Visitai Israele parecchie volte nel periodo in cui i kamikaze si facevano esplodere sugli autobus con una certa frequenza, anche se naturalmente tali eventi erano assai rari in termini assoluti. Tra il dicembre 2001 e il settembre 2004, vi furono in tutto 23 attentati kamikaze che causarono un totale di 236 morti. All’epoca, gli utenti che salivano sugli autobus ogni giorno, in Israele, erano circa 1,3 milioni. Per qualsiasi viaggiatore i rischi erano minimi, ma non era così che l’opinione pubblica li percepiva. La gente evitava il più possibile gli autobus e molti passeggeri, quando salivano sui mezzi, scrutavano in continuazione e con ansia i loro vicini per vedere se avevano pacchi o abiti voluminosi che potevano nascondere una bomba.
Non ebbi molte occasioni di viaggiare in autobus, dato che guidavo un’auto a noleggio, ma mi sentii mortificato quando scoprii che anche il mio comportamento era stato influenzato dalla paura. Mi resi conto che non mi piaceva fermarmi vicino a un autobus quando il semaforo era rosso e che mi allontanavo più in fretta del solito quando veniva il verde. Mi vergognavo di me stesso, perché naturalmente sapevo che non aveva senso comportarsi così. Sapevo che il rischio era davvero trascurabile e che agire in quel modo equivaleva ad assegnare un «peso decisionale» inusitatamente alto a una probabilità infinitesima. Di fatto, c’erano più probabilità che rimanessi ferito in un incidente stradale che fermandomi vicino a un autobus. Ma il mio stare alla larga dagli autobus non era motivato dalla preoccupazione razionale per la sopravvivenza. Ciò che mi spingeva ad agire così era l’esperienza del momento: stare vicino a un autobus mi faceva pensare alle bombe e quel pensiero era spiacevole. Evitavo gli autobus perché volevo pensare a qualcos’altro.
La mia esperienza illustra come funziona il terrorismo e perché sia così efficace: induce una cascata di disponibilità. Un’immagine estremamente vivida di morte e distruzione, rafforzata di continuo dall’attenzione dei media e dalle frequenti conversazioni, diventa altamente accessibile, specie se è associata con una situazione specifica, come la vista di un autobus. L’eccitazione emozionale è associativa, automatica e incontrollata, e produce un impulso all’azione difensiva: il sistema 2 magari «sa» che la probabilità è bassa, ma questa consapevolezza non elimina il disagio autoindotto e il desiderio di evitarlo.1 Non si può spegnere il sistema 1. L’emozione non è solo sproporzionata alla probabilità, ma è anche insensibile all’esatto grado di probabilità. Supponiamo che due città siano state avvertite della presenza di attentatori suicidi. Agli abitanti della prima viene detto che due kamikaze sono pronti a colpire, mentre a quelli della seconda viene detto che l’attentatore è uno solo. Questi ultimi hanno un rischio del 50 per cento inferiore, ma si sentono molto più al sicuro degli altri?
Molti negozi di New York vendono biglietti della lotteria e gli affari vanno bene. La psicologia delle lotteria con ricchi premi è simile alla psicologia del terrorismo. La possibilità eccitante di vincere il grosso premio è condivisa dalla comunità e rafforzata dalle conversazioni a casa e sul posto di lavoro. Comprare un biglietto è immediatamente premiato da piacevoli fantasie, proprio come evitare un autobus era per me immediatamente premiato dal sollievo dalla paura. In entrambi i casi, la probabilità reale è irrilevante: solo la possibilità conta. Nella sua formulazione originaria, la prospect theory includeva l’osservazione secondo cui «eventi molto improbabili sono ignorati o sovraponderati», ma non specificava le condizioni in cui accadeva l’una o l’altra cosa, né proponeva un’interpretazione psicologica del fenomeno. La mia attuale visione dei pesi decisionali è stata fortemente influenzata dalle recenti ricerche sul ruolo delle emozioni e della vividezza delle immagini mentali nel processo decisionale.2 Sovraponderare risultati improbabili è qualcosa di radicato in caratteristiche del sistema 1 che ci sono ormai familiari. Emozione e vividezza delle immagini mentali influenzano la fluidità, la disponibilità e i giudizi di probabilità, e spiegano così la nostra risposta eccessiva ai pochi eventi rari che non ignoriamo.
