Jean-Michel Basquiat nacque a Park Slope, Brooklyn, il 22 dicembre 1960. Era il primogenito di Gerard, un ragioniere emigrato da Haiti nel 1955 all'età di vent'anni, e Matilde, una donna portoricana3-1. Jean-Michel si vantava spesso con gli amici che sua nonna era «la Diana von Fürstenberg di Haiti»3-2. Dice Gerard Basquiat: «Venivamo da un contesto elitario e benestante di Haiti. La mia famiglia ebbe dei problemi politici. Mia madre e mio padre vennero arrestati. Mio fratello venne ucciso ad Haiti negli anni Settanta. Il nome Basquiat non è amato da quelle parti adesso»3-3.
Da quando aveva tre o quattro anni, Jean-Michel non smise mai di disegnare. «Jean-Michel dipinse per tutta la sua vita», dice Gerard Basquiat, un uomo piacente, vestito in modo impeccabile, che si vanta di quanto gioca bene a tennis. L'abilità sembra essere di famiglia. «Io disegno. Mio fratello è un artista commerciale. Sua madre aveva del talento artistico. Anni fa disegnava vestiti»3-4. Sempre da bambino, Basquiat entrò in contatto con la musica. Conobbe il Jazz perché Gerard lo ascoltava regolarmente in casa perché sentiva suonare il nonno materno, Juan, che era il leader di un piccolo gruppo di musica latina. Suonava la chitarra a venti corde, e ogni tanto Jean-Michel assisteva alle session3-5. Jean-Michel era molto legato alla nonna Flora. In seguito la ritrasse in un quadro dai colori brillanti che chiamò semplicemente Abuelita3-6, che in spagnolo è un vezzeggiativo per nonna'.
Quando Basquiat aveva cinque anni la sua famiglia si trasferì a Flatbush. A prima vista, la sua fu un'infanzia borghese come tante, ma ci furono degli eventi fortemente traumatici. A sette anni fu investito da una macchina e gli venne asportata la milza3-7. Così raccontò nella videointervista rilasciata a Tamra Davis e Becky Johnston:
Giocavo per strada, mi ricordo di avere avuto la sensazione di essere dentro un sogno e di avere visto la macchina venire verso di me e poi ho visto tutto come con gli infrarossi […]. Non è la prima cosa di cui mi ricordo, ma forse è quella che ricordo meglio3-8.
Le immagini di una macchina e di un'ambulanza in seguilo riapparvero spesso nel suo lavoro come un motivo ricorrente, quasi che, in qualche modo, ritornasse sempre a questa scena chiave della sua vita: un incidente che gli era già accaduto.
L'Anatomia del Gray3-9, che la madre regalò a Jean-Michel mentre era in ospedale con la speranza, forse, di dargli così un diagramma della sua guarigione, fu uno dei primi e più importanti testi di cui subì l'influenza. Le immagini anatomiche e le didascalie sarebbero diventate un elemento chiave della sua opera. Matilde inoltre lo portava ai musei e a teatro: Guernica era il quadro preferito del ragazzo, e si ricordava perfettamente di aver visto West Side Story. Ricordava pure di quando guardava sua madre disegnare immagini della Bibbia sui tovaglioli di carta. «Direi che è stata mia madre a insegnarmi le prime cose. È da lei che viene la mia arte», disse a Steve Hager, autore di Art After Midnight3-10.
Matilde parlava inglese, spagnolo e francese correntemente, e Jean-Michel imparò le tre lingue a casa. «Adoperava il suo talento artistico», dice lo zio materno di Jean-Michel, John Andrades, «[mia sorella] aveva occhio per i colori, e la casa era sempre in ordine. Una casa talmente bella a vedersi che sembrava uscita dalle pagine di una rivista»3-11. Ma Basquiat diceva agli amici che Matilde soffriva spesso di crisi depressive che ogni tanto sfociavano in attacchi di violenza. «Quand'ero piccolo mia madre me le diede di santa ragione perché mi ero messo la biancheria al contrario, e secondo lei voleva dire che ero gay. Andavo all'asilo. Fu la volta che mi picchiò di più. Mia madre era severissima», disse allo scrittore Anthony Haden-Guest in un'intervista3-12.
Basquiat sconvolgeva la gente con le più disparate storie di violenza domestica che avvenivano nella sua famiglia. Al suo amico del liceo Ken Cybulska raccontò che sua madre era stata internata dopo che aveva cercato di ucciderli tutti andando fuori strada con la macchina. Ad Al Diaz, che in seguito sarebbe diventato il suo compagno di graffiti, raccontò che la madre aveva legato Gerard al letto e che l'aveva picchiato con una gruccia. La stessa storia la raccontò al pittore David Bowes3-13. Ad Haden-Guest raccontò un'«orrenda storia su sua madre che picchiava suo padre»3-14. «Mia madre diventò pazza per via del pessimo matrimonio con mio padre», disse Jean-Michel ad Hager. «Da giovane era bella, ma ora ha una ruga sulla fronte per ogni dispiacere che ha dovuto sopportare»3-15. Fu più preciso in un'intervista con Haden-Guest: «Mia madre è stata internata quando io ero bambino… Avevo circa dieci, undici anni, una cosa così», gli disse. «È stata parecchie volte in casa di cura… È molto fragile»3-16. Basquiat raccontò anche ad Andy Warhol, che poi lo scrisse nei suoi Diari, che la madre continuava «a entrare e uscire da ospedali psichiatrici»3-17.
