dà permanentemente accesso (maqāmāt)44, la barriera (barzakh) viene superata o comunque raggiunta nella misura della portata sinestetica destinata ad esorbitare l’orizzonte del senso e dei sensi del nostro mondo45. La frontiera sintetica e sinestetica di tale invocazione è stato talora riconosciuto nel cosiddetto ‘ālam al-mithāl (mondo delle forme archetipiche) o ‘ālam al-khayāl (mondo dell’immaginazione, o mundus imaginalis secondo la definizione di Henry Corbin nella sua celebre rilettura della dottrina di Suhrawardī)46. È tale la portata sinestetica dell’invocazione che il luogo privilegiato della sua manifestazione, ovvero la preghiera, viene definito in una tradizione profetica autentica qurrata ‘ayunin, cioè “freschezza, refrigerio, degli occhi”, concetto ribadito da un’altra tradizione: “Nella preghiera è stato posto il refrigerio dei miei occhi” (wa ju‘ila qurra ‘aynī fī l-ṣalāt)47.
Cos’è questo refrigerio se non la capacità di vedere con certezza ciò che la distrazione del tempo mondano obnubila?
Il rivaleggiare [per questo mondo] vi distrarrà fino a quando non visiterete le tombe. Invece no, allora saprete, certo che allora saprete, se solo sapeste grazie alla scienza della certezza, allora vedreste l’Inferno, lo vedrete con l’occhio della certezza (‘ayn al-yaqīn)”48.
E in quale dimora questo privilegio, precluso tranne che nel caso dell’élite (khāṣṣa), può manifestarsi se non in quello stato di sospensione del tempo della manifestazione mondana che è il sonno e il sogno?
Si tramanda da Abū Hurayra: “Sentii l’Inviato di Allāh che diceva: “Non rimarranno della profezia se non le portatrici della buona novella”. Gli chiesero: “E cosa sono le portatrici della buona novella?” “Le buone visioni (ar-ru’yā al-ṣāliḥa) [in sogno]”, rispose. Lo riporta Al-Bukhārī”.49
Si tramanda sempre da Abū Hurayra che il Profeta disse: “Quando il tempo s’avvicinerà, la visione [in sogno] del credente non potrà quasi mentire; e la visione [in sogno] del credente è una delle quarantasei parti della profezia”. È un ḥadīth sul quale v’è pieno accordo.50
Che la Profezia si fondi anche sulla visione in sogno è chiaro sin da un ḥadīth trasmesso da ‘Ā’isha:
Si tramanda che ‘Ā’isha, la madre dei credenti, disse: “La prima cosa che l’Inviato di Dio (su di lui la preghiera e la pace divine) ricevette dall’ispirazione fu la visione buona durante il sonno (ar-ru’yā al-ṣaliḥā fi l-nawm): e non aveva visioni che non fossero [chiare] come l’aprirsi dell’alba”.51
Ciò trova altre conferme nel Corano, quando, per esempio, a riguardo del Pellegrinaggio si fa riferimento ad una visione capace di indirizzare il Profeta verso una restaurazione del Pellegrinaggio alle condizioni della originaria purezza abramica:
Allāh mostrerà la veridicità della visione [concessa] al Suo Messaggero: se Allāh vuole, entrerete in sicurezza nella Santa Moschea, le teste rasate [o] i capelli accorciati, senza più avere timore alcuno. Egli conosce quello che voi non conoscete e già ha decretato oltre a ciò una prossima vittoria.52
Che il sogno possa attingere al luogo in cui si manifestano con chiarezza gli intendimenti divini53, quasi che si trattasse più che di una ispirazione, di una rivelazione, lo dimostra questo passaggio del Corano in cui Abramo riceve in sogno da Dio l’ordine di sacrificare suo figlio il quale non manca di confermare la veridicità della visione paterna:
Poi, quando raggiunse l’età per accompagnare [suo padre questi] gli disse: “Figlio mio, mi sono visto in sogno, in procinto di immolarti. Dimmi cosa ne pensi”. Rispose: “Padre mio, fai quel che ti è stato ordinato: se Allāh vuole, sarò rassegnato”. Quando poi entrambi si sottomisero, e lo ebbe disteso con la fronte a terra, Noi lo chiamammo: “O Abramo, hai realizzato il sogno. Così Noi ricompensiamo quelli che fanno il bene”.54