Sovrastima e sovraponderazione
Secondo te, che probabilità ci sono che il prossimo presidente degli Stati Uniti sia il candidato di un terzo partito?
Quanto pagheresti una scommessa in cui vincessi 1000 dollari se il prossimo presidente degli Stati Uniti fosse il candidato di un terzo partito e non vincessi niente se non lo fosse?
I due quesiti sono diversi, ma chiaramente correlati. Nel primo ti viene chiesto di valutare la probabilità di un evento improbabile. Nel secondo sei invitato ad assegnare un peso decisionale al medesimo evento, scommettendoci sopra.
Come elaborano, le persone, i loro giudizi, e come assegnano pesi decisionali? Cominciamo da due risposte semplici, poi qualifichiamole. Ecco due risposte ipersemplificate:
• Le persone sovrastimano le probabilità di eventi improbabili.
• Le persone sovraponderano eventi improbabili, nelle loro decisioni.
Benché la sovrastima e la sovraponderazione siano fenomeni distinti, in entrambe sono all’opera gli stessi meccanismi psicologici: attenzione focalizzata, bias di conferma e fluidità cognitiva.
Le descrizioni specifiche innescano meccanismi associativi del sistema 1. Quando hai riflettuto sulla vittoria improbabile del candidato di un terzo partito alla presidenza degli Stati Uniti, il tuo sistema associativo ha operato nella consueta modalità confermativa, recuperando selettivamente evidenze, esempi e immagini capaci di rendere l’asserzione vera. Il processo era distorto, ma non era un esercizio della fantasia. Hai cercato uno scenario plausibile che si conformasse alle limitazioni della realtà: non ti sei limitato a immaginare la Fata Turchina che insediava un presidente proveniente da un terzo partito. Il tuo giudizio sulla probabilità alla fine è stato determinato dalla fluidità cognitiva con la quale ti è venuto in mente uno scenario plausibile.
Non ci si concentra sempre sull’evento che si è chiamati a valutare. Se l’evento bersaglio è molto probabile, ci si concentra sull’alternativa. Prendi questo esempio:
Qual è la probabilità che un bambino nato nell’ospedale della città in cui abiti sia mandato a casa entro tre giorni?
Ti è stato chiesto di valutare la probabilità che il neonato sia mandato a casa, ma quasi sicuramente non ti sei concentrato sugli eventi che potrebbero indurre l’ospedale a non mandarlo a casa entro il periodo normale. La nostra mente ha l’utile capacità di concentrarsi spontaneamente su qualunque cosa appaia strana, diversa o insolita. Ti sei subito reso conto che è normale che negli Stati Uniti (non tutti i paesi hanno gli stessi parametri) i neonati vengano mandati a casa due o tre giorni dopo il parto, sicché la tua attenzione si è rivolta verso l’alternativa anomala. L’evento improbabile è diventato il fulcro. È probabile sia evocata l’euristica della disponibilità: il tuo giudizio è stato probabilmente determinato dal numero di scenari medici problematici che hai prodotto e dalla facilità con cui ti sono venuti in mente. Poiché eri in modalità confermativa, vi sono buone probabilità che la tua stima della frequenza dei problemi sia troppo alta.
È assai probabile che sia sovrastimata la probabilità di un evento raro quando l’alternativa non è del tutto specificata. Il mio esempio preferito proviene da uno studio che lo psicologo Craig Fox ha condotto quando era ancora studente di Amos.3 Fox reclutò dei fan della pallacanestro professionistica e strappò loro parecchi giudizi sulle decisioni concernenti il vincitore dei play-off in NBA. In particolare, chiese loro di stimare la probabilità che ognuna delle otto squadre partecipanti vincesse il play-off: l’evento focale era, via via, la vittoria di ciascuna squadra.