I problemi di certo non mancarono. Quando Jean-Michel aveva sette anni i suoi genitori si separarono, Gerard ottenne l'affidamento dei figli e si trasferì con tutta la famiglia in una casa a Boerum Hill. L'uomo dice che la moglie aveva dei periodi di «depressione», e accenna a qualcosa di misterioso capitato nei primi anni di matrimonio3-18. Howard Lewis, un vicino, ricorda che Gerard Basquiat gli raccontò che Matilde aveva cercato di pugnalarlo con un coltello3-19. «Si lasciavano in continuazione. Avanti e indietro, avanti e indietro. C'era sempre qualche lite. Non ho molti rapporti con il ramo paterno della mia famiglia, e quello materno odia mio padre», raccontò Basquiat nell'intervista di Haden-Guest3-20.
Jean-Michel aveva due sorelle più giovani, Lisane, nata nel 1963, e Jeanine, nata nel 1966. Crebbero tutti in una casa elegante a tre piani di proprietà della famiglia su Pacific Avenue, a Boerum Hill. Il quartiere semiresidenziale, costeggiato da filari di alberi, è un pezzo di oasi in un'area alquanto depressa.
Gerard Basquiat aveva frequentato la scuola serale per diventare ragioniere. Quando Jean-Michel era bambino, lavorava come revisore per l'editore Macmillan, in New Jersey. Poi a un certo punto, a quanto dice un vicino, Monroe Denton3-21, si mise in proprio. Aprì su Atlantic Avenue un negozietto che si chiamava L'Etiquette e che vendeva vasi Bennington e vari altri articoli per la casa. Era un amante del Jazz, e aveva una bella collezione di dischi che non permetteva a Jean-Michel di toccare. Amava cucinare, abilità che trasmise al figlio. Una delle fidanzate di Jean-Michel ricorda suo padre che preparava la cena con un grembiule addosso su cui c'era scritto, in stampatello: «THE BOSS»3-22.
I vicini descrivono Gerard come un uomo distinto e sofisticato che sembrava frequentare quasi esclusivamente bianchi, che era dedito al tennis e che spesso andava fuori il fine settimana con le sue fidanzate. Lo descrivono come un padre severo e preso di sé che sembrava avere poca, o nessuna, comprensione per il figlio. «Più che un padre era un playboy», dice Sylvia Lennard, che racconta di come fosse lei a prendersi cura delle due figlie nei fine settimana in cui venivano abbandonate a casa, lasciate lì con il frigo vuoto. A detta della Lennard si aspettava che Jean-Michel facesse da baby-sitter, cucinasse e si prendesse cura delle sorelle3-23.
Gerard frequentava parecchie donne, ed ebbe diverse relazioni importanti quando Jean-Michel era bambino. «C'era quella donna con cui uscivo quando io e sua madre ci separammo… Jean-Michel non sembrava esserne contento», racconta. «Era infelice perché avevo lasciato sua madre? Non lo so, sul serio non lo so. Vallo a capire che cosa passa nella testa dei bambini. È forse responsabilità di un genitore?»3-24.
Quando Jean-Michel aveva sedici anni, Gerard iniziò a convivere con una donna inglese che si chiamava Nora: «Amavo il pericolo. Amavo vivere sul filo del rasoio, avere macchine veloci e motociclette», ricorda. «Nora corresse quella parte della mia vita»3-25.
Anche se di tanto in tanto, la domenica, Matilde andava a trovarli, i vicini dicono che non la videro mai entrare dentro casa: si sedeva sui gradini insieme ai bambini3-26. Donna religiosa, Matilde oggi vive con la sua famiglia in Covert Street, in una delle zone più povere di Brooklyn.
Jean-Michel fu mandato al St. Ann's, una scuola privata, l ino alla quarta. In terza mandò il disegno di una pistola a J. Edgar Hoover3-27.1 suoi primi soggetti, secondo quanto raccontò lui stesso, includevano Alfred E. Neuman3-28 della rivista «Mad», Alfred Hitchcock e le auto3-29.
Dopo il St. Ann's, Jean-Michel frequentò varie scuole pubbliche. Per un anno venne inserito in un programma di integrazione razziale3-30 e frequentò la PS101, a Bensonhurst. Gli insegnanti ne erano colpiti. Ricorda la sua professoressa, Estelle Finkel:
Aveva un aspetto adorabile. Quando mettemmo in scena con la scuola il Giulio Cesare, lui fece Cesare. Non dimenticherò mai quando, nella scena in cui doveva essere morto, si tirò su per vedere cosa stava succedendo. Era il più bravo della classe. E stava tutto il tempo a disegnare. Capii che aveva un talento non comune. Mi ricordo che una volta inventò un fumetto in cui c'erano sei personaggi che parlavano tra loro3-31.
Anni dopo la Finkel andò all'inaugurazione di una mostra al Palladium, e credette di riconoscere l'opera di uno degli artisti esposti. Con sua grande sorpresa scoprì che era un murale di Jean-Michel.
Cynthia Bogen Shechter insegnava Arte alla PS101. Racconta che la Finkel le chiese di inserire Basquiat nella sua classe perché fosse una forma di terapia. Ricorda che il razzismo era un problema. «La scuola era in un quartiere abitato solo da italiani bianchi. Erano pochi i bambini neri che venivano lì da altri quartieri e per loro non era affatto facile»3-32. Il giovane artista portava tutta una serie di matite infilate in mezzo ai capelli. «Diceva che voleva fare il fumettista, e passava le giornate a disegnare fumetti. Fece fatica a socializzare con gli altri bambini. Era un ragazzino arrabbiato»3-33.