L’occhio profetico non fallisce la visione delle cose che devono avvenire, in stato di sonno come in stato di veglia, tanto più che questo perenne ‘stato di veglia’ dei Profeti ha fatto dire a Muḥammad che “l’uomo dorme e quando muore si sveglia”. È in questo stato che la visione chiara delle cose ha indotto i sapienti, che sono gli eredi dei Profeti, ad usare espressioni “scandalose” come quella pronunciata dallo Shaykh ‘Abd al-Qādir al-Jīlānī, che alla moglie che lamentava la sua eccessiva serenità dinanzi alla morte del loro figlioletto, così rispose:
O mia dolente compagna, tu piangi perché ti senti separata dal figlio che ami. Io sono sempre con chi amo. Tu hai visto tuo figlio nel sogno che è questo mondo, e lo hai perso in un altro sogno. Allāh ha detto: “Questo mondo non è altro che un sogno”. Esso è un sogno per coloro che dormono. Io invece sono sveglio. Vedevo mio figlio quando era nel ciclo del tempo; ora egli è uscito da quel ciclo, ma io lo vedo ed egli è assieme a me e mi sta giocando attorno allo stesso modo di prima. Poiché quando uno vede la realtà con l’occhio del cuore, sia che sia morto o vivo, la verità non scompare.55
Questa perentoria intelligenza della realtà ritorna in una missiva dello Shaykh al-Darqāwī nella quale, facendo tesoro di ciò che lo stesso Profeta Muḥammad ha affermato56, il Maestro maghrebino ricorda a degli increduli giuristi di Fès come la visione del Profeta Muḥammad sia possibile, e ammissibile, in stato di veglia e che questa sia avvenuta, e avvenga, proprio per effetto di quell’istmo che separa e congiunge, contestualmente, i mondi della manifestazione formale e sottile. Vale la pena di riportare per intero il brano:
Ascoltate cosa ho risposto a uno dei giuristi di Fès – che Allāh sia indulgente con noi e con loro – quando, mentre discutevamo della possibilità della visione del Profeta (su di lui la pace e le benedizioni divine) in stato di veglia, ho detto loro: “L’ha visto in stato di veglia più di un maestro”! Citai loro qualcuno dei maestri (che Allāh sia soddisfatto di loro) che l’ha visto, secondo quello che Allāh volle in quel momento. Essi negarono il mio discorso.
Da quando ho raggiunto l’età della ragione, ho sempre pensato che i santi, che Allāh sia soddisfatto di loro, vedano il Profeta, su di lui la pace e le benedizioni divine, in stato di veglia. Allo stesso modo, penso che alcuni di loro siano morti senza vederlo. E allora mi dissero: “Come si potrebbe allora sostenere che il Profeta, su di lui la pace e le benedizioni divine, sia morto e che dalla sua morte siano trascorsi più di mille e duecento anni”? Non avevo nessuna risposta da dare in proposito, io ero solo convinto della possibilità della visione in stato di veglia. Quanto alla visione durante il sogno, non è impossibile per coloro che sono ricoperti dalla generosità divina. E così Allāh mi facilitò una risposta da offrire loro per Sua Grazia e Sua Presenza. E così, li dissi: “Ascoltate quello che ho da dirvi e nel rispondere predisponetevi al massimo impegno, e Allāh vi accordi la percezione interiore (baṣīra)”. E loro ribatterono: “Dici quel che devi dire”. E io dissi loro: “Quelli che hanno visto il Profeta, su di lui la pace e le benedizioni divine, non sono come noi coinvolti del tutto in vili desideri concupiscenti (shahawāt dhamīma) che non abbandoniamo se non quando Allāh lo voglia. No, per Allāh! No, per Allāh! No, per Allāh! In verità, loro seguono l’esempio dell’Inviato di Allāh, su di lui la pace e le benedizioni divine, nelle parole come nelle azioni. Ora seguirlo produce in loro la meditazione (al-fikr). Meditare li trasporta dal mondo della contraddizione, in cui noi ci troviamo, al mondo della purezza che è il mondo degli spiriti. Ed è proprio lì che vedono il Profeta, su di lui la pace e le benedizioni divine, percependo segreti immensi che vanno ben al di là di ciò che può essere descritto. Questi uomini sono con noi nel mondo della contraddizione solo con i loro corpi quanto ai loro cuori e ai loro spiriti – per Allāh – sono nel mondo degli spiriti con gli spiriti.