Potrai certo immaginare quello che successe, ma l’entità dell’effetto che Fox osservò forse ti sorprenderà. Pensa a un fan cui sia stato chiesto di stimare le probabilità che i Chicago Bulls vincano il campionato. L’evento focale è ben definito, ma la sua alternativa, ossia che vinca una delle altre sette squadre, è diffusa e meno evocativa. La memoria e l’immaginazione del fan, operando in modalità confermativa, cercano di costruire una vittoria per i Bulls. Quando alla stessa persona viene chiesto successivamente di valutare le probabilità dei Lakers, la stessa attivazione selettiva opera a favore di quella squadra. Le otto migliori squadre professioniste di pallacanestro degli Stati Uniti sono tutte eccellenti ed è possibile immaginare che anche una squadra relativamente debole, in quel novero, vinca il campionato. Risultato: i giudizi di probabilità generati consecutivamente per le otto squadre erano del 240 per cento! È un calcolo assurdo, naturalmente, perché la somma delle probabilità degli otto eventi deve essere uguale al 100 per cento. L’assurdità scompariva quando ai medesimi giudici veniva chiesto se il vincitore sarebbe stato della Eastern o della Western Conference. In quel caso l’evento focale e la sua alternativa erano parimenti specifici, e la somma dei giudizi sulle probabilità era del 100 per cento.4
Per valutare i pesi decisionali, Fox invitò i fan della pallacanestro anche a scommettere sul risultato del campionato. Essi assegnarono a ciascuna scommessa un equivalente in contanti (una somma in contanti altrettanto allettante del fare la scommessa). Vincendo la scommessa avrebbero guadagnato 160 dollari. La somma degli equivalenti in contanti per le otto singole squadre sarebbe stata 287 dollari. Un partecipante medio che avesse fatto tutte e otto le scommesse si sarebbe quindi assicurato una perdita di 127 dollari! I partecipanti sapevano sicuramente che c’erano otto squadre nel campionato e che il guadagno medio per avere scommesso su tutte quante non poteva superare i 160 dollari, eppure sovraponderarono lo stesso. I fan non solo sovrastimarono la probabilità degli eventi su cui si concentrarono, ma furono anche troppo disposti a scommettere su di essi.
Queste scoperte gettarono nuova luce sulla fallacia della pianificazione e su altre manifestazioni di ottimismo. L’esecuzione efficiente di un piano è specifica e facile da immaginare quando si cerca di prevedere il risultato di un progetto. L’alternativa dell’insuccesso è invece diffusa, perché vi sono innumerevoli modi in cui le cose possono andare male. Gli imprenditori e gli investitori che valutano le loro prospettive sono inclini sia a sovrastimare le loro probabilità sia a sovraponderare le loro stime.
Risultati vividi
Come abbiamo visto, la prospect theory differisce dalla teoria dell’utilità attesa nella relazione che ipotizza tra probabilità e peso decisionale. Nella teoria dell’utilità, pesi decisionali e probabilità non si distinguono. Il peso decisionale di una cosa sicura è 100 e il peso che corrisponde a una probabilità del 90 per cento è esattamente 90, che è nove volte il peso decisionale di una probabilità del 10 per cento. Nella prospect theory, le variazioni di probabilità hanno meno effetto sui pesi decisionali. Da un esperimento che ho menzionato in precedenza risulta che il peso decisionale per una probabilità del 90 per cento era 71,2 e il peso decisionale per una probabilità del 10 per cento era 18,6. Il rapporto delle probabilità era 9,0, mentre il rapporto dei pesi decisionali era solo 3,83, il che indicava insufficiente sensibilità alla probabilità in quel range. In entrambe le teorie, i pesi decisionali dipendono solo dalla probabilità, non dal risultato. Entrambe le teorie prevedono che il peso decisionale per una probabilità del 90 per cento sia lo stesso per vincere 100 dollari, ricevere una dozzina di rose o subire una scossa elettrica.5 Questa predizione teorica risulta sbagliata.