I suoi lavori, tuttavia, erano straordinari. La Shechter conservò con cura parecchi dei suoi fumetti, incluso uno su uno scienziato pazzo che si chiamava Mr Oopick. Tenne anche i pezzi di un murale che Basquiat fece in un momento di rabbia. Si tratta di un'opera insolita per un ragazzino proveniente da un ambiente borghese: ci sono disegnate due gang di bulli di Harlem, da un lato i Suicides e dall'altro gli Switchblades. Due dei teppisti, in maglietta nera, hanno coltelli a serramanico. Un altro personaggio è un uomo in impermeabile con un cartello con scritto SEXTRA SPUTNIK, e si vede un distributore di gazzose dentro un emporio vecchio stile. Il quadro si chiama The Teenage Gangs of the Fifties (sulla scia di West Side Story). Già all'epoca Jean-Michel barrava le parole. Inoltre, disegnava case abbastanza simili a quella esposta alla Robert Miller Gallery nel 1989, intitolata soltanto A House Built by Frank Lloyd Wright for His Son3-34.
La stanza da letto di Basquiat era una soffitta sotto le stelle con un materasso sul pavimento. Aveva ricoperto tutto di disegni. Dice il padre:
Non era un bambino come gli altri. Era sempre talmente intelligente, una mente assolutamente incredibile, un genio. È inevitabile che un bambino così intelligente fosse in qualche modo al di sopra del sistema scolastico e degli insegnanti, e che si ribellasse. Lui voleva passare tutta la notte a dipingere e disegnare. Veniva regolarmente espulso dalle scuole. Jean-Michel non riusciva ad essere disciplinato. Mi diede un mucchio di problemi3-35.
I sentimenti di Basquiat verso la sua famiglia sembravano essere una fonte inesauribile di conflitti. Alle sue fidanzale e ai galleristi raccontò che da bambino veniva picchiato duramente dal padre. Gerard Basquiat smentisce risolutamente e sostiene di averlo al massimo sculacciato con una cintura. Ma i vicini ricordano di peggio.
«Picchiava sempre Jean-Michel e le sue sorelle con una cintura, colpendoli alle gambe. Riuscivi a vedere i lividi»3-36, dice Howard Lewis, amico di famiglia che al tempo era molto vicino a Gerard. La Lennard e Lewis dicono anche che in più di un'occasione Jean-Michel chiamò la Polizia per fermare il padre. Il ragazzo raccontò ad alcuni amici che suo padre l'aveva colpito con un coltello, lasciandogli una piccola cicatrice sul sedere3-37. Dice Gerard Basquiat:
In quanto unico genitore avevo una grossa responsabilità. Ero un genitore severo. Ma non ero rigido. Ho cresciuto i miei figli come sono stato cresciuto io. Non me ne pento. Ho fatto del mio meglio. Scriva quello che le pare sul fatto che Jean-Michel fosse un bambino maltrattato, tanto io so che non è andata così. Sono sicuro che alla gente raccontava di esserlo stato. A Jean-Michel piaceva pure dire che era cresciuto nel ghetto, ma non era vero3-38.
Anche Lisane Basquiat nega che il padre li maltrattasse: «Venivamo picchiati come tutti gli altri bambini. Mio padre amava la disciplina. Siamo stati maltrattati? No. Mio padre era tipo da maltrattare i figli? Assolutamente no»3-39. Alcuni degli amici di Basquiat che frequentarono casa sua, sostengono il contrario. Secondo Al Diaz:
[…] suo padre gliele dava di santa ragione. Aveva lividi dappertutto. E lo trattava come fosse merda. Le sue sorelle avevano una stanza gigantesca e Gerard comprava loro quello che volevano. Jean aveva per stanza una specie di grotta dove anche il materasso entrava a stento. Credo si sentisse una specie di bohémien, e faceva graffiti dappertutto3-40.
Quando Jean-Michel aveva dodici anni Gerard ottenne un lavoro alla Berlitz, e la famiglia si trasferì a Puerto Rico per due anni. Il padre si vantò con Lewis che Jean-Michel avesse perso la verginità durante quel loro soggiorno sull'isola3-41. Ma Jean-Michel scioccò gli amici raccontando che le sue prime esperienze furono omosessuali. Era stato costretto a fare del sesso orale da un barbiere che si vestiva da donna. Poi ebbe una storia con un dj3-42.
Tornato a Brooklyn Jean-Michel andò alla Edward R. Murrow High School, proprio di fronte casa. Prendeva insufficienze in tutto. Fu, come scrisse in una nota autobiografica per un catalogo, «l'unico bambino ad essere bocciato in Disegno dal Vero al nono anno»3-43. A Henry Geldzahler disse:
Da bambino ero veramente un pessimo artista. Troppo astratto-espressionista. Oppure disegnavo una grande testa di ariete, decisamente poco verosimile. Non ho mai vinto una gara di pittura. Mi ricordo di essere stato battuto da un tizio che aveva disegnato un Uomo Ragno perfetto. […] Volevo essere il migliore artista della classe, ma il mio lavoro aveva sempre un che di tremendo. A casa mia succedevano un sacco di cose tremende3-44.