I miei interlocutori rimasero silenziosi e non parlarono e quando dissi loro: “In verità, lo vede nel mondo degli spiriti”. Furono illuminati, in seguito al mio discorso, da una grande gioia a causa di ciò che avevano interpretato come un mio consenso nei loro confronti. Ma poiché invece li vidi ancora più fermi nelle loro convinzioni di quanto fossero prima, mi rivolsi a loro, così: “In verità avete chiesto dove si trovi il mondo degli spiriti rispetto al mondo delle forme materiali, ebbene è riportato che là dove si trova il mondo delle forme materiali, si trova il mondo degli spiriti ed è sempre lì che tutti i mondi in effetti si trovano. È riportato che Allāh ha creato diciottomila mondi simili a questo in cui viviamo, così come si sostiene nell’opera L’Ornamento dei santi (Ḥilyat al-awliyā’)57 – che Allāh sia soddisfatto di loro58.
39 Corano, XXV, al-Furqān, 53.
40 Corano, LV, al-Raḥmān, 19-21.
41 Corano, XXIII, al-Mu’uminūn, 100.
42 W. C. Chittick, Ibn ‘Arabi. Heir to the Prophets, Oneworld, London, 2005, p. 181.
43 A. Ventura, Sapienza Sufi. Dottrine e simboli dell’esoterismo islamico, Edizioni Mediterranee, Roma, 2016, p. 39.
44 “[…] la dottrina delle maqāmāt (le “stazioni”) e degli aḥwāl (gli “stati”) costituiva un elemento topico della materia mistica. Quel che nel II secolo non era stato ancora codificato secondo un ordine progressivo – benché si incominciassero già ad intravedere in Ibn Adham gli elementi di una progressione metodica della Via – verrà in seguito schematizzato per essere reso maggiormente usufruibile da coloro che si apprestavano nel difficile percorso della disciplina iniziatica (sulūk). Uno schema di classificazione delle “stazioni” e degli “stati” quale ci viene presentato in una delle prime trattazioni può essere così esemplificato: tawba (pentimento), wara’ (scrupolo), zuhd (rinuncia), faqr (povertà), ṣabr (pazienza), tawakkul (abbandono fiducioso), riḍā (soddisfazione), per quanto riguarda le maqāmāt, mentre troviamo: murāqaba (attenzione vigile), qurb (vicinanza), maḥabba (amore), khawf (timore), rajā’ (speranza), shawq (desiderio), uns (intimità), ṭumā‘nīna (pace in Dio), mushāhada (contemplazione), yaqīn (certezza), per gli aḥwāl. L’ordine delle “stazioni” e degli “stati” varierà da autore ad autore, e troviamo che quelli che alcuni considerano degli stati, vengono posti da altri tra le stazioni. Quanto alla ma‘rifa, la gnosi o la Conoscenza per eccellenza, scopo stesso della Via, essa occupa un posto a sé stante, poiché il Fine non può confuso con le tappe del percorso. La distinzione tra le “stazioni” e gli “stati” è riassunta da Hujwīrī con queste parole: “Mentre il termine ‘stazione’ indica la via di chi è alla ricerca, i suoi progressi nel dominio dello sforzo ed il rango che egli occupa al cospetto di Dio in proporzione ai suoi meriti, il termine ‘stato’ designa il favore e alle grazie che Dio accorda al cuore del Suo servitore, non dipendente da alcuna ascesi. La ‘stazione’ appartiene alla categoria degli atti, mentre lo ‘stato’ a quella dei domini’”, P. Urizzi, Introduzione in Kalābādhī, Il sufismo nelle parole degli antichi, Officina di Studi Medievali, Palermo, 2002, pp. 38-39.