Alcuni psicologi dell’Università di Chicago pubblicarono un articolo con l’allettante titolo Money, Kisses, and Electric Shocks: On the Affective Psychology of Risk (Soldi, baci e scosse elettriche: la psicologia affettiva del rischio). La loro scoperta fu che la valutazione degli azzardi era molto meno sensibile alla probabilità quando i risultati (fittizi) erano emozionali («conoscere e baciare la vostra star preferita» o «subire una scossa elettrica dolorosa, ma non pericolosa») che quando i risultati erano guadagni o perdite di somme di denaro. Non era una scoperta isolata. Altri ricercatori avevano trovato, usando misure fisiologiche come la frequenza cardiaca, che la paura di un’imminente scossa elettrica non era concretamente correlata con la probabilità di ricevere la scossa. La mera possibilità di una scossa innescava la piena risposta di paura. L’équipe dell’Università di Chicago ipotizzò che «le immagini affettivamente cariche» avessero il sopravvento sulla risposta alla probabilità. Dieci anni dopo, un’équipe di psicologi di Princeton mise in discussione quella conclusione.
Secondo l’équipe di Princeton, la scarsa sensibilità alla probabilità che era stata osservata nel caso dei risultati emozionali era normale. Le scommesse sul denaro sono l’eccezione. La sensibilità alla probabilità è relativamente alta per quei tipi di azzardi, perché essi hanno un valore atteso definito.
Che quantità di contanti è allettante quanto ciascuno di questi azzardi?
A. 84 per cento di probabilità di vincere 59 dollari.
B. 84 per cento di probabilità di ricevere 12 rose rosse in un vaso di vetro.
Che cosa noti? La differenza fondamentale è che la domanda A è molto più facile della domanda B. Non ti sei fermato a calcolare il valore atteso della scommessa, ma probabilmente hai capito subito che non era lontano da 50 dollari (di fatto è 49,56 dollari), e la stima vaga bastava a fornire un’utile ancora mentre cercavi un dono in contanti altrettanto allettante. Una simile ancora non è disponibile nella domanda B, cui è quindi molto più difficile rispondere. I soggetti hanno valutato anche l’equivalente in contanti di azzardi con un 21 per cento di probabilità di vincere i due risultati. Come previsto, la differenza tra le scommesse ad alta probabilità e quelle a bassa probabilità era molto più pronunciata per i soldi che per le rose.
Per corroborare la tesi che l’insensibilità alla probabilità non sia causata dall’emozione, l’équipe di Princeton confrontò la disponibilità a pagare per evitare azzardi:
21 per cento (o 84 per cento) di probabilità di passare il weekend a imbiancare il trilocale di qualcuno.
21 per cento (o 84 per cento) di probabilità di pulire tre gabinetti nel bagno di un dormitorio dopo un weekend in cui sono stati usati.
Il secondo risultato è sicuramente molto più emozionale del primo, ma i pesi decisionali dei due risultati non differirono. Evidentemente, l’intensità dell’emozione non è la risposta.
Un altro esperimento diede un esito sorprendente. I partecipanti ricevettero esplicite informazioni sui prezzi, insieme con la descrizione verbale del premio. Un esempio potrebbe essere:
84 per cento di probabilità di vincere dodici rose rosse in un vaso di vetro. Valore: 59 dollari.
21 per cento di probabilità di vincere dodici rose rosse in un vaso di vetro. Valore: 59 dollari.
È facile calcolare il valore monetario atteso di questi azzardi, ma aggiungere un valore monetario specifico non ha modificato i risultati: le valutazioni rimasero insensibili alla probabilità anche in quella condizione. I soggetti che pensavano al dono come a una probabilità di ottenere rose non usarono le informazioni sul prezzo come ancora nel valutare la scommessa. Come dicono a volte gli scienziati, è una scoperta sorprendente che cerca di dirci qualcosa. Che storia sta cercando di raccontarci?
La storia, credo, è che una ricca e vivida rappresentazione del risultato, sia o no emozionale, riduce il ruolo della probabilità nella valutazione di una prospettiva di incertezza. L’ipotesi suggerisce una previsione nella quale ho una fiducia piuttosto alta: anche aggiungere dettagli irrilevanti ma vividi a un risultato monetario scompagina il calcolo. Confronta i tuoi equivalenti in contanti con i seguenti risultati:
21 per cento (o 84 per cento) di probabilità di ricevere 59 dollari lunedì prossimo.