Jean-Michel passava un sacco di tempo con Howard Lewis e Harry Reid a gironzolare dentro il loro negozio, il Botanic Planning Limited, che era specializzato in fiori di seta. Una volta spiazzò Lewis regalandogli un disegno dell'Uomo Ragno che firmò con una sigla. Gli disse che quando fosse diventato famoso sarebbe valso un sacco di soldi. Un altro posto dove passava le notti era una tipografia del quartiere. Non voleva mai tornare a casa. Lewis si accorse di un grande cambiamento in Jean-Michel: «Da ragazzino tenero e fiducioso qual era, diventò una persona decisamente molto diffidente e volubile, quasi ostile»3-45.
«Era molto controllato», dice Andreas, che faceva il turno di notte come macchinista per la Metropolitan Transit Authority e che ricorda di aver visto ogni tanto Jean-Michel a qualche fermata ad aspettare che suo zio passasse su qualche treno3-46.
A quindici anni Basquiat scappò di casa. «Ero nella mia stanza che fumavo erba, entrò mio padre e mi ferì al culo con un coltello», raccontò Jean-Michel nella videointervista rilasciata nel 1986 a Tamra Davis. «Pensai che era meglio andar via prima che mi uccidesse, sai come»3-47. All'epoca raccontò a Diaz che il padre lo aveva ferito con il coltello quando gli aveva confessato di avere fatto sesso con il cugino.
Basquiat si rasò la testa (pensando fosse un buon travestimento) e scappò a Brooklyn. Portò con sé due valige di cibo in scatola e si accampò all'Harriman State Park per qualche notte. Ma, raccontò a Geldzahler, «nei boschi è veramente buio, e non sai più dove sei»3-48. All'inizio andò a vivere in un riparo per giovani sbandati, ma non riusciva ad essere un criminale fino in fondo. Dopo aver scippato una vecchietta insieme ad altri ragazzi – gli altri la picchiarono mentre Basquiat le afferrava la borsa, raccontò a un amico3-49 – si sentì così male che andò via. Ma vivere in strada non era facile. «Conoscevo solo spacciatori», disse alla Davis3-50.
Per un po' Basquiat, insieme a un amico che si chiamava Alvin Field, andò a vivere con una famiglia di hippy ebrei in una comune sulla Dodicesima Ovest nel quartiere del mercato della carne. E poi finì a Washington Square Park. Sempre alla Davis raccontò:
Camminai per giorni senza dormire e non mangiai altro che croccantini al formaggio o cose simili. Costavano appena quindici centesimi. Bevevo solo vino con gli ubriaconi. Ero seriamente intenzionato a non tornare a casa. Pensavo che avrei fatto il barbone per tutta la vita. Tutti gli altri mi sembravano ricchi. Andavi in un ristorante e pensavi: «Ricchi del cazzo», e li odiavi3-51.
In seguito Jean-Michel avrebbe descritto quel periodo come il peggiore della sua vita.
Basquiat scriveva alla ragazza con cui stava al tempo, Julie Wilson, che viveva a Los Angeles, lunghe lettere ricoperte di disegni alla Peter Max. «Mi raccontava che viveva in una piccola baracca a Washington Square Park», dice la Wilson3-52. Anni dopo Basquiat fece una sintesi di quel periodo per la scrittrice Suzi Gablik: «Rimasi lì seduto a calarmi acidi per otto mesi. A raccontarlo adesso sembra noioso… È una cosa che ti mangia il cervello»3-53.
Basquiat non era l'unico ragazzino a cercare rifugio a Washington Square Park. Il parco era diviso tra un numero indefinito di gang, ognuna delle quali aveva il proprio pezzo di prato. «Era una specie di punto di ritrovo per gli ragazzacci di strada», dice Eric Johnson, un amico che conobbe Basquiat proprio in quel periodo. «C'erano gli hippy che si facevano di acidi, giocavano a frisbee e parlavano di mantra, che bazzicavano una zona. Poi c'erano gli hooligan italiani. C'era anche un gruppo di ragazzetti borghesi di Westbeth. E c'era una corrente scissionista di graffitisti»3-54.
Le gang dei graffiti – 3YB, che stava per Three Yard Boys, SS, Stone Soul Brothers e Mission Graffiti, o MG – bombardavano3-55 già i treni, le strade e un parcheggio di camion che costeggiava la Ventiseiesima Ovest. «Jean-Michel era uno dei pochi ragazzini neri in quell'ambiente. Non fu mai realmente interessato ai graffiti»3-56, dice Johnson. Alla fine le gang del Washington Square si dispersero dopo che una di loro, armata di mazze da baseball, attaccò gli spacciatori e i gay che vagavano per il parco, scatenando una violenta rissa che finì su tutti i giornali.
Gerard Basquiat era determinato a riportare il figlio a casa. «La notte uscivo a cercarlo. Avevo gli incubi»3-57, dice. Con l'aiuto della Polizia Gerard ritrovò il figlio a Washington Square Park:
Aveva la testa rasata a zero. Lo vidi e andai a chiamare una volante della Polizia per chiedere agli agenti di convincerlo a tornare a casa. Logicamente dovettero portarlo al Distretto e seguire tutte le procedure burocratiche e via dicendo. Dopo che ebbi firmato tutte le carte ci mettemmo a sedere lì fuori. E Jean-Michel mi disse: «Papà, un giorno io sarò famosissimo»3-58.
Prima di entrare al City-As-School per l'undicesimo anno di scuola, Jean-Michel Basquiat era già un soggetto difficile e con seri problemi di droga. Fumava erba in continuazione, spesso si calava acidi e, secondo un amico, aveva cominciato a farsi di eroina. Per fortuna in quella scuola si inserì bene.