45 D. Tomasello, An Unexpected Imagery: The Heart’s Vision and Other Synesthetic Functions of the Dhikr into the Islamic Tradition, in “Cinema”, 9, pp. 27-39.
46 H. Corbin, L’immaginazione creatrice. Le radici del sufismo, Laterza, Roma-Bari, 2005. Cfr. H. Corbin, Nell’Islam Iranico. Aspetti spirituali e filosofici 2. Sohrawardī e i platonici di Persia, a cura di R. Revello, Mimesis, Milano, 2015.
47 Cfr. al-Nasā’ī, Sunan, vol. 3, 36: 3949, Dār al-Ḥadīth, al-Qāhira 1999, pp. 729, 731; Ibn Ḥanbal, al-Musnad, vol. 10, 12.233, p. 412.
48 Corano, CII, al-Takāthur, 1-7.
49 An-Nawawî, I Giardini dei devoti, p. 439.
50 Ibidem.
51 Muḥammad Ibn Isma‘îl Al-Bukhârî, Il Ṣaḥîḥ ovvero “La giustissima sintesi”. Detti e fatti del Profeta Muḥammad. I Libri introduttivi, Edizioni Orientamento, Caprara di Campegine, 2008, p. 22.
52 Corano, XLVIII, al-Fatḥ, 27: “In Cor. 48: 27 Iddio invia un sogno veridico a Muḥammad, nel quale il Profeta vede se stesso recarsi in pellegrinaggio alla Mecca, secondo l’uso preislamico. Pur timoroso di una cattiva accoglienza da parte dei meccani, egli realizza il proprio sogno nella veglia, inserendo così anche nella religione islamica la pratica devozionale del pellegrinaggio. Dio legifera tramite il sogno e comunica all’eletto ciò che mai egli avrebbe previsto: Dio sa e nella notte avverte l’uomo di quello che non sa”, I. Zilio Grandi, Introduzione, in Muḥammad Ibn Sīrīn, Il libro del sogno veritiero, Einaudi, Torino, 1992, p. XI.
53 Ida Zilio Grandi (Ibidem) ha fatto rilevare come le raccolte dei tradizionisti distinguano tra “il sogno veridico (ru’yā) inviato da Dio e il sogno falso e ingannevole (ḥulm) con cui Satana affligge l’uomo”.
54 Corano, XXXVII, Al-Ṣāffāt, 102-105. “è qui degno di nota che il potere profetico del sogno preveda un intervento umano poiché dovrà ripetere nella veglia l’esperienza onirica […] Il sogno di Abramo è vero proprio perché egli accetta di ripeterlo nella veglia, intervenendo volontariamente sul presagio”, I. Zilio Grandi, Introduzione, ibidem.
55 ‘Abd al-Qādir al-Jīlānī, Il segreto dei segreti, p. 33.
56 “Si tramanda ancora da Abū Hurayra che l’Inviato di Allāh disse: “Chi mi vede in sogno mi vedrà in stato di veglia” o forse disse: “è come se mi vedesse in stato di veglia. Il demonio infatti non si rappresenta nella mia forma”. È un hadīth sul quale v’è pieno accordo, Al-Nawawî, I Giardini dei devoti, p. 440.
57 Si tratta di un’opera imponente, Ḥilyat al-awliyā’ wa ṭabaqāt ql-aṣfiyā’ (“L’ornamento dei santi e il rango dell’élite spirituale”) che è stata attribuita allo Shaykh Abū Nu‘aym al-Iṣfahānī (948-1038) e contiene le biografie dei santi musulmani dei primi tre secoli dall’Egira.
58 Cheikh al-‘Arabī al-Darqāwī, Lettres sur le Prophète et autres lettres sur la Voie spirituelle, Éditions Tasnîm, Wattrelos, 2010, pp. 74-49.