21 per cento (o 84 per cento) di probabilità di ricevere una grande busta di cartoncino azzurro contenente 59 dollari il prossimo lunedì mattina.
La nuova ipotesi è che vi sia meno sensibilità alla probabilità nel secondo caso, perché la busta azzurra evoca una rappresentazione più ricca e copiosa del concetto astratto di somma di denaro. Ti sei costruito l’evento nella tua mente, e la vivida immagine del risultato continuerebbe a sussistervi anche se tu non sapessi che la probabilità è bassa. Anche la fluidità cognitiva contribuisce all’effetto certezza: quando hai in mente un’immagine vivida di un evento, la possibilità che esso non accada è rappresentata a sua volta vividamente, e sovraponderata. La combinazione di un effetto possibilità e di un effetto certezza rafforzati non consente ai pesi decisionali di variare molto tra probabilità del 21 e dell’84 per cento.
Probabilità vivide
L’idea che la natura fluida, vivida e accessibile delle immagini mentali contribuisca ai pesi decisionali è corroborata da molte altre osservazioni. Ai partecipanti a un noto esperimento viene offerto di scegliere se estrarre una biglia da un vaso piuttosto che da un altro. L’estrazione di biglie rosse fa vincere un premio.
Il vaso A contiene dieci biglie, una sola delle quali è rossa.
Il vaso B contiene cento biglie, otto delle quali sono rosse.
Quale vaso sceglieresti? Le probabilità di vincere sono il 10 per cento nel vaso A e l’8 per cento nel vaso B, sicché fare la scelta giusta dovrebbe essere facile, ma non lo è: dal 30 al 40 per cento degli studenti scelgono il vaso con il numero maggiore di biglie vincenti, anziché quello che offre maggiore probabilità di vincita. Seymour Epstein sostiene che i risultati illustrano la superficialità di elaborazione tipica del sistema 1 (che egli definisce «sistema esperienziale»).6
Com’era prevedibile, le scelte incredibilmente stupide che le persone fanno in situazioni del genere hanno attirato l’attenzione di molti ricercatori. Al bias sono stati dati diversi nomi; seguendo Paul Slovic, io la chiamerò «disattenzione per il denominatore». Se la tua attenzione è attratta dalle biglie vincenti, non valuti con la medesima cura il numero di biglie non vincenti. Almeno secondo la mia esperienza, le immagini vivide contribuiscono alla disattenzione per il denominatore. Quando penso al vaso piccolo, vedo una singola biglia rossa su uno sfondo vagamente definito di biglie bianche. Quando penso al vaso più grande, vedo otto biglie rosse vincenti su uno sfondo indistinto di biglie bianche, e si genera in me un sentimento di maggiore speranza. La peculiare vividezza delle biglie vincenti incrementa il peso decisionale di quell’evento, rafforzando l’effetto possibilità. Certo, lo stesso si può dire dell’effetto certezza. Se ho il 90 per cento di probabilità di vincere un premio, l’evento «non vincere» sarà più saliente nel caso in cui la mia probabilità avversa sia rappresentata da dieci biglie «perdenti» su cento invece che da una su dieci.
Il concetto di «disattenzione per il denominatore» aiuta a spiegare perché modi differenti di comunicare i rischi abbiano effetti tanto diversi. Se si legge che «un vaccino che protegge i bambini da una malattia letale comporta un rischio dello 0,001 per cento di indurre invalidità permanente», il rischio appare piccolo. Ora prendiamo un’altra descrizione del medesimo rischio: «Dei bambini vaccinati, uno su 100.000 è reso permanentemente invalido dal vaccino». Il secondo enunciato produce sulla nostra mente un effetto che il primo non produceva, ossia evoca l’immagine di un singolo bambino che è reso per sempre invalido dal vaccino: i 999.999 bambini vaccinati cui non è successo niente svaniscono sullo sfondo. Come previsto dalla disattenzione per il denominatore, gli eventi a bassa probabilità sono ponderati molto di più quando sono descritti in termini di frequenze relative (quanti sono di numero) che quando sono descritti nei termini più astratti di «possibilità», «rischio» o «probabilità» (quanto sono probabili). Come abbiamo visto, il sistema 1 è molto più bravo a trattare gli individui che le categorie.