Il City-As-School era un liceo alternativo pensato per aiutare gli adolescenti dotati e problematici a mettere in pratica le proprie potenzialità. Secondo il principio ispiratore della scuola la città in sé era una grande istituzione educativa: ai ragazzi venivano dati buoni per la metropolitana per andare a fare lezione in posti come il Museum of Modern Art e l'Hayden Planetarium. Di norma dovevano seguire tre o quattro delle attività proposte in modo del tutto flessibile, e fare poi una verifica a settimana con il loro tutor. La scuola si trovava dentro una chiesa greca ortodossa su Schermhorn Street, a Brooklyn Heights. Gli insegnanti erano dei dichiarati ruderi hippy. Racconta Fred Rugger, che nella scuola insegnava Scrittura Creativa:
Entravi dentro la chiesa e andavi di sotto. Era una specie di grotta delle meraviglie dalle pareti gialle. E c'erano tutti quei ragazzi interessanti, vitali, entusiasti, svegli, talentuosi che giocavano lì dentro. Ma erano giochi assolutamente singolari quelli che si facevano in quel posto. I ragazzi combattevano battaglie immaginarie con la spada di Zorro. Nel senso che si aveva veramente l'impressione che potessi aggrapparti a una liana e metterti a dondolare per tutto lo scantinato come Tarzan. Era una specie di minicolonia di artisti3-59.
Dello staff i due che erano più a stretto contatto con i ragazzi erano Mary Ellen Lewis e Lester Denmark, tutor e co-redattori del giornale della scuola: «Io e Lester eravamo una specie di mamma e papà, e i ragazzi appartenevano a quella categoria di giovani intelligenti con molte potenzialità che avevano deluso loro stessi e tutti gli altri, ma che lì trovavano la possibilità di fare qualcosa»3-60, dice la Lewis.
Il City-As-School era una rifugio di cui era facile abusare. Basquiat e i suoi amici Shannon Dawson e Al Diaz vendevano regolarmente tutti i loro buoni per la metropolitana, e con i soldi che raggranellavano compravano erba. Mentivamo dicendo che andavano a lezione e invece se ne andavano a girovagare a Central Park o al West Village3-61. Le volte che Basquiat andava a lezione, non collaborava mai Il suo compagno di scuola Ken Cybulska ricorda le bravate di Jean-Michel al Museum of Modern Art, dove seguiva un corso di Storia dell'Arte con Sylvia Milgram: «Jean-Michel saltò nel bel mezzo di un'opera che era esposta lì», dice Cybulska. «Non riuscivo a crederci»3-62. La Milgram dice che Basquiat era uno dei pochi ragazzi con i quali non riusciva assolutamente a comunicare: «Era irritante e ostile, ed era aggressivo con tutti. Si portava dietro questo tremendo peso della sua provenienza sociale. Riuscivo sempre a domare i soggetti selvaggi, ma non Jean-Michel. Diventammo nemici mortali»3-63. Basquiat aveva problemi anche con l'altro corso d'arte che seguiva, un corso di Disegno di Figura tenuto da Elliot Lloyd.
«Sembrava uno di quei ragazzetti di strada», ricorda Denmark. «Si vestiva come uno straccione, portava occhialetti con lenti psichedeliche e un'acconciatura rasta»3-64. Un sacco di ragazzi si diedero agli acidi, incluso Jean-Michel. La scuola era un parco giochi del sesso. C'era anche qualche relazione dichiaratamente bisessuale e vari triangoli. Jean-Michel stava con più ragazze contemporaneamente, anche se non si imbarcò mai in veri e propri ménages à trois. Ma come in ogni cosa, era sempre un po' più avanti rispetto ai coetanei. Girò voce che Jean-Michel s'era messo a fare marchette in Times Square, e che s'era beccato la sifilide. «Mi disse che s'era messo a battere sulla Quarantaduesima», dice Cybulska. «Era un ragazzino che a soli quindici anni era già stanco di tutto. Mentre me lo diceva ci rideva su»3-65.
«Per tutto il tempo che lo frequentai, soffrì sempre di crisi di identità», dice Denmark. «Era come se stesse sempre lì a chiedersi: "Sto facendo la cosa giusta? Sono pazzo? Ho qualcosa di sbagliato?". Era infelice perché non riusciva a trovare un posto da nessuna parte, né a scuola, né a casa»3-66.
Eppure al City-As-School Jean-Michel riceveva molti incoraggiamenti dagli insegnanti, tanto che le sue abilità grafiche cominciarono a fiorire. «Quando arrivò qui era veramente timido, impacciato e molto insicuro», dice Diaz, che conobbe Basquiat il giorno dell'iscrizione. «È al City-As-School che maturò»3-67. «Era una specie di Pifferaio Marno della scuola», dice la Lewis. «Se riuscivi a farlo entusiasmare per qualcosa, trasmetteva la sua energia a un sacco di altra gente. Era una sorta di versione adolescenziale dell'ego e delle ambizioni tipiche di SoHo»3-68. Basquiat divenne presto una delle star tra gli illustratori dell'annuario e del giornale della scuola. Ed è lì che nacque SAMO, con un articolo sul tema delle false religioni.