L’effetto del format di frequenza è ampio. In uno studio, i soggetti che leggevano di «una malattia che uccide 1286 persone su 10.000» la giudicavano più pericolosa dei soggetti a cui si parlava di «una malattia che uccide il 24,14 per cento della popolazione».7 La prima malattia appare più minacciosa della seconda, anche se il rischio di mortalità della prima è addirittura la metà del rischio di mortalità della seconda! In una dimostrazione ancora più diretta della disattenzione per il denominatore, «una malattia che uccide 1286 persone su 10.000» fu giudicata più pericolosa di «una malattia che uccide 24,4 persone su 100». L’effetto sarebbe sicuramente ridotto o eliminato se ai partecipanti si chiedesse di confrontare in maniera diretta le due formulazioni, un compito che richiede esplicitamente l’intervento del sistema 2. La vita, però, è solitamente un esperimento inter-soggetti nel quale si vede solo una formulazione alla volta. Ci vorrebbe un sistema 2 eccezionalmente attivo per generare formulazioni alternative a quella che appare sotto i nostri occhi, oltre che per scoprire che ciascuna di esse evoca una risposta diversa.
Psicologi e psichiatri forensi di consumata esperienza non sono immuni dagli effetti del format in cui sono espressi i rischi.8 Nel corso di un esperimento, alcuni professionisti valutarono se fosse privo di pericoli dimettere dall’ospedale psichiatrico un paziente, il signor Jones, che aveva alle spalle una storia di violenza. Le informazioni che ricevettero comprendevano la valutazione del rischio fatta da un esperto. Gli stessi dati statistici vennero descritti in due modi distinti:
Si stima che i pazienti simili al signor Jones abbiano il 10 per cento di probabilità di commettere un atto di violenza contro gli altri nei primi mesi successivi alla dimissione.
Si stima che di ogni 100 pazienti simili al signor Jones, 10 commettano un atto di violenza contro gli altri nei primi mesi successivi alla dimissione.
I professionisti che lessero il format di frequenza e negarono l’autorizzazione a dimettere il paziente furono il doppio di quelli che lessero il format di probabilità (il 41 per cento contro il 21 per cento). La descrizione più vivida produce un peso decisionale più alto per la stessa probabilità.
Il potere del format genera opportunità di manipolazione che chi ha un interesse personale sa come sfruttare. Slovic e i suoi colleghi citano un articolo in cui si afferma che «in tutto il paese sono commessi circa 1000 omicidi all’anno da individui gravemente malati di mente che non assumono i necessari farmaci». Un altro modo di descrivere lo stesso fatto è: «1000 americani su 273.000.000 muoiono uccisi da individui del genere ogni anno». Un altro ancora è: «La probabilità annua di essere uccisi da un simile individuo è dello 0,00036 per cento». Un quarto è: «Muoiono in questo modo ogni anno 1000 americani, ovvero meno di un trentesimo di quelli che si suicidano o circa un quarto di quelli che muoiono di cancro della laringe». Slovic osserva che «chi presenta i dati in quel particolare modo è molto esplicito nelle sue motivazioni: vuole spaventare il grosso pubblico riguardo alla violenza commessa da persone affette da disturbi mentali, nella speranza che questa paura si traduca in un aumento dei finanziamenti ai servizi sanitari psichiatrici».
Un buon avvocato che volesse gettare qualche dubbio sul test del DNA non direbbe alla giuria che «la probabilità di una falsa corrispondenza tra profili genetici è dello 0,1 per cento». È molto più probabile che la formulazione «una falsa corrispondenza si verifica in un caso di omicidio su mille» superi la soglia del ragionevole dubbio.9 I giurati che ascoltano simili parole sono indotti a pensare che l’uomo seduto di fronte a loro in aula sia stato accusato a torto da un test del DNA in realtà non valido. Il pubblico ministero, naturalmente, preferirà la descrizione più astratta, sperando di riempire la testa dei giurati di decimali.
Decisioni derivanti da impressioni globali
Varie prove suggeriscono l’ipotesi che l’attenzione focale e la salienza contribuiscano sia a sovrastimare eventi improbabili sia a sovraponderare risultati improbabili. La salienza è rafforzata dal mero menzionare un evento, dalla sua vividezza e dal format con cui è descritta la probabilità. Vi sono naturalmente eccezioni nelle quali focalizzarsi su un evento non aumenta la sua probabilità: casi in cui una teoria errata fa apparire un evento impossibile anche quando ci si riflette sopra, o casi in cui l’incapacità di immaginare come potrebbe prodursi un risultato lascia convinti che esso non si verifichi. Il bias verso la sovrastima e la sovraponderazione di eventi salienti non è una regola assoluta, ma è una regola ampia e robusta.
Negli ultimi anni vi è stato grande interesse per gli studi sulle «scelte in base all’esperienza»,10 le quali seguono regole diverse dalle «scelte in base alla descrizione» che sono analizzate nella prospect theory. I partecipanti a un tipico esperimento si trovano di fronte a due bottoni, ciascuno dei quali, se premuto, produce un premio in soldi o niente, e il risultato è indotto dal caso, come specificato dall’opzione (per esempio, «5 per cento di probabilità di vincere 12 dollari» o «95 per cento di probabilità di vincere un dollaro»). Il processo è davvero casuale, sicché non c’è garanzia che il campione osservato dal soggetto rappresenti esattamente il setup statistico. I valori attesi associati con i due bottoni sono approssimativamente uguali, ma uno è più rischioso (più variabile) dell’altro. (Per esempio, un bottone potrebbe produrre 10 dollari nel 5 per cento dei tentativi e l’altro un dollaro nel 50 per cento dei tentativi.) La scelta in base all’esperienza è implementata esponendo il partecipante a molte prove in cui egli osserva le conseguenze del premere un bottone piuttosto che l’altro. Nella prova critica, egli sceglie uno dei due bottoni e vince il risultato di quella prova. La scelta in base alla descrizione è realizzata mostrando al soggetto la descrizione verbale della prospettiva di rischio associata a ciascun bottone (come «5 per cento di vincere 12 dollari») e chiedendogli di sceglierne uno. Come previsto dalla prospect theory, la scelta in base alla descrizione produce un effetto possibilità: i risultati rari sono sovraponderati rispetto alla loro probabilità. In netto contrasto, non si è mai osservato che i soggetti sovraponderassero nella scelta in base all’esperienza, dove anzi è frequente la sottoponderazione.
La situazione sperimentale della scelta in base all’esperienza si propone di rappresentare molte situazioni in cui siamo esposti a risultati variabili provenienti dalla medesima fonte. Un ristorante che di solito è buono, per esempio, ogni tanto potrebbe servire un pasto eccellente o un pasto pessimo. La California è soggetta ai terremoti, ma si verificano di rado. I risultati di molti esperimenti fanno pensare che gli eventi rari non siano sovraponderati quando prendiamo decisioni come scegliere un ristorante o isolare la caldaia per ridurre il danno da terremoto.
L’interpretazione della scelta in base all’esperienza non è ancora definitiva,11 ma si è generalmente d’accordo su una delle cause principali che inducono a sottoponderare un evento raro, sia negli esperimenti sia nel mondo reale: molti soggetti non sperimentano mai l’evento raro! La maggior parte dei californiani non ha mai vissuto l’esperienza di un grosso terremoto, e nel 2007 nessun banchiere aveva sperimentato personalmente una crisi finanziaria devastante. Ralph Hertwig e Ido Erev osservano che «alle probabilità di eventi rari (come l’esplosione di bolle immobiliari) si dà meno importanza di quanto oggettivamente non meritino».12 E indicano come esempio la tiepida reazione del pubblico a minacce ambientali a lungo termine.