Come accadde per la maggior parte del lavoro di Basquiat, il germe dell'idea SAMO venne innestato dalle droghe. La questione iniziò con uno di quegli scherzi che lui e Al Diaz tiravano fuori, mentre erano fatti, nella sala studenti del City-As-School: «Una notte stavamo fumando erba e io dissi qualcosa sul fatto che fosse sempre la stessa merda, The Same Old Shit3-69. SAMO, giusto? Immaginatevi: vendere pacchi di SAMO! È così che iniziò, con uno scherzo tra amici, e poi crebbe», raccontò Basquiat al «Village Voice» nel 1978, nella sua prima intervista rilasciata a un giornale3-70.
Qualche tempo dopo Basquiat si cimentò sul tema SAMO in un pezzo che scrisse nell'estate 1977 per un numero speciale del giornale della scuola, il «Basement Blues Press», sul tema della filosofia e delle religioni alternative3-71. La sua conoscenza della cultura pop e la sua natura sovversiva venivano a galla nella satira: Harry Sneed, un ragazzo in cerca di una qualche illuminazione spirituale «moderna ed elegante», fa un patto con un santone di nome Quasimodo Jones che sembra una specie di rappresentante di prodotti per la casa.
Basquiat costruisce la scena, che si svolge in un ufficio sopra una bancarella Papaya King, come se fosse una piccola sceneggiatura. Sneed rifiuta tutto quello che Jones gli propone, inclusi lo Zen a prezzo scontato, l'Ebraismo, il Cattolicesimo e anche il Lennismo, basato sulle opere di Lenny Bruce, il «Messia Beat», finché non viene finalmente sedotto dalla proposta sussurratagli da Jones: «SAMO». Quella di SAMO viene descritta come una fede in cui «facciamo tutto quello che ci pare sulla Terra, e poi confidiamo nella grazia di Dio con la scusa che non lo sapevamo, […] facciamo un rito in cui il prete samoide ci mette un benda sugli occhi […]».
Il precoce componimento era accompagnato da un logo, con la didascalia «una cosmoidea» e lo slogan «SAMO è tutto, tutto è SAMO […]. SAMO la religione che non ti fa sentire in colpa […] e di più». C'era poi una serie illustrata di pubblicità a fumetti della nuova religione. Era disegnata da Basquiat, Diaz, Shannon Dawson e un altro loro amico, Matt Kelly: «La mia prima esperienza con SAMO fu alla convention delle Panther del '65. Da allora lasciai le Panther per riempire la mia vita di SAMO», «Ero uno speed-dipendente. Ora che ho trovato SAMO, ho trovato la verità». La pagina di pubblicità venne poi distribuita come pamphlet. Come credit la scritta: «Da un'idea originale di Jean [sic] Basquiat e Al Diaz»3-72.
SAMO partecipò poi, come personaggio, a uno spettacolo messo in scena da un gruppo di teatro-terapia che si chiamava Family Life ed era diretto dallo psicoterapeuta Ted Welch. Il gruppo si incontrava una volta a settimana all'auditorium del vecchio Flower and Fifth Avenue Hospital tra la 105esima e la 106esima, e rientrava tra le attività del City-As-School. Dice Welch:
L'idea era che tutto è sempre la stessa cosa, che la società non fa altro che ripetersi e che tu sei soltanto intrappolato nel loop. Credo che una delle cose che voleva rappresentare era che anche se i giovani credono di non ripetere i ruoli dei loro genitori, la realtà è che poi rifanno sempre le stesse cose. Fu una messa in scena che coinvolse molto il pubblico3-73.
Un compagno di scuola che partecipava al Family Life insieme a Jean-Michel ricorda SAMO come un'esperienza che andava oltre un semplice scherzo fra amici:
Prese spunto dalle idee di parecchia gente. Noi pensavamo che fosse una cosa fatta solo per ridere. Lui la prese più seriamente degli altri. Rientrava nella grandiosità di Jean-Michel. Pretendeva che tutti lo considerassero il leader o il profeta della religione. Prima ancora che cominciasse a fare graffiti, ce ne andavamo sempre in metropolitana, ci mettevamo a sedere accanto alla gente e davamo dei piccoli adesivi bianchi con scritto: «SAMO è un'alternativa alla borghesia», e cose simili. Jean-Michel ce l'aveva con lo stile di vita borghese. Faceva credere alla gente di essere un povero ragazzo che abitava in periferia3-74.
La vera esplosione di SAMO avvenne nella primavera successiva. Nel maggio del 1978 Basquiat e Diaz (che anni prima si era fatto conoscere come il writer della metro Bomb-1) bersagliarono le strade. Armati di Magic Marker, scarabocchiavano i loro geniali e portentosi aforismi per tutta SoHo e per TriBeCa. Come il «bambino radiante» di Keith Haring, le scritte di SAMO, adornate con il simbolo del copyright, divennero presto un'istituzione familiare della zona di Downtown. Il «SoHo News» pubblicò anche delle foto dei graffiti, come fossero poster dei ricercati, cercando di scoprire chi li avesse fatti. Ma Basquiat e Diaz preferirono vendere la loro storia al «Village Voice» per cento dollari. In un articolo uscito nel numero del Primo dicembre, Basquiat raccontò al «Voice» che a volte scriveva più di trenta SAMO al giorno. «È un modo per prendere in giro la falsità»3-75, dichiarò. Racconta Diaz:
Facevamo a turno nell'escogitare le frasi. Prendevamo un blocco di carta e cominciavamo a buttare giù le cose. Ci lavoravamo insieme, e man mano che andavamo avanti le aggiustavamo. Accanto scrivevamo cose tipo: «In alternativa a questo, o come fine di quello». Quello sì che era pensare. Ci mettevamo a sedere in circolo e buttavamo giù le cose prima di andarle a scrivere per strada. E poi iniziavamo a camminare in direzione di Church Street, o verso West Broadway passando da Leonard Street. Quando ci veniva un'idea la scrivevamo3-76.
I writings di SAMO finirono sul ponte di Brooklyn e all'angolo tra Church e Franklin, sui muri della School of Visual Arts e vicino alla Mary Boone Gallery su West Broadway:
SAMO as a neo art form, SAMO as an end to the mindwash religion, nowhere politics and bogus philosophy, SAMO as an escape clause, SAMO saves idiots, SAMO as an end to bogus pseudo intellectual. My mouth, therefore an error. Plush safe… he think, SAMO as an alternative to god. SAMO as an end to playing art. SAMO as an end 2 Vinyl Punkery. SAMO as an expression of spiritual love, SAMO for the so-called avantgarde. SAMO as an alternative 2 playing art with the «radical-chic» sect of Daddy's$funds. SAMO as an end 2 confining art terms. Riding around in Daddy's convertible with trust fund money, SAMO as an alternative to the «metal rack» arteest on display… «Come home with me to-nite» & I'm a divorcee blues, SAMO as a result of overexposure… SAMO as an end to this crap… SoHo Too!3-77
Alcuni critici ci misero del loro nell'interpretare il significato dell'acronimo, SAMO, osservavano, era simile in modo sospetto a (Little Black) Sambo3-78. Era anche l'anagramma di Amos, come Amos'n'Andy3-79, celebri personaggi razzisti che Jean-Michel citò nei suoi ultimi lavori.
A quell'epoca Basquiat e Diaz passavano gran parte del loro tempo con la famiglia dell'allora ragazza di Diaz, Kate McCamy, che viveva a TriBeCa. Ricorda la McCamy: «Stavamo bene noi tre insieme, ci imbucavamo alle feste o ce ne andavamo in giro. Jean era buffo, un po' strano e un po' insicuro. Io e lui ci litigavamo le attenzioni di mia madre. Era il benvenuto a casa mia, e veniva sempre a cena qui»3-80. Racconta Arden Scott, la madre di Kate:
Casa nostra era diventata la loro base. Come tutti i ragazzi non facevano altro che combinare guai. Già a quel tempo Jean aveva problemi di droga. Già a quel tempo voleva diventare ricco e famoso e avere riconoscimenti. E dato che era ciò che era, era un obiettivo facile. Era fatto così: non potevi non accorgerti che era nella stessa stanza in cui eri tu3-81.
A detta della Scott, che conobbe Basquiat quando aveva più o meno quattordici anni, già allora si faceva di «incredibili quantità di droghe. Se ne andava a Washington Square Park e provava di tutto»3-82.
Basquiat e Diaz erano conosciuti per le loro bravate selvagge: una volta finsero di rapinare un negozio di alimentari e casalinghi a Downtown. Si buttarono tutti per terra prima di capire che le armi che avevano in mano erano bottiglie di seltz. Un'altra volta cercarono di rubare una classica insegna della Coca-Cola, e vennero beccati dalla Polizia3-83. Passarono una notte alle Tombs3-84. «La Polizia cercò più che altro di spaventarli», dice la Scott. «Già allora Jean aveva capito che un cartello era un'icona, aveva capito cosa significasse veramente un'icona e che era un modo per diventare ricchi»3-85.
Ricorda la Scott: «Se ne stava tutto il tempo seduto nel loft a disegnare. Capiva le cose al volo. Mi lanciava sguardi d'intesa, con gli occhi che gli scintillavano. Era estremamente intelligente e caustico. Come se fosse troppo intelligente per essere felice»3-86.
Quando Basquiat tornò a Boerum Hill, le cose ci misero poco a degenerare. Secondo diverse fonti, spesso arrivava a scuola con dei lividi e una volta andò al teatro del Family Life così pesto che camminava con un bastone. «Lui e il padre erano in tremendo conflitto», dice Denmark. «Il padre era un uomo d'affari in carriera, un tizio da abito tre pezzi, e Jean era lontano mille miglia dal seguirne le orme. Il padre credeva fosse suo dovere riportare Jean sulla retta via. Lo picchiava con la cintura. Jean aveva segni bluastri», dice Denmark, che definisce il picchiare come «parte del regno della normalità, e non un abuso»3-87:
Educarlo, secondo la cultura haitiana, voleva dire usare con lui le mani e la cinghia. Ma non era una cosa grave. Mai così grave da finire all'ospedale. Poteva capitare che avesse qualche segno bluastro. Così come capitò pure che una notte il padre buttò via tutti i suoi dischi e strappò i disegni. Cose normali quando ci sono liti in famiglia3-88.
Ma Ted Welch si ricorda di una volta in cui Jean arrivò in ritardo alla riunione di Family Life. «Dall'aspetto che aveva sembrava gli fosse capitato qualcosa di fisico. Mi raccontò che era stato picchiato. Ma non volle parlarmene»3-89. Un suo compagno di scuola ricorda:
Arrivò con un bastone. Aveva un aspetto terribile. Era pieno di lividi. Faticava a camminare. Jean-Michel non parlava granché dei fatti privati della sua famiglia. Né andava spesso a casa. Era sempre in cerca di un posto nuovo dove andare a dormire. Aveva molti segreti e cose di cui si vergognava3-90.
Basquiat passava spesso la notte fuori casa, irritando ulteriormente il padre. Denmark arrivava a scuola alle sette del mattino e lo trovava seduto sugli scalini3-91. A diciassette anni se ne andò definitivamente via di casa.
La cerimonia dei diplomi del City-As-School si tenne nel giugno del 1978 alla Fordham University. Era un evento molto ben organizzato che prevedeva stacchetti musicali, una messa in scena che ripercorreva la formazione di uno studente del City-As-School dal giorno dell'iscrizione a quello del diploma, un discorso introduttivo del preside, Fred Koury, e un concerto finale. Erano presenti diversi politici, incluso il presidente del consiglio comunale, Carol Bellamy, che era la principale relatrice. Il programma illustrato della giornata includeva opere di «Beatrix Potter e Jean-Michel Basquiat, e di una serie di umili e miti anime»3-92.
Ma l'idea di tirare una torta in faccia al preside non fu opera di una «mite anima». Fu una perfida congiura pianificata parecchi giorni prima. Richiedeva tempismo, presenza di spirito e il più totale disprezzo per le norme della buona creanza. Fu anche, come molte delle imprese di Basquiat, un modo per catturare l'attenzione rubando la scena a qualcun altro.
«Lo portammo dietro le quinte prima che cominciasse il tutto», dice Diaz, che si diplomò anche lui quell'anno. «C'era un passaggio abbastanza sgombro che portava giù. Così sarebbe potuto scappare. E non c'era la sicurezza. Koury era in piedi al centro del palco e Jean arrivò da dietro la tenda e, in modo assolutamente perfetto, lo colpì in piena faccia. Credo che per Koury fu il momento peggiore della sua vita»3-93. «Lo feci per sfida. S'era messo una giacca bianca, e così sembrò una specie di trucchetto magico»3-94, disse in seguito Basquiat.
Jean-Michel si dileguò come Peter il Coniglio della Potter, scomparendo giù nel passaggio e poi fuori dall'edificio. Il pubblico era troppo sconvolto per reagire. Uno dei relatori della giornata era Welch, che racconta così la vicenda:
Il tutto avvenne con una specie di curioso effetto ralenti. La gente restò a bocca aperta. Ci fu una sorta di panico collettivo. Fu come se fosse stato assassinato qualcuno. Fred se ne stava in piedi sul palco a finire il suo discorso, e sbucò fuori questa mano da dietro le tende – era impossibile riuscire a vedere il resto del corpo – e la torta venne lanciata sulla faccia di Fred. La crema gli riempì del tutto narici e bocca. Non riusciva a respirare. Gli levai via quella roba e gli chiesi se era tutto a posto. Poi vidi Jean-Michel, Shannon e un altro ragazzo fuori, e mi chiesero che ne pensassi. Risposi: «Come al solito, la tempistica era sbagliata»3-95.
Rugger ricorda l'episodio con più leggerezza. «Devo dire che tutto filò alla perfezione. Lo fecero in maniera impeccabile, l'episodio fu splendido. Al preside gli prese un colpo. E la cosa lo seccò parecchio»3-96. Per qualche anno Koury si rifiutò persino di parlare dell'incidente. «Per un po' pensai che forse mi fidavo troppo dei ragazzi. Jean-Michel venne nel mio ufficio a scusarsi, con il fare più contrito che gli riusciva», dice Koury. «Era stato uno scherzo. E non sembrava dispiaciuto d'averlo fatto, ma accettai le sue scuse»3-97.
Il giorno dopo Basquiat tornò a scuola. «Fu una cosa commovente», dice la Lewis, «mi chiese se gli occhi di Fred erano ok, e mi disse che non aveva voluto fargli del male, e che sperava di non avere messo nessuno nei guai. Gli dissi: "Spero di non essere tra quelli che odi"»3-98:
A ripensare al passato, capisco che il comportamento di Jean era tipico dei bambini maltrattati. Aveva una specie di atteggiamento paranoico, ed era ipersensibile alle attenzioni che gli prestavi, come un cagnolino. Era alla ricerca disperata e indiscriminata di ogni forma di approvazione. Provocava e irritava fino a portarti al limite, ma poi era come se facesse marcia indietro e cercasse di fare il bravo ragazzo. Credo che in qualche modo il City-As-School fosse per lui una specie di famiglia. Non dovevi essere un freudiano per vedere quanto tirasse fuori in modo evidente la sua ossessione per il padre. Voleva disperatamente l'approvazione di Fred Koury… e fu così crudele con lui3-99.
Basquiat non finì mai l'ultimo anno. Si era già messo nei guai perché s'era fatto beccare a fare sesso con una ragazza bianca nei locali della scuola e a vendere i buoni per la metropolitana invece di usarli per andare a lezione. La bravata del giorno dei diplomi fu la goccia che fece traboccare il vaso. «Tornare indietro non sembrava avere granché senso», notò Basquiat. Qualche anno dopo la Lewis si ritrovò all'inaugurazione di una mostra di Jean-Michel. Le prime parole che l'artista disse alla sua ex-insegnante furono: «E così, "pare che alla fine ce l'abbia fatta", ah ah. Verrà anche Fred?»3-100.
La forza trainante di Jean-Michel era il suo rapporto di odio-amore con il padre. Per tutta la vita non fece altro che cercare dei genitori sostitutivi – le sue fidanzate, i suoi galleristi, Warhol – alla ricerca dell'amore e dell'approvazione che non aveva avuto da bambino. Ma niente era mai abbastanza, e prima o poi avrebbe interrotto la relazione, ritirandosi nella paranoia e nel dolore. E alla fine furono le droghe a fornirgli l'unica via di fuga.