Questi esempi di disattenzione sono sia importanti sia facilmente spiegabili, ma la gente spesso sottopondera anche quando ha realmente sperimentato l’evento raro. Supponiamo che tu abbia una domanda complicata a cui due colleghi che stanno al tuo stesso piano potrebbero rispondere. Li conosci entrambi da anni e hai avuto molte occasioni di osservare e conoscere il loro carattere. Adele di solito è abbastanza coerente e disponibile, anche se non in misura eccezionale. Brian in genere non è altrettanto cordiale e disponibile, però in alcune occasioni si è dimostrato estremamente generoso, dedicando tempo e fornendo consigli agli altri. Chi avvicineresti?
Considera due possibili visioni della decisione:
• È una scelta tra due azzardi. Adele è più vicina alla scelta sicura; l’opzione di Brian è più probabile dia un risultato leggermente inferiore, con una bassa probabilità di un esito molto buono. L’evento raro sarà sovraponderato da un effetto possibilità, e Brian sarà favorito.
• È una scelta tra le tue impressioni globali di Adele e Brian. Le esperienze buone e le esperienze cattive che hai avuto sono compendiate nella tua rappresentazione del loro comportamento normale. A meno che l’evento raro non sia così estremo da venire in mente in maniera distinta (Brian una volta prese a male parole un collega che gli aveva chiesto aiuto), la norma tenderà a ricordare gli esempi tipici e recenti, favorendo Adele.
In una mente bisistemica, la seconda interpretazione appare molto più plausibile. Il sistema 1 genera rappresentazioni globali di Adele e Brian, le quali includono un atteggiamento e una tendenza emozionali ad affrontare o evitare. Basta un confronto tra queste due tendenze per determinare a quale porta finirai per bussare. A meno che non ti venga in mente esplicitamente, l’evento raro non sarà sovraponderato. È semplice applicare lo stesso principio agli esperimenti sulla scelta in base all’esperienza. A mano a mano che li si guarda generare risultati nel corso del tempo, i due bottoni sviluppano «personalità» integrate cui sono associate reazioni emozionali.
Le condizioni in cui gli eventi rari sono ignorati o sovraponderati sono meglio comprese, oggi, di quanto non lo fossero quando fu formulata la prospect theory. La probabilità di un evento raro sarà (spesso, ma non sempre) sovrastimata, a causa del bias confermativo della memoria. Riflettendo su quell’evento, cerchiamo di renderlo vero nella nostra mente. Un evento raro viene sovraponderato se attira specificamente l’attenzione. Di fatto, è garantito che l’attenzione si concentri sull’evento quando le prospettive sono descritte esplicitamente («99 per cento di probabilità di vincere 1000 dollari e 1 per cento di probabilità di non vincere niente»). Le preoccupazioni ossessive (l’autobus a Gerusalemme), le immagini vivide (le rose), le rappresentazioni concrete (uno sui 1000) e i memento espliciti (come nella scelta in base alla descrizione) contribuiscono tutti alla sovraponderazione. E quando non vi è sovraponderazione, vi sarà disattenzione. Per quanto riguarda le probabilità rare, la nostra mente non è strutturata in maniera da capire bene le cose. Per gli abitanti del pianeta che magari sono stati esposti a eventi non ancora sperimentati da nessuno, non è una buona notizia.
A proposito di eventi rari
«Gli tsunami sono molto rari anche in Giappone, ma l’immagine è così vivida e travolgente che i turisti inevitabilmente tendono a sovrastimare la probabilità che se ne verifichi uno.»
«È il noto ciclo della catastrofe. Si inizia esagerando e sovraponderando, poi si instaura la disattenzione.»
«Non dobbiamo concentrarci su un singolo scenario, altrimenti ne sovrastimeremo la probabilità. Stabiliamo alternative specifiche e facciamo in modo che le probabilità siano del 100 per cento.»
«Vogliono che la gente si preoccupi per questo rischio. Ecco perché lo descrivono come un decesso su mille. Contano sulla disattenzione per il denominatore